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La Copertina d Artista Ottobre 2016

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Academic year: 2022

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La Copertina d’Artista – Ottobre 2016

Raffaello Castellano (104)

Un manifesto, un telegramma, una vera e propria icona fa da copertina al nostro 30esimo numero di Smart Marketing. Il messaggio è chiaro, quasi cristallino, nella sua immediatezza, come solo un’opera pop sa essere.

Vediamo nella metà superiore tre leader politici che il martellamento mediatico ha reso ormai familiari: da destra riconosciamo un iroso Donald Trump, al centro una decisa Angela Merkel e, a sinistra, un’accigliata Hillary Clinton. I due candidati alla presidenza americana stanno litigando e la Merkel pare quasi in posa per uno spot elettorale, ma è la metà inferiore dell’opera a colpirci ancora di più.

Vediamo tre bidoni metallici che nella forma ricordano la Campbell Soup di Andy Warhol e nei colori di sfondo il pacchetto di sigarette della Marlboro; ma è quello disegnato sopra ai fusti che è infinitamente più interessante, il volto, anzi meglio, la testa di una ragazza dall’espressione terrorizzata, ed insieme rassegnata, ci osserva mentre un rivolo nero, non di sangue, ma di un altro liquido, gli scorre sulla guancia. Sul bidone centrale, una grossa iscrizione ci chiarisce ancor meglio la natura del liquido e il messaggio generale dell’opera: “Oil & Money no Humanity”.

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M i g u e l G o m e z , l

’artista di questo numero di Smart Marketing.

L’opera ci attrae e ci respinge nello stesso tempo, il suo messaggio ci arriva in faccia, forte e sonoro, come uno schiaffo; tutto in quest’opera è collocato per crearci un senso di disagio, di nervosismo, quasi di rabbia. Proviamo disagio davanti alla rabbia dei due contendenti alla presidenza americana:

essi litigano, ma i loro toni esacerbati, le loro urla sono quasi udibili. Proviamo nervosismo davanti al dito puntato della Merkel, che pare scimmiottare i manifesti di propaganda statunitensi per il reclutamento dello Zio Sam. Ora come allora, veniamo chiamati al sacrificio, al dovere di stato, all’abnegazione per un alto e non ben definito ideale europeo. Proviamo rabbia e disagio per quella donna raffigurata sui bidoni di petrolio, anzi, per la sua testa che pare tagliata sul patibolo degli interessi internazionali. Soprattutto una cosa ci procura disagio: quel rivolo di sangue/petrolio che le cola dalla bocca, sappiamo che sgocciolando sul pavimento si sta addensando in una pozza, è come un torrente in piena, melmoso e putrescente, ci travolgerà con il suoi flutti. La donna pare osservarci, anzi, il suo sguardo suona come una condanna, perché in un mondo di consumatori compulsivi, come noi siamo, nessuno di noi, è esente da colpe e responsabilità.

A b b a n d o n o , a c r

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ilico su tela.

Una dichiarazione d’intenti, un manifesto artistico/politico, delle intenzioni e delle passioni che si agitano nel cuore e nell’animo dell’artista Miguel Gomez, al secolo Michele Loiacono, classe 1962, che fin da piccolissimo, ha la fortuna di frequentare gli atelier di Pablo Picasso, Bernard Buffet e Salvador Dalì. Frequenta il Liceo artistico di Bari e dopo un pellegrinaggio artistico per le strade d’Europa, rientra in patria e frequenta l’Accademia di Torino. Sulla scena artistica dal 1978, quando a Bari vince il premio per L’artista più giovane d’Italia, Miguel Gomez sperimenta tecniche e materiali diversi, come l’incisione che lo porterà, dal 1987 al 1994, a collaborare con artisti quali Emilio Greco, Aligi Sassu, Renzo Vespignani ed Enrico Baj.

Dal 1994 si dedica alla ricerca di nuove espressioni artistiche e dal 2009, oltre che con la pittura, Miguel Gomez si esprime attraverso la body art, la performance art, la video art e le installazioni.

Nel 2013 inizia la collaborazione, producendo un video art e performance, con l’artista Vincenzo Lo Sasso (artista che ha fatto parte della factory di Andy Warhol), partecipando con il video art “The creature of birth and sorrow”, alla mostra “I fiori dell’aglio”. Sempre nel 2013 collabora, con una sua performance di body art, alla mostra antologica del M° William Tode, ultimo artista vivente del gruppo dei neorealisti ed ex direttore dell’Ufficio Studi del museo degli Uffizi di Firenze. Curatore di eventi internazionali quali Women in…Art, Xchange, attualmente è art director per le arti visive e performative di Artoteca Vallisa, Santa Teresa dei Maschi-Bari, art director di Notti Sacre d’Arte, presidente dell’A.P.S Federico II Eventi e direttore artistico di Bibart, Biennale Internazionale d’Arte di Bari città Metropolitana.

M a t e r e t F i l i u s

, acrilico su tela.

Dal 1978 ad oggi ha esposto in oltre 70 mostre in Australia, USA, Grecia, Francia, Inghilterra, Germania, Olanda, Croazia ed Italia.

Ultime mostre:

2016

Personale “Mater et Filius”, Palazzo Vescovile di Lucera (FG);

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Personale di pittura “Women’s”, Calleria Ce.Ma.Ci, Matera;

2015

Videoart “La Creazione”, Cattedrale di Barletta;

Videoart “La Creazione”, Duomo di Cerignola, Cattedrale di Troia, Cattedrale di San Sabino Bari;

Videoart “Tango del amor sin palabras”, Buje-Croazia;

Video art “Neiala”, Polo Museale di Ascoli Satriano (FG);

Arte Notte video art “Women”, Piazza San Rocco Cerignola;

Performance su “Homo homini virus”, con Antonio Bilo Canella, Daniele Casolinio e Ilaria Palomba, per il compleanno di Nero Gallery presso il Brancaleone, Roma;

Personale “Women’s”, Club Mad;

C i n t y a , a c r i l i

co su tela.

Video Art “Poema della Croce”, per concerto della Polifonica Biagio Grimaldi sulle musiche della

“Via Crucis” di Franz Liszt;

Performance “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” con Ilaria Paolmba, Daniele Casolino, Closer Roma;

2014

Performance ‘Io sono un’opera d’arte’ con Ilaria Paolmba, Art Gallery under the road Bari;

Personale ‘Madonne’, Chiesa di Santa Teresa dei Maschi Bari;

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Personale ‘Madonne’, Cattedrale San Pietro Apostolo Cerignola (FG);

Personale ‘Madonne’, polo museale Ascoli Satriano (FG);

Personale ‘Women’s’, Home Gallery ‘Find me’, Policoro (MT);

“Pollination London Biennale” Londra (GB).

Per informazioni e per contattare l’artista Miguel Gomez: miguelgomez.paint@gmail.com

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo alla nostra redazione: redazione@smarknews.it

Lo Specchietto Retrovisore:

amministrazione Trump alla "prova del 9"

Christian Zorico (87)

Tra un divieto sull’ingresso negli Stati Uniti per persone e l’altro sui tablet da spedire rigorosamente nelle stive degli aerei provenienti da 8 Paesi inseriti nella lista nera, era inevitabile giungere al primo v e r o a p p u n t a m e n t o p o l i t i c o d e l l a n u o v a amministrazione Trump. Politica la decisione sull’approvazione della riforma sanitaria, perché si

evince il grado di consenso che gode il nuovo Presidente da parte del congresso. Non priva di implicazioni economiche perché presagio di quanto difficile sia l’attuazione dell’intera agenda promessa da Trump. Contabilmente, solo da calcoli ragionieristici, è evidente che il taglio fiscale ora diventa più difficile. Non è pertanto un discorso puramente ideologico. Quando si parla di budget, ci si riferisce più propriamente a regole di prudenza e disciplina fiscale. Ogni annuncio o urla

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mediatica che proviene da Trump o dal portavoce della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, sembra perdere credibilità.

Come si traduce questo primo intoppo politico in termini di reazione dei mercati sembra ancora più arduo decifrarlo. La decisione prevista per giovedì e poi rimandata a venerdì su Trumpcare, ha causato una breve correzione dei mercati azionari. Poi gli indici hanno riguadagnato dai minimi di giornata grazie anche all’ennesima rotazione settoriale. Auriferi e soprattutto Servizi e Enti Ospedalieri hanno fatto la loro parte da leone. Nel frattempo i rendimenti del Treasury continuano a segnare nuovi minimi relativi, scontando poche probabilità per un rialzo a Maggio e incorporando una probabilità poco superiore al 50% per il rialzo di Giugno. Una quasi anomalia, visto il piano di rialzi annunciato dalla FED: credibilità limitata e eccessiva dovishness pesano molto sul livelli della curva US.

