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Capitolo 3

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Capitolo 3

Stato dell’arte

3.1 L’intervento dei farmacisti nell’aumentare

l’aderenza

alle terapie

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la questione della non aderenza ai trattamenti come un problema di notevole gravità ed è ormai diventata una priorità incoraggiarla (World Health Organization 2003). Le ricerche, infatti, suggeriscono che il 30-50% dei pazienti non assume i farmaci prescritti dai medici per il trattamento delle malattie croniche (Haynes et al.

2008; Horne et al. 2006) e la mancata aderenza ai trattamenti comporta, oltre

che ingenti spese sanitarie, anche il mancato raggiungimento degli obbiettivi terapeutici prefissati e possibili peggioramenti delle condizioni di salute del paziente (Clifford et al. 2010). Di conseguenza l’efficacia dei trattamenti si riduce e ciò comporta uno scarso controllo della malattia.

Alcuni studi riferiscono, infatti, che la mancata aderenza ai trattamenti è responsabile del 48% dei decessi nei soggetti asmatici, di un aumento del rischio di morte nei diabetici pari all’80%, e dell’aumento delle probabilità di

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decesso a seguito di attacchi cardiaci (Elliot 2009). Circa il 20% dei pazienti ospedalizzati va incontro a reazioni avverse dopo le dimissioni (Kuhmmer et

al. 2015) e si ritiene che il 60% di questi eventi potrebbe essere evitato

adottando un corretto utilizzo dei medicinali prescritti (Forster et al 2004;

Forster et al. 2003; Pirmohamed 2004; Peterson et al. 2003).

Anche l’aderenza dei pazienti alle visite di controllo gioca un ruolo di notevole importanza, in quanto permette di seguire passo passo l’andamento delle patologie croniche e gestire le spese sanitarie (Lin et Wu 2014) riducendo così i tempi e i costi associati al personale coinvolto(Page et Persch 2013)

.

Il problema della non aderenza si ripercuote in maniera impressionante, oltre che sulla vita del paziente, anche a livello del sistema sanitario in quanto, in un paese come l’Inghilterra, il costo dei farmaci inutilizzati o rifiutati supera i 100 milioni di sterline l'anno (Department of Health 2008), mentre negli Stati Uniti la non aderenza comporta una spesa per il sistema sanitario stimata intorno ai 310 miliardi di dollari annui (Capgemini Consulting 2011). Il problema è particolarmente sentito anche nel nostro paese a causa della popolazione anziana in costante aumento, così come le patologie croniche, e ad aggravare la situazione sono le risorse sanitarie sempre più limitate.

Stimolare la compliance dei pazienti è una missione molto importante, in quanto permette di aumentare l’efficacia dei trattamenti, e quindi gli esiti terapeutici, ed inoltre permette di contenere i costi legati alla sanità, poiché ottenendo la compliance dei pazienti non si commettono sprechi terapeutici e

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non è necessario intervenire con ulteriori risorse sanitarie per risolvere problematiche correlate a regimi di dosaggio sbagliati.

I farmacisti, in quanto esperti del farmaco, risultano essere figure fondamentali nell’indirizzare i pazienti verso questa direzione e devono cercare di informare il paziente sul giusto utilizzo dei medicinali e valutare se questo sta effettivamente seguendo la terapia (van Mil et Schulz 2006). Questi interventi quindi permettono di educare il paziente ad abbracciare la terapia farmacologica rendendo possibile la riduzione di morbilità e mortalità connesse alla patologia. L’inclusione di un farmacista clinico nelle terapie di questi pazienti, quindi, può comportare la riduzione dei rischi associati alla malattia, ottimizzare i trattamenti e migliorare le conoscenze dei pazienti inerenti alle terapie (Altowaijri et al. 2013).

È fondamentale valutare le necessità terapeutiche di ogni singolo paziente, piuttosto che approcciarsi a tutti allo stesso modo, per raggiungere in maniera efficace gli obiettivi terapeutici preposti (Clifford et al. 2010). Gli interventi che si rivolgono ai singoli pazienti sono molto importanti in quanto permettono di comprendere le motivazioni che spingono il paziente a non approcciarsi in modo consono alla terapia e quindi è possibile prendere dei provvedimenti per cercare di limitare il problema. Valutando caso per caso è possibile stabilire le modalità di intervento più appropriate.

Sono state studiate diverse modalità di approccio per arginare il problema della non aderenza ai trattamenti. Ad esempio si stanno portando avanti pratiche educative per stimolare il paziente a seguire i regimi terapeutici

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stabiliti dal medico, si stanno fornendo confezioni a dosi unitarie per limitare gli errori di dosaggio, sistemi di promemoria per ricordare al paziente di assumere il farmaco e sistemi di auto-monitoraggio (Schroeder et al. 2004;

Skaer et al. 1993; Màrquez-Contreras et al. 2006; Haynes et al. 2005; Vervloet et al. 2012; Gwadry-Sridhar et al. 2013). Sono stati anche

semplificati gli schemi terapeutici introducendo i più moderni farmaci con sistema a rilascio modificato che permettono di ridurre il numero di assunzioni giornaliere. In questi sistemi, infatti, il farmaco viene rilasciato in modo dilazionato nel tempo.

In Inghilterra le attuali politiche nazionali stanno coinvolgendo maggiormente la figura del farmacista in attività che hanno lo scopo di favorire l’aderenza alle terapie prescritte e, per garantire il raggiungimento di questo obbiettivo, questo tema sta diventando parte integrante del curriculum di formazione universitaria (Clifford et al. 2010). La Medicine Use Review (MUR) è una delle più importanti prestazioni fornite nelle farmacie britanniche e consiste in una serie di domande che il farmacista rivolge al paziente per valutare e migliorare le conoscenze che il paziente ha riguardo alla terapia. Dunque questo tipo di iniziativa rappresenta un’opportunità molto importante, per i farmacisti accreditati, di interagire con i pazienti per avere un riscontro sulle problematiche che questi individuano durante le terapie, per favorire l’aderenza ai trattamenti e ridurre gli sprechi dovuti ad un errato utilizzo dei medicinali o alla sospensione spontanea della terapia.

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Anche nelle farmacie olandesi si offrono servizi di consulenza simili ai pazienti in modo da poter monitorare l’aderenza alle terapie ad intervalli di tempo regolari (Carter et van Mil 2010) e, a differenza di molti altri paesi, sono stati introdotti anche dei programmi di formazione per offrire assistenza farmaceutica ai pazienti affetti da più patologie croniche (Hugtenburg et al.

2009).

Diversi studi dimostrano che effettivamente l’intervento dei farmacisti, nelle attività di consulenza ai pazienti per incoraggiare l’aderenza, ha comportato risultati promettenti (Smith et al. 1997; Al-Rashed et al. 2002; Bolas et al.

2004; Sarangarm et al. 2013) e grazie al coinvolgimento di medici e

farmacisti nel limitare questo fenomeno si è avuto un aumento del 66% dell’aderenza e un miglioramento del 73% dei risultati clinici ottenuti (Andersson et al. 2014).

