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Introduzione.
Il “nuovo pensiero” di Franz Rosenzweig è articolato in maniera programmatica e metodica nel conciso saggio omonimo della maturità dell’autore, pubblicato 4 anni dopo la stampa del suo capolavoro filosofico, La Stella della
redenzione (1921)1. Concepito come un insieme di “note supplementari” alla Stella, come dice il suo stesso sottotitolo, ha costituito un termine di confronto
privilegiato nelle ricerche sulla proposta filosofica dell’autore. Tale proposta emerge in tutta la sua produzione filosofica, salvo ricevere nello scritto Il nuovo
pensiero una sistemazione teoretica.
La motivazione che mi ha spinto a scrivere una tesi su uno dei molteplici problemi filosofici che il pensatore tratta all’interno della sua proposta complessiva, e cioè quello della verità, è data proprio dalla possibilità di confronto, per lo più critico ma sempre costruttivo, che questo pensatore ci consente con i principali temi che hanno interessato la tradizione filosofica occidentale. Mi riferisco al tema di Dio, del mondo, dell’uomo, dei loro rapporti e del modo del loro rapportarsi; al tema dell’essenza e del concetto; a quello dell’esperienza, intesa come esperienza empirica, e come esperienza personale e vissuta. Altro tema di confronto è quello della totalità di hegeliana ascendenza, confronto assunto con tonalità esplicitamente critiche e avverse, e la sintesi che di questa è il momento culminante. La lettura dell’opera complessiva di Rosenzweig permette insomma un confronto ragionato e metodico, a tutto campo, con la storia del pensiero occidentale, e con i problemi privilegiati che ne hanno motivato l’inizio e lo sviluppo. Un confronto per lo più inedito, che mette in mostra le insidie che potenzialmente si potrebbero annidare nella domanda filosofica per eccellenza, il
ti esti, che nel tentativo di cogliere la vera natura di un oggetto tende,
riconducendolo a un concetto altro, a snaturarlo.
1 Franz Rosenzweig, Il nuovo pensiero. Alcune note supplementari a La stella della redenzione. In La Scrittura, Saggi dal 1914 al 1929, a cura di Gianfranco Bonola, Città Nuova Editrice, Roma, 1991.
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Ogni filosofia indagava circa l’«l’essenza». E’ questo il problema su cui essa si separa dal pensiero non filosofico del senso comune. Questo infatti non si chiede che cosa «propriamente» sia una cosa. Gli basta sapere che una sedia è una sedia e non si chiede se essa possa essere in verità qualcos’altro. Ma è proprio questo che si chiede la filosofia quando s’interroga circa l’essenza. Al mondo non è per niente concesso di essere mondo, a Dio di essere Dio, all’uomo di essere uomo, bensì tutti e tre devono essere «in verità» qualcosa di totalmente diverso […]. Ma questa domanda-che-cos’è? (Was-ist?-Frage) posta a «tutto» contiene già tutto l’errore delle risposte. Un asserto-è (Ist-Satz), se vuole ripagare la spesa di venire espresso, deve sempre esprimere dopo l’«è» qualcosa di nuovo che prima non c’era ancora. Se si pongono simili domande-è (Istfragen) sul mondo o su Dio, allora non si ha il diritto di stupirsi che ne venga fuori l’io2.
Così come potrebbe celarsi un rischio nell’ontologia e nella gnoseologia hegeliana - che secondo il pensatore non è che il culmine logico di questa medesima impostazione del domandare socratico - che presenta ai suoi occhi una tensione totalitaria e riduzionistica della complessità del reale.
L’«idealismo» con la sua negazione di tutto quanto separa ciò ch’è singolo dal Tutto, è lo strumento artigianale con cui la filosofia rielabora la materia indocile fino a che essa non oppone più resistenza alcuna alla confusione nebulosa entro il concetto di Uno-Tutto3.