Ultimo tassello del puzzle? I risultati aziendali hanno segnato nell’ultimo trimestre un buon andamento. Se confermata questa forza negli utili, l’azionario può ancora segnare nuovi massimi.

Restano da fare solo due osservazioni, meglio ancora lasciare il giusto spazio a degli interrogativi un po’

contrarian rispetto al consensus che possiamo osservare nelle valutazioni azionarie. Dal punto di

vista macro: se è vero che parte del rally dell’equity è stato trainato dalle promesse di Trump, quel target di crescita del 2%-4% probabilmente è più giusto ridimensionarlo tra l’1% e il 2%. L’incentivo fiscale si potrebbe affievolire, attestandosi vicino all’obiettivo portato avanti dalla precedente amministrazione intorno al 30%, di certo lontano dall’ambizioso taglio sulle aziende previsto tra il 15% e il 20%.

E se il micro al momento ci rassicura, ricordiamoci che gli utili sono comunque dei dati che riportano un certo ritardo rispetto allo stato dell’economia. In particolare ai picchi del ciclo si susseguono anche un paio di trimestri in cui le aziende continuano a segnare utili in crescita.

Christian Zorico: LinkedIn Profile

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Lo Specchietto Retrovisore: nelle mani della Fed

Christian Zorico (87)

Come scritto nel precedente Specchietto Retrovisore, l’attenzione al momento è catalizzata dalle Banche Centrali e se non si vuole parlare apertamente di guerra valutaria, resta comunque evidente lo “zampino” della Yellen nel movimento del Dollaro delle ultime giornate.

L’indebolimento del biglietto verde ha una motivazione ben precisa: la FED mercoledì scorso si è palesata più dovish di quanto il mercato ormai scontasse. Il FOMC rialza di 25 punti base il tasso di riferimento, elabora solo piccoli cambiamenti rispetto alle sue previsioni precedenti, eppure è il tono della Yellen a declinare la reazione dei mercati. Siamo in una stagione di rialzi, ma le condizioni di fondo restano accomodanti e soprattutto le previsioni di inflazione sembrano non preoccupare i membri del FOMC, pronti in effetti a “tollerare” livelli temporanei di inflazione superiori al target del 2%.

E allora la FED resta ancora una volta posizionata “dietro le curva” e lo scenario di goldilocks sembra essere tornato il tema principale. Tassi né troppo alti, né troppo bassi, comunque in linea con i livelli di crescita dell’economia americana, una

situazione ideale per gli asset più rischiosi. E infatti la festa continua per l’azionario e, come ribadito in altre circostanze, il rally a cui abbiamo assistito post elezioni in USA, non è tutto da ascrivere alle promesse di Trump in materia fiscale. Il dollaro più debole, benché in un contesto di rialzo tassi, rappresenta un supporto per le materie prime, continua a far veicolare flussi degli investitori verso i Paesi Emergenti e aiuta, in ultima istanza, la bilancia commerciale degli Stati Uniti.Solo un elemento resta

da prendere in considerazione in questo contesto. La voglia di rendimento ha spinto gli investitori a comprare il 10 anni Treasury americano e riportarlo in area 2.5%, calmierando così un eventuale steepening della curva. Al momento per contro il rendimento dell’azionario misurato dal suo dividend yield si attesta all’1.70% per l’indice S&P.

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L’investitore di lungo periodo continuerà comunque a pensare in chiave “relative” e probabilmente ogni volta che l’unico bond governativo in grado di offrire rendimenti interessanti testerà livelli più alti, verrà ben acquistato dal mercato soprattutto in uno scenario in cui l’inflazione attesa sembra non preoccupare più così tanto, almeno sulla long-end della curva.

Christian Zorico: LinkedIn Profile

Lo Specchietto Retrovisore: Questione di Banche Centrali

Christian Zorico (87)

È Mario Draghi il protagonista della settimana appena trascorsa. La Banca Centrale Europea lascia invariato il tasso di deposito al -0.40%, mantiene il tasso di rifinanziamento allo 0% e conferma che il programma di Quantitative easing sarà in vigore almeno fino a dicembre di quest’anno.

L’atteggiamento dovish che si evince quando Draghi

evidenzia che i tassi rimarranno a questi livelli o addirittura inferiori per un periodo di tempo esteso, si controbilancia con la frase in cui il presidente della BCE dichiara di non intravedere più un vero senso di urgenza nell’intraprendere ulteriori azioni di easing. Si rifà esplicitamente al testo di politica economica che per la prima volta omette l’espressione “utilizzare tutti gli strumenti necessari”.

Si avverte una rottura nella continuità: pur prendendo in considerazione i rischi politici legati a Francia e Olanda, Mario Draghi non può far finta di nulla sui progressi dell’Eurozona. Il rischio

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deflazione sembra preoccupare meno e così la reazione dei mercati non si fa attendere.

I rendimenti dei paesi Core subiscono gli incrementi maggiori e, per contro, è l’Euro che si rinforza sulle altre valute. In particolare, rispetto al dollaro guadagna lo 0.34% nella sola giornata di giovedì per continuare la sua corsa oltre 1.07 nella giornata di venerdì.

È lo spread 2 anni US/GR che guida le danze e con il rialzo di marzo della FED praticamente prezzato dal mercato, la pressione inevitabile si è riversata sul cross EUR/USD. Il mercato azionario invece ha ancora una volta reagito in maniera sopita, in attesa della decisione della FED di mercoledì.

Sarà importante a questo punto comprendere quale sarà il percorso di rialzo dei tassi. Oltre al rialzo di marzo, il mercato si attende altri due interventi entro la fine dell’anno. La via verso la normalizzazione potrebbe subire una ulteriore accelerazione per far fronte alla nuova politica di Trump. Tuttavia, tra una serie di appuntamenti politici, sarà l’abilità comunicativa e le relative azioni delle banche centrali a delineare i nuovi equilibri. Sarà ancora guerra valutaria, non dichiarata, ma certamente determinante per la bontà e tenuta degli equilibri commerciali.

Christian Zorico: LinkedIn Profile

Lo Specchietto Retrovisore: Indicatori economici e mercati "in attesa".

Christian Zorico (87)

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L’idea iniziale di questa rubrica era quella di catturare quanti più spunti possibili dalla settimana appena trascorsa al fine di poter aver qualche strumento in più per affrontare quella seguente, per incontrare i mercati finanziari del prossimo futuro su un terreno meno ignoto. L’ambizione è sempre stata quella di poter catturare i movimenti di medio termine attraverso una lettura più puntuale del breve termine.

E allora veniamo a quanto accaduto nei giorni scorsi e in particolare soffermiamoci sulla price action dell’azionario e dei governativi. Doveva essere la settimana del fisco americano, in una settimana caratterizzata dal continuo flusso di informazioni provenienti dalla Francia chiamata alle urne ad Aprile.

E invece il Presidente Donald Trump che parla al popolo per l’ennesima volta e si rivolge pochissimo al mercato, non rappresenta un evento in grado di mutare l’euforia dei mercati azionari.

Da un lato Trump è abile a procrastinare il momento in cui verrà valutata la nuova amministrazione e dall’alto i mercati attendono pazienti. E questa pazienza va letta in chiave economica, non fiscale. Inizia ad essere evidente che il rally dell’azionario abbia in sé qualcosa di non esplicitamente legata alle promesse di Trump. Probabilmente ne rappresenta un acceleratore, ma alla base resta l’ottimo andamento del primo trimestre in termini di dati macroeconomici e i buoni risultati aziendali.

Infine, la FED, che appare più aggressiva, si toglie dall’imbarazzante posizione che ha avuto sino ad ora di restare dietro la curva dei tassi e così, la Yellen, completa il lavoro svolto da altri governatori nel corso della settimana suffragando il rialzo di marzo come altamente possibile. È la parte a breve che ha reagito più fortemente, cosi come le aspettative di inflazione. Il breakeven a 2 anni che si impenna di più del 10 anni racconta una narrativa un po’ diversa rispetto all’inizio del reflation trade. La FED sembra abbia intenzione di controllare eventuali effetti distorsivi della nuova politica fiscale ed infatti è solo l’inflazione a breve che segnala ancora del

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potenziale upside.

Inoltre la componente più lunga governativa sembra offrire un messaggio di rinnovata cautela.

Guardando l’inversione che si è avuta nello spread 30-2 anni (passato da 200 punti base verso la fine del 2016 agli attuali 175 punti base) si evince un rinnovato pessimismo che un po’ stona con la price action degli indici azionari.