3.2 Le patologie cardiovascolari e la Pharmaceutical

Care

Le patologie cardiovascolari sono considerate la prima causa di morte a livello mondiale e nel 2008 su 36 milioni di decessi queste patologie sono state responsabili del 48% di tali eventi (World Health Organization 2011).

In paesi con sistemi sanitari altamente avanzati come gli Stati Uniti queste patologie sono responsabili del 33.4% dei decessi, in Inghilterra del 34% e in

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Europa i decessi per malattie cardiovascolari ammontano al 48% (Lloyd-Jones

et al. 2009; Roger et al. 2011). Hanno inoltre un impatto economico molto

importante, infatti negli Stati Uniti la spesa sanitaria associata alla gestione di queste patologie ammonta a molte centinaia di miliardi di dollari, mentre in Inghilterra a 8.7 miliardi di sterline (Roger et al. 2011).

Le patologie cardiovascolari si presentano principalmente sotto forma di insufficienza cardiaca e di malattie coronariche e gli interventi fondati sulle pratiche di trattamento tradizionali, basate sul meccanismo di prescrizione-dispensazione, non sono più sufficienti a prevenire i costi che conseguono da un inappropriato utilizzo dei medicinali (Manasse 1989).

Per le patologie cardiovascolari sono previsti tempi di trattamento molto lunghi e nonostante l’efficacia dei farmaci a disposizione, è stato segnalato che circa il 50% dei pazienti non porta avanti la terapia in maniera adeguata (Kuhmmer et al. 2015). È in questi casi che risulta fondamentale l’intervento dei farmacisti che concentrandosi sui singoli pazienti devono valutare, ed eventualmente correggere, i comportamenti scorretti che vengono assunti nei confronti dei trattamenti (Carter et al. 2009; Stantschi et al. 2014; Ho et al.

2014).

Le strategie più comuni che sono portate avanti per valutare l’aderenza dei pazienti ai trattamenti farmacologici sono gli auto rapporti degli stessi pazienti, la conta delle pillole e l’utilizzo di dispositivi elettronici.

Tra questi strumenti di ricerca uno dei più utilizzati in passato è stato l’auto rapporto di Morisky (o Scala di Morisky), un sistema in cui si richiede al

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paziente se ha mai dimenticato di assumere il farmaco, se ha cura di ricordarsi l’orario in cui deve assumerlo e se interrompe il trattamento non appena ne trae giovamento (Morisky et al. 1986; Morisky et al. 1983) [Figura-3.2].

Figura-3.2. Scala di Morisky: ad ogni risposta positiva viene fornito un

punteggio pari a 0, mentre ad ogni risposta negativa viene dato un punteggio di 1. I pazienti che ottengono un punteggio di 0-2 sono considerati non aderenti, quelli con punteggio 3-4 sono considerati aderenti (Morisky et al. 1986).

Scala di Morisky per l’aderenza terapeutica (Morisky medication adherence scale)

1. Si è mai dimenticato di assumere i farmaci? Si___ No___

2. È occasionalmente poco attento nell’assunzione dei farmaci? Si___ No___

3. Quando si sente meglio, a volte, interrompe la terapia? Si___ No___

4. Quando si sente peggio, a volte, interrompe la terapia? Si___ No___

Numero di ricovero: ______________________ Iniziali di nome e cognome: ___ ___

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Più recentemente sono stati introdotti altri tipi di questionario per valutare se il paziente assume in maniera corretta il farmaco.

Tuttavia questi sistemi di auto rapporto possono sovrastimare l’aderenza dei pazienti, ma hanno un rapporto costo efficacia favorevole e se il paziente ammette la sua scarsa aderenza alla terapia vi sono i giusti presupposti per poter intervenire ed ottenere un maggior controllo.

Anche il metodo del conteggio delle pillole può falsare i risultati di aderenza in quanto i pazienti possono rimuovere le pillole e disporle in altri contenitori (Grymonpre et al. 1998; Choo et al. 1999).

Il monitoraggio elettronico è considerato il metodo più efficace per valutare l’aderenza in quanto registra l’orario effettivo e la dose che viene assunta (Choo et al. 1999). Il limite di questi sistemi è che risultano essere accurati solo se i pazienti consumano la giusta dose ogni volta che il tappo del contenitore viene aperto, infatti il paziente può aprire il contenitore senza assumere il farmaco oppure può rimuovere diverse dosi in una sola volta. Inoltre i costi associati a questi dispositivi sono molto elevati e quindi sono principalmente impiegati per scopi di ricerca (Carter et van Mil 2010).

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3.2.1 Interventi nei pazienti con patologie

coronariche

Le patologie coronariche sono una delle principali cause di mortalità e morbilità in tutto il mondo e l’onere associato alla prevenzione secondaria nei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico acuto è in continuo aumento (Lloyd-Jones et al. 2010). La prevenzione secondaria è fondamentale in quanto gli eventi cardiovascolari si manifestano in tempi molto brevi a seguito di un evento vascolare acuto (Hamm et al. 2011). Ad esempio, circa un quinto dei pazienti è stato nuovamente ospedalizzato per cardiopatia ischemica o è deceduto entro un anno dalla prima sindrome coronarica acuta (Menzin et al.

2008).

È fondamentale che i medici e gli operatori sanitari coinvolgano attivamente i pazienti nei regimi terapeutici prescritti e nell’acquisizione di uno stile di vita sano e corretto per migliorare la prognosi della malattia coronarica.

Diverse ricerche dimostrano che gli interventi dei farmacisti sono utili per ridurre i fattori di rischio associati a malattie cardiovascolari in pazienti ambulatoriali, come ad esempio abbassare i livelli della pressione arteriosa o del colesterolo (Stantschi et al. 2011) oppure ridurre il rischio di ricoveri in pazienti con insufficienza cardiaca (Koshman et al. 2008).

Hongwen Cai e Huimin Xu hanno effettuato, indipendentemente, delle ricerche di letteratura in archivi elettronici come MEDLINE, PubMed

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fino a luglio 2012 ricercando le citazioni che hanno evidenziato l’intervento dei farmacisti nella gestione delle patologie coronariche e che hanno avuto un notevole riscontro (Cai et al. 2013). Alla fine sono stati selezionati cinque studi, che hanno coinvolto 2568 pazienti, in cui si è confrontato l’intervento del farmacista con l’assistenza tradizionale, ovvero quella che ha visto impegnati il medico, gli infermieri nei loro ruoli consueti ed i farmacisti come dispensatori di medicinali (Cai et al. 2013). Quattro di questi studi sono stati condotti negli Stati Uniti (Calvert et al. 2012; Faulknet et al. 2000; Olson et

al. 2009; Straka et al. 2005) ed uno in Inghilterra (Community Pharmacy Medicines Management Project Evaluation Team 2007). L’intervento del

farmacista riportato in questi cinque studi è consistito nella consulenza ai pazienti riguardo i regimi terapeutici, nel favorire l’acquisizione di un corretto stile di vita (Calvert et al. 2012; Community Pharmacy Medicines

Management Project Evaluation Team 2007; Faulknet et al. 2000; Olson et al. 2009; Straka et al. 2005) e nella gestione della patologia valutando i target

della terapia farmacologica come la pressione sanguigna ed il tasso di lipidi ematici in quattro studi (Community Pharmacy Medicines Management

Project Evaluation Team 2007; Faulknet et al. 2000; Olson et al. 2009; Straka et al. 2005). Con questa ricerca è stato possibile dimostrare che

l’intervento del farmacista non porta necessariamente ad una riduzione degli eventi cardiaci secondari o delle ospedalizzazioni, ma è emerso che l’intervento dei farmacisti può sicuramente favorire l’aderenza ai trattamenti e garantire un maggior controllo della pressione sanguigna e del tasso lipidico

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(Cai et al. 2013).

