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All'udienza del 28 novembre 2006 la causa veniva decisa come da dispositivo, di cui si dava immediata lettura.

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Contributi - Società costituita dagli Enti Locali per la gestione dei servizi pubblici essenziali ex art.

113, lett. e) D.Lgs n. 267/00 a prevalente capitale pubblico – Sussistenza obbligo di versamento dei contributi per CIG, DS, malattia - Esonero in applicazione dell'art 3, comma 1, D.Lgs n. 865/1947 non sussiste.

Tribunale di Forlì – 28.11.2006/23.02.2007 n. 290/06 – Dr.ssa Allegra – Hera S.p.A. (Avv.to Miscione) – INPS, S.C.C.I. (Avv.ti Chiatti e Vestini) – Gest line S.p.A.

Le società costituite dagli Enti Locali per la gestione dei servizi pubblici essenziali ex art. 113, lett.

e) D.Lgs n. 267/00 a prevalente capitale pubblico, non sono esonerate dalla contribuzione per CIG, DS e malattia sul presupposto della prevalenza del capitale pubblico, in quanto l'art. 3, comma 1 D.Lgs n. 165/07, che esclude dall'applicazione della norma sulla integrazione dei guadagni le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato, è norma eccezionale e, come tale, non estendibile ai casi non espressamente considerati, né assoggettabile ad applicazione analogica.

E' altresì infondata la pretesa secondo cui le imprese esercenti servizi pubblici essenziali dovrebbero essere escluse dalla cassa integrazione e dagli altri ammortizzatori sociali così come è infondata l’eccezione di incostituzionalità sollevata in tal senso.

FATTO - Con ricorso depositato il 15 dicembre 2005 la Hera s.p.a società costituita dagli Enti Locali per la gestione dei servizi pubblici essenziali ex art. 113 lett. e) D. lgs. 267/2000, a prevalente capitale pubblico, proponeva opposizione avverso la cartella esattoriale n. 020 2005 00548954, notificata il 10 novembre 2005, con la quale l'INPS, tramite il concessionario del servizio nazionale di riscossione per la provincia di Bologna Gest Line spa. le aveva richiesto il pagamento della complessiva somma di € ...

La società ricorrente eccepiva in primo luogo la nullità della cartella impugnata per incomprensibilità e indeterminatezza della stessa e nel merito deduceva l'infondatezza della pretesa creditoria dell'istituto, qualora lo stesso avesse inteso richiedere il pagamento dei contributi

"minori", vale a dire quelli di Cassa integrazione (Cig) e disoccupazione (Ds), ovvero di malattia, gli unici che in via ipotetica avrebbe potuto richiedere, dal momento che i contributi fondamentali (IVS) erano stati sempre regolarmente versati.

Al riguardo l'opponente contestava di dovere alcunché a tale titolo, sottolineando di essere stata costituita dagli enti locali per la gestione dei servizi pubblici essenziali ai sensi dell'art 113 lett.

e) D. Lgs. 267/2000, a seguito di trasformazione di una società municipalizzata, e che poiché la prevalenza del "capitale pubblico locale" era obbligatoria per legge ed era comunque confermata

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per statuto, essa era impresa di enti pubblici e non poteva cambiare natura, per cui ad essa era applicabile il disposto dell'art 3, comma 1° del D. Lgs. n. 865/1947, che appunto escludeva dall'applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni le imprese industriali degli enti pubblici e le società municipalizzate.

Deduceva inoltre che, in virtù dell'art. 40 n. 2 del R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827, non erano soggetti all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria i dipendenti delle aziende pubbliche o private ai quali fosse garantita stabilità di impiego, quali appunto i dipendenti delle aziende esercenti, come la ricorrente, servizi pubblici essenziali, che, ai sensi dell'art. 6, comma 2 della legge n. 138/1943, l'indennità di malattia non risultava dovuta quando il trattamento economico di malattia era corrisposto, come nel caso di specie, dalla società datrice di lavoro in base alle previsioni dei CCNL vigenti.

Affermava poi che, qualora la lettera e la logica della legge si fosse affermato ugualmente l'assoggettamento della società ricorrente ai contributi Cig anche senza prestazioni, si sarebbe verificata la violazione di più norme costituzionali, dal momento che il contributo sarebbe stato in verità un vero tributo imposto a tutti in violazione delle capacita contributive e dei criteri progressivi.

Da ultimo l'opponente eccepiva l'inammissibilità e/o illegittimità della cartella opposta ai sensi dell'art. 13. comma 6° del D. Lgs. n. 46/1999, che vietava la cartolarizzazione proprio nei casi, come quello in questione, in cui fosse già pendente il giudizio di merito sul credito vantato dall'ente previdenziale e poiché la ricorrente aveva promosso nel 2004 nei confronti dell'INPS due procedimenti analoghi a quello in esame, chiedendo fra l'altro l'accertamento e che fosse accertato che essa nulla doveva per contributi di cassa integrazione guadagni e disoccupazione per il periodo dal novembre 2002 alla data di deposito di ricorso, l'INPS non avrebbe potuto procedere alla cartolarizzazione del credito fino alla pronuncia di una sentenza esecutiva passata in giudicato.

Chiedeva, quindi, in via preliminare, la sospensione della cartella esattoriale impugnata, e, nel merito, la declaratoria di nullità o comunque l'annullamento o la revoca della cartella stessa, previo accertamento dell'infondatezza della pretesa contributiva dell'INPS.

Si costituivano in giudizio l'INPS e la S.C.C.I. S.p.A. (Società di Cartolarizzazione dei crediti INPS), rilevando, in relazione all'eccezione preliminare di nullità, che la cartella impugnata conteneva tutti gli elementi idonei a consentire all'intimato l'esatta individuazione delle pretese creditorie azionate. Nel merito la difesa dell'Istituto rilevava l'infondatezza dell'opposizione, in particolare osservando che a seguito della trasformazione in società per azioni la ricorrente era sì un'azienda erogatrice di servizi, ma condotta a regime privato ed a capitale misto, e pertanto non

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poteva più usufruire dell'esonero dall'obbligo contributivo del versamento delle aliquote DS (disoccupazione) come di quelle della Cig, richiamando al riguardo sia la circolare dell'INPS n.

42/2000 che la sentenza della Corte di Cassazione n. 4600/93 e chiedendo altresì, in via riconvenzionale, la condanna della ricorrente al pagamento delle somme di cui alla cartella opposta.

All'udienza del 28 novembre 2006 la causa veniva decisa come da dispositivo, di cui si dava immediata lettura.

DIRITTO - In conformità all'orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente, l'opposizione va ritenuta infondata e deve essere quindi respinta.

Va in primo luogo respinta l'eccezione di nullità della cartella opposta per incomprensibilità e indeterminatezza sollevata dalla società opponente, dal momento che la cartella esattoriale non costituisce fonte dell'obbligo (nel caso di specie contributivo), che va individuata piuttosto nell'atto presupposto (verbale di accertamento, avviso di liquidazione o rettifica) in base al quale l'ente impositore ha effettuato l'iscrizione a ruolo.

Nel caso di specie gli importi indicati nella cartella opposta - in cui sono specificati sia i periodi di attività sia i modelli DM 10 rettificativi cui si riferisce la pretesa contributiva - corrispondono perfettamente a quelli relativi alle note di rettifica (doc. n. 7 del fascicolo di parte INPS) emesse dal competente ufficio INPS a seguito di controllo effettuato in base ai parametri contributivi corrispondenti all'inquadramento dell'azienda; risulta altresì che tali note di rettifica sono state comunicate all'odierna opponente, la quale le ha rispedite al mittente, ritenendo non dovuti i contributi richiesti (doc. n. 8 del fascicolo INPS).

Deve pertanto ritenersi che la società ricorrente fosse perfettamente in grado di identificare con esattezza l'oggetto della pretesa e di svolgere compiutamente le proprie difese, come in concreto è accaduto nel presente giudizio; l'eccezione è pertanto infondata e deve essere disattesa.

Anche l'altra eccezione preliminare, di inammissibilità ovvero illegittimità della cartella impugnata ai sensi dell'art 24, comma 4 del D. Lgs. n. 46/1999, basata sull'assunto che le pretese dell'INPS di cui alla cartella medesima sarebbero le stesse già fatte valere in altri procedimenti "di merito" giurisdizionali ancora pendenti, è destituita di fondamento, in quanto parte ricorrente si è limitata ad affermare di aver "promosso nel 2004 nei confronti dell'INPS, due procedimenti analoghi a quello in esame ex art. 24 D. Lgs. 46/1999 (RG.L. 142/2004 e 461/2004) in cui, oltre all'annullamento e/o revoca della cartella impugnata, ha chiesto l'accertare e dichiarare che la società ricorrente nulla deve per contributi di cassa integrazione guadagni, disoccupazione per il periodo dal novembre 2002 alla data di deposito del presente ricorso" senza peraltro individuare i crediti contributivi vantati dall'Istituto in quell'occasione in modo da poterli compiutamente

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raffrontare.

L'INPS ha invece eccepito che i contributi ingiunti con la cartella oggi opposta sono altri e diversi da quelli oggetto di altra cartella esattoriale cui fa riferimento parte ricorrente e dalla documentazione prodotta dall'Istituto si evince oltretutto che uno dei procedimenti richiamati (definito in primo grado con la sentenza del Tribunale di Forlì n. 112/2005) ha ad oggetto l'impugnativa del Decreto del Ministero del Lavoro di rigetto dell'istanza di esonero dalla contribuzione per la disoccupazione volontaria, e gli altri concernono l'impugnazione di altre cartelle esattoriali relative a periodi contributivi diversi e distinti da quelli oggetto del presente giudizio.

A fronte di tali eccezioni e produzioni nulla ha replicato o aggiunto la difesa dell'opponente sul punto.

Neppure nel merito le doglianze di Hera s.p.a. possono essere condivise. Per quanto riguarda il preteso esonero dall'obbligo del versamento dei contributi per la cassa integrazione guadagni, non può infatti essere condivisa l'interpretazione prospettata dall'opponente dell'art. 3, comma 1° del D.

Lgs. n. 865/1947, che esclude dall'applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato, per cui tale esenzione dovrebbe essere applicata, ad avviso dell'opponente, non soltanto alle imprese a capitale interamente pubblico, ma anche a quelle a prevalente capitale pubblico, in quanto comunque la partecipazione maggioritaria pubblica garantirebbe in ogni caso un controllo totale e incondizionato da parte degli enti pubblici.

Va infatti osservato che tale disposizione di legge è sicuramente una norma eccezionale, e come tale, ai sensi dell'art. 16 delle disposizioni delle preleggi, va interpretata in senso stretto, non essendo estensibile ai casi non espressamente considerati, né assoggettabile ad interpretazione analogica.

Pertanto nell'accezione di "imprese industriali degli enti pubblici" non possono che farsi rientrare le imprese di proprietà esclusiva di tali enti.

Di tale avviso è stata del resto la Suprema Corte, la quale, nella sentenza del 20 aprile 1993, n. 4600, ha avuto modo di precisare che debbono intendersi come "pubbliche" a tutti gli effetti, e quindi anche ai fini dell'applicazione del richiamato art. 3 D. Lgs. n. 869/1947, le imprese societarie di diritto privato il cui capitale sociale sia interamente di proprietà di enti pubblici, in relazione al disposto dell'art. 2093 cc.

Poiché è pacifico (essendo stato dedotto dalla stessa ricorrente) che in Hera s.p.a. l'ente o gli

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enti pubblici non detengono l'intero pacchetto azionario, essendo attuata unicamente la "prevalenza del capitale pubblico locale", obbligatoria per legge (v. pag. 8 dell'atto di citazione) è evidente che, per quanto sopra detto, essa non può essere ritenuta impresa pubblica, ai sensi degli artt. 112 e 113 del D. Lgs. n. 267/2000, risultando invece a tutti gli effetti soggetto di diritto privato.

Quanto sopra rende del tutto irrilevante la considerazione per cui le imprese esercenti servizi pubblici essenziali, come la ricorrente, dovrebbero essere comunque escluse dalla cassa integrazione e dagli altri ammortizzatori sociali, essendo questi ultimi inutilizzabili sia in concreto che in astratto stante l'impossibilità di interruzione o sospensione dei servizi erogati, come pure che tali imprese di fatto non potranno mai giovarsi delle provvidenze che i contributi medesimi sono diretti a finanziare.

In proposito va inoltre richiamato il principio affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9157 del 2001 (interpretativa dell'art. 3 D. Lgs. n. 869/1947 anche se con riguardo a diversa fattispecie) nella quale si è affermato che il sistema previdenziale in vigore sfugge alla logica assicurativa del rapporto tra rischio e premio ed è improntato a criteri solidaristici non solo nell'ambito della stessa categoria, ma anche fra categorie diverse: pertanto è altresì manifestamente infondata la questione, pur prospettata, di incostituzionalità della norma per asserita irragionevolezza e disparità di trattamento, tenuto conto del fatto che il principio solidaristico informa di sé gran parte del titolo III della prima parte della Costituzione, ivi compreso l'art 38.

Venendo ora al preteso esonero dalla contribuzione per la disoccupazione involontaria, è appena il caso di richiamare l'art. 40 n. 2 del R.D. 4 ottobre 1935, n. 1827, ai sensi del quale non sono soggetti all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria i dipendenti delle aziende pubbliche, nonché di quelle esercenti pubblici servizi e quelle private ai quali sia garantita stabilità di impiego.

In proposito è sufficiente osservare che l'opponente non ha provato di aver ottenuto l'esonero di cui alla normativa sopra richiamata da parte del competente Ministero: al contrario, dal provvedimento del Ministero del lavoro del 2 maggio 1958, prodotto dalla stessa opponente quale doc. 3, si evince che il predetto Ministro ha ritenuto insussistente il requisito della stabilità in relazione ai dipendenti dell'opponente.

Non può quindi ritenersi rilevante la circostanza evidenziata dalla difesa di HERA per cui dalla necessità di garantire continuativamente alla collettività un servizio pubblico essenziale senza sospensioni e interruzioni deriverebbe la "stabilità d'impiego" dei propri dipendenti.

A ciò va replicato, come già osservato in altre pronunce di questo stesso Tribunale, in conformità all'orientamento consolidato della Suprema Corte, che la nozione di stabilità d'impiego,

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ai fini dell'esonero contributivo in questione, e particolarmente rigorosa e "sussiste quando ai lavoratori sia riconosciuto un determinato stato giuridico che garantisca loro di non essere costretti a lasciare il posto di lavoro se non quando ricorra una giusta causa, a norma dell'art. 2119 cc., oppure vi siano altri determinati motivi, non solo genericamente indicati (come si verifica per la disposizione dell'art 3 della l. n. 604 del 1966), ma tassativamente stabiliti a priori con criteri restrittivi" (Cass., n. 1744/2000 (1) cit.), non essendo soddisfatta neppure dal regime limitativo dei licenziamenti di cui alle leggi n. 604/1966 e 300/1970 (Cass. n. 10632/2003 (2); n. 1744/2000; SU.

n. 999/1995 (3)).

L'opposizione va quindi respinta, non potendosi d'altra parte neppure accogliere la domanda riconvenzionale (peraltro superflua) proposta dall'INPS e dalla SCCI volta alla condanna della società ricorrente al pagamento delle somme di cui alla cartella opposta, inammissibile, non essendo stata richiesta al giudice la fissazione di una nuova udienza ai sensi dell'art. 418, 1 ° comma c.p.c.

Tenuto conto della complessità delle questioni e della relativa novità di alcune di esse, nonché di parziale divergenza di pronunce giurisprudenziali in materia, appare equo disporre l'integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

(Omissis)

(1) V. in q. Riv., 2000, p. 537 (2) Idem, 2003, p. 1112 (3) Idem, 1995, p. 258

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