E allora cosa succede all’azionario? Perché si continua a comprare equity malgrado sia decisamente caro? Una risposta è in quanto abbiamo detto poco fa: l’economia continua a macinare dei buoni numeri segno che i fondamentali sono ancora a supporto delle quotazioni aziendali e, dall’altro, abbiamo una Federal Reserve prontamente in grado di intervenire, ma al tempo stesso capace di influenzare maggiormente la parte a breve termine della curva US. Inoltre, tecnicamente gli investitori sostituiscono ad ogni nuovo massimo l’esposizione in singole azioni, attraverso call option out of the money. Il prezzo di questi strumenti è salito nelle ultime sessioni, segno che il mercato è disposto a pagare un premio più alto per non perdersi l’ultima coda del rally, ma al tempo stesso non ha voglia di restare investito nel sottostante.

Sebbene i segnali provenienti dall’azionario e dall’obbligazionario possano sembrare contrastanti, è anche vero che probabilmente l’investitore tipico dell’equity ha probabilmente letto in maniera esatta l’atteggiamento delle banche centrali comunque a supporto dei risky assets. Non è cambiato molto rispetto all’anno precedente. La liquidità resta ancora un fattore determinante e sebbene ci siano dei segnali di allerta, come gli spread sull’HY o sui bond emergenti ai minimi del 2014, bisogna stare molto attenti a mettersi contro un treno in corsa. Un occhio nello

“Specchietto Retrovisore” e un occhio vigile davanti a noi per poter scendere, anche rocambolescamente da un treno che corre, e corre sempre più forte.

Christian Zorico: LinkedIn Profile

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La Copertina d’Artista – Febbraio 2017

Raffaello Castellano (104)

Immagini potenti e forze indicibili si agitano dinnanzi ai nostri occhi e ci sgomentano. Un’infinità di percorsi si intrecciano e si aggrovigliano. Un disordine infinito ci lascia interdetti, ma allo stesso tempo ci affascina e ci rapisce. Davanti a noi si aprono orizzonti inesplorati, insospettabili sentieri e nuove frontiere. Ma, come novelli esploratori, come angeli caduti del paradiso, quelli che si addentrano in queste nuove dimensioni perdono i loro riferimenti, le loro coordinate, la ragione, e si trascinano su questa nuova terra come naufraghi, come estranei, come folli ambasciatori di bellezza.

Un caos primigenio, un caleidoscopio di colori, una tagcloud, o meglio una fotocloud, complessa, stordente quasi, ci travolge dalla copertina d’artista di febbraio. Foto, immagini, in qualche caso vere e proprie icone, si susseguono senza soluzione di continuità, senza ordine, senza equilibrio. Il tutto pare essere il risultato di un big bang primordiale che ha scagliato meteore mediatiche, asteroidi sensoriali e pianeti significanti in uno spazio che fino ad un istante prima era un vuoto cosmico.

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L

’ a r t i s t a d i q u

esto numero Vincenzo Mascoli.

Ma se c’è una cosa che l’arte ci ha insegnato (lezione che i nostri lettori hanno appreso fin troppo bene) è che, per quanto criptica, astratta, complessa, intricata, minimalista, ermetica, sovrabbondante essa possa essere, l’arte possiede certamente un suo ordine, un suo equilibrio, una sua identità e un messaggio che in qualche modo vuole raggiungerci.

Ma questa volta il messaggio non pare uno, ma molti; siamo letteralmente sommersi da un’infinità di letture possibili, di possibili interpretazioni, di possibili sensi. Più che un messaggio l’artista pare averci proposto un saggio, un testo, o meglio un vero e proprio manifesto della sua maniera di intendere la contemporaneità, la sua cifra stilistica e la missione sociale stessa dell’arte contemporanea.

Il paragone con il manifesto è quanto mai calzante: l’immagine che al centro vede una bambina che piange, che si dispera, è contornata da un corollario di figurine che sono una vera e propria antologia di autentici “maghi della terra”. Riconosciamo scienziati come Einstein, Tesla ed Edison;

attori come Nicholson, Totò e Villaggio; innovatori geniali come Jobs e Zuckerberg; personaggi storici importanti come Bowie, il Che, Caravaggio; uomini politici come Trump, Putin e Papa Francesco; addirittura mitici personaggi dei cartoni animati come l’Uomo Tigre, Peter Griffin e Homer e Bart Simpson.

Il manifesto rappresenta una vera e propria lista di personaggi notevoli, un compendio di visioni del mondo e, come tutti i manifesti che si rispettano, l’opera “Story” rappresenta pure una precisa dichiarazione d’intenti, una autentica chiamata alle armi.

Ma chi è l’artista che sta dietro alla realizzazione di questo manifesto? Chi è l’artefice di quest’opera che ricorda, e molto, i manifesti strappati di Mimmo Rotella, anche se, là dove il grande artista calabrese operava un’azione di asporto di materiale per rilevare l’essenza delle cose e dei fatti, qui il nostro artista, Vincenzo Mascoli, classe 1982, di Corato, agisce al contrario, accumulando ed addensando significati possibili su un supporto che a stento riesce a contenerli.

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Due maniere assai simili e al contempo estremamente diverse di far emergere la verità dei fatti, l’essenza delle cose, il nocciolo della questione. Due cifre stilistiche separate da oltre 60 anni (i primi decollage di Rotella sono del 1954) e dalla rivoluzione digitale che hanno prodotto i collage di Vincenzo Mascoli, che, nonostante le differenze di tecnica e di stile, pare un figlio illegittimo, un allievo ribelle del grande artista pop calabrese.

Due lauree, una in scenografia e l’altra in pittura, Vincenzo Mascoli comincia ad esporre con regolarità dai primissimi anni del nuovo secolo, in diverse mostre collettive e personali. Da sempre affianca l’attività artistica con quella di scenografo, che lo porta a collaborare con diversi teatri, produzioni e compagnie teatrali. Dal 2012 è Direttore di scena per il Teatro Comunale di Corato.

Ultime mostre:

2012

Public Jubilee, “I volti della notte”, Corato (BA) – Berlino – Londra – Amsterdam – Miami – New York – Milano (in progress);

“Profondamente_Superficiale” evento collaterale: “Andy Warhol. I want to be a machine” Castello Aragonese Otranto;

“Framment_Azione”, Laterza (TA) Palazzo Marchesale.

2013

“Sequenze di Racconto”, 83 Pitti Uomo Immagine Firenze;

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“Gutai”, San Francisco Art Istitute;

“Metafisica a Sud”, evento collaterale a De Chirico Castello Aragonese Otranto;

“Ètuttoungioco”, pinacoteca Civica Miani Perotti Cassano;

2014

Artèpop galleria La Bottega dell’Arte Ostuni;

“At Full Blast!”, Acquaviva Bari;

“Aniconica”, Galleria Babylon Roma;

“Stone”, Masseria Torre di Nebbia;

“Artisti in Luce”, Nuovo Padiglione Fiera del Levante Bari;

“Faces Contemporary”, Museo Storico Mosca – V Edizione del Festival dell’Arte Italiana Suggestione di Puglia a Mosca;

2015

“+ x il Nepal”, Teatro Margherita Bari, Fable Miami galleria Opera d’arte;

Anima|le Arte Fiera Padova;

2016

“Come Moscarda in Maschera”, Comune di Putignano evento collaterale Carnevale di Putignano.

Per informazioni e per contattare l’artistaVincenzo Mascoli:

www.vincenzomascoli.it

vincenzomascoli@hotmail.it

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo

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alla nostra redazione: redazione@smarknews.it

Editoriale Febbraio 2017 – Raffaello Castellano

Raffaello Castellano (104)

È strana la storia che alle volte accompagna la fortuna dei prodotti culturali, siano essi film, spettacoli teatrali, canzoni o libri.

Mi riferisco a quelle particolari storie che, per originalità e fantasia, potrebbero esse stesse finire nelle pagine di un racconto, di una novella, di una sceneggiatura o nel testo di una canzone.

Prendiamo una di queste storie, emblematica e rappresentativa di quanto appena detto, storia recente, anzi, recentissima.

Questa storia mette insieme, come solo i narratori più grandi sanno fare, cultura alta e cultura popolare, il classicismo più puro con il mainstream più contemporaneo, un saggio scientifico degli anni ’60 del secolo scorso, che fece scalpore, con un testo dissacrante ed una canzone orecchiabile e soprattutto ballabile.

Molti di voi, a questo punto, ci saranno arrivati: sto evidentemente parlando della canzone di Francesco Gabbani, vincitrice dell’ultimo Festival di Sanremo, “Occidentali’s Karma” e degli effetti, fra i tanti che ha innescato, che ha avuto sulla vendita e ristampa del libro “La scimmia nuda” dello zoologo ed antropologo Desmond Morris, a distanza di quasi 50 anni dalla sua uscita.