3.2.2 Interventi nei pazienti con insufficienza

cardiaca

L’insufficienza cardiaca è una delle principali cause di ospedalizzazione nei pazienti con età superiore ai sessantacinque anni e provoca circa un milione di ricoveri l’anno (Go et al. 2013). Più di un terzo dei pazienti dimessi va incontro a successive ospedalizzazioni a causa di una non ottimale aderenza ai trattamenti terapeutici o perché non conduce uno stile di vita ottimale (Annema et al. 2009; Ambardekar et al. 2009).

La non aderenza ai trattamenti interessa circa il 40-60% dei pazienti con insufficienza cardiaca (Wu et al. 2008) ed il coinvolgimento dei farmacisti nella gestione di questa patologia ha dimostrato di poter ridurre il numero di ospedalizzazioni e l’incidenza dei casi di mortalità (Koshman et al. 2008). In uno studio condotto negli Emirati Arabi da parte di Sadik et al. (2005), è stato fatto un confronto tra il servizio di assistenza tradizionale e quello che si basa sull’assistenza farmaceutica. Lo studio è stato condotto su 208 pazienti con insufficienza cardiaca (Sadik et al. 2005).

L’intervento fornito dai farmacisti è consistito nel cercare di educare i pazienti a seguire i trattamenti stabiliti e in un automonitoraggio annotando i dati su un diario. Lo studio ha avuto una durata di dodici mesi, al termine dei quali i

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pazienti che hanno seguito in maniera ottimale la terapia sono risultati essere in quantità maggiore nel gruppo di intervento (82%) rispetto al gruppo di controllo (34%). Inoltre per quanto riguarda l’aderenza ad uno stile di vita corretto si sono avuti migliori risultati nel gruppo di intervento (72%), rispetto al gruppo di controllo (28%) [Figura-3.2.2 A].

Figura-3.2.2 A. L’intervento dei farmacisti ha comportato l’aumento

dell’aderenza terapeutica nel gruppo di controllo fino all’82% e l’acquisizione di uno stile di vita più corretto nel 72% dei casi.

Nel gruppo di intervento si è registrata una riduzione, anche se non statisticamente significativa, delle ospedalizzazioni fino ad un numero di ricoveri pari a 22 contro i 36 del gruppo di controllo (Davis et al. 2014).

In Spagna, invece, è stata eseguita una ricerca per valutare gli effetti avuti a seguito delle dimissioni ospedaliere in 134 pazienti con insufficienza cardiaca seguiti rispettivamente con servizi di Pharmaceutical Care o approccio

82% 72% 34% 28% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Aderenza  alla  terapia Miglioramento  nello  stile   di  vita

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tradizionale (López et al. 2006). In questo caso i farmacisti hanno eseguito dei colloqui con i pazienti dimessi con il fine di incoraggiare il paziente ad aderire completamente alla terapia, inoltre gli sviluppi terapeutici sono stati seguiti anche in maniera telematica. La gestione telematica è stata condotta giornalmente per i primi sei mesi e poi ogni due mesi per un totale di dodici mesi. I risultati sono stati significativamente migliori nel gruppo di intervento (aderenza del 91.1% nei primi sei mesi) rispetto al gruppo di controllo (69% nei primi sei mesi), inoltre nel gruppo di intervento i casi di mortalità sono stati molto bassi nei primi 12 mesi (12.9%), rispetto al gruppo di controllo (29.7%) (Davis et al. 2014) [Figura-3.2.2 B].

Figura-3.2.2 B. L’intervento dei farmacisti ha comportato un importante

aumento dell’aderenza nel gruppo di controllo fino al 91,1% ed una notevole riduzione dei casi di mortalità che sono scesi al 12,9%.

91,10% 12,90% 69% 29,70% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%

Aderenza  alla  terapia  

nei  primi  6  mesi Mortalità  nei  primi  12  mesi

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Dunque molte ricerche dimostrano la validità degli interventi dei farmacisti nella gestione di questa patologia confrontando i risultati con un gruppo di controllo (Sadik et al. 2005; López et al. 2006; Bouvy et al. 2003; Murray et

al. 2007; Goodyer et al 1995).

L’aderenza, però, potrebbe diminuire con la cessazione degli interventi di assistenza sanitaria ed è quindi fondamentale che l’intervento dei farmacisti inizi con le dimissioni ospedaliere e sia portato avanti a tempo indeterminato per garantire dei benefici per la salute del paziente (Davis et al. 2014).

3.2.3 Interventi nei pazienti con ipertensione

arteriosa

L’ipertensione, così come la dislipidemia, è un importante fattore di rischio per problematiche cardiovascolari ed ictus (Mancia et al. 2013) e deve essere necessariamente trattata, ma purtroppo la non ottimale aderenza alle terapie antiipertensive e ipolipemizzanti comporta gravi conseguenze per la salute del paziente (Chowdhury et al. 2013) ed ingenti spese sanitarie (Sokol et al.2005;

Wu et al. 2011).

Le patologie cardiovascolari sono una delle principali cause di morte a livello mondiale e più precisamente l’ipertensione è causa del 13% dei decessi annui (Kuhmmer et al. 2015). Nei pazienti ipertesi, spesso, non si riscontra una

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cardiopatie ischemiche e ictus (Hedegaard et al. 2015). Tuttavia, uno studio ha provato che la non aderenza coinvolge solo il 13% dei casi di resistenza ai trattamenti, mentre una grossa percentuale spetta a problematiche che si riferiscono alle stesse terapie e ai regimi di trattamento non ottimali (61%), il 7% dei casi di resistenza sono dovuti invece a situazioni di ipertensione secondaria, mentre altre cause rappresentano l’8% dei casi (Carter et van Mil

2010).

Una strategia altamente efficace per controllare l’ipertensione arteriosa è quella di stabilire un rapporto collaborativo tra medici e farmacisti nella gestione della patologia. Inoltre l’intervento del farmacista risulta essere di fondamentale importanza in quanto permette di migliorare l’aderenza ai trattamenti ed intensificare le terapie (Carter et van Mil 2010).

