L
EZIONE9 L
E OBBLIGAZIONITra gli strumenti finanziari tipici ai sensi dell’art. 1, comma II, T.U.F. e tra gl’investimenti possibili sui mercati italiani (ad es. il M
OTe l’E
UROMOT, ma anche il sistema multilaterale di negoziazione [v. Lezione n. 18]) devono essere annoverate, oltre alle azioni (v. lezione 11) le obbligazioni e gli altri titoli di debito (pubblici e privati).
Una volta operata la distinzione tra titoli di debito privati e titoli di debito pubblici, è d’uopo considerare separatamente non solo obbligazioni bancarie ed obbligazioni “corporate”, ma anche A
BSe M
BS(lezione 10).
Inoltre, è da distinguere tra un collocamento “all’ingrosso”, dove la relazione contrattuale intercorre tra l’emittente e la S
GM(ad es. M
TS), e tra quest’ultima e gli intermediari incaricati di raccogliere il risparmio da impiegare per l’emissione e un collocamento rivolto direttamente agl’investitori al dettaglio (con l’intermediario che assume o meno la garanzia dell’integrale collocamento, cioè la raccolta delle risorse per l’iniziativa economica).
Considerando i caratteri dell’emittente, mentre le obbligazioni strutturate sono emesse sostanzialmente sempre da società bancarie o finanziarie, non si può dire lo stesso per obbligazioni "corporate", A
BS, M
BSe covered bonds
1, collocate solo attraverso il mercato finanziario su cui viene svolta l'operazione.
1. I
TITOLI DIS
TATO.
1 Quando si parla di Covered Bonds (cfr. lezione 16) ci si riferisce a strumenti finanziari emessi in funzione di patrimoni destinati che devono essere remunerati e rimborsati sulla base delle risorse generate da specifici affari. Si tratta di un istituto nuovo creato con gli artt. 2447-bis-2447-decies cod. civ. e dagli artt. 67-bis, 72-ter, 155-156 L. Fall.
nonché dai nuovi artt. 7-bis e 7-ter della L. n. 130/1999. Essi vengono emessi sul mercato in funzione del finanziamento di operazioni svolte da fondi immobiliari.
Com’è noto, l’art. 1, comma II, lett. b), (ora trasfuso nel comma I-bis, lett.
b) del medesimo articolo), D. Lgs. n. 58/1998, includeva nella tipologia degli strumenti finanziari, “le obbligazioni, i titoli di Stato e gli altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali”. Intendendosi qui chiarire il contenuto della previsione, è d’uopo muovere dalla nozione dei titoli di Stato, giacché – anche semplicemente per il dato quantitativo (ma anche per quello storico) – costituiscono il prototipo dei titoli di debito, cui raffrontare sia gli altri titoli di debito pubblici, sia la tipologia delle obbligazioni private.
È possibile distinguere i titoli del debito pubblico in Italia sulla base di vari criteri:
L’emittente (lo Stato, le Amministrazioni pubbliche locali, gli Enti pubblici sovra-nazionali);
La durata (titoli a breve, medio e lungo termine);
La funzione (titoli a copertura del deficit di bilancio, titoli emessi per
“ri-finanziare” e, magari, “allungare” il debito, titoli emessi per finanziare nuove opere pubbliche, ecc.);
Il tipo di remunerazione:
1) a tasso fisso o tasso variabile (e, in questo secondo caso, la regola d’indicizzazione);
2) il momento di percezione (annuale, semestrale…);
3) la presenza o meno di cedole.
La grande varietà di questi titoli di debito ha permesso di “drenare”
un’aliquota complessivamente molto consistente del risparmio nazionale,
sfruttando le notevoli differenze che connotano la tipologia dei
risparmiatori con l’offerta di una tipologia di prodotti e strumenti finanziari
altrettanto importante e variegata (per quanto attiene alla durata e agli altri
caratteri dei titoli di debito offerti).
Questi strumenti finanziari – di mercato monetario o obbligazionario
2– sono trattati sia sul mercato primario che su quello secondario.
a) I
TITOLI“
ZERO COUPON” (
IBOT
E ICTZ)
I BOT costituiscono un prototipo di titolo di Stato e nascono come strumento per finanziare i deficit nel bilancio pubblico.
Essi sono un tipico titolo "a breve", con una durata di 3, 6 e 9 mesi. Nel corso degli anni si è assistito alla costante sforzo da parte dello Stato italiano di provvedere ad “allungare” le scadenze del debito, vale a dire i termini di scadenza delle operazioni di finanza pubblica, passando dal breve al medio termine. Si tratta, anche in questo caso, di titoli emessi sotto la pari.
Il C
TZè considerato come una sorta di “B
OTTONE”, cioè è un tipico zero coupon bond caratterizzato, in particolare, da una durata maggiore rispetto ai B
OTdi 24 mesi. Esso svolge una funzione sostanzialmente analoga, ma rappresenta l’effetto di uno sforzo per “allungare” (sia pure solo in termini relativi) il debito, e migliorare la sua gestione, quanto meno in termini finanziari. Una differenza ulteriore concerne il trattamento fiscale applicato sul rendimento dei titoli, in particolare per quanto attiene il momento in cui è applicato il prelievo.
b) I
TITOLI CON CEDOLA: BTP.