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Ma quali sono le implicazioni profonde, i sottili fili che legano in un ordito coerente due trame così distanti fra loro?

Cominciamo dal libro, che per distanza e tempo è sicuramente meno conosciuto della canzone di Francesco Gabbani. Desmond Morris, un antropologo e zoologo inglese che aveva lavorato presso lo zoo di Londra, dà alle stampe “La scimmia nuda” nel 1967.

In questo saggio, applicando il metodo di studio tipico degli zoologi, decide di parlare dell’uomo, la scimmia nuda appunto, come se si trattasse di una

“qualunque” specie di animale.

Nel libro, scritto in un linguaggio semplice, a tratti divertente, ma rigoroso e mai banale, l’animale uomo viene costantemente confrontato con i suoi “parenti” più prossimi: scimpanzé, oranghi e gorilla, ravvisando le numerose similitudini comportamentali che sussistono fra le varie specie.

Furono soprattutto i gesti legati a comportamenti di corteggiamento, sessuali ed alimentari, quelli più interessanti e sorprendentemente simili a quelli degli altri primati che destarono, e destano ancor oggi, maggior scalpore e curiosità nei lettori che decretarono il successo di vendite di questo testo alla sua uscita.

Poi, dopo la fine degli anni ottanta, pur rimanendo un testo, conosciuto e citatissimo, il libro di Desmond Morris finisce in parte nel dimenticatoio. Ma ad un certo punto, ed almeno per noi italiani, arriva il febbraio 2017, la 67esima edizione del Festival di Sanremo e un ragazzo di poco più di 30 anni che, con una canzone irriverente, originale, coltissima e orecchiabile mette insieme gli studi classici del liceo (panta rei), i film dell’infanzia (Singin’ in the rain), i drammi shakespeariani (essere o dover essere) e, appunto, la scimmia nuda di Morris (la scimmia nuda balla) e decreta, per uno strano, ma non troppo, effetto domino, il nuovo successo del libro, del suo autore e delle tematiche antropologiche.

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Il successo e l ’ e c o m e d i a t i c o d e l l a canzone di G a b b a n i v a r c a addirittura i c o n f i n i nazionali e g i u n g e p e r f i n o all’orecchio d e l p r o f .

Desmond Morris, che, in un’intervista a Repubblica di qualche settimana fa, si complimenta con il giovane cantautore sottolineando e lodando la sensibilità e l’originalità del modo in cui le sue tesi sono affrontate nel testo della canzone.

Ma perché ho fatto tutto questo lungo excursus sulla canzone di Gabbani ed il libro di Morris?

Cosa hanno in comune le due storie qui tratteggiate, anche se interessanti, con l’argomento del nostro mensile, “Les Magicien de la Terre” (I maghi della Terra), che nelle nostre intenzioni vuole parlare della scienza e dei traguardi che ci ha permesso di raggiungere?

Poco parrebbe, ma in realtà moltissimo. Il titolo del nostro magazine è, come il mese scorso, dedicato ad una grande rassegna d’arte contemporanea omonima, Les Magicien de la Terre, che si svolse al Centro Georges Pompidou di Parigi nel 1989; fu la prima grande mostra d’arte contemporanea che pose al centro della sua riflessione le tematiche della “globalizzazione”, fu la prima mostra di richiamo internazionale ad offrire un’ampia vetrina all’arte contemporanea africana, oltre a cadere in un periodo storico particolarmente interessante.

Nel 1989 cadde il muro di Berlino e per molti storici questo significò la fine “vera” del secolo breve;

fu presentato il protocollo del World Wilde Web, e per molti studiosi questo significò l’inizio dell’era digitale. Inoltre l’89 rappresentava la fine degli edonistici anni ’80 ed il passaggio a quella terra di mezzo, sia storica che esistenziale, che furono gli anni ’90 del secolo scorso. In tutto questo trambusto e trapasso, irrompe la mostra Les Magicien de la Terre e, come sempre accade, fu l’arte a

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fare da profeta e ad offrire una visione del futuro prossimo venturo.

Un futuro che oggi tutti noi “abitiamo”, un futuro sfaccettato, interconnesso, complicato e complesso nel quale ci muoviamo a vista e nel quale costantemente si ripresenta lo scontro fra il nostro essere tecnologico e le nostre conquiste scientifiche da una parte, e il nostro comportamento ancora radicato e governato dagli istinti e dalle nostre passioni animali dall’altra.

Un vero e proprio gap evoluzionistico che la scimmia nuda, che fu prima di Desmond Morris e poi di Francesco Gabbani, ha riportato alla ribalta sia mediatica che, cosa ancora più fondamentale, delle nostre coscienze.

Quindi il cerchio si chiude: arte, cultura, antropologia, zoologia e canzone d’autore si mischiano, si mescolano, si amalgamano. Diventano qualcosa che non è semplicemente la somma dei suoi singoli componenti, ma qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, qualcosa di altro, qualcosa che ha a che vedere con la nostra natura, il nostro futuro, ma pure, e soprattutto, con il nostro destino ed il nostro essere più profondo, in una parola, con il nostro karma, anzi con il nostro occidentali’s karma.

Buona lettura.

Raffaello Castellano

Editoriale Febbraio 2017 – Ivan Zorico

Ivan Zorico (108)

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Questi primi mesi del 2017 sono stati fortemente segnati dalla politica o, per meglio dire, dagli uomini politici. Uno in particolare, Donald Trump (Presidente degli USA), ha catalizzato l’attenzione dei media (tradizionali e non) con una serie di dichiarazioni e decisioni alquanto discutibili. In serie: la costruzione di una cinta muraria al confine con il Messico, la costituzione di una “lista nera” contenente 7 paesi islamici, “tweet impazziti” ed affermazioni non proprio esatte (per usare un eufemismo), come quella che avrebbe visto la Svezia essere vittima di un attentato terroristico, poche ore prima del suo intervento.

Ma a fare da contraltare, oltre a grandi manifestazioni di massa a favore dell’immigrazione, vista come portatrice sana di progresso, multiculturalismo e base fondante dei valori statunitensi, si sono eretti anche i grandi colossi hi-tech e multinazionali. Tutte Corporate che hanno fatto proprio dell’integrazione e dell’apertura globale, il loro punto di forza. Google, Facebook, Apple e Starbucks hanno quindi preso una ferma posizione, in totale disaccordo con quanto promosso dall’amministrazione Trump.

Così Mark Zuckerberg ha scritto su Facebook: “Se non ci fossero stati gli immigrati in Usa non ci sarebbe stata questa grande nazione con la sua forza economica, politica e sociale”.

Tim Cook di Apple, dal canto suo, ha dichiarato: “Apple non esisterebbe senza l’immigrazione, per non parlare della crescita ed il nostro modo di innovare”. So che tanti di voi sono profondamente preoccupati per l’ordine esecutivo emesso ieri che limita l’immigrazione da molti paesi a maggioranza musulmana. Condivido le vostre preoccupazioni: non è una politica che sosteniamo”.

Google ha deciso di donare 4 milioni di dollari a favore degli immigrati e dei rifugiati colpiti dalle politiche dell’amministrazione Trump, attraverso il finanziamento di quattro organizzazioni umanitarie.

Infine, Starbucks, ha dichiarato la volontà di assumere diecimila immigrati in tutto il mondo nei prossimi 5 anni, partendo proprio dagli USA.

Queste grandi Compagnie, con queste tipologie di azioni, hanno pertanto dimostrato di essere capaci oltre che di “governare” le nostre vite, di modificare le nostre abitudini e comportamenti, anche di potersi frapporre a scelte populiste come lo “stop all’immigrazione”, promosso da Trump.

Insomma, oggigiorno, i grandi della Terra sono certamente loro. Ed è proprio a loro che dedichiamo il nostro numero.

Buona lettura.

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Ivan Zorico

Quanto le nostre azioni sono effettivamente nostre?

Stefania Alvino (4)

Il Quinto Potere, la forza di dirigere le masse e favorire le scelte, dove la digitalizzazione ne è solo lo strumento.

Fermatevi un secondo e pensate a c o m e , q u a l s i a s i c o s a v o g l i a t e f a r e : d a l leggere un libro a fare u n a

ricerca, dal g u a r d a r e un film fino a comprare un prodotto

o u n

servizio sia p o s s i b i l e f a r l a davanti ad

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un pc…

E sono solo alcune delle possibilità che fino ad un ventennio fa eravamo abituati a compiere in modi radicalmente diversi…

E’ l’era digitale, il quinto potere in mano nostra che ci permette di essere connessi, di velocizzare attività, di cogliere occasioni comodamente seduti in casa nostra o mentre siamo in giro spesso con un click senza farci caso.