Molti studi dimostrano quindi che coinvolgendo i farmacisti nella gestione dell’ipertensione è possibile raggiungere un buon controllo della patologia (Carter et al. 2009b; Carter et al. 2008; Carter et al. 2009a).

Ad esempio in uno studio condotto da van de Steeg-van Gompel et al. (2010) è stato valutato, in alcune farmacie olandesi, l’intervento dei farmacisti sui pazienti allo scopo di favorire l’aderenza ai trattamenti utilizzando dispositivi elettronici (Steeg-van Gompel et al. 2010).

In questa analisi sono stati presi in considerazione 54 studi clinici riguardanti interventi per favorire l’aderenza ed il 48% degli studi ha dimostrato effetti positivi sui pazienti, il 24% degli studi ha portato a risultati non chiari ed il 28% degli studi ha dimostrato che l’intervento del farmacista non ha avuto

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alcun tipo di effetto, anche se non vi è stato alcun effetto sfavorevole. Inoltre gli autori olandesi hanno rinvenuto 59 studi, più specifici per la patologia in questione, in cui il farmacista ha portato avanti interventi per gestire l’ipertensione e in questo caso l’85% degli studi ha dimostrato risultati favorevoli anche se il 15% degli studi non ha riportato alcun effetto a seguito dell’intervento del farmacista [Figura-3.2.3].

Figura-3.2.3. Nell’85% degli studi analizzati l’intervento del farmacista ha permesso di raggiungere risultati positivi in termini di controllo della pressione arteriosa, solamente nel 15% degli studi non sono stati individuati effetti rilevanti a seguito dell’intervento del farmacista.

In termini di end-point quantificabili la differenza media tra i gruppi che hanno visto l’intervento dei farmacisti rispetto ai gruppi di controllo è stata

85% 15%

Risultati ottenuti a seguito dell'intervento dei farmacisti

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3.3 Il diabete e la Pharmaceutical Care

Le complicanze cardiovascolari sono una delle principali cause di morte nei pazienti diabetici: l’incidenza di questo fenomeno è circa due volte superiore nei pazienti diabetici rispetto ai non diabetici (Sarwar et al. 2010). Purtroppo i fattori di rischio cardiovascolari sono ancora scarsamente controllati in questi pazienti (Resnik et al. 2006; McFarlane et al. 2002; Saydah et al. 2004) mentre sarebbe necessario ottenerne uno stretto controllo ed eventualmente ridurli in modo tale da poter limitare i costi associati all’assistenza sanitaria in questo settore (Antoine et al. 2014).

Questa patologia prevede tempi di trattamento molto lunghi ma tali terapie sono fondamentali per mantenere il controllo della glicemia nel tempo e prevenire le complicazioni della patologia. Le terapie per il trattamento del diabete mellito di tipo due prevedono l’assunzione di ipoglicemizzanti orali, ma la bassa aderenza ai trattamenti è un fenomeno abbastanza frequente tra i diabetici e ciò comporta gravi complicanze ed un incremento della mortalità (Cramer et al. 2004; Vermeire et al. 2005; Ho et al. 2006).

Le barriere ad una piena aderenza sono dovute ai lunghi periodi di trattamento, alla necessità di terapie multiple, ad informazioni insufficienti o confuse fornite dagli operatori addetti alla salute (Antoine et al. 2014). Tutti questi fattori spesso scoraggiano il paziente che tende ad abbandonare nel tempo i corretti regimi terapeutici ed è, quindi, necessario individuare opportune strategie per ovviare a questo problema.

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La risoluzione di queste problematiche è di notevole importanza in quanto, se poniamo l’attenzione sul nostro paese, la gestione di un paziente diabetico costa migliaia di euro l’anno al Sistema Sanitario Nazionale tra ricoveri, visite specialistiche, farmaci e dispositivi per il controllo della glicemia. Se non correttamente gestita questa patologia può gravare ulteriormente sulla spesa sanitaria e in particolar modo sulle ospedalizzazioni che rappresentano la maggior parte dei costi sanitari.

Una modalità di approccio potrebbe consistere nel coinvolgimento di farmacisti specializzati che seguano i pazienti durante i lunghi periodi di trattamento, che impartiscano un’educazione terapeutica e che provvedano a fornire ai pazienti tutte le informazioni relative alla terapia (Antoine et al.

2014).

3.3.1 Interventi nei pazienti diabetici

Il farmacista è in grado di orientare il paziente verso i giusti atteggiamenti terapeutici e fornire informazioni riguardo eventuali interazioni con altri farmaci o con il cibo. Diversi studi sostengono l’efficacia del coinvolgimento dei farmacisti nella gestione della terapia antidiabetica, in quanto i farmacisti possono migliorare gli esisti terapeutici e la soddisfazione del paziente che sono i giusti precursori per stimolare l’aderenza ai trattamenti (Spinewine et

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In uno studio effettuato da Sanstchi et al. (2012) è stata eseguita una ricerca su alcuni archivi scientifici come MEDLINE, EMBASE, CINAHL e Cochrane Register of Controlled Trials relativi a studi che hanno dato buoni risultati su pressione sanguigna, colesterolo totale, valore delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e ad alta densità (HDL) e indice di massa corporea (IMC o BMI) a fronte dell’intervento di farmacisti nei processi di trattamento terapeutico nei pazienti diabetici (Stantschi et al. 2012). Sono stati presi in considerazione gli studi che hanno visto il coinvolgimento dei farmacisti nella gestione della terapia attraverso interventi di modifica dei trattamenti, di educazione dei pazienti per un corretto stile di vita, di analisi di eventuali reazioni avverse ai farmaci e di confronto con i medici riguardo lo sviluppo di un idoneo piano terapeutico per ogni paziente. Sono stati selezionati dodici studi sulla pressione sistolica (McLean et al. 2008; Fornos et al. 2006;

Kraemer et al. 2012; Al Mazroui et al. 2009; Chan et al. 2012; Planas et al. 2003; Rothman et al. 2005; Clifford et al. 2005; Edelman et al. 2010; Scott et al. 2006; Simpson et al. 2011; Taveira et al. 2010) e in sette di questi è stata

dimostrata una riduzione significativa della pressione arteriosa a seguito dell’intervento dei farmacisti. Mentre dei nove studi sulla pressione diastolica (Fornos et al. 2006; Kraemer et al. 2012; Al Mazroui et al. 2009; Chan et al.

2012; Rothman et al. 2005; Clifford et al. 2005; Edelman et al. 2010; Simpson et al. 2011; Taveira et al. 2010) tre hanno dimostrato una notevole riduzione

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L’intervento dei farmacisti nel processo di assistenza ha comportato una riduzione della pressione sistolica di -6.2 mmHg e di -4.5 mmHg per la diastolica rispetto ai normali modelli di assistenza [Figura-3.3.1 A].