I B
UONI DELT
ESOROP
OLIENNALIsono titoli obbligazionari pubblici a reddito fisso
3, con cedola semestrale, caratterizzati da
2 La distinzione si basa soprattutto sulla durata residua dei titoli.
3 Sono noti, tuttavia, BTP dov’è indicizzato il diritto alla restituzione (i BTP€ cui ci si riferisce nel testo), a fronte di una remunerazione che resta fissa.
Recentemente sono stati emessi anche i BTP "ITALIA" dove resta a disposizione dell'investitore la scelta fra un tasso fisso ed uno variabile (determinato come nei vecchi
una durata medio-lunga: si conoscono B
TPa 3, 5, 10, 15, 30 anni. Essi sono negoziabili sul mercato secondario con prezzi che, inizialmente correlati al prezzo di emissione, risultano legati all’andamento dei tassi d’interesse sul mercato con una relazione inversamente proporzionale. In particolare: a tassi crescenti corrisponde una riduzione del prezzo dei B
TPgià in circolazione dal momento che se ne riduce la domanda o, corrispondentemente, ne aumenta l’offerta, perché chi li ha già in portafoglio cerca di disinvestire per acquisire quelli in emissione con il tasso d’interesse “aggiornato”. Al contrario, in un contesto di tassi decrescenti, i B
TPgià disponibili sul mercato acquistano un nuovo appeal, dal momento che ogni riduzione dei tassi determina un corrispondente aumento del prezzo di mercato. Una “variazione sul tema” è costituita dai B
TP€
I, dove la cedola è fissa, ma il capitale è indicizzato all’inflazione nell’area dell’€ (Euro).
Analogamente, il nuovo B
TPItalia – emesso a partire dal 26/9/2012 – mette a disposizione dell'investitore la scelta fra un tasso fisso ed uno variabile indicizzato al tasso d’inflazione programmato (determinato come nei vecchi C
CTe di durata che non eccede i 4 anni), che lo colloca a mezza strada tra i classici B
TPe i C
CT. Lo strumento finanziario, poi, prevede 2 incentivi all’accesso diretto degl’investitori al dettaglio:
1) questi ultimi non pagano nessuna commissione d’entrata per investitore;
CCT e di durata che non eccede i 4 anni), che quindi si collocano a mezza strada tra i classici BTP e i CCT.
2) è prevista una sorta di “premio fedeltà” per chi non disinveste prima del termine finale dell’operazione (il premio è pari a un ulteriore 0,40% di rendimento.
È tuttavia ipotizzabile che, anche rispetto ai B
TPItalia, una porzione rilevante sia costituita da investitori professionali, anche se esiste un’aliquota d’investitori al dettaglio che investono con “animo da cassettista” (cioè da investitori di lungo termine). Nel caso in cui questa seconda categoria si trova nella necessità di disinvestire, si rivolge a una banca o a un intermediario finanziario. A questo punto gli intermediari potrebbero mantenere gli strumenti finanziari come propri investimenti, oppure farli passare sul mercato regolamentato M
OTcome mercato secondario specifico.
c) CCT.
Anche i C
ERTIFICATI DIC
REDITO DELT
ESOROsono titoli di Stato con cedola, a medio e lungo termine, ma essendo a reddito variabile – poiché l’importo della cedola è agganciato al rendimento dei BOT semestrali dell’ultima asta, maggiorato di uno spread
4– il loro prezzo tende a rimanere costante, cioè a non variare in funzione del variabile andamento dei tassi di mercato. Ciononostante, il prezzo potrebbe essere “sensibile”
rispetto a vicende che possono influenzare il “posizionamento”
dei titoli di debito italiani sul mercato internazionale dei capitali (ad es., variazioni negative e impreviste nel tasso di cambio,
“declassamento” del debito pubblico da parte delle agenzie di rating, ecc.).
4 È fisso solo il valore della prima cedola, dal momento che il prezzo dei BOT
dell’ultima asta è già noto al momento dell’emissione.
d) A
LTRI TITOLI DI DEBITO PUBBLICO(BOC, BOP
EBOR).
Oltre ai titoli di stato, oggi sono previsti altri titoli del debito pubblico italiano, quali i B
UONIO
RDINARIC
OMUNALI(BOC), i B
UONIO
RDINARIP
ROVINCIALI(BOP) e i B
UONIO
RDINARIR
EGIONALI(BOR). I caratteri comuni di questi titoli di debito pubblico sono legati ai peculiari presupposti che ne condizionano l’emissione:
Un presupposto negativo, perché non possono essere emessi per finanziare deficit nel bilancio dell’Amministrazione Pubblica locale. Anzi, possono essere emessi solo da P
P. A
A. con il bilancio in ordine;
Un presupposto positivo, sono emessi per finanziare opere pubbliche “nuove”. In funzione di tale carattere, si tratta di titoli a medio-lungo termine, non a breve.
Altri titoli di debito pubblico sono emessi da Istituzioni internazionali come la B
ANCAI
NTERNAZIONALE PER LAR
ICOSTRUZIONE E LOS
VILUPPO(“B
ANCAM
ONDIALE”
OB
IRS), la B
ANCAE
UROPEA PER LAR
ICOSTRUZIONE E LOS
VILUPPO(B
ERS), la B
ANCAE
UROPEA PER GL’I
NVESTIMENTI(B
EI) e, infine, la I
ADB(o B
ANCA PER LOS
VILUPPOI
NTERAMERICANO) per finanziarne le attività di... A queste istituzioni deve essere aggiunta, probabilmente, la B
ANCAC
ENTRALEE
UROPEA(B
CE).
In uno scenario nazionale (e internazionale) di rapida discesa dei tassi (ma,
almeno in una prima fase connotato anche da una cronica debolezza della
valuta italiana) l’emittente pubblico ha reagito con un ricorso
(progressivamente sempre più intenso) alla “indicizzazione” dei
rendimenti, ma poi anche dell’obbligazione relativa al rimborso del
capitale, mentre il contenimento dei rischi valutari poteva essere realizzato anche con emissioni in una valuta più forte.
Ad ogni modo, l’esperienza ha dimostrato come solo operazioni d’“ingegneria finanziaria” possono contrastare il deprezzamento dei titoli a reddito fisso in certe fasi della congiuntura economica.
2. I
CORPORATE BONDSLa categoria dei Corporate bonds comprende sia le obbligazioni emesse dalle società industriali (ai sensi degli art. 2410 ss. c.c.) che le c.d.
obbligazioni bancarie (emesse per operare la raccolta del risparmio tra il pubblico, ai sensi dell’art. 11 T
UB), genus comprensivo della species corrispondente alle obbligazioni strutturate.
Tutti i Corporate Bonds servono in genere a finanziare nel medio-lungo termine l’attività delle società private che li hanno emessi. Tuttavia, anche le obbligazioni delle società industriali tendono a discostarsi dal paradigma dei titoli a reddito fisso, in misura certamente più cospicua rispetto ai titoli del debito pubblico
5. Di conseguenza, l’operazione acquisisce caratteri di maggiore prossimità con un investimento in private-equity che non si riferisce solo alle azioni (art. 1, comma II, lett. a)) ma concerne anche quegli strumenti finanziari “complessi” (come, ad es., le obbligazioni cum warrant), che integrano insieme un titolo a reddito fisso negoziato sul M
OTcon uno particolarmente variabile negoziato sull’M
TA, in funzione dell’andamento di un sottostante azionario.
Se si considerano, infatti, le obbligazioni convertibili di cui all’art. 2420/bis c.c., ma ci si riferisce anche alle obbligazioni finalizzate del genere targeted bonds, emesse in base all’art. 2411 II c. c., agli strumenti finanziari ibridi a carattere quasi obbligazionario emessi in base all’art.
5 Secondo quanto evidenziato in precedenza, con l’introduzione dei BTP Italia, gli stessi titoli del debito pubblico (nati come titoli a reddito fisso) hanno inserito degli elementi utili a renderli più sensibili ad una variazione del tasso d’inflazione.
2411, III comma, c. c., e agli strumenti finanziari di partecipazione creati ai sensi dell’art. 2447/ter, comma I, lett. e), c. c., si constata agevolmente che in ciascuna di queste ipotesi si verifica una qualche alterazione del modello, con riguardo o al diritto di restituzione del capitale, o al pagamento della remunerazione, o ad entrambi. In ogni caso, uno strumento finanziario denominato “obbligazione”, si “carica” dei caratteri, nei termini del mix di rischio e rendimento, che possono apparire propri di un investimento azionario o in capitale di rischio (venture capital).
Ad ogni modo, nelle obbligazioni industriali, la sicurezza dell’impiego, intesa sia come complessiva solvibilità dell’emittente, che come garanzia del prevedibile “ritorno” economico-finanziario relativo proprio a quell’investimento, non dipende solo dalle eventuali garanzie reali che dovessero assistere quel prestito, ma dall’effettivo equilibrio economico finanziario della sua impresa di fatto postulato su cui si fonda il nuovo art.
2412 c.c.
Se la tendenza a una possibile, maggiore apertura al rischio anche dell’investimento in obbligazioni industriali (in funzione dell’aspettativa di un rendimento migliore e, comunque, più prossimo a quello caratteristico di un investimento azionario), è riscontrabile anche nell’investimento in obbligazioni industriali, è agevole ritrovarla pure nell’ambito delle obbligazioni bancarie. In ogni ipotesi dove si verifica una competizione per acquisire risorse finanziarie, i termini di quella concorrenza sono, per un verso, la maggiore o minore sicurezza nella restituzione e, per l’altro, l’entità della remunerazione offerta. Per l’emittente spesso entra in gioco anche la questione della prevedibile durata del prestito, che tende comunque ad allungarsi.
3. L
E OBBLIGAZIONI BANCARIE.
La tipologia di obbligazioni private più rilevante dal punto di vista quantitativo è costituita dalle obbligazioni bancarie.
