• Non ci sono risultati.

LA PRESTAZIONE LAVORATIVA: OGGETTO, LUOGO, TEMPO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LA PRESTAZIONE LAVORATIVA: OGGETTO, LUOGO, TEMPO"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Capitolo 6 LA PRESTAZIONE LAVORATIVA:

OGGETTO, LUOGO, TEMPO

SOMMARIO:

1. L’oggetto della prestazione lavorativa: mansioni, qualifiche, categorie. - 1.1. Le categorie legali e le categorie contrattuali. - 1.2. La disciplina del mutamento di mansioni (cd. “ius variandi”). - 2. Il luogo della prestazione lavorativa. - 2.1. Il trasferimento. - 2.2. La trasferta. - 3. Il tempo della prestazione lavorativa: l’orario di lavoro. - 3.1. Il lavoro notturno. - 3.2. Pause, riposi, festività, ferie.

█ 1. L’oggetto della prestazione lavorativa: mansioni, qualifiche, categorie.

La prestazione dedotta nel contratto di lavoro viene identificata attraverso il ricorso ai concetti di mansioni, qualifiche e categorie.

Le mansioni indicano i compiti e le operazioni nei quali è scomponibile l’attività d’impresa e che il lavoratore è concretamente chiamato a svolgere, identificando la posizione professionale del singolo prestatore di lavoro (c.d. inquadramento individuale) ed individuano l’oggetto specifico della prestazione lavorativa dallo stesso dovuta (determinazione qualitativa della prestazione). L’art. 2103 c.c., così come riscritto dal d.lgs.

81 del 2015, stabilisce che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto” mentre l’art. 96 delle disp. att. del codice civile stabilisce che il datore di lavoro deve far conoscere al lavoratore, al momento dell’assunzione, quale sia la categoria e la qualifica (vedi infra) che viene assegnata in relazione alle mansioni per le quali viene assunto (vedasi anche l’art. 1, co. 1, del D.lgs. n. 152 del 26 maggio 1997). Ciò costituisce un obbligo di trasparenza e di protezione per il lavoratore che sa “ab initio” quali saranno i compiti che vengono assegnanti nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Le qualifiche corrispondono all’insieme delle mansioni che caratterizzano una figura professionale. Si tratta di figure di creazione legislativa o contrattuale che identificano il prestatore all’interno della generalità dei prestatori di lavoro (es. il tornitore).

Le categorie (art. 2095 c.c.) sono entità classificatorie più ampie, all’interno delle quali sono raggruppati diversi profili professionali. Si suole distinguere tra categorie legali e contrattuali in base alla fonte che le prevede. A tali classificazioni la legge o il contratto collettivo determinano un determinato trattamento retributivo e normativo.

► 1.1. Le categorie legali e le categorie contrattuali.

Le categorie legali sono quelle individuate dall’art. 2095 c.c., che dispone la ripartizione dei lavoratori in dirigenti, quadri, impiegati ed operai. Per la definizione delle singole categorie e la determinazione dei requisiti di appartenenza alle stesse si deve fare riferimento alle leggi speciali ed alle disposizioni della contrattazione collettiva cui la norma codicistica rinvia.

I dirigenti (art. 1, c.c.n.l. 24 novembre 2004 dei dirigenti industriali) sono lavoratori che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e che esplicano le proprie funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa.

(3)

I quadri (categoria introdotta con la l. 13 marzo 1985, n. 190) sono quei dipendenti che svolgono funzioni a carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa.

Gli impiegati (art. 1, co. 1, R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825) sono coloro che svolgono attività professionale con funzione di collaborazione, tanto di concetto che di ordine, eccettuata ogni prestazione di semplice manodopera (la loro prestazione è, pertanto, prevalentemente intellettuale). Come sostiene attenta dottrina (GHERA), gli impiegati collaborano all’impresa, poiché contribuiscono all’organizzazione dell’attività produttiva.

Gli operai, per converso, svolgono dei compiti eminentemente manuali e direttamente produttivi: collaborano nell’impresa stessa.

Le categorie contrattuali (intermedi e funzionari) sono individuate e definite dalla contrattazione collettiva.