Sotto i nostri occhi si sta trasformando il quotidiano permettendoci cose che fino a qualche tempo fa non potevamo nemmeno immaginare, ma che allo stesso tempo stanno cambiando radicalmente le nostre abitudini e i nostri stili di vita.

Ma vi siete mai fermati a pensare se quando compiamo un’azione e facciamo una scelta, è perché decidiamo davvero noi?

I m a g h i d e l m a r k e t i n g d i g r a n d i B r a n

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d intercettano i nostri possibili desideri fino ad impossessarsi delle nostre scelte, ed ecco come alcuni prodotti diventano improvvisamente cool, all’ultimo grido, un “must have” che “volutamente”

acquistiamo.

Questo è quanto succede per i beni di consumo, ma non è forse la stessa cosa anche per l’informazione, la politica, la globalizzazione?

Quanto di quello che vediamo, che conosciamo, che viviamo è effettivamente “genuino” e quanto, invece, è artefatto o deciso a tavolino da società di importanza tale che detengono oggi IL QUINTO POTERE e muovono i fili delle nostre scelte in materia di gusti, modi di pensare, necessità, bisogni

…?

Quanto Google, Facebook, Apple, Microsoft etc…ci mettono lo zampino? Più di quanto noi pensiamo anche se non sempre ce ne rendiamo conto o forse Mai.

Si accennava al QUINTO POTERE già nel ’76, che non era certo l’era della digitalizzazione, con il film omonimo che narrava di come un annuncio di suicidio in diretta davanti alle telecamere fece impennare gli ascolti fino a renderlo un fenomeno talmente irrefrenabile da non poter fare altro che invogliarne l’assassinio in diretta. Di nuovo riproposto nel 2013, questa volta il nuovo QUINTO POTERE cambia radicalmente il concetto di segretezza consentendo la più grande fuga di notizie nella storia dell’informazione, attraverso una piattaforma web.

Ieri come oggi è la mano invisibile di chi condiziona la massa a dirigere l’orchestra, l’innovazione è solo uno strumento che come tanti nei tempi si sono susseguiti … Ci crediamo? Il QUINTO POTERE è nelle nostre mani o nelle loro?

E se lo decidessimo noi …?

Provare ad utilizzare e non farci utilizzare, provare a scegliere e non farci scegliere, provare a decidere e non permettere che siano tutte le informazioni che ci bombardano da ogni dove a farlo…

La verità spetta solo a chi si ferma un attimo a pensare…

Il meglio e il peggio del cinema italiano nel 2016

Domenico Palattella (31)

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Il 2016, appena andato negli annali, è stato un anno importante per il cinema italiano. Tanti film di qualità, anche nel genere comico, in decisa ripresa.

Non mancano, però anche “cagate pazzesche”, per citare e omaggiare Paolo Villaggio e i suoi ottant’anni di vita compiuti proprio nel 2016. L’anno era iniziato con l’exploit, annunciato, previsto, di Checco Zalone e del suo Quo vado, campione di incassi della scorsa stagione. Un film rispettabile,

per carità, perché l’attore pugliese è senza ombra di dubbio, un esteso fenomeno di massa e rappresenta lo specchio dei tempi attuali, ma la qualità, anche comica, è un’altra cosa. La qualità è quella di “Perfetti sconosciuti”, film di Paolo Genovese, vera rivelazione dell’annata. Una stupenda e amara parabola sui falsi miti della società odierna, dipendente cronica degli smartphone, dei social e di tutte le aberranti diavolerie elettroniche, che ci hanno resi degli automi e sui quali celiamo tutta la nostra vita e i nostri segreti più intimi, anche quelli inconfessabili.

E’ la grandezza di questo film, commedia all’italiana che di più non si può, sorretto da un cast funzionale e molto affiatato: Valerio Mastrandrea ( che è come il vino, più passa il tempo e più migliora ), Edoardo Leo, Marco Giallini, Kasia Smutniak, Anna Foglietta.

David di Donatello a maggio scorso, come miglior film dell’annata 2015/2016, rimane una delle pellicole chiave degli ultimi 5 anni, dalla quale non si può prescindere per capire l’evoluzione del nostro cinema. Miglior film dell’anno, votato dai membri del

Sindacato dei Critici cinematografici italiani, è risultato invece essere, “Fai bei sogni” di Marco Bellocchio, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico scritto dal giornalista Massimo Gramellini.

Storia di un’assenza, di un sorriso negato, di una nostalgia bruciante, come la perdita di una mamma avvenuta in età infantile. Un peso, un lutto che ci si porta per tutta la vita, anche se si diventa grandi, professionisti e affermati. Strepitoso Valerio Mastrandrea. Sarà un caso che i due migliori film dell’anno siano interpretati entrambi da lui?

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E’ questa la qualità che deve inseguire il cinema italiano, ancora e sempre nell’ambito della commedia realista, che fa parte del nostro Dna. Stakanovista dell’annata è stato invece, Vincenzo Salemme, in sala con ben tre film: “Se mi lasci non vale”, “Prima di lunedì” e “Non si ruba a casa dei ladri”. Nel primo è anche regista, il secondo è francamente mediocre, il terzo rasenta la perfezione. Lui comunque è un Maestro della commedia, e come lui al giorno d’oggi, davvero ce ne sono pochi. Forse nessuno.

Questo è stato anche l’anno del docu-film girato a Lampedusa di Gianfranco Rosi, Fuocoammare, pluriapprezzato a livello internazionale e vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino e dell’Oscar europeo come miglior film; e del ritorno al cinema di Carlo Verdone e Antonio Albanese, “strana” coppia, tanto bizzarra da funzionare, nel film “L’abbiamo fatta grossa”.

Due autentici leoni del nostro cinema, che piacere vederli insieme. Esattamente come Margherita Buy e Claudia Gerini, buffa coppia nella commedia Nemiche per la pelle. Sopra ogni più rosea previsione, nella scorsa annata spicca Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, superhero movie classico, con la struttura, le finalità e l’impianto dei più fulgidi esempi indipendenti statunitensi. Pensato come una “origin story” da fumetto americano degli anni ’60, girato come un film d’azione moderno e contaminato da moltissima ironia che non intacca mai la serietà con cui il genere è preso di petto, Lo chiamavano Jeeg Robot, si issa probabilmente come il miglior film fantasy della storia del cinema italiano. Un genere, dobbiamo dire la verità, mai troppo a proprio agio nel nostro cinema. In mezzo a tanti film riusciti, ce ne sono altri, che alla seconda, terza o quarta visione acquistano spessore: è il caso di Assolo, di Laura Morante; La corrispondenza di Giuseppe Tornatore; e Onda su onda, di Rocco Papaleo, con Alessandro Gassman e lo stesso Rocco Papaleo, amaro rifacimento del Gaucho con Gassman padre.

Film non particolarmente apprezzati inizialmente, ma che si lasciano vedere e capire profondamente nel loro significato intrinseco, con il passare del tempo. Pellicole che hanno bisogno di essere elaborate, col tempo. E poi arriviamo alle noti dolenti: su tutti “Un Natale al Sud”, con Massimo Boldi, Enzo Salvi, Biagio Izzo e una improponibile Anna Tatangelo attrice, il film più brutto e insignificante della storia del cinema italiano. Boldi ormai è cotto, Enzo Salvi è fuori tempo massimo, Biagio Izzo arranca non sorretto da un copione valido e Anna Tatangelo è bona, ma è meglio che faccia solo la cantante. Di bassissimo livello anche i corali “Forever Young”, “Un paese quasi perfetto” e “I babysitter”. Notevoli invece i film di Natale, i cosiddetti cinepanettoni, finalmente gustosi e divertenti. Splendido “Poveri ma ricchi”, tratto dalla commedia francese “Les touche”, e

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interpretato da Christian De Sica, Enrico Brignano e Lucia Ocone. La dimostrazione lampante che quando Christian De Sica è utilizzato al meglio delle proprie potenzialità, è sempre il comico italiano più grande degli ultimi 20/30 anni, per ritmo, per tempi comici, per vis comica dilagante. Riuscito anche il classico cinepanettone della “Filmauro”, “Natale a Londra”, quello con Lillo & Greg. Forse un po’ confusionario, ma la coppia ( che grandi ) vale il prezzo del biglietto.