Ed è anche la motivazione originaria del filosofare, così come teorizzata da Aristotele nel primo libro della Metafisica, secondo cui esso avrebbe avuto origine dalla meraviglia di fronte a fenomeni di cui non si conoscevano le cause, ad essere messa altresì in discussione, come emergerà nella conclusione del presente lavoro. Sarebbe piuttosto la paura della morte, della finitezza dell’esistenza, e non lo stupore dinanzi alla vita, che avrebbe costituito il primo movente del filosofare, come scrive Rosenzweig nell’incipit della Stella della redenzione4. L’idea del
“Tutto” hegeliana, aspetto ultimativo del sistema delineato nell’Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio, costituirebbe il tentativo di esorcizzare tale paura
2 Ivi, pp. 262-263.
3 Idem, La stella della redenzione, a cura di Gianfranco Bonola, Vita e pensiero, Milano, 2016, p. 4. 4 “Dalla morte, dal timore della morte, prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto.
Rigettare la paura che attanaglia ciò ch’è terrestre, strappare alla morte il suo aculeo velenoso […] di questo si rende capace la filosofia”. Ivi, p. 3.
3 nella confluenza dell’individuo nella totalità di cui in ultima analisi sarebbe parte e di cui costituirebbe un semplice momento funzionale. In questo senso il soggetto filosofante, da Socrate, ed ancor prima da Parmenide fino ad Hegel, sarebbe stato un mero “luogotenente stipendiato della storia della filosofia”5, la cui filosofia era funzionale all’autocoscienza adeguata di un pensiero trascendentale ed ipostatizzato. Rosenzweig cerca di riconferire piena dignità all’individuo come “nome e cognome”6, assolutamente unico e contingente, irripetibile, non suscettibile, come vedremo nel corso del corrente elaborato e nelle considerazioni conclusive7, di essere sussunto in toto nel suo proprio concetto, e nella mediazione di cui questo si avvale.
Chi fa scienza è certo più di ciò di cui si occupa. Il filosofo deve essere di più che la filosofia8.
Ogni soggetto è più del suo predicato, ogni cosa è più del suo concetto […]. Il predicato non è un concetto universale al quale il soggetto sia subordinato9.
La verità, lungi dal compiersi nel predicato proprio del logos apofantico, si compie in una dimensione ulteriore ed extra-proposizionale, nella dimensione dell’esperienza concreta in cui è possibile in-verare (bewaehren) e testimoniare nella prassi una verità frutto di un percorso teoretico e fenomenologico10. Rosenzweig invita il suo lettore alla fine della Stella, e analiticamente e programmaticamente nel Nuovo Pensiero, a realizzare e rendere reale la verità del suo capolavoro filosofico nella propria vita quotidiana, anche e forse soprattutto dando vita alle interpretazioni e ricezioni attualizzate della sua opera.
5 Ivi, p. 107.
6 Idem, «Cellula originaria» de La stella della redenzione, in idem, La Scrittura, Saggi dal 1914 al 1929, op. cit., p. 243.
7 Infra, pp. 105-106.
8 Franz Rosenzweig, La stella della redenzione, op. cit., p. 304. 9 Ivi, p. 397.
10 “La verità cessa di essere ciò che «è» vero e diventa ciò che vuole essere confermato vero. Il
concetto di inveramento della verità diviene il concetto cardinale della nuova gnoseologia e prende il posto occupato nella vecchia gnoseologia dalla teoria della coerenza interna e dalla teoria dell’oggetto” [corsivo mio]. Idem, Il nuovo pensiero, op. cit., pp.279-280.
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Il libro non è un risultato raggiunto, neppure un risultato provvisorio […]. Questa responsabilità avviene nel quotidiano della vita […]. Chiunque altro, anche solo perché è un altro, potrà sempre tentare, secondo l’audace motto di Kant […] «di capire Platone meglio di quanto Platone abbia compreso se stesso». Non vorrei togliere questa speranza a nessuno dei miei lettori11.
In che modo la nozione di esperienza si colleghi, oltreché a quella di verità, da intendersi in senso performativo ed etico, a quella del filosofo che profila Rosenzweig, e in cui si diffonde il secondo capitolo della presente tesi, si annuncia nella sua stessa particolare denominazione: il filosofo “del punto di vista”12. Egli è quel “nuovo filosofo” che, diversamente da quello della tradizione, “impersonale” e “luogotenente” della storia della filosofia, è motivato nel suo filosofare dalla propria esperienza personale e storica contingente, e da questo punto di vista particolare muove alla volta di una fruizione e una condivisibilità universale. Questo intende essere altro punto di approdo del mio lavoro, secondo cui, seguendo il dettato della Stella:
La filosofia non ha come oggetto il Tutto obiettivamente pensabile ed il pensiero di questa obiettività, essa è piuttosto «concezione del mondo», il pensiero con cui uno spirito individuale reagisce all’impressione che il mondo produce su di lui13.