L’evoluzione della realtà produttiva e sociale ha nel tempo reso artificiose ed obsolete le categorie così determinate. La contrattazione collettiva ha pertanto introdotto un diverso sistema classificatorio, fondato sul c.d. inquadramento contrattuale unico tra impiegati ed operai e su una pluralità di livelli, professionali e retributivi, comuni alle suddette categorie legali ed ordinati in un’unica scala di classificazione. L’appartenenza ad un livello professionale si determina in base alle declaratorie e alle esemplificazioni. Le declaratorie sono le definizioni astratte e generali delle caratteristiche dell’attività prestata mentre le esemplificazioni sono un elenco dei diversi profili professionali specifici (ossia le mansioni).

► 1.2. La disciplina del mutamento di mansioni (cd. “ius variandi”).

A) La disciplina delle mansioni alla luce della legge 183 del 10 dicembre 2014 e dell’art. 3 del D.lgs. 81 del 2015: la genesi

La legge n. 183 del 10 dicembre 2014 ha previsto all’art. 1, co. 7, lett. e), la “revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento; previsione che la contrattazione collettiva, anche aziendale ovvero di secondo livello, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente legge”. La legge ha delegato il Governo a rivedere la disciplina delle mansioni e, in particolare, a disciplinare in maniera tassativa le ipotesi di deroga all’art. 2103 quando vi sia necessità, ad esempio, di “demansionare” il lavoratore in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione e conversione aziendale (le cui ipotesi vanno individuate con parametri certi). In definitiva il legislatore vuole stabilire in maniera certa quando sia consentito al datore di lavoro di inquadrare legittimamente il lavoratore in un livello più basso quando vi siano determinate situazioni aziendali che lo richiedono cercando, però, di contemperare l’esigenza del lavoratore di mantenere il posto di lavoro con quella dell’azienda all’impiego “utile” del personale secondo le esigenze aziendali e produttive dell’azienda. In attuazione della delega enunciata è stato emanato il d.lgs. n. 81 del 2015, recante appunto la “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. L’articolo 3 del citato decreto legislativo ha sostituito la precedente formulazione dell’art. 2103 c.c. con un nuovo testo in vigore dal 25 giugno 2015, rubricato “Prestazione del lavoro”. È opportuno subito evidenziare che la norma si applica immediatamente anche ai rapporti di lavoro subordinato in corso, ponendo delicati problemi anche di disciplina transitoria. Il nuovo art. 2103 stabilisce che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di

(4)

modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo».

B) La disciplina delle mansioni e la prestazione di lavoro

Il decreto legislativo n. 81 del 2015 riscrivendo l’art. 2103 c.c. ha previsto che il lavoratore possa essere assegnato a qualunque mansione del livello di inquadramento, purché rientrante nella medesima categoria di appartenenza. In definitiva il datore di lavoro, nell’esercizio del suo “ius variandi”, potrà adibire il lavoratore non solo a mansioni equivalenti, ossia a mansioni confacenti al bagaglio di professionalità acquisito dal lavoratore nella sua esperienza lavorativa presso il datore di lavoro, ma anche a mansioni non equivalenti che appartengono comunque al suo livello di inquadramento.

Il secondo comma dell’art. 2103 c.c. prevede che in caso di riorganizzazione degli assetti aziendali che incidano sul posto di lavoro si prevede che il lavoratore che occupa quest’ultimo possa essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. In questi casi il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, ad eccezione di quegli elementi della retribuzione collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. In caso di mutamento delle mansioni si prevede, ove occorra, che il lavoratore sia formato in ordine alle nuove mansioni da svolgere e ciò costituisce un vero e proprio obbligo per il datore di lavoro. Nell’ipotesi in cui il datore non assolva a tale obbligo di formazione il nuovo art. 2103 c.c. prevede espressamente che ciò non fa conseguire la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni. Le ipotesi previste dal secondo comma dell’art. 2103 c.c. di inquadramento del lavoratore in un livello inferiore (oltre all’ipotesi dei riassetti aziendali la norme consente l’assegnazione a mansioni di livello inferiore anche in specifiche ipotesi previste dai contratti collettivi) erano in realtà già consentite dalla giurisprudenza.

