1. Venere in un paese
L’opera apparteneva a collezione privata già ai tempi in cui Bernard Berenson1 la inseriva all’interno del catalogo delle opere di Lotto come Venere in un paese (fig.1), sottolineandone la rispondenza allo stile di Albrecht Dűrer e Jacopo de’ Barbari:
«L’affinità col Dűrer e con Jacopo de’ Barbari è ancora più manifesta nella “Venere in un paese” di una collezione privata a Milano» […] «forse la più giovanile delle opere lottesche superstiti». La composizione vede una figura femminile “reclinata”
inserita in un paesaggio agreste popolato da altre figure umane ed alcuni animali: «Una giovane donna, quasi interamente nuda, si appoggia al ceppo di un albero,
coprendosi le spalle con l’estremo lembo del drappo su cui è seduta. A sinistra, in primo piano, un coniglietto; nel fondo, una minuscola figura di cavaliere con lancia e scudo e, sulla destra, un villano con un cane».
Il critico “sospettava” che l’opera fosse la custodia di un ritratto e che la scena narrata alludesse ad un episodio della vita dell’ignoto effigiato. Ritenendo che l’invenzione del motivo della Venere distesa risalisse a Giorgione, egli suggeriva che il dipinto lottesco rientrasse nella sfera d’influenza del maestro di Castelfranco, influenza a suo dire percepibile addirittura nei “circoli concentrici del ceppo” a cui è appoggiata la dea. Mariani Canova2, esternando i propri dubbi sulla paternità lottesca, avrebbe ricordato il dipinto fra le opere attribuite: «Ascritta al Lotto dal
Boschetto (1953), su suggerimento del Longhi (1946) e con una datazione intorno al 1503. Accolta come opera autografa e con la medesima definizione cronologica, anche dal Berenson (1955, 1958). Una certa fragilità nella realizzazione stilistica induce a qualche dubbio sull’esattezza dell’attribuzione». A riprendere la tesi del
Berenson riguardo la funzione della tavola sarebbe stato Pochat3: «Ma dovrei prima
discutere un altro dipinto simile, ora in collezione privata a Milano, che servì probabilmente allo stesso scopo di coperto per un ritratto».
Se paragonato alla Venere di New York e alla ninfa del Sogno di fanciulla questo esemplare si delinea immediatamente come goffo e maldestro tentativo di imitarne il modello; Pochat, che lo riconduceva a prototipi grafici di Dűrer (la Nuda di Vienna)
1
B. Berenson, Lotto, ed. a cura di L. Vertova, Milano, 1955, p. 19.
2
G. Mariani Canova, in L’opera completa del Lotto, Milano, 1975, p. 124.
3
e de’ Barbari (fig.2), nonché alle illustrazioni dell’Hypnerotomachia, ne era convinto: «Questa Venere in un paesaggio sembra una goffa rappresentazione della
divinità reclinata contro un tronco d’albero. Il tipo si avvicina alle incisioni di Jacopo de’ Barbari e al disegno di Dűrer di un nudo accanto ad una sorgente, datato 1514, nel Kunsthistorisches Museum di Vienna. Sia nel disegno che nel dipinto, la figura distesa è caratterizzata dalla sua ardua posizione - il braccio sinistro piegato di Venere è davvero molto strano. C’è ragione di richiamare la rappresentazione dell’alquanto anticlassica “Venere giacente” o “ninfa” nelle illustrazioni dell’ “Hypnerotomachia” del 1499».