Se tutti gli operatori economici privati necessitano di risorse finanziarie e, per acquisirle sul mercato, impiegano titoli di debito, è chiaro che questa scelta sia operata anche da ogni intermediario bancario e finanziario e, per di più, non in modo occasionale, ma in maniera sistematica perché costituisce un momento tipico di quell’attività d’impresa. Peraltro, le banche godono – sia pure per ragioni differenti dallo Stato e dalle P
P. A
A. – di un analogo livello di notorietà, affidabilità, regolarità dei collocamenti, liquidabilità e rendimenti offerti. Tuttavia, proprio per il fatto di operare in Italia, dove la dimensione complessivamente molto imponente dei titoli del debito pubblico e della loro circolazione impone strategie di mercato capaci di competere nell’acquisizione di risorse finanziarie dal settore privato, gli emittenti bancari e finanziari hanno dovuto offrire condizioni migliori rispetto all’emittente pubblico, “allineando” la sicurezza nel rimborso e, almeno tendenzialmente, offrendo rendimenti più vantaggiosi.
Il fenomeno delle obbligazioni bancarie come strumento per la raccolta del risparmio, nasce nel 1996, quando una modifica della normativa tributaria determinò un disincentivo nell’emissione dei certificati di deposito utilizzati fino ad allora.
I) Obbligazioni bancarie: le condizioni di emissione e la quotazione nel M
OT.
Le condizioni di emissione delle obbligazioni bancarie rendono
ragione della scelta di collocarle in una categoria a sé, tra le
obbligazioni private, dopo i Corporate Bonds: la loro emissione segue
regole a sé rispetto alle obbligazioni emesse da società industriali e in
deroga, quindi, rispetto agli artt. 2410 ss. c.c. (secondo quanto dispone
l’art. 12, commi III e V T.
U.
B.). In particolare, le obbligazioni bancarie
costituiscono strumento di raccolta del risparmio qualificato sempre dall’obbligo di rimborso (ai sensi dell’art. 11, comma I T.
U.
B.) e sono quindi regolate dalla Banca d’Italia e dal C
ICR.
Il regime dell’emissione di obbligazioni bancarie, allora, risulta semplificato e diversificato rispetto alle prescrizioni del c. c. Infatti, posto che oggi tutte le banche possono emettere obbligazioni – anche convertibili, pure in azioni non emesse dalla banca medesima – a prescindere dall’adozione del tipo sociale s.p.a. da parte della banca medesima (dal momento che l’emissione è funzionale alla raccolta del risparmio, dunque ad una fase essenziale ed immancabile della stessa attività bancaria), le condizioni per l’emissione possono essere così sintetizzate:
a) il taglio unitario minimo dell’emissione di obbligazioni è fissato in termini generali in almeno 10.000 €;
b) l’emissione di obbligazioni bancarie di “taglio inferiore” (purché pari o superiore a 1.000 €) è destinato al mercato, cioè risulta di ammontare complessivo che si riferisce non al doppio della somma tra capitale sociale, riserva legale e riserve disponibili (patrimonio netto?), come nel codice civile, ma all’importo di almeno 150 milioni di euro;
c) l’emissione di obbligazioni nel suddetto taglio minimo di 1.000 € è poi consentito, senza limiti di ammontare complessivo, alle banche:
con il c.d. “patrimonio di vigilanza” pari, o superiore, a 25 milioni di €;
con gli ultimi tre bilanci d’esercizio utile;
con l’ultimo bilancio certificato;
d) si tratta di titoli con durata almeno triennale, rimborsabili
anticipatamente solo
a. non prima di 18 mesi, se il rimborso viene prospettato dalla banca;
b. non prima di 24 mesi, se viene richiesto dall’obbligazionista.
La loro “liquidabilità” sui mercati regolamentati italiani (in particolare il M
OT, ma anche il T
LXe gli altri menzionati sopra) prescinde dalla cooperazione dell’emittente, perché avviene come negoziazione sul mercato secondario.
II) Obbligazioni bancarie postergate e “riqualificazione” dello stato patrimoniale.
La caratteristica delle obbligazioni bancarie subordinate è, da un lato, una
durata medio-lunga (superiore a 5 anni) e, dall’altro, un ridotto livello di
garanzia nel rimborso, in particolare quello di essere “postergate”, cioè – in
caso di messa in liquidazione coatta della banca – rimborsabili solo quando
sono stati soddisfatti tutti gli altri creditori della banca (depositanti in conto
corrente, portatori di certificati di deposito e di ogni altro titolo di credito,
come ad es. cambiali finanziarie, emesso dalla banca). Questo minore
livello di garanzia, generalmente, viene “pagato” dalla banca emittente con
una remunerazione più elevata rispetto alle obbligazioni non subordinate. È
da dire, tuttavia, che anche in caso di obbligazioni subordinate, è
abbastanza raro e improbabile che la banca sia liquidata e che le
obbligazioni subordinate non vengano rimborsate affatto. Ad ogni modo, il
legislatore – ai sensi dell’art. 12, comma VII T
UB– consente l’emissione di
obbligazioni subordinate o irredimibili, ma impone alla Banca d’Italia di
regolarne le condizioni d’emissione, con ciò implicitamente prevedendo
che l’emissione sia consentita solo a banche in possesso di particolari
condizioni patrimoniali, in funzione delle quali offrono ai risparmiatori
garanzia ulteriore).
Più particolare la posizione delle cc. dd. obbligazioni “irredimibili”: qui la durata è ancora più lunga (essendo lunghissima o indeterminata) e, conseguentemente, la rischiosità tende ad aumentare: su un periodo di tempo molto lungo, le condizioni economico-finanziarie dell’emittente potrebbero variare molto e, comunque sono poco prevedibili, anche in funzione di possibili evoluzioni del mercato.