Un piacere vedere anche il ritorno al cinema di Aldo, Giovanni & Giacomo, mai dimenticati e sempre molto apprezzati un po’ da tutti. Il loro Fuga da Reuma- Park è un apologo amaro sulla vecchiaia che merita ben più di una fugace occhiata. Concludiamo con un’affettuosa menzione speciale al nostro Uccio De Santis, che nell’annata 2016, ha finalmente ottenuto la definitiva consacrazione cinematografica, smentendo quelli che non credevano che lui potesse mai diventare una faccia da cinematografo. A 50 anni appena compiuti non solo è stato nelle sale con il suo

secondo lungometraggio da protagonista, Mi rifaccio il trullo, delicata pellicola con il cast storico del Mudù; ma è stato co-protagonista anche ne La cena di Natale al fianco di Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti; e soprattutto nel cine-panettone natalizio “Natale a Londra”, con attori affermati come Lillo & Greg, Nino Frassica, Paolo Ruffini e il “pasoliniano” Ninetto Davoli. E al loro cospetto non ha affatto sfigurato.

Insomma l’annata appena conclusa ha segnato più luci che ombre, con un incremento di presenze al cinematografo che ha segnato un 12% in più rispetto al 2015, che diventa del 19% se rapportato al 2014. Dati confortanti, interessanti, significativi, i quali fanno certamente bene al futuro del nostro cinema, che dopo anni problematici sta andando verso la direzione giusta. Con qualità, idee innovative e spirito di gruppo.

Smetto Quando Voglio Masterclass – Il Film

Simona De Bartolomeo (20)

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Successo di critica e al botteghino per il secondo capitolo della saga del giovane regista salernitano Sydney Sibilia, “Smetto quando voglio – Masterclass”, a tre anni dal primo episodio “Smetto quando voglio”.

Il regista inizia la sua carriera cinematografica col botto con la storia di un team di ricercatori, cervelloni ma al verde, che nonostante tutti i titoli accademici svolge lavori non all’altezza dei propri sogni,su cui hanno investito tempo e denaro, insomma, la triste realtà dei nostri giorni. La squadra è capitanata da Pietro Zinni (Edoardo Leo), ricercatore a caccia di un “posto fisso” all’università e quando le sue aspettative vengono rovinosamente disattese, fatto che nasconde alla moglie Giulia (Valeria Solarino), decide di mettere su una banda con i suoi amici, brillanti ma disperati, per entrare nel mercato della droga, creando una smart drug, una droga considerata legale perché la sua molecola non è ancora stata inserita dal Ministero della Salute nella lista delle sostanze stupefacenti.

Il primo episodio vede la formazione di questa banda e l’ingresso nel mercato della droga, così come anche la tragica uscita con Pietro che finisce in carcere; il secondo capitolo inizia riassumendo la storia, mostrandola anche da altri punti di vista e procede con un capovolgimento della storia: ora è la legge che ha bisogno dell’improvvisata squadra di criminali. L’ispettore Paola Coletti (Greta Scarano), infatti, chiederà a Pietro di riformare la banda che entrerà in azione per fermare il dilagare di queste sostanze psicoattive; mettendosi al servizio dell’antidroga potranno

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ottenere in cambio la fedina penale pulita.

La banda che aiuterà Pietro nella ricerca di 30 smart drugs è composta da: Alberto (Stefano Fresi) chimico, Giorgio (Lorenzo Lavia) latinista, Mattia (Valerio Aprea) latinista, Arturo (Paolo Calabresi) archeologo, Bartolomeo (Libero De Rienzo) economista, Andrea (Pietro Sermonti) antropologo, componenti della storica squadra, con l’aggiunta di tre new entry: l’avvocato Vittorio (Rosario Lisma), l’anatomista Giulio (Marco Bonini) e l’ingegnere Lucio (Giampaolo Morelli).

Con i nuovi arrivati della gang si inserisce anche la tematica della fuga dei cervelli all’estero, brillanti menti che per disperazione si trasferiscono alla ricerca di gratificazioni umane e

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professionali; Giulio e Lucio, infatti, sono finiti in paesi lontani, in situazioni non proprio tranquille.

Dopo i primi due episodi, è prevista per il 2018 l’uscita del terzo capitolo, quello finale, che si chiamerà “Smetto quando voglio – Ad Honorem”; visto il successo del primo film, il secondo ed il terzo sono stati girati contemporaneamente (come per la trilogia di Matrix), tecnica chiamata “back to back” (riprese consequenziali), che permette di ridurre drasticamente i costi di realizzazione.

Numerose le citazioni e le fonti di ispirazione per questa saga: innanzitutto lo stile generale strizza l’occhio alle serie tv americane, con ritmo serrato, tematiche d’attualità e una fotografia verde

“acido” che rende tutto più psichedelico; velato il riferimento ad una sorta di “Suicide Squad”

nostrana e meno forzuta; pregevole, e poco usuale per il cinema italiano, la scena girata con la tecnica del rotoscope, che richiama il film, dalla simile tematica, “A scanner darkly” del regista

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Linklater e molte altre influenze dal cinema e dalle serie tv.

Punti forti di questa pellicola anche lo sfondo della splendida città di Roma e l’elettrizzante colonna sonora, che contribuiscono, insieme a tutto il resto, a far entrare questo film nel filone cinematografico della action comedy all’italiana, inaugurato dal giovane regista Gabriele Mainetti con il suo “Lo chiamavano Jeeg Robot”.

Hanno sottolineato il successo di questa trilogia anche la creazione di un videogame e l’uscita di un fumetto, disegnato da Giacomo Bevilacqua, con quattro diverse copertine, realizzate da importanti matite: Giacomo Bevilacqua, Zerocalcare, Roberto Recchioni e Riccardo Torti.

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Nell’attesa di vedere come va a finire questa stupefacente storia e di scoprire che fine fa la geniale e goffa banda di ricercatori, vi anticipo che dovranno di nuovo vedersela con il vecchio cattivo, Er Murena (Neri Marcorè) ed il nuovo cattivo, Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio) e, soprattutto, vi consiglio di guardare (o riguardare) i primi due episodi di questa splendida saga, che ha ancora da regalarci tante riflessioni intelligenti attraverso una grossa dose di risate.

Dal Pre-Cinema ai fratelli Lumiére: viaggio nel cinema dell’800

Domenico Palattella (31)

L a n t e r n a M a g i c a

Come tutte le invenzioni epocali che si rispettino, anche il Cinema non è stata un’allucinazione di

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una sera dei fratelli Lumiére o di Thomas Edison, ma piuttosto un percorso di evoluzione dell’immagine, che ha attraversato tutto il XIX secolo. Innanzitutto c’è da affermare come la suggestione delle proiezioni ha origini remote e ha da sempre affascinato l’uomo, basti pensare alle ombre cinesi o alla camera oscura leonardiana. Ma il primo vero esempio di cinema allo stato primitivo è ravvisabile già dal XVII secolo con l’invenzione della Lanterna Magica. La lanterna magica era uno strumento di semplice utilizzo che potrebbe essere paragonato ai moderni proiettori di diapositive. Il meccanismo di funzionamento era intuitivo: bastava inserire i disegni nella macchina perché questa li proiettasse su una parete o su uno schermo appositamente predisposto. La lanterna si prestava ai più svariati utilizzi, infatti fu utilizzata fin dall’inizio sia per scopi educativi (raccontare, ad esempio, la Bibbia col supporto di immagini colorate a tutto schermo), sia di intrattenimento.

T a u m a t r opio

Col tempo si capì che oltre la semplice proiezione si potevano riprodurre movimenti elementari.

Alcune di queste semplici “animazioni” consistevano nel far scorrere dei vetri dipinti davanti l’obiettivo; usare sorte di ombre cinesi mosse con leve e fili; oppure attraverso levette far muovere parti delle pitture, come ad esempio gli occhi, ottenendo così degli “effetti speciali” primordiali.

L’invenzione della fotografia nel 1826, ad opera di Joseph Nicéphore Niépce, pose le premesse per un ulteriore sviluppo. Se si fosse trovato il modo di far passare davanti all’obiettivo delle fotografie in successione si sarebbe potuto riprodurre la realtà. Sarà l’idea vincente dei fratelli Lumière. Ma probabilmente, anzi sicuramente, i tempi ad inizio ‘800 non erano ancora maturi. Eppure proprio in quegli anni si compivano i primi esempi concreti di passaggio dalla fotografia ferma e immobile, alle immagini in movimento che sono la base del significato della parola Cinema. Nel 1824 fu inventato il Taumatropio. Composto da un dischetto di cartoncino, fissato a due fili e disegnato da entrambe le parti con soggetti destinati a integrarsi a vicenda, facendo girare velocemente il disco (1/25 di secondo), le immagini si sovrappongono creando così l’illusione di movimento. Esempi tipici sono l’uccellino e la gabbia o il vaso e i fiori.

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F e n a c h i t o s c o p i o

Poi venne il Fenachitoscopio che fu inventato nel 1833 dal fisico belga Joseph Antoine Plateau.