L’oggettività propria del concetto universale da punto di partenza del pensiero filosofico, diventa punto di arrivo. Prosegue Rosenzweig scrivendo che il contenuto del pensiero non è più quello della fede - Dio o, meglio, lo Spirito - portato a una comprensione matura come avviene nel corso del sistema di Hegel, ma “questo si erge contro di lui come eterno paradosso”, la cui contraddizione rispetto al soggetto non viene mediata e risolta nell’immanenza. Ed è proprio l’uomo che accoglie la rivelazione e l’esperienza di fede, senza pretendere di risolverne la contraddizione e la tensione, e quindi la relazione che comporta, “l’unico possibile soggetto filosofante della nuova filosofia”14.
11 Idem, Il nuovo pensiero, op. cit., p. 281. 12 Idem, La stella della redenzione, op. cit., p. 107. 13 Ibidem.
5 Possiamo dunque notare come il mio lavoro ruoti attorno al confronto intrapreso da Rosenzweig con Hegel, che è ai suoi occhi la “sintesi” necessaria, si potrebbe dire, della tradizione filosofica occidentale, nei suoi presupposti metodologici, la quale avrebbe teso fin dagli albori alla comprensione razionale della realtà, delle sua leggi, e quindi all’”identità di pensiero ed essere”15. Il nostro pensatore quindi “sintetizza” l’intera storia del pensiero occidentale fino a Hegel in una sorta di linea cogente nel suo andamento e nei suoi risvolti consequenziali, denominandola con un'unica formulazione onnicomprensiva, la tradizione “dalla Ionia fino a Jena”16. Per quanto ricco di suggestioni filosofiche e interpretative – prima fra tutte la soluzione rosenzweighiana dell’eventuale problema - l’assunto non deve però mai, a mio parere, essere preso alla lettera, pena il rischio di una lettura della storia della filosofia in termini ideologici o dogmatici. La soluzione rosenzweghiana che la stessa concezione performativa della verità come prassi anche ermeneutica preserva dal volersi definitiva, è data proprio dal profilo del “nuovo filosofo”, che rende possibile un “filosofare ancora dopo Hegel”, dopo che la filosofia sembrava aver raggiunto il suo compito supremo e non poter più procedere oltre.
Perché è di una vera è propria conclusione che si deve parlare quando questo sapere non abbraccia più solo il suo oggetto, il Tutto, ma attinge esaustivamente anche se stesso. Questo è avvenuto con l’inclusione della storia della filosofia all’interno del sistema17.
Tornando agli obiettivi del mio elaborato, “la nuova filosofia” prospettata da Rosenzweig - su cui si sofferma il secondo capitolo - che origina dall’esperienza individuale e soggettiva, pienamente collocata in un frangente storico, al fine di raggiungere l’universalità o l’universalizzabilità che le conferisca il suo proprio
15 “L’unità del logos fonda l’unità del mondo come un’unica totalità […]. In quella prima asserzione
della filosofia, nel «tutto è acqua» è già contenuto il presupposto della pensabilità del mondo, benché sia soltanto Parmenide il primo ad esprimere l’identità di pensiero ed essere”. Ivi, p.12.
16 Ibidem. 17 Ivi, p. 6.
6 tenore “scientifico”18, ha bisogno di un ponte che dal soggetto trovi un approdo nella realtà che quest’ultimo condivide con l’alterità. Tale ponte è fornito da un’idea di matrice teologica, quella di rivelazione, che Rosenzweig reinterpreta in senso filosofico come possibilità di “orientamento”19 nel mondo. L’esperienza personale del suo ritorno all’ebraismo, dopo la crisi spirituale del 1913 che lo portò sulle soglie della conversione al cristianesimo, viene rielaborata speculativamente per essere resa universalizzabile e valida in campo filosofico. La categoria ebraica di rivelazione come orientamento per l’uomo nel mondo, tale da istituirvi “un centro nello spazio” e un “inizio nel tempo”; come relazione dialogica fra Dio e l’uomo e fra l’uomo e il prossimo, rende comprensibile e offre alla “nuova filosofia” del “punto di vista” un approdo nel “corso sferico che sempre sonoramente si rinnova dell’eterno mondo a noi tutti comune”20. L’universalità cui sempre la verità intesa secondo la nuova concezione rosenzweighiana mira, non è presupposta a priori nel concetto con le sue caratteristiche di necessità assertiva, ma è un compito filosofico che origina dall’esperienza personale, perché questa non resti pura esperienza intimistica inarticolata. Perché non rimanga tale, corre in soccorso la facoltà di testimoniarla e in-verarla, come fece Rosenzweig conferendovi un significato filosofico-ermeneutico, secondo il principio di responsabilità che la sua concezione di verità pone al centro.
La conclusione del presente studio si propone di far notare come tale fenomenologia della verità in senso etico e testimoniale, sia tuttavia per Rosenzweig, nella Stella della redenzione e secondo l’autocomprensione del
Nuovo Pensiero, da intendersi come testimonianza di una verità essenzialmente
religiosa. La gnoseologia rosenzweighiana, una “nuova gnoseologia”, viene esplicitata come “messianica” dall’autore21. Si riferisce cioè all’orizzonte dell’agire religioso messianicamente inteso - descritto nella terza sezione della Stella - che
18 La nuova filosofia deve tenere presente “la sua nuova posizione di partenza […] il punto di vista
di questo sé [soggettivo], e tuttavia raggiungere l’obiettività che è propria della scienza”. Ivi, p. 108.
19 Cfr.: Idem, «Cellula originaria» de La stella della redenzione, in La Scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, op. cit., p. 242.
20 Idem, La stella della redenzione, op. cit., p. 112. 21 Idem, Il nuovo pensiero, op. cit., p. 280.
7 ebrei da una parte e cristiani dall’altra mettono in opera nel culto e nelle festività liturgiche, presentate come “anticipazione” dell’eterno nel tempo. La tensione è qui – nella conclusione del mio lavoro - quella fra una verità religiosa, il Dio biblico, che ebrei e cristiani testimoniano in maniera differente ma complementare; e la verità che la Stella ci invita a mettere in opera, come lettori di quello che è “un sistema di filosofia”, nel quotidiano della vita una volta che la scansione teoretica e fenomenologica del libro sia stata adeguatamente percorsa.
Il libro non è un risultato raggiunto […]. Anch’esso deve essere giustificato […]. Questa responsabilità avviene nel quotidiano (Alltag) della vita. Solo per riconoscerlo e viverlo come quotidiano/giorno-Tutto (All-tag) dovette venire percorso per intero il giorno della vita del Tutto (das Lebenstag des Alls)22.
Il presupposto rosenzweighiano di una pratica testimoniale di una verità anzitutto religiosa, che si identifica col Dio ebraico-cristiano, gli permette di avanzare un’altra peculiarità della sua concezione della verità. Alla verità sarebbe possibile soltanto “aver parte” e “partecipare”, escludendo la possibilità di un suo possesso compiuto ed esaustivo23. Se il concetto della filosofia tradizionale era tale da consentirlo come possesso logico, l’esperienza della verità lo esclude come contraddizione in termini. Come appartenenti a un orizzonte di fede, che sia ebraico o cristiano, ci è consentito solo avere “parte” a una verità che è “intera” soltanto presso Dio, ma la contemplazione diretta della verità, come permessa dalla teoria nel senso etimologico e classico del termine, dall’intuizione noetica, “è un contemplare al di là della vita”24, che ancora non ci è dato. Ebraismo e cristianesimo costituiscono due differenti modalità di partecipazione alla verità che si completano a vicenda, due esperienze diverse dell’eterno che si esprimono in differenti facoltà di testimoniarlo attivamente (bewähren) nel mondo. Sarebbe perciò possibile “fare esperienza dell’intero solo a partire dalle sue parti e della verità solo prendendone parte”25, e quindi prospettare, seguendo la riflessione rosenzweighiana sulla verità, una dialettica interreligiosa fondata su questa
22 Ivi, p. 281.
23 Cfr.: Idem, La stella della redenzione, op. cit., p. 427. 24 Ibidem.
8 consapevolezza, che si rivelerebbe precipua per l’allentamento delle posizioni fondamentalistiche in sede religiosa.
Queste le finalità del mio lavoro, per il cui raggiungimento ho utilizzato un’esposizione d’impronta sinottica, per nuclei tematici o problematici, per cui i nuclei trattati in ciascuno dei 3 capitoli sono stati analizzati nelle opere principali di Rosenzweig, presentando all’interno di ciascuno di essi una relazione che ne rispettasse l’ordine cronologico. Tali nuclei tematici sono verità ed esperienza per il primo capitolo, indagate a partire delle flessioni semantiche che il termine
esperienza assume nelle sue due differenti traduzioni nel tedesco (Erlebnis ed Erfharung), che Rosenzweig utilizza con significati talora analoghi. “Nuova
filosofia” e “nuova teologia” per il secondo, in cui la nuova filosofia “del punto di vista” rosenzweighiana rivela l’esperienza individuale e contingente come punto di partenza del pensiero, che ha l’universalità non come presupposto dialettico ma come punto di arrivo, e trova in una teologia ripensata filosoficamente il proprio appoggio nel reale empirico della relazionalità. Nel terzo capitolo prendiamo in considerazione l’interpretazione rosenzweighiana della sua Stella della redenzione come “un sistema di filosofia”26, chiedendoci in che senso il pensatore assume la nozione di sistema, e in un confronto con l’impostazione hegeliana che egli stesso ha decostruito. L’approccio sistematico di Rosenzweig, come vedremo, è tale da mantenere il momento della contraddizione o del negativo senza la pretesa di risolverlo, in modo tale che ogni componente del suo “sistema” abbia la sua dignità ontologica indipendente da ogni funzionalità alla seguente, in vista della quale verrebbe tolta o “levata”. Prenderemo inoltre in esame l’approccio rosenzweighiano ai due monoteismi biblici nella Stella della redenzione, che egli definisce “sociologico”27, chiedendoci dunque se questa si possa presentare come “una filosofia della religione”28, o se sia invece opportuna una formulazione
26 Franz Rosenzweig, Il nuovo pensiero, op. cit., p. 258. 27 Ivi, p. 277.
28 La stella della redenzione “non è affatto un «libro ebraico» […]. Tratta, è vero, dell’ebraismo, ma
non più diffusamente che del cristianesimo […]. E neppure avanza la pretesa di essere una filosofia della religione; come potrebbe se la parola religione non vi compare nemmeno?”. Ivi, p. 258.
9 diversa che permetta di rispettare la natura dinamica ed eventuale della religione come intesa dal pensatore, e la centralità in cui pone l’esperienza religiosa.
Nel primo capitolo, la nozione di verità come testimonianza e agire orientato e motivato, e dunque come in-veramento, viene messa a confronto con il procedimento classico della dimostrazione logico-matematica, come fa Rosenzweig nella sua Scienza di Dio29, mostrando il carattere creativo e
imprevedibile dell’in-veramento in rapporto alla necessità del procedimento deduttivo. In questo contesto compare per la prima volta la valenza positiva della
contraddizione, declinata come la contraddizione di “un’esperienza nei confronti
di un pensiero e una connessione necessaria e indissolubile trai due”30, che assurge a momento cardinale della verità; mi è parso propizio un raffronto col secondo principio della logica aristotelica.
Possiamo constatare come, come sintetizzato in apertura, Rosenzweig si confronti con i principali temi e con i principali metodi della storia del pensiero occidentale, proponendone una chiave di lettura diversa, che sempre parte dal fondamento semantico che questa stessa tradizione gli fornisce. La sua “esperienza” di uomo di fede, gli permette di trarre da quest’ultima dei motivi e delle categorie - anche bibliche, che si prestino a un’elaborazione filosofica – che contribuiscono alla sua operazione di rinnovamento, sul fondamento costante della tradizione, del significato di temi filosofici classici. All’interno di tale “rinnovamento del pensiero”31, messo in opera dal pensatore di Kassel solo laddove fecondo per il prosieguo della sua storia, io qui propongo quello del tema filosofico della verità, che ci è apparso non più appannaggio esclusivo della teoria della conoscenza.
29 In idem, Dio, uomo e mondo, a cura di Roberto Bertoldi, Giuntina, Firenze, 2013. 30 Ivi, p. 100.