Pertanto, la posizione di “creditori residuali” degli obbligazionisti è, in tal caso, spinta ancora oltre – rispetto alle obbligazioni subordinate – perché non sussiste una scadenza del prestito obbligazionario, destinato ad essere rimborsato solo in caso di messa in liquidazione volontaria (o coattiva) della banca. È evidente, in tal caso, il carattere di “apporto di mezzi propri”
(o EigenKapital, in tedesco) rivestito dai titolari di obbligazioni bancarie irredimibili: la loro posizione è analoga a quella degli azionisti, se non fosse per due circostanze:
la remunerazione pagata a loro dalla banca rappresenta, dal punto di vista giuridico (ed economico-aziendale) un costo, che incide come tale sul risultato di esercizio;
la loro posizione, pur essendo postergata a quella degli altri creditori – in sede di liquidazione – “viene prima” (e quindi prevale) rispetto al diritto degli azionisti all’eventuale residuo attivo di liquidazione. In sostanza, potrà essere ripartito tra gli azionisti un eventuale residuo attivo solo dopo che siano stati rimborsati i titolari di obbligazioni irredimibili che, allora sono titolari delle ultime pretese creditorie nella liquidazione della società;
sia le obbligazioni irredimibili che quelle subordinate
sono rimborsabili solo a seguito di analoga autorizzazione
di Banca d’Italia, quando cioè il rimborso non pregiudica
la solidità patrimoniale della banca.
Comunque la posizione di residual claimants dei titolari di obbligazioni subordinate ed irredimibili implica la possibilità di una “riqualificazione”
di tali crediti nello stato patrimoniale della banca, ai fini del calcolo dei cc.
dd. “coefficienti patrimoniali definiti dall’Autorità di vigilanza”.
Inoltre, sul piano del diritto dei mercati, risulta interessante la previsione dell’art. 34-ter, Reg. Emittenti che, al comma IV, n. 2), consente l’emissione di obbligazioni bancarie sulla base di un prospetto semplificato a condizione che queste rivestano delle condizioni tali da escludere che l’emissione si rivolga ad investitori al dettaglio. In particolare, non è consentita l’emissione sulla base di un prospetto semplificato quando la tranche superi i 50.000 € ovvero quando si tratti di obbligazioni subordinate irredimibili o in qualunque altro modo connotate da rischio eccessivo per un sottoscrittore che non sia almeno una controparte qualificata.
III) Le obbligazioni frutto di cartolarizzazione Asset Backed Securities e la quotazione nell’E
UROMOTe sull’E
UROTLX)
Le caratteristiche delle Asset Backed Securities (A
BS) i questi strumenti finanziari emessi per finanziare un’operazione di cartolarizzazione (cui si è già fatto cenno nella Lezione 10) possono essere agevolmente racchiuse in tre punti:
la cedola (generalmente fissa e con godimento annuale)
la durata (considerata presunta e non certa)
il grado di affidabilità, la cui presenza è obbligatoria (e viene definito dalla società di rating, che valuta gli assets e la loro liquidabilità. In genere, non è inferiore alla tripla A.
Le A
BSsono quotate sui mercati regolamentati dell’E
UROMOT, ma anche
dell’E
UROTLX. Trattandosi di strumenti finanziari generalmente
caratterizzati da un rating elevato (e quindi da livelli di rischiosità
abbastanza basso), la remunerazione prevista per le obbligazioni “asset backed” è piuttosto bassa. D’altro canto, la quotazione sui mercati regolamentati, unita alla presenza di “market makers” (richiesta necessariamente dalla quotazione al T
LX) rendono di fatto abbastanza
“liquido” l’investimento in A
BS.
4. L
E OBBLIGAZIONI STRUTTURATE.
La tipologia delle obbligazioni strutturate presenta una notevole varietà frutto dell’innovazione finanziaria, che ha accentuato la differenza tra i prodotti (in funzione delle variabilità delle situazioni di mercato, dei bisogni e degli interessi espressi dagli investitori al cui risparmio mira l’emittente, ai prodotti finanziari offerti dai competitors, ecc.).
È il caso che questa disamina prenda le mosse da un tipo, le obbligazioni convertibili, espressamente previsto nel codice civile (art. 2420/bis ss. c.c.), ma anche nella disciplina ad hoc dettata per le obbligazioni bancarie (nella normativa secondaria al TUB emanata dalla Banca d’Italia). Si terrà conto poi di una serie di “variazioni sul tema” – elaborate dalla prassi – che non solo hanno ampliato la tipologia, ma contribuiscono a chiarirne i caratteri essenziali.
A. Obbligazioni convertibili, “cum warrant” e “reverse convertible”.
Come si è già provveduto ad evidenziare in altra sede (lezione 3), la principale differenza tra le obbligazioni convertibili e quelle
“cum warrant” risiede nella circostanza che nelle seconde non solo
è possibile esercitare (nei termini, s’intende) la facoltà di acquistare
o sottoscrivere il sottostante allo strike price, ma anche di
negoziare autonomamente i warrants, mantenendo l’altra parte
corrispondente al titolo obbligazionario “puro”. Ci si trova, di fatto,
in una situazione assimilabile a quella prevista nei B
TP, dove si ammette il “coupon stripping” (cioè la negoziazione separata di cedole e mantello). In realtà, però, le obbligazioni convertibili – negoziate sul M
TAe non sul M
OT(e questo costituisce, evidentemente, un altro aspetto peculiare e indicativo) – pur essendo remunerate da un flusso cedolare annuale (come tipico titolo a reddito fisso) sono anche caratterizzate da un valore di mercato “agganciato” a quello delle azioni corrispondenti. Nel caso delle “cum warrant”, invece, sarà solo il prezzo del warrant a variare.
Assolutamente peculiare il caso dell’obbligazione strutturata c.d.
“reverse convertible”: è caratterizzata da un’unica cedola, pagata alla scadenza, molto superiore al livello dei tassi di mercato, giacché “incorpora” il valore di un’opzione “put” ceduta dal sottoscrittore all’emittente al momento della sottoscrizione degli strumenti finanziari. Se il prezzo di riferimento del sottostante alla scadenza corrispondente ad una quantità data di azioni di una tipologia determinata, sarà inferiore al valore di esercizio dell’opzione put, l’emittente sarà legittimato a non rimborsare l’obbligazione, ma a consegnare quel quantitativo di titoli azionari deprezzatisi sul mercato. Se, invece, il prezzo delle azioni al termine del prestito obbligazionario risulterà salito, l'emittente opterà per il vero rimborso delle obbligazioni.
In sostanza, il sottoscrittore dovrà incassare il valore negativo della
differenza tra il valore di riferimento delle azioni all’emissione
delle obbligazioni e alla scadenza, decurtato del valore (positivo)
del “cedolino”.
Questo tipo di obbligazioni strutturate, assai diffuso nel biennio 2000-2001, è oggi di fatto desueto, essendo rimasti “scottati” molti risparmiatori….
B. “Fixed reverse floater”.
Una delle prime obbligazioni strutturate (di grande successo) sono le cc. dd. "Fixed reverse floater": si tratta di obbligazioni a lungo termine (almeno decennale) che si presentano in genere nella tipologia “step-down”, sono cioè caratterizzate da cedole decrescenti (la prima molto elevata rispetto al livello dei tassi sul mercato), per i primi anni. In seguito, diviene “reverse”, cioè indicizzata con andamento opposto rispetto a quello dei tassi (in pratica, il valore delle cedole variabili viene determinato sottraendo ad un tasso soglia dato – generalmente, superiore a quello applicato nella prima cedola – il parametro di riferimento, solitamente coincidente con un determinato tasso praticato sul mercato monetario, moltiplicato per una cifra prestabilita, ad es. 2).
In tal caso, più salgono i tassi a breve, più l'interesse applicato dalla cedola scende, fino ad azzerarsi (qui – nel nostro sistema – non possono esserci cedole negative). Il titolo è molto adatto – ovviamente, più per l'emittente che per i sottoscrittori – in caso di un previsto ribasso dei tassi, poiché tende a diventare una sorta di
“bomba ad orologeria” in caso di rialzo – in particolare, quanto più ancora “lungo” il titolo e tanto più ripida la curva dei tassi.
Un’obbligazione di questo tipo, invece, in un contesto di tassi al
ribasso può dar luogo all’incasso di cedole molto elevate i primi
anni e ad una crescita del prezzo del titolo sul mercato. Viceversa,
in condizioni di mercato differenti – oggi i tassi di mercato sono al
minimo storico – può rappresentare un rischio davvero eccessivo.
C. “Step-up” e “step-down”.
Sono obbligazioni caratterizzate da flussi cedolari predeterminati ma crescenti (step-up) o decrescenti (step-down); in quest’ultimo caso più noto, assicurano cedole più elevate rispetto ai tassi a breve, perché sono parametrate ad un livello leggermente superiore ai tassi a lungo termine, calcolati nel momento dell’emissione. Man mano che ci si avvicina alla scadenza, rendono solo qualcosa in più dei titoli a lunga scadenza più liquidi (come i BTP). In tal caso, l’emittente propone al mercato un titolo a condizioni di rendimento peggiori rispetto a quelle che presenterebbe un titolo a tasso fisso di pari durata offerto dallo stesso emittente, perché riesce ad attrarre i risparmiatori con le prime cedole più alte (risparmiatori che, evidentemente, non considerano il fatto che – anche in condizioni di stabilità per i tassi sul mercato — il prezzo di tali strumenti finanziari sul mercato tenderà a scendere, per compensare l'anticipazione del rendimento fornita con le prime cedole.
D. “Index” o “Equity-linked”.
Sono titoli obbligazionari legati a indici azionari o a singole azioni tramite l'impiego simultaneo di zero coupon bonds e di derivati.
Congegnati su una durata di 3 o 5 anni, con un tasso minimo garantito ma decisamente inferiore ai corrispondenti tassi di mercato a medio-lungo termine (in corrispondenza al costo dell’opzione call sull’index future o della stock option “call”). Al tasso minimo si aggiunge una partecipazione variabile alla media di rialzo del sottostante nel periodo di durate dell'obbligazione. Tale
“premio” di rimborso viene eventualmente corrisposto alla
scadenza del prestito.