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Figura-3.3.1 A. Il Forest Plot evidenzia l’effetto dell’assistenza sanitaria

fornita dai farmacisti sulla differenza media della pressione sistolica (A) e diastolica (B). Le differenze medie inferiori a 0 tra l’assistenza fornita dai farmacisti e quella fornita dagli usuali sistemi di assistenza indicano un effetto a favore dell’intervento dei farmacisti (Stantschi et al. 2012).

Degli otto studi individuati sul colesterolo totale, due hanno dimostrato una riduzione media di -15.2 mg/dL (Al Mazroui et al. 2009; Phumipamorn et al.

2008) [Figura-3.3.1 B].

Figura-3.3.1 B. Il Forest plot evidenzia la riduzione media del valore del

colesterolo totale a seguito dell’intervento dei farmacisti nei trattamenti terapeutici di pazienti diabetici. Le differenze medie inferiori a 0 tra

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l’assistenza fornita dai farmacisti e quella fornita dagli usuali sistemi di assistenza indicano un effetto a favore dell’intervento dei farmacisti (Stantschi et al. 2012).

Cinque dei nove studi inerenti ai tassi di LDL hanno dimostrato un’importante riduzione del colesterolo “cattivo” a seguito dell’intervento dei farmacisti (Al

Mazroui et al. 2009; Chan et al. 2012; Phumipamorn et al. 2008; Pape et al. 2011; Scott et al 2006). I livelli di LDL si sono ridotti di -11.7 mg/dL

[Figura-3.3.1 C].

Figura-3.3.1 C. Nel Forest plot è riportata la riduzione media del valore delle

LDL a seguito dell’intervento dei farmacisti nei trattamenti terapeutici di pazienti diabetici (Stantschi et al. 2012).

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Sei studi individuati sul tasso delle HDL non hanno dimostrato aumenti statisticamente rilevanti a seguito dell’intervento dei farmacisti.

Dei cinque studi selezionati sul BMI due (Sriram et al. 2011; Clifford et al.

2005) hanno dimostrato benefici rilevanti a seguito dell’intervento dei

farmacisti, con una riduzione media dell’indice di massa corporea pari a -0,9 Kg/m2 [Figura-3.3.1 D].

Figura-3.3.1 D. Il Forest plot evidenzia la riduzione media del BMI a seguito

dell’intervento dei farmacisti nelle terapie del paziente. Le differenze medie inferiori a 0 tra l’assistenza fornita dai farmacisti e quella fornita dagli usuali sistemi di assistenza indicano un effetto a favore dell’intervento dei farmacisti (Stantschi et al. 2012).

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Dunque l’intervento del farmacista nella gestione dei fattori di rischio nei pazienti diabetici è di notevole importanza in quanto è possibile ridurre i tassi di colesterolo totale, LDL, il livello di pressione arteriosa e il BMI.

3.4 La broncopneumopatia cronica ostruttiva e la

Pharmaceutical Care

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una patologia cronica che si manifesta a livello polmonare ed è caratterizzata da un’ostruzione bronchiale che comporta una riduzione del flusso aereo nei polmoni. La limitazione del flusso aereo ha generalmente un decorso progressivo ed a ciò si associa una risposta infiammatoria cronica del parenchima polmonare. La BPCO è la quarta causa di morbilità e mortalità negli Stati Uniti ed entro il 2020, secondo uno studio pubblicato dall’OMS, occuperà il quinto posto a livello mondiale (Rabe et al. 2007). Nonostante questi dati la non aderenza ai trattamenti terapeutici rimane un problema ancora molto frequente, comportando esiti negativi per il paziente, una riduzione della qualità di vita e maggiori spese per l’assistenza sanitaria (DiMatteo 2004). Infatti, così come accade nella maggior parte delle patologie croniche, i tassi di non aderenza ai trattamenti della BPCO sono molto elevati e raggiungono percentuali del 50% (Corden et al. 1997; Turner et al. 1995).

(25)

I costi associati alla non aderenza ai trattamenti della BPCO ammontano, soltanto negli Stati Uniti, a 300 miliardi di dollari l’anno (DiMatteo et al.

2004).

Questi dati devono servire da campanello d’allarme per stabilire lo schema terapeutico più idoneo per ogni paziente, indirizzarlo verso un adeguato stile di vita, basato sull’astensione dal fumo e su una buona quota di attività fisica, e per garantire una presa di coscienza del proprio stato di salute. Infatti, molto spesso nei suoi stadi iniziali questa patologia si presenta in forme lievi e asintomatiche per poi conclamarsi in tutta la sua intensità negli stadi più avanzati. Il paziente quindi deve essere sensibilizzato all’importanza di portare avanti i trattamenti.

3.4.1 Interventi nei pazienti affetti da BPCO

Le riacutizzazioni della BPCO sono situazioni che possono essere facilmente prevenute seguendo i corretti schemi terapeutici, ma purtroppo molti pazienti non portano avanti in maniera esauriente i trattamenti prescritti (Chong et al.

2012).

I farmacisti in questo campo possono essere in grado di migliorare la

compliance dei pazienti e garantire il raggiungimento degli obbiettivi

terapeutici impegnandosi in attività di assistenza come quella della

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dall’intervento dei farmacisti nella gestione della BPCO (Khdour et al. 2009;

Gorgas et al. 2012; Jarab et al. 2012).

Han Zhong e Xiao-Jun Ni hanno effettuato indipendentemente delle ricerche di letteratura su archivi elettronici come MEDLINE, EMBASE, CINAHL, CMB e sul Cochrane Central Register of controlled trials ricercando le citazioni che hanno valutato l'impatto della cura erogata dai farmacisti e gli interventi eseguiti su una popolazione adulta affetta da BPCO rispetto ad un gruppo di controllo (Zhong et al. 2014). Alla fine sono stati selezionati otto studi che hanno dimostrato dei miglioramenti nella qualità della vita di 1276 pazienti a seguito dell’intervento dei farmacisti (Weinberger et al. 2002;

Khdour et al. 2009; Gorgas et al. 2012; Jarab et al. 2012; Gourley et al. 1998; Li et al. 2010; Wei et al. 2013; Gallefoss et al. 1999), sei studi che

hanno dimostrato un minor tasso di ospedalizzazione per 684 pazienti seguiti da farmacisti durante i trattamenti terapeutici (Khdour et al. 2009; Gorgas et

al. 2012; Jarab et al. 2012; Solomon et al. 1998; Li et al. 2010; Gallefoss et al. 1999), cinque studi che hanno trattato gli interventi di pronto soccorso in

622 pazienti (Khdour et al. 2009; Gorgas et al. 2012; Jarab et al. 2012;

Solomon et al. 1998; Wei et al. 2013), cinque studi sul volume espiratorio

massimo nel I secondo (FEV1) in 629 pazienti (Khdour et al. 2009; Jarab et

al. 2012; Li et al. 2010; Wei et al. 2013; Gallefoss et al. 1999), quattro studi

che hanno dimostrato una maggiore compliance alla terapia da parte di 743 pazienti (Weinberger et al. 2002; Khdour et al. 2009; Jarab et al. 2012; Wei

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associati alle terapie in 318 pazienti trattati con il servizio di Pharmaceutical

Care (Gorgas et al. 2012; Li et al. 2010; Gallefoss 2004; Khdour et al. 2011)

[Figura-3.4.1].

