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Susan Blackmore, Coscienza

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Academic year: 2021

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Susan Blackmore, Coscienza

recensione di Rodolfo Ciuffa

Che cos’è la coscienza? Un’illusione. È questa, in estrema sintesi, la tesi sostenuta da Susan Blackmore nello smilzo volumetto pubblicato per i tipi della Codice Edizioni.

Il titolo non è per questo fuorviante, giacché nel testo vengono enumerate e discusse in modo non proprio circostanziato le maggiori teorie che oggi si propongono di spiegare e interpretare quel fenomeno altamente intuitivo cui attribuiamo il nome di coscienza. Si tratta di una reductio ad absurdum in piena regola: assumiamo, sembra dirci Blackmore, che la coscienza sia un dato di fatto ed esista. In che consiste, esattamente? Quale che sia la teoria alla quale ci affidiamo, essa comporta delle conseguenze contraddittorie, e perciò va respinta.

Il primo errore consiste nel concepire la coscienza come teatro cartesiano, ovvero come luogo localizzato nel cervello nel quale tutto ciò che riguarda e inerisce un presunto ‘io’ si svolge e si attua:

Daniel Dennett, rifacendosi alle numerose dimostrazioni prodotte dalle neuroscienze, ha con veemenza dimostrato l’impossibilità di una tale visione, la quale, pur non accordandosi con le nostre

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attuali conoscenza sul sistema nervoso, è assunta implicitamente anche da molti non dualisti, o presunti tali. Tuttavia Blackmore suggerisce che l’errore non consiste tanto nel concepire la coscienza come centralizzata o diffusa, ma piuttosto nel concepirla tout court e nell’ipotizzarne l’esistenza.

Se ammettiamo che la coscienza esiste, bisogna essere in grado di individuare la funzione che essa svolge. La posizione degli epifenomenalisti accetta l’esistenza della coscienza, ma come puro accidente evolutivo che non apporta alcun vantaggio dal punto di vista concreto, pratico, esistenziale.

Costoro, ma anche quelli che vedono nella coscienza un prodotto funzionalmente significante dell’evoluzione della nostra specie, devono fare i conti con l’assoluta indifferenza che, a detta di molti, sussiste tra l’individuo dotato di coscienza e quello che invece della coscienza è sprovvisto – il cosiddetto “zombie”. Poiché non sembra esserci alcuna distinzione tra i due, e siccome non è rinvenibile, almeno via esperimento mentale, alcun indice capace di farci discriminare tra uno zombie e un essere umano cosciente, se ne deve concludere che tra i due non esiste alcuna differenza, e che di conseguenza la coscienza non esiste.

Ha davvero senso chiedersi cos’è la coscienza, e se, più in generale, è qualcosa che esiste? E se assumessimo che non esiste? Si porrebbero forse dei problemi, verrebbero a crearsi degli anelli esplicativi mancanti? Nient’affatto. Invocando il classico principio occamiano di economia esplicativa, Blackmore rigetta l’appello che comunemente si fa alla coscienza, perché è del tutto ridondante e perché non interviene a colmare alcun vuoto causale: se non vi è bisogno di postularla, e, per di più, se ammetterne l’esistenza comporta contraddizione, perché mai dovremmo farlo?

Eppure sono in parecchi a non volervi rinunciare. Ciò è dovuto, a dire di Blackmore, alla nostra abitudine a pensarci come dotati di questa superentità, e all’horror vacui che a tutta prima proveremmo negandone l’esistenza: ma è meno peggio di quanto non sembri, ci dice Blackmore, e arreca un numero e una mole di vantaggi teorici tale da giustificarne la netta e integrale delezione dal panorama delle teorie della psiche.

Il libro corrisponde all’essenziale di un’opera di Blackmore assai più vasta ed esaustiva che in Italia non è stata pubblicata. Ciò ha inevitabilmente comportato una semplificazione e riduzione dei contenuti a volte eccessiva, sicché il novizio troverà le diverse teorie presentate dalla Blackmore troppo generiche per essere realmente comprensibili, e il lettore più esperto non darà eccessivo credito alla discussione che ne viene fatta, decisamente troppo affrettata.

Paradossalmente, a ogni modo, proprio il modo sbrigativo con cui si vuole liquidare la coscienza è uno dei punti caratterizzanti lo stile e il questionare dell’autrice, e senz’altro uno dei più apprezzabili. Perché mai? Perché – questo il senso – non c’è nessun problema su cui tanto affaticarsi.

L’onus probandi non è a carico di Blackmore e di coloro i quali condividono il suo punto di vista, ma di quelli che asseriscono, con una certa inconsequenzialità, l’esistenza di una fantomatica e ineffabile coscienza.

Blackmore, Susan, Coscienza, Codice Edizioni, Torino 2007, pp. 168, € 10 Sito dell’editore

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