Consisteva in una ruota, fissata al centro su un manico e in grado di ruotare su se stessa. Sulla ruota, a intervalli regolari, venivano praticate delle fessure attraverso cui poter guardare e, sul lato interno venivano disegnate delle immagini, anche queste a intervalli regolari; uno specchio su cui proiettare le immagini completava il tutto. Il movimento veloce della ruota e gli spazi vuoti creavano, anche in questo caso, l’illusione del movimento. La grande novità del fenachistoscopio sta nel fatto che l’illusione sfrutta il fenomeno della persistenza della visione (persistenza retinica) che, ancora oggi, sta alla base della visione filmica. Il fenachistoscopio è il più diretto antenato della pellicola cinematografica, con le immagini montate su un cerchio invece che in una striscia di carta. Un altro esperimento andato a buon fine fu il Cineografo (oggi conosciuto anche con il termine inglese flip book), commercializzato già nel 1868. Il cineografo era una sorta di libro tascabile i cui fogli si facevano scorrere velocemente tra le dita. La sovrapposizione delle immagini dava l’illusione del movimento. Si trattava di brevissime storie con una vera (sia pur modesta) sceneggiatura e questo era il passo avanti in direzione del cinema: una storia appositamente pensata per essere raccontata

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attraverso immagini in movimento.

C i n e o g r a f o

E’ certo però, che al di là dei vari esperimenti animati, fu l’invenzione della fotografia ad aprire il campo alla possibilità di avere immagini reali in movimento. Se era possibile riprodurre su una lastra fotografica la realtà, si poteva pensare a strumenti in grado di scattare una serie di foto così vicine nel tempo da registrare il movimento. Si poteva utilizzare poi la pellicola così ottenuta al posto delle strisce di carta per proiettare quanto ripreso in precedenza. Quest’idea ispirò Étienne-Jules Marey che sfruttando il meccanismo utilizzato a quel tempo dai fucili più moderni riuscì a scattare 12 foto al secondo (infatti in inglese il verbo scattare è ancora lo stesso di sparare). La sua Onda (1888) è il più antico documento di fotografia in movimento pervenutoci. Ma il vero problema di Marey come di tutti gli altri pionieri del cinema non consisteva tanto nel riuscire a scattare foto in rapida sequenza, quanto nel trovare il meccanismo per proiettare il movimento (κίνημα – kìnema in greco, da cui più tardi cinematografo, l’apparecchio in grado di riprodurre il movimento) così ottenuto.

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K i n e t o s c o p i o

Un’ulteriore tappa di avvicinamento alla nascita del cinematografo si ebbe con la creazione della pellicola fotografica di celluloide, che permetteva di mettere in serie le immagini fotografiche, e che può essere intesa a tutti gli effetti come la prima pellicola cinematografica della storia. Tutto ciò avvenne nel 1882 grazie a George Eastman, il quale inventò anche il sistema per non dover più preoccuparsi di cambiare lastra tra una posa e l’altra. A questo punto, con il senno di poi, appare chiaro che sta per nascere il cinema, proprio perché grazie ad Eastman, cade l’ultima difficoltà per arrivare ad una vera e propria successione di fotogrammi, che sono alla base dell’illusione del movimento. Ulteriore evoluzione di ciò, si ha nel 1891 con Thomas Alva Edison che brevettò il kinetoscopio, una sorta di grande cassa sulla cui sommità si trovava un oculare; lo spettatore poggiava l’occhio su di esso, girava la manovella e poteva guardare il film montato nella macchina su rocchetti (il termine inglese film indicava la pellicola, cioè il supporto; più tardi passerà a indicare il contenuto registrato su quel supporto, il film com’è inteso oggi). Si aveva quindi una visione monoculare, ma che dava perfettamente l’idea dell’immagine in movimento. L’invenzione di Edison veniva portata nelle fiere o in stanzoni appositi e la si poteva utilizzare dietro pagamento di un biglietto. Per attirare nuovi curiosi Edison non riproponeva le stesse pellicole ma ne girava di nuove.

Ancora oggi qualcuno discute su chi sia stato veramente l’inventore del cinema e se per la maggior parte degli storici è indiscutibile la paternità dei fratelli Lumière c’è chi, invece, ne ascrive l’invenzione a Thomas Alva Edison.

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L o u i s e A u g u s t e L u m i è r e

Sembrava che ci fossero tutti gli elementi del cinema come si svilupperà fino ai nostri giorni: c’era il pubblico, c’era il pagamento di un biglietto (con tutto quello che comportava in termini di industria cinematografica) e c’erano le immagini in movimento. Eppure mancava un elemento fondamentale:

la visione collettiva piuttosto che individuale. Il cinema (come era accaduto per millenni con il teatro) è un fenomeno essenzialmente comunitario. La grande svolta dei fratelli Lumière e di quella sera di fine 1895 al Cafè de Paris risiede ancora oggi in questo. Quel 28 dicembre 1895 i fratelli Louis e Auguste Lumière, mostrarono per la prima volta, al pubblico del Gran Cafè del Boulevard des Capucines a Parigi, un apparecchio da loro brevettato, chiamato cinématographe, destinato a cambiare per sempre la storia del mondo.

Possiamo quindi affermare con assoluta certezza, quello che i libri di storia spesso non dicono, ovvero che l’invenzione del cinema è da dividere equamente in tre periodi distinti e la sua paternità non è ascrivibile ad una sola specifica personalità. L’invenzione della pellicola cinematografica nel 1882 ad opera di George Eastman; l’invenzione delle immagini in movimento nel 1891 ad opera di Thomas Edison; e l’invenzione del cinematografo, così come lo intendiamo noi, ad opera dei fratelli Lumiére nel 1895, sono le tre tappe fondamentali della nascita del Cinema. Tutte e tre legate da un indissolubile filo comune, tutte e tre esattamente propedeutiche l’una con l’altra. E dopo quella sera di fine 1895 ebbe inizio ufficialmente la straordinaria avventura del Cinema, la più bella invenzione dell’uomo.

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OSCAR 2017: gaffe ed emozioni, vittorie e sconfitte dei primi Academy Awards sotto il segno di Trump

Simona De Bartolomeo (20)

E ’ n e l l a n o t t e t r a d o m e n i c a 26 e lunedì 27 febbraio c h e a l D o l b y Theatre di L o s

A n g e l e s sono stati a s s e g n a t i g l i

A c a d e m y A w a r d s , m e g l i o

conosciuti come Oscar, il premio cinematografico più antico e famoso del mondo.

Questa edizione, presentata dal conduttore Jimmy Kimmel, non verrà ricordata per i film e gli attori, bensì per l’incredibile gaffe proprio nel momento della proclamazione più attesa, quella del Miglior film del 2016: Warren Beatty e Faye Dunaway annunciano come vincitore “La La Land”, sbagliando clamorosamente, per colpa di uno scambio di buste; il vincitore del premio più ambito, infatti, è

“Moonlight”.

Cercando di andare oltre questo memorabile istante, i film protagonisti dello scivolone, sono stati anche i protagonisti della serata, tra suspense e pronostici: “La La Land” del regista Damien

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Chazelle e “Moonlight” del regista Barry Jenkins.

Il primo narra l’intensa e burrascosa storia d’amore tra un’attrice e un musicista, appena trasferiti a Los Angeles in cerca di fortuna, dove le minacce più grandi saranno proprio i sogni e le ambizioni che condividono. Il secondo racconta l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta, le gioie e i dolori di un ragazzo omosessuale di colore, cresciuto nei sobborghi difficili di Miami, dove cerca di vivere in libertà la sua sessualità.