Figura-3.4.1. Il grafico riassume il numero degli studi effettuati in funzione

del numero dei pazienti che hanno raggiunto gli end-point relativi alla qualità della vita, delle risorse sanitarie e della funzione polmonare a seguito dell’intervento dei farmacisti. (Zhong et al. 2014).

Questi studi avvalorano la tesi secondo cui l'intervento del farmacista offre un beneficio ai pazienti con BPCO, in quanto è possibile ridurre il numero delle ospedalizzazioni e gli oneri relativi alle terapie. Infatti riducendo il numero delle ospedalizzazioni è possibile contenere la spesa sanitaria, in quanto la maggior parte delle risorse vengono investite proprio nei ricoveri ospedalieri. Questi studi, però, non dimostrano grandi risultati nel campo delle visite di

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Miglioramento qualità di vita (1276 pazienti) Tassi di ospadalizzazione minori (684 pazienti) Riduzione interventi di pronto soccorso (622 pazienti) Miglioramento funzione polmonare (629 pazienti) Maggiore compliance (743 pazienti) Riduzione costi delle terapie (318 pazienti) S tudi e ff et tua ti

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urgenza di pronto soccorso e delle attività polmonari dei pazienti. In realtà bisogna considerare il fatto che non è possibile intervenire direttamente sulla funzione polmonare di un soggetto la cui attività respiratoria sta andando in contro ad una fase di declino accelerato e progressivo (Zhong et al. 2014). In questo ambito l’unica strategia è quella di portare avanti interventi didattici a favore della salute per indirizzare verso uno stile di vita sano, corretto e lontano dai danni del fumo.

È chiaro che sia necessario attuare dei piani di cura basati sull’intervento di un farmacista per ottimizzare la gestione della BPCO e ridurre i costi della salute.

3.5 L’osteoporosi e la Pharmaceutical Care

L’osteoporosi è una patologia sistemica che interessa il tessuto scheletrico e più precisamente comporta una progressiva riduzione della densità ossea ed un aumento delle fratture a seguito di cadute o di semplici movimenti. Le fratture ossee sono la conseguenza più temuta di questa patologia in quanto, oltre a determinare forte dolore, invalidano il paziente che perde le sue capacità motorie e di conseguenza la sua indipendenza.

L’osteoporosi si manifesta in maniera asintomatica ed è quindi fondamentale identificare i pazienti ad alto rischio di fratture attraverso test di screening. Gli esami di prevenzione sono molto importanti in quanto la situazione odierna è allarmante, basti pensare che in un test effettuato negli Stati Uniti su

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200.000 donne in buono stato di salute in circa il 50% di queste non era stata precedentemente identificata una bassa densità minerale ossea (BMD) (Siris et

al. 2001). Questa situazione di scarso monitoraggio della patologia non si

evidenzia solamente negli Stati Uniti, bensì in tutto il mondo e rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’approccio terapeutico proprio perché la maggior parte dei pazienti a rischio non vengono né identificati né adeguatamente trattati.

La farmacia rappresenta un luogo strategico per portare avanti le campagne di prevenzione sanitaria attraverso i test di screening necessari per identificare i soggetti ad alto rischio di fratture e fornire così consigli per una buona condotta terapeutica. Non bisogna dimenticare, infatti, che le farmacie sono strutture presenti in modo capillare sul territorio e quindi facilmente accessibili ad un vasto numero di pazienti. I farmacisti, dunque, possono identificare i pazienti ad alto rischio, come quelli che seguono terapie croniche con glucocorticoidi, attraverso dei semplici test per valutare la BMD (Elias et

al. 2011). In secondo luogo i farmacisti possono fornire servizi di consulenza

ai pazienti per indirizzarli verso il corretto utilizzo dei farmaci e per far comprendere quanto sia importante apportare calcio e vitamina D all’organismo ed anche praticare un certo grado di attività fisica (Elias et al.

2011).

Attraverso questi semplici interventi il farmacista individua i pazienti a rischio e supporta l’aderenza ai trattamenti garantendo così il raggiungimento degli obbiettivi terapeutici.

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3.5.1 Interventi nei pazienti con osteoporosi

In Canada è stato effettuato uno studio clinico randomizzato controllato in cieco per valutare i risultati ottenuti a seguito dell’intervento di farmacisti canadesi nella gestione di pazienti con osteoporosi rispetto a pazienti con la medesima patologia seguiti, però, con i sistemi terapeutici tradizionali (Yuksel

et al. 2009).

I pazienti sono stati individuati dai farmacisti sulla base delle linee guida nazionali canadesi per il test della densità minerale ossea, il quale viene effettuato con la tecnica dell’assorbimetria a raggi X a doppia energia centrale (DXA) (Brown et Josse 2002). Sono stati, quindi, selezionati tutti i pazienti con 65, o più, anni di età e tutti i pazienti con età compresa tra i 50 e 64 anni purché riportassero almeno un fattore di rischio per l’osteoporosi come ad esempio casi di fratture ossee in passato, casi di osteoporosi familiare, trattamenti con glucocorticoidi sistemici da almeno tre mesi e menopausa precoce (Yuksel et al. 2009).

Nel gruppo di intervento sono rientrati 129 pazienti, mentre nel gruppo di controllo 133 pazienti.

A questo punto sono stati stabiliti dei piani terapeutici su misura per il trattamento dell’osteoporosi nei pazienti del gruppo di intervento. I programmi di intervento sono consistiti in incontri della durata di trenta minuti presso una determinata farmacia e durante gli incontri i farmacisti hanno valutato lo stile di vita del paziente, l’apporto di calcio e vitamina D, i fattori di rischio

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presenti ed i trattamenti farmacologici da seguire. In questi pazienti è stata effettuata anche un’ultrasonografia ossea quantitativa (QUS) sul tallone per analizzare lo stato del tessuto osseo. La QUS è stata effettuata per valutare il rischio di osteoporosi nei pazienti, piuttosto che come test diagnostico e quindi come strumento per motivare il paziente a sottoporsi a controlli periodici presso il proprio medico di base per ulteriori trattamenti. Ai medici è stato, inoltre, riferito che i pazienti erano stati candidati per i test per la valutazione della BMD. Infine i farmacisti hanno effettuato telefonate domiciliari alla seconda ed ottava settimana di trattamento per rafforzare i messaggi educativi forniti durante gli incontri in farmacia ed è stato organizzato un incontro finale per valutare gli obbiettivi raggiunti alla sedicesima settimana di studio.

Nel gruppo di controllo, invece, i pazienti sono stati seguiti con i modelli terapeutici tradizionali per la gestione dell’osteoporosi e sono stati invitati a recarsi presso la farmacia alla sedicesima settimana dello studio per valutare gli obbiettivi raggiunti.