Infatti si ammetteva l’assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori rispetto al livello di inquadramento quando l’impresa aveva necessità di riorganizzazione l’assetto produttivo e il posto del lavoratore sarebbe stato soppresso. In questi casi era legittima l’assegnazione ad una mansione inferiore pur di evitare il licenziamento per motivo oggettivo del lavoratore che, altrimenti, sarebbe stato inevitabile. Con questa nuova ipotesi normativa si consente di assegnare un lavoratore che svolge le mansioni di operaio specializzato a quelle di operaio generico quando, appunto, a causa di mutamenti organizzativi soltanto l’assegnazione ad una mansione inferiore può salvaguardare il posto di lavoro

(5)

all’interno dell’azienda. La nuova disciplina delle mansioni consente al lavoratore e al datore di lavoro di pattuire accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione quando vi è un interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. La norma consente alle parti del rapporto di lavoro di pattuire diversamente le mansioni, la categoria legale e il livello di inquadramento e ciò quando corrisponda ad un interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, all’acquisizione di una diversa professionalità o a particolari esigenze di vita del lavoratore. Il legislatore prevede che l’accordo deve avvenire in sede protetta e ciò al fine di evitare abusi nei confronti della parte più debole del rapporto, ossia il lavoratore. Pertanto il lavoratore che ha particolari esigenze familiari potrà convenire con il datore di lavoro una diversa allocazione lavorativa (ossia un trasferimento ad altra unità produttiva dell’impresa) pattuendo una deroga alla propria categoria legale di appartenenza, ossia un dirigente che diventa impiegato di ottavo livello e stabilendo, magari, che la retribuzione resti invariata. Il patto non deve essere sempre “in pejus” in quanto la norma non esclude che le parti possano concordare una assegnazione a mansioni superiori proprio per consentire al lavoratore di arricchire la propria professionalità. Proprio con riferimento alla disciplina delle mansioni superiori e all’acquisizione delle stesse il novellato art. 2103 c.c. stabilisce che l’assegnazione a mansioni superiori diviene definitiva, salvo il caso in cui il lavoratore ha svolto mansioni superiori per sostituire un lavoratore in servizio, una volta decorso il periodo di tempo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

C) La giurisprudenza di legittimità in tema di demansionamento e di danno alla professionalità.

La giurisprudenza ha più volte affrontato la tematica del demansionamento e della dequalificazione.

Dalla lettura della massime sottoelencate si evince sicuramente la difficoltà, anche da un punto di vista probatorio, di discernere tra demansionamento legittimo e demansionamento illegittimo.

1. “Il demansionamento del dipendente si configura soltanto quando le nuove funzioni da svolgere sono decisamente dequalificanti, mentre non può essere evocato in caso di trasferimento ad altro settore per la soppressione del vecchio servizio di appartenenza, qualora tale trasferimento costituisca, nell’ambito di un’azienda in crisi, “extrema ratio” rispetto al licenziamento o alla mobilità” (Cass., 18 febbraio 2008, n. 4000);

2. “In tema di demansionamento, il giudizio di equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedentemente affidate al lavoratore richiede la sussistenza di due condizioni: una verifica formale sulla ricomprensione in astratto delle nuove mansioni nella categoria di inquadramento del lavoratore, una verifica sostanziale sull’aderenza in concreto delle nuove mansioni alla specifica competenza del dipendente e sull’idoneità delle mansioni stesse a salvaguardare il livello professionale del medesimo (cosiddetto giudizio di equivalenza statica), nonché l’accrescimento professionale del lavoratore stesso (cosiddetto giudizio di equivalenza dinamica)” (Cass., 8 ottobre 2007, n. 21025);

3. “Il potere del datore di lavoro di ridurre quantitativamente le mansioni del lavoratore, pur rientrando nello “ius variandi” consentito dall’art. 2103 c.c. come modificato dall’art. 13, Stat.

lav., trova il limite che le nuove ridotte mansioni non determinino una perdita delle potenzialità professionali acquisite o una sottoutilizzazione del patrimonio professionale del lavoratore, avuto riguardo non solo alla natura intrinseca delle attività esercitate ma anche al grado di autