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Sciopero nel trasporto a Genova: voglia di pubblico

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Academic year: 2021

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Sciopero nel trasporto a Genova:

voglia di pubblico

di Giuliano Cazzola

Ci mancava soltanto lo sciopero del trasporto pubblico locale che ha paralizzato Genova: uno sciopero non solo selvaggio, ma anche irresponsabile, provocato – a quanto pare – dal proposito (in verità più annunciato che praticato) dell’amministrazione comunale (saldamente nelle mani della sinistra) di avviare una privatizzazione almeno parziale. Le cronache raccontano che le astensioni dal lavoro siano iniziate in modo spontaneo (ma ci sono sempre gli “agenti provocatori”), poi ci si è messo di mezzo un sindacato autonomo aderente alla Cisal (una confederazione – dicono – vicina al centro destra e, non a caso, di forte ispirazione corporativa e populista). Persino le sanzioni previste dalle leggi che regolano l’esercizio dell’astensione dal lavoro nei servizi pubblici essenziali (ammesso e non concesso che vengano applicate e che occorra pensare a regole nuove) sono state in grado di riportare a normalità la situazione. Per ora la vicenda si è chiusa con un accordo che è una capitolazione: nessuna privatizzazione, ma si farà un’azienda regionale dei trasporti, saranno salvaguardati i livelli stipendiali e i posti di lavoro, saranno acquistati nuovi autobus per rinnovare un parco mezzi ormai fatiscente, perché tutte le risorse dell’azienda sono state drenate dalle retribuzioni dei dipendenti. Bus, filobus e i lavori sempre in corso del metrò, nel 2012, sono costati alla città della Lanterna 190 milioni di cui 109 milioni sono utilizzati per gli stipendi, quasi il doppio dei 60 milioni di ricavi dalla vendita dei biglietti (il resto del bilancio è fatto di trasferimenti pubblici di cui una dozzina di milioni circa da parte del Comune). Se quello della Amt (Azienda mobilità e trasporti) di Genova può rappresentare un caso limite, la situazione delle altre aziende municipalizzate o società di trasporto locali non è affatto rosea. L’Atac di Roma ha accumulato 1,6 miliardi di perdite in 10 anni. Un’azienda su due operanti nel servizio di trasporto locale chiude da anni in condizioni di perdita strutturale, soprattutto da quando i tagli dei trasferimenti agli enti locali hanno fortemente ridotta la possibilità dei Comuni di ripianare a piè di lista i debiti delle aziende municipalizzate. L’insostenibilità del costo del lavoro non è data soltanto dall’ammontare degli stipendi, ma dal numero dei dipendenti. A Genova, ad esempio, il personale è composto da 2.400 unità. Il segnale che è venuto da quella città è molto preoccupante da tanti punti di vista. Anche a voler riscoprire – in verità strumentalmente – le tradizioni genovesi già capitale dell’industria pubblica e città in cui di essa sono rimasti tuttora alcuni presidi importanti (come l’Italcantieri), risparmiati dalle campagne di privatizzazione, si assiste, nella vertenza dei giorni scorsi, ad una “voglia di pubblico” che, sotto le mentite spoglie ideologiche del “bene comune”, si risolve nella strenua difesa di piccoli o grandi privilegi a cui non si intende rinunciare (non si dimentichi mai che

www.bollettinoadapt.it 25 novembre 2013

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i grandi privilegi suscitano rabbia e proteste, ma la loro abolizione non risana i bilanci, perché a fare “massa critica” sono quelli piccoli e più diffusi). Nel dibattito corrente, quando si parla di privatizzazioni, come si fa nel contesto della legge di stabilità, ci si rende conto che a livello nazionale si è ormai raschiato il fondo del barile. Certo si possono mettere sul mercato ulteriori quote di aziende strategiche (evitando però di prendersi paura quando si verificano situazioni come la Telecom) o anche della Fs spa. Ma tutti gli osservatori indicano che il vero “tesoretto” è quello delle aziende dei servizi locali, saldamente in mano pubblica (locale) anche laddove hanno assunto la forma delle società per azioni. Ma quali imprenditori privati prenderebbero in carico imprese in procinto di portare i libri in tribunale ? E quali possibilità avrebbero nel riorganizzare e ristrutturare aziende pubbliche ormai fatiscenti, quelle imprese, magari estere, disponibili a subentrare (che fiutano il business insito nell’erogazione dei servizi pubblici) ? Sul versante del lavoro, poi, siamo a verificare una volta di più quali danni comportino le privatizzazioni senza liberalizzazioni ovvero il cambiamento della natura giuridica delle imprese (da ente pubblico economico o da azienda pubblica in spa) senza che siano sottoposte (ecco le liberalizzazioni) ad una logica di mercato ovvero alla concorrenza. In questi casi, i contratti di lavoro diventano il prodotto della “spensieratezza” del settore pubblico e della “autonomia” propria di quello privato. Ovvero il meglio (dal punto di vista dei lavoratori) di ambedue i settori. Ma alla fine i conti devono tornare, perché anche nel settore pubblico (nonostante l’irresponsabile demagogia di Beppe Grillo e del movimento da lui fondato) “nessun pasto è gratis”.

Giuliano Cazzola

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