Dopo sedici settimane, quindi, sono stati analizzati gli obbiettivi raggiunti in entrambi i gruppi di pazienti facendo riferimento ai resoconti personali degli stessi. In particolare si è valutato se i pazienti hanno effettuato il test della BMD, se vi sono stati casi di nuova prescrizione terapeutica per il trattamento dell'osteoporosi (bisfosfonati, raloxifene, teriparatide, terapia ormonale) e se si è manifestato un aumento dell’apporto di calcio e vitamina D giornaliero con la dieta o come supplemento (Yuksel et al. 2009).

(32)

I test della BMD sono stati eseguiti in 28 pazienti (22%) nel gruppo di intervento ed in 13 pazienti (10%) nel gruppo di controllo, mentre l’obbiettivo di una nuova prescrizione terapeutica è stato raggiunto in 6 pazienti (5%) nel gruppo di intervento ed in 3 pazienti (2%) nel gruppo di controllo. Per quanto riguarda l’apporto di calcio giornaliero si è riscontrato un notevole aumento nel gruppo di intervento (30%) rispetto al gruppo di controllo (19%). Anche l’apporto di vitamina D è aumentato nel gruppo di intervento, ma non in maniera statisticamente rilevante [Figura 3.5.1].

Figura 3.5.1. La figura mostra gli obbiettivi raggiunti da entrambi i gruppi al

termine delle sedici settimane di analisi.

In questo studio randomizzato controllato è stato, dunque, verificato che un programma di screening promosso dai farmacisti permette di raddoppiare il numero di pazienti esaminati o trattati per l’osteoporosi (Yuksel et al. 2009). L’intervento dei farmacisti ha infatti permesso un aumento dell’11% del numero dei pazienti che si sottopongono al test della BMD.

22% 5% 30% 11% 2% 19% 0,0% 10,0% 20,0% 30,0% 40,0%

Test della BMD Nuove prescrizioni terapeutiche

Apporto di calcio giornaliero Gruppo di intervento Gruppo di controllo

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3.6 I disturbi mentali e la Pharmaceutical Care

I disturbi mentali e del comportamento incidono per un valore pari al 12% sugli oneri connessi alle spese terapeutiche e più di 450 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da queste problematiche (Investing in Mental

Health 2003).

Si ritiene che questi pazienti siano molto difficili da gestire dal punto di vista terapeutico (Chang et al. 2002) in quanto molto spesso i trattamenti prescritti non vengono seguiti in maniera appropriata (World Health Organization

2004; Mort et Aparasu 2002). Questa problematica è particolarmente

evidente nei soggetti anziani dal momento che risultano essere più sensibili ai trattamenti con farmaci psicotropi rispetto ai pazienti più giovani. Negli anziani infatti si riscontrano frequentemente effetti avversi legati ai farmaci, come ad esempio casi di cardiotossicità, stati confusionali e sedazione indesiderata (Drug use in the elderly. Prescribing practice review 2004). Questi fattori conducono spesso all’abbandono spontaneo delle terapie.

Anche l’azione terapeutica dei farmaci antidepressivi, che insorge generalmente dopo lunghi periodi di trattamento, contribuisce ad aumentare nel tempo i casi di abbandono dei trattamenti (Lambert et al. 2004;

Rettenbacher et al. 2004).

Inoltre l’attribuzione di pregiudizi infondati, lo stigma (Scheerder et al. 2008), nei confronti dei pazienti con patologie mentali favorisce il loro isolamento sociale e di conseguenza l’incurabilità della patologia.

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L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la categoria dei farmacisti come il miglior approccio per migliorare l’utilizzo dei farmaci psicotropi (World Health Organization 2004). Questi professionisti, infatti, si trovano frequentemente a contatto con pazienti affetti da disturbi mentali, essendo una categoria facilmente accessibile al pubblico, e circa il 20% delle prescrizioni presentate ai farmacisti includono proprio farmaci psicoattivi (Badger et al.

2002).

I pazienti affetti da patologie mentali, molto spesso, non comprendono in maniera adeguata il loro stato di salute o i trattamenti da seguire ed è compito del farmacista sussidiare questi soggetti attraverso la fornitura di servizi di

Pharmaceutical Care mediante interventi di informazione e monitoraggio.

3.6.1 Interventi nei pazienti con disturbi mentali

Come dimostrano numerose pubblicazioni i farmacisti sono particolarmente coinvolti, attraverso i vari servizi di Pharmaceutical Care, nella gestione delle patologie croniche a livello fisico. Nel campo della gestione delle malattie mentali, invece, il ruolo del farmacista è ancora da definire ma alcune pubblicazioni disponibili dimostrano un’espansione del loro intervento anche in questo campo (Bell et al. 2005).

Grazie ad una ricerca effettuata da Finley et al. (2003) sono stati, infatti, dimostrati i reali benefici ottenuti dall’intervento di alcuni farmacisti nella

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gestione dei pazienti con patologie mentali (Finley et al. 2003). La ricerca è stata effettuata su alcuni archivi elettronici come MEDLINE, EMBASE, PsychInfo, Cinahl e International Pharmaceutical Abstracts, utilizzando diverse parole chiave.

Dalla ricerca sono state selezionate tre riviste che hanno dimostrato che, in Olanda, il coinvolgimento dei farmacisti nella cura dei pazienti che assumono farmaci antidepressivi non triciclici ha comportato ottimi risultati terapeutici (Brook et al. 2003a; Brook et al. 2003b; Book et al. 2005). Gli interventi portati avanti dai farmacisti olandesi sono consistiti in diverse sessioni di consulenza rivolte ai pazienti, della durata di dieci/venti minuti, con il fine di far comprendere ai pazienti quanto sia importante portare avanti la terapia in maniera appropriata. Al termine degli incontri è stato consegnato ad ogni pazienti un filmato per approfondire gli argomenti trattati.

Questo studio ha dimostrato che nei tre mesi successivi agli incontri il gruppo di intervento ha avuto un miglior approccio alla terapia rispetto al gruppo di controllo (Brook et al. 2003a) ed è stato riscontrato un miglioramento significativo nell’aderenza terapeutica nei sei mesi successivi (Book et al.

2005) ed una riduzione dei punteggi sintomatologici (Brook et al. 2003b).

Nell’analisi l’aderenza dei pazienti è stata valutata utilizzando un apparecchio elettronico per la conta delle pillole il quale registra l’orario e la frequenza con cui il tappo della confezione viene aperto.

Non è chiaro se il merito dei risultati raggiunti sia dovuto alle sessioni di consulenza eseguite dai farmacisti, al filmato consegnato ai pazienti o

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all’utilizzo del dispositivo elettronico per la conta delle pillole, ma i benefici ottenuti sono stati rilevanti (Bell et al. 2005).