A dire dello studioso, nelle suddette raffigurazioni - compresa la Venere in un paese, nonostante il suo sapore ancora “cortese” - si celerebbe un significato ambivalente: la contrapposizione tra “vita activa” e “vita sensitiva”: «La stessa ambivalenza si trova
nel nudo dipinto. I conigli nel primo piano possono essere interpretati come attributi di una Venere considerato che il cavaliere nello sfondo sulla sinistra e il pastore e la coppia sulla destra danno allo scenario quel tocco di cavalleria romantica e di tranquillità pastorale incontrate così di frequente nella letteratura del tempo. Forse l’ingenua caccia in prossimità del tronco in combinazione con il cavaliere nello sfondo rappresenta la “vita attiva”, mentre i conigli e la coppia di pastori stanno a significare gli aspetti della vita carnale e la procreazione, la “vita sensitiva” o “voluttuosa”. Entrambi gli aspetti della vita sembrano essere armonizzati da Venere che presiede entrambe le metà del dipinto. Lo stile nordico del paesaggio e questa tecnica dell’artista ricordano le opere più tarde di Lotto, come Berenson fece nel suo libro sull’artista nel 1956» […] «Questi dubbi sembrano più giustificati se si paragona la “Venere” milanese con il “Sogno di fanciulla” di Washington, una custodia, probabilmente eseguita dal giovane Lotto sia prima che all’epoca in cui partì per Treviso nel 1503».
L’attribuzione dell’opera a Lotto è stata definitivamente esclusa e recentemente Ervas4 l’ha inserita nel catalogo delle opere di Alessandro Oliverio.
Fig1. Alessandro Oliverio (già attribuita a Lotto), Venere in un paese, olio su tavola, 27 x 37 cm, 1500 circa, collezione privata
2. La Fama e Arti del Quadrivio
Attualmente l’ubicazione del dipinto è ignota. La sua attribuzione a Lotto veniva proposta per la prima volta da Berenson5, il quale ricordava di aver visto l’opera di persona: «Meno classicheggiante e più carnoso è il nudo di femminile nell’
“Allegoria delle Arti del Quadrivio”» […] «ch’io vidi a Firenze, presso il Barone von Hadeln, nel 1921. È un soffitto destinato allo studiolo di un erudito».
Lo studioso, che faceva risalire l’esecuzione dell’opera al 1532, analizzava accuratamente la scena: «Nel centro trasvola nuda una fanciulla alata, il capo cinto
di fiori, le braccia aperte e stese, un astrolabio e un compasso nella mano destra, un cartiglio nella sinistra. Sotto di lei si appoggiano alla balaustra due donne: l’una canta reggendo uno spartito e l’altra l’accompagna sul liuto (Musica). Seguono due uomini barbuti, intenti a controllare delle misure su un quadrante e su un astrolabio (Astronomia). Poi appare il dorso di un giovane che studia un quaderno pieno di cifre incolonnate, mentre l’uomo vicino a lui medita su un libro, reggendosi la testa con la mano (Matematica). Chiudono il cerchio un vecchio con una squadra e un giovane con le seste (Geometria). È un’opera affascinante, squisitamente lottesca nell’interpretazione, nello stile, nella tipologia». Mariani Canova6, ribadendo che questo “soffitto ottagonale” aveva fatto parte della collezione von Hadeln di Firenze, avrebbe aggiunto: «L’impossibilità di esaminare direttamente l’opera impedisce
qualsiasi giudizio veramente obiettivo».
Nel ’94 Nova7 ha inserito l’opera nella monografia di Girolamo Romanino, in cui essa è attribuita all’artista in collaborazione con Lattanzio Gambara e datata al 1555 circa: «Conosco il dipinto solo dalla riproduzione pubblicata da B. Berenson» […]
«A detta dello studioso, nel 1921 si trovava a Firenze nella collezione von Hadeln. In origine, annota il Berenson, decorava probabilmente il soffitto di uno studiolo poiché vi sono rappresentate le arti del Quadrivio: Musica (le due donne che suonano e cantano), Astronomia (la coppia di uomini con l’astrolabio), Aritmetica (i due giovani sul lato opposto alle donne), Geometria (il vecchio con una squadra e il giovane con il compasso). Al centro è un’inconsueta allegoria della Fama. Per il Berenson l’opera andava datata intorno al 1530» […] «Tuttavia la sua attribuzione
5
B. Berenson, op. cit.¸1958, p. 113, tav. 257.
6
G. Mariani Canova, op. cit., ivi.
non ha trovato fortuna e nel catalogo di G. Mariani Canova è elencata fra le opere attribuite».
Fig.3 Romanino e Gambara, La Fama e le Arti del Quadrivio, 1555 circa, olio su tela ottagonale, 227 x 177 cm, ubicazione ignota (già Firenze, collezione D. von Hadeln)