Al sottoscrittore si offrono condizioni di partecipazione alla media del rialzo (o del ribasso, nel caso che si tratti di opzione “put”
perché si punta al ribasso dell’indice o dell’azione considerata) tanto più elevate quanto più lunga è la durata del prestito e quanto più basso è il tasso minimo garantito. Il rischio, quindi, è legato al c.d. ‘costo-opportunità” di tassi di mercato più elevati rispetto a quello offerto come minimo garantito.
Un’interessante “variazione sul tema” è costituita dalle obbligazioni “bull and bear”, che rappresentano un tipico esempio dell’impiego in ambito bancario di obbligazioni strutturate. Infatti, ciascuna emittente mette sul mercato un’emissione di obbligazioni suddivisa in due tranches, costituite dallo stesso numero di obbligazioni “bull” – cioè agganciate ad un warrant “call” su un indice azionario (o materie prime) e di obbligazioni “put” sul medesimo sottostante. In tal modo, l’emittente potrà compensare quanto dovrà corrispondere alla scadenza in più ai sottoscrittori
“premiati” da un andamento favorevole del sottostante con quanto avrà risparmiato – in funzione dell’andamento del medesimo indice – sulle obbligazioni dell’altra tranche. È il caso di precisare che questa tipologia di obbligazioni – concepite dopo gli anni ‘Ottanta sulla base di prime applicazioni in Giappone e Germania – legano all’andamento del warrant il diritto al rimborso dell’obbligazione, talché per l’emittente è quell’andamento sull’M
TAa definire l’an e il quantum debeatur rispetto al rimborso dell’obbligazione per la banca, riducendo allora il costo della raccolta in funzione dell’andamento del mercato azionario.
E. “Drop-lock”.
Le cc. obbligazioni “chiavistello” sono titoli a tasso variabile assistiti da una peculiare clausola di garanzia che protegge l’investitore da eccessivi ribassi nei tassi d'interesse: al disotto di una soglia minima di rendimento prefissata (il c.d. “trigger rate” o
“grilletto”) scatta una clausola di conversione automatica in prestito a tasso fisso. Questi titoli, allora, risultano appetibili per il sottoscrittore in fase di discesa dei tassi e con aspettative di consolidamento verso il basso. Se, invece, la discesa dei tassi fosse solo occasionale – e non strutturale – le caratteristiche dell’obbligazione sarebbero meno interessanti. Qualora, infatti, i tassi riprendessero a salire, superando nuovamente la soglia (il tasso che aveva già determinato la conversione irreversibile delle obbligazioni) il sottoscrittore si ritroverebbe con titoli a reddito fisso inferiore ai tassi di mercato.
F. “Dual currency”.
Corrispondono alle obbligazioni “a doppia valuta”: prevedono il pagamento d'interessi – più elevati rispetto a quelli correnti di mercato per la medesima durata – nella medesima valuta di emissione, mentre il rimborso del capitale a scelta dell’emittente può avvenire nella medesima valuta o in un’altra predeterminata, sulla base di un rapporto di cambio fissato al momento dell’emissione. Sembra l’effetto della cessione – da parte del sottoscrittore all’atto dell’emissione del titolo obbligazionario – di una “currency option”, di tipo “put” a favore dell'emittente, pagata con la maggiorazione del tasso d’interesse applicato nelle cedole.
A fronte di un mercato internazionale delle valute segnato in generale da
forte volatilità, per il sottoscrittore di obbligazioni a doppia valuta il
beneficio tenderà ad essere tanto maggiore quanto più stabile risulterà il
tasso di cambio tra le due valute predefinite, evitando rilevanti perdite in
conto capitale che potrebbero erodere il maggiore rendimento offerto dalle cedole.
G. “Target redemption note” (TARN) e “Cap Floater”
TARN e Cap floater sono particolari obbligazioni strutturate che costituiscono una delle relativamente recenti novità proposte dal mercato.
Le prime pagano un valore massimo della cedola che somma i vari flussi per interessi maturati nell’arco degli anni di vita del titolo. Tale valore viene fissato preliminarmente dall’emittente: se viene raggiunto prima della data di scadenza, il prestito viene rimborsato anticipatamente. In caso contrario il rimborso avrà luogo regolarmente alla scadenza.
Generalmente i flussi delle cedole sono fissi – quanto alle prime tre, di livello medio-alto – mentre le successive sono variabili, perché ancorate ad un parametro di riferimento. Questo corrisponde al triplo della differenza tra rendimento dei titoli decennali e rendimento di quelli biennali.
I T
ARN(la sigla sta per Target redemption notes) vengono rimborsati prima della scadenza se la somma delle cedole pagate raggiunge il 25% del valore prestato. Dal momento che l’emissione di questi titoli e iniziata quando il differenziale era ai massimi storici assoluti (situazione che ben difficilmente si potrebbe verificare di nuovo), attualmente potrebbero rivelarsi non proprio “brillanti”.