Dunque questa ricerca dimostra come i servizi di Pharmaceutical Care forniti dai farmacisti siano utili per migliorare l’utilizzo dei medicinali nei pazienti affetti da patologie mentali in quanto i farmacisti sono in grado di identificare le problematiche relative alle terapie ed intervenire di conseguenza.

3.7 Le politerapie e la Pharmaceutical Care

Con il termine politerapia non ci si riferisce alle quantità specifiche di medicinali assunti o prescritti (Chumney et Robinson 2006), bensì alla prescrizione o all’assunzione di più farmaci di quanto opportuno dal punto di vista terapeutico (Zarowitz et al. 2005).

La politerapia viene effettuata nei pazienti affetti da più patologie croniche con lo scopo di aumentare la qualità e la durata della vita del paziente, ma molto spesso le conseguenze negative superano i benefici attesi. La politerapia comporta, infatti, molti aspetti negativi per il paziente come confusione sui vari farmaci da assumere, interazioni farmacologiche, numerosi effetti avversi, che spesso comportano ricoveri ospedalieri, ed inevitabilmente l’aumento della spesa sanitaria. Queste situazioni si riscontrano frequentemente nei soggetti anziani, in quanto a causa dell’invecchiamento della popolazione sempre più persone anziane sono soggette a copatologie croniche e per trattare

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in maniera appropriata le diverse condizioni è necessario un intervento basato su più terapie farmacologiche.

Uno studio internazionale ha documentato che il 50% degli ultrasessantacinquenni assume cinque o più farmaci a settimana ed il 12% di questi assume più di dieci farmaci in una settimana (Kaufman et al. 2002). I politrattamenti generalmente richiedono lunghi periodi di terapia ed ingenti spese sanitarie, ad esempio in Italia il rapporto dell’Osservatorio Nazionale

sull’Impiego dei Medicinali   (OsMed) del 2011 ha indicato che gli

ultrasessantacinquenni assorbono il 60% della spesa sanitaria (Gruppo di

lavoro OsMed 2012). La quota è impressionante se si considera che i bambini,

come riferito dallo stesso rapporto OsMed del 2011, consumano solamente il 3% della spesa sanitaria. È evidente quanto sia importante gestire in maniera appropriata i pazienti politrattati, per tutelarli e garantire loro una terapia sicura, limitando le over prescription e le reazioni avverse. Operando questi accorgimenti sarà possibile, inoltre, contenere la spesa sanitaria.

I farmacisti rappresentano una risorsa essenziale per il raggiungimento di questi obbiettivi e diversi ricercatori hanno, appunto, dimostrato che la gestione della politerapia da parte dei farmacisti può avere risvolti positivi per il paziente (Galt 1998; Doucette et al. 2005).

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3.7.1 Interventi nei pazienti politrattati

Le terapie inappropriate possono determinare danni molto seri per la salute del paziente, danni che in certi casi possono risultare addirittura fatali. Sfortunatamente questi eventi sono molto frequenti nei soggetti che assumono più farmaci per il trattamento di diverse malattie croniche ed è fondamentale gestire questi pazienti nella maniera più appropriata.

I farmacisti ricoprono un ruolo chiave nella gestione dei pazienti soggetti a politrattamenti, promuovendo pratiche educative nei confronti delle terapie e collaborando al monitoraggio degli stessi pazienti.

Due studi hanno dimostrato una significativa riduzione del numero di farmaci assunti dai pazienti a seguito dell’intervento dei farmacisti (Zarowitz et al.

2005; Schrader et al. 1996). Nello studio effettuato da Schrader et al. (1996),

condotto su 289 pazienti, si è registrata una riduzione del numero dei farmaci assunti da 5.7 a 4.4 nel 22,8% dei pazienti analizzati (Schrader et al. 1996). Nello studio di Zarowitz et al. (2005), invece, le operazioni dei farmacisti sono state eseguite in due serie di interventi ad un anno di distanza l’una dall’altra. Nel primo intervento, effettuato su 6693 pazienti, si è registrata una riduzione dei farmaci assunti da 4.6 a 2.2 nel 52,2% dei pazienti. Durante la seconda serie di interventi si è registrata, invece, una riduzione da 4,5 a 4 del numero di prescrizioni mensili per paziente nell’11% dei casi (6039 pazienti). I ricercatori ritengono che la bassa riduzione nella seconda serie di intervento sia dovuta al fatto che il 91% di questi pazienti ha partecipato anche alla prima

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serie di intervento, quindi le modifiche terapeutiche erano probabilmente già state registrate (Zarowitz et al. 2005).

Ridurre il numero di farmaci assunti non è una pratica sufficiente per ottimizzare le terapie (Chumney et Robinson 2006), ad ogni modo è opportuno valutare il numero ed il tipo di medicinali necessari per la terapia di ogni singolo paziente poiché ridimensionando la terapia è possibile limitare i fenomeni delle interazioni farmaco-farmaco ed i vari effetti avversi. L’aderenza terapeutica è un altro fattore fondamentale per garantire trattamenti efficaci e grazie ai sistemi educativi e le procedure di follow-up portate avanti dai farmacisti i pazienti possono aumentare la loro aderenza alla terapia farmacologica. Inoltre semplificando i regimi terapeutici i pazienti possono comprendere meglio la terapia e l’importanza di portarla avanti (Jameson et al. 1995). Come dimostra uno studio effettuato da Schrader et al. (1996) grazie all’aiuto dei farmacisti, in continuo contatto con i pazienti politrattati, è possibile incrementare i livelli di aderenza terapeutica (Schrader

et al. 1996). Lo studio riferisce infatti, che il 40% dei 289 pazienti seguiti dai

farmacisti ha incrementato l’aderenza a seguito della semplificazione terapeutica, mentre l’80% ha aumentato i livelli di aderenza a seguito dell’acquisizione di maggiori conoscenze sulla terapia prescritta (Schrader et

al. 1996). L’intervento dei farmacisti risulta avere effetti positivi anche sulle

spese sanitarie comportando notevoli risparmi derivanti, non solo da una riduzione dei farmaci prescritti, ma anche da una riduzione degli eventi avversi che avrebbero comportato costi aggiuntivi alla sanità (Chumney et

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Robinson 2006). Questi effetti sono dimostrati dallo studio di Christensen et

al. (2004) che ha esaminato i risultati ottenuti a seguito dell’intervento di un farmacista nella terapia di pazienti politrattati (Christensen et al. 2004). L’intervento di Pharmaceutical Care portato avanti dai farmacisti ha permesso un risparmio sulle spese sanitarie dei politrattati che va dai 218 ai 335 dollari a paziente per ogni anno, con un risparmio complessivo per la sanità che va da 1,4 a 2,1 milioni di dollari annui (Christensen et al. 2004). L’intervento dei farmacisti comporta risvolti positivi sia sul lato umano, sia su quello clinico, che su quello economico (Chumney et Robinson 2006) e questi interventi sono una giustificazione sufficiente per consentire alla categoria dei farmacisti di seguire i pazienti nella terapia attraverso la fornitura dei numerosi servizi della Pharmaceutical Care.

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