Tra battute rivolte al neo presidente Trump, momenti di riflessione, caramelle volate dal cielo per sfamare il pubblico e video dedicati a film cult del cinema mondiale, la lunga serata ha proclamato i seguenti vincitori:

Miglior film: “Moonlight” di Barry Jenkins

Miglior regista: Damien Chazelle per “La La Land”

Migliore attrice: Emma Stone in “La La Land”

Miglior attore: Casey Affleck in “Manchester by the Sea”

Migliore attrice non protagonista: Viola Davis in “Barriere”

Miglior attore non protagonista: Mahershala Ali in “Moonlight”

Miglior film straniero: “Il cliente” di Asghar Farhadi Miglior film d’animazione: “Zootropolis”

Migliore sceneggiatura originale: “Manchester by the Sea”

Migliore sceneggiatura non originale: “Moonlight”

Miglior canzone originale: “City Of Stars” dal film “La La Land”

Migliore colonna sonora: “La La Land”

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Miglior montaggio: “La battaglia di Hacksaw Ridge”

Miglior sonoro: “La battaglia di Hacksaw Ridge”

Miglior montaggio sonoro: “Arrival”

Migliori effetti speciali: “Il libro della giungla”

Miglior cortometraggio: “Sing”

Miglior corto documentario: “The White Helmets”

Miglior cortometraggio d’animazione: “Piper”

Miglior documentario: “O.J.: Made in America”

Miglior fotografia: “La La Land”

Migliore scenografia: “La La Land”

Miglior costumi: “Animali fantastici e dove trovarli”

Miglior trucco: “Suicide Squad”

Oscar alla carriera: Jackie Chan

Tra i momenti degni di nota della serata c’è la reazione di Asghar Farhadi, regista de “Il cliente”, vincitore nella categoria Miglior film straniero, che non si è presentato alla notte degli Oscar per protestare contro il Muslim Ban di Trump; così si è espresso il regista iraniano: “La mia assenza è un atto di rispetto verso i miei concittadini e quelli di altri sei paesi, che hanno subìto una mancanza di rispetto per una legge disumana”.

Per l’Italia, delusione per la mancata vittoria di “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, candidato come Miglior documentario, ma felicità e soddisfazione per l’Oscar come Miglior trucco ai truccatori italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini per “Suicide Squad”.

“La La Land”, il film con più candidature, ben 14, alla fine porta a casa 6 statuette; gran successo per gli artisti afroamericani, che in totale vincono 5 statuette, tra cui anche il Miglior documentario “O.J.: Made in America”, il film più lungo della storia con i suoi 467 minuti.

Kevin O’Connell, progettista del suono, è stato finalmente premiato con l’Oscar come Miglior sonoro, per “La battaglia di Hacksaw Ridge”, dopo ben 21 nomination.

Anche quest’anno, quindi, si sono spenti i riflettori sul red carpet di una delle notti più attese a livello mondiale e, sperando che il prossimo anno l’Italia possa avere un ruolo da attrice protagonista, ci auguriamo che di questa edizione non restino solo le sviste, ma soprattutto gli importanti messaggi che i film di quest’anno hanno voluto trasmettere.

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The Rearview Mirror: March 2017

Christian Zorico (87)

February will be remembered as the month of daily fresh new highs. In fact, the US equity indexes set up their records highs despite the uncertainty about the fiscal plan, despite a mounting political risk in Europe and considering China inability to contain capital flight.

Overall, we can observe a clear sentiment of optimism, that is also confirmed by the evidence of strong economic data released so far, both in US and in Europe.

Regardless of a potential instability due to the European election season, equity inflows are still confirming that institutional investors are bracing the latest equity rally. According to EPFR, investors added $1.1bn to the funds in the week to the 22nd of February; hence the European equity funds have received inflows that almost matched the preceding four weeks combined. Still we need to highlight a divergence between institutional and retails investors. Apparently, the latter are assuming a more caution behaviour mainly because they are worried about political risk.

On top of it we have in front of us another big variable that could be a source of volatility.

The FED decision to hike interest rate faster than expected could trigger down bond valuations and also equity ones. This is the worst scenario we can figure out because such a decision from the

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FOMC can imprint higher yields but also offset the marginal beneficial of a fiscal policy plan.

Of course there are several possible developments and there is no magic formula to face with this environment. Certainly, I continue to highlight the importance to protect ourselves from a growing uncertainty. A smart insurance could be the solution. I am confident to pay a premium that is hedging our portfolio against a correction of risky assets. At the same time we should find a way to finance it, by limiting the cost of our insurance. The new US administration fiscal plan is expected to be announced by the 28th of February. We don’t know any details about it. We can figure out some interventions that allow internal US players to benefit from the new plan. In fact, we always said that in case Mr. Trump won US election, America would have been the place to be.

Hence a clever strategy is to use the carry coming from US credit companies to finance an equity short position. If the hiking process will be subdued, then the risk premium incorporated into the bond market is sufficient enough to provide an extra return in the medium term.

Christian Zorico: LinkedIn Profile

Lo Specchietto Retrovisore: il Fondo Sovrano Norvegese.

Christian Zorico (87)

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Oslo: il Fondo Sovrano Norvegese si sta per muovere per investire il 70% dei suoi asset rispetto al 60% attuale, in titoli azionari. Si tratta di un importante incremento perché le risorse ammontano a 900 billion di dollari derivanti dai proventi del settore OIL e GAS. Un’importante decisione che richiede l’approvazione del parlamento.

Per comprendere l’eventuale effetto sui mercati, basti pensare che attualmente il fondo già detiene circa l’1.3% di ogni singola azione listata. La scelta di investimento in equity si affianca alla volontà di ridurre la capacità di spesa di Oslo prevista nel suo budget annuale: dal 4% stabilito nel 2001 si vuole giungere al 3%, secondo le nuove regole. Ne deriva la necessità di monitorare i costi per un Paese la cui economia deriva essenzialmente dall’oro nero. Se infatti si togliessero i giustificativi di spesa coperti dal petrolio, il deficit della Norvegia esploderebbe all’8% del prodotto interno lordo.

Un livello davvero non sostenibile soprattutto se lo scenario dell’industria non dovesse mutare in maniera sostanziale. Da qui l’esigenza per il fondo sovrano di spostare gli investimenti verso un’asset class, quella azionaria, in grado di sostenere nel lungo termine la spesa del governo e ottenere una remunerazione tale da considerarsi interessante.

Cosa altro aggiungere? Certo, l’orizzonte temporale che il fondo si prefissa è di 100 anni o anche di più. Pertanto se è vero che emerge una certa apprensione nel lungo termine per un’economia legata solo all’OIL, occorre anche considerare che continuare ad investire in titoli azionari agli attuali livelli, dormendo sonni tranquilli, è possibile proprio perché si ha davanti a sè un orizzonte di lungo, lunghissimo termine.

E allora torniamo sempre al punto cruciale che la scelta di investimento deve sempre fare i conti con l’orizzonte temporale dell’individuo, o in questo caso dell’ente (un fondo sovrano che dovrà far fronte alle spese di individui che ancora non sono nati). Ma è anche vero che se per un attimo ci riportassimo all’inizio dell’anno e ci soffermassimo sui target delle maggiori case di investimento per l’indice S&P, troveremmo un risultato incredibile. Su 16 strategist, ben 11 tra i principali player mondiali hanno predetto un livello che è praticamente in linea se non superiore alle attuali quotazioni per il 2017.

E così da un lato abbiamo l’investitore di lungo (quasi infinito) periodo e dall’altro gli investitori che devono necessariamente confrontarsi con periodi più brevi.

Christian Zorico: LinkedIn Profile

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Lo Specchietto Retrovisore: La questione fiscale!

Christian Zorico (87)

Ormai abbiamo appreso che dovremo convivere con i Tweet di Donald Trump e calibrare le aspettative sull’aggettivazione usata dal Presidente degli Stati Uniti. Un programma tasse “phenomenal” è in arrivo tra poche settimane. Così è stato annunciato, il 9 febbraio, l’intento della nuova amministrazione di agire subito sul piano fiscale. E allora l’equity

americano che segna nuovi massimi, e soprattutto lo spread di inflazione che recupera tono, recupera quel terreno perso nei confronti dei rendimenti nominali proprio perché l’idea del reflation trade iniziava a perdere incisività.

Però per quanto importante sia l’attività su Twitter del neo eletto Presidente, cerchiamo di guardare assieme alcuni fatti oggettivi. Per quanto ovviamente sia rimasto positivo il legame tra il prezzo dell’OIL e l’andamento dei bond legati all’inflazione, la correlazione è tanto più forte rispetto ai movimenti giornalieri del greggio (sulla parte spot della curva) proprio nei break-even a due anni.

Sembra invece aver perso vigore la connessione sul tratto a 5 anni e a 10 anni della curva inflazione.

Questo sia perché il prezzo del petrolio spot non tiene in considerazione dell’aumento della produzione dello shale-oil, la cui narrativa trovo riscontro solo nella parte più lunga della curva, sia perché probabilmente le dinamiche inflazionistiche non possono essere guidate solo da un Tweet.

Depurando pertanto l’andamento dei prezzi dall’effetto base delle materie prime, restano preponderanti le dinamiche salariali.

Essendo anche i salari un perfetto incontro tra domanda e offerta, i fondamentali del lavoro sembrano raccontare una storia diversa da quella analizzata qualche mese fa. La partecipazione al lavoro in aumento, il numero di abbandoni in

diminuzione fanno del mercato del lavoro un driver meno incisivo.Forse su tutti gli indicatori, andrà seguito l’andamento sulle aspettative di inflazione per comprendere la bontà del trade relativo a

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