Le “Cap floater” (sottinteso notes), invece, costituiscono titoli – di solito
sottoscritti da investitori professionali – che offrono cedole variabili con
parametro di riferimento costituito dal tasso E
URIBORa tre mesi, cui viene
sommata una maggiorazione (o spread) pari a uno 0,25% per ogni anno. Se
si teme un rialzo dei tassi eccessivo (rispetto alle previsioni e a quella
misura), l’emittente prevede un valore massimo della cedola (il c.d. “cap”),
evitando così di dover pagare interessi troppo elevati – rispetto alle
previsioni di spesa e al sistema dei costi della propria azienda), ma
consentendo nel contempo all’investitore d’incamerare l’intero aumento dei rendimenti che si sia manifestato sul mercato.
5. L
A“
DURATION”
E IL“
RATING” (
PER UN UNVESTIMENTO“
RAGIONATO”
IN OBBLIGAZIONI O TITOLI DI DEBITO PUBBLICO
)
Come hanno appreso i risparmiatori italiani sulla propria pelle nel corso dell'ultimo decennio, l'investimento in obbligazioni e titoli del debito pubblico non è affatto esente da rischi (o “risk free”). Esistono, tuttavia, una serie di strumenti informativi e concettuali utili a governare i rischi caratteristici dell’investimento in obbligazioni.
Nel prosieguo si tenta di enumerare e cominciare ad analizzare almeno alcuni degli strumenti in questione:
Una delle “misure” più utilizzate per governare uno di questi rischi è la “duration” cioè la media delle scadenze d’incasso del cash flow generato dal titolo, ponderata per il prezzo dell’obbligazione. Esso è legato alla durata finanziaria di un’operazione d’investimento e quindi alla relazione tra il tempo residuo dell’operazione, prezzo del titolo e i flussi finanziari generati da essa; dunque, quanto occorre all’investitore per “rientrare” in toto dal proprio investimento;
La c.d. “liquidità” dei titoli – obbligazionari, ma non solo –
rappresenta, di fatto, la maggiore differenza tra le obbligazioni del
comparto pubblico e quelle del comparto privato. È legata al
maggiore o minore facilità, per l'investitore, di “monetizzare” il
proprio investimento, senza dover fidare sulla disponibilità e solidità
finanziaria dell'emittente ma profittando della presenza di un mercato
secondario (nel caso dei titoli di debito, M
TS, E
UROMTS, M
OT,
E
UROMOT, T
LXed E
UROTLX, per citare solo alcuni dei mercati
regolamentati italiani). La mancanza di un mercato dove siano in
concreto negoziabili gli strumenti finanziari di cui l’investitore è
titolare aumenta il rischio d’illiquidità del suo investimento e, di conseguenza, deprime il prezzo del titolo;
I “tassi d'interesse” che, nella loro varietà, legata all’orizzonte temporale del prestito, alla rischiosità dell’impiego, a fattori geo- politici, ecc., possono incidere anch’essi sul prezzo dell’investimento. Il c.d. “rischio tassi” si concretizza in variazioni impreviste dei tassi, legate a:
Variazioni del T
US(T
ASSOU
FFICIALE DIS
CONTO) da parte della BCE: se aumenta il costo del denaro per banche ed imprese d’investimento, è probabile che queste trasferiscano
“a cascata” l’aumento di costo sulla clientela. In particolare, a variazioni del tasso d’inflazione attese nel Paese – anche in rapporto all’Area Euro – le autorità monetarie reagiscono alzando il T
US;
Si modifica – in senso deteriore – il rating dell’emittente: è naturale che, per compensare la riduzione della fiducia dei risparmiatori-investitori, l’emittente debba offrire migliori condizioni di prestito (o, forse, dare ulteriori garanzie);
Tra tassi a breve e tassi a lungo sussiste un differenziale – legato alla necessità di compensare una maggiore incertezza della posizione “lunga” rispetto ad una “breve”, forse anche una maggiore illiquidità della posizione lunga – che è riscontrabile anche tra gli interessi richiesti per i prestiti a seconda che siano o meno assistiti da garanzie (o caratterizzati da un rating più o meno elevato);
La “valuta” in cui sono misurati i diritti – di restituzione e di
remunerazione – del titolare di un’obbligazione e le facoltà di
chi opera in derivati, costituisce non solo un elemento utile a
diversificare le emissioni e i titoli in circolazione, ma un
autonomo fattore di rischio, capace d'influenzare l'entità della remunerazione e il valore dei titoli sul mercato;
Il “rating”: come s’è già accennato in precedenza, l’affidabilità del debitore (come pure del sistema-Paese – e quindi dell’economia nazionale – in cui opera) viene periodicamente “misurata” da soggetti autonomi e specializzati, costituiti come società internazionali di rating (le tre più importanti sono: MOODY'S, STANDARD & POOR'S e FITCH). Il "declassamento" di un’emittente influisce sul valore dei titoli emessi dallo stesso sul mercato, ma contemporaneamente anche sul livello di remunerazione preteso per sottoscrivere una nuova emissione. Dunque, il rating rappresenta un indicatore molto rilevante per gli investitori, paragonabile ad una “linea guida” delle proprie scelte d’investimento e disinvestimento, ma anche per gli emittenti che vogliono ottimizzare la propria struttura economico-finanziaria e la propria operatività sui mercati.
6. R
ISCHIO“
SPECIFICO”
E RISCHIO“
SISTEMICO” (
RISCHIO-P
AESE,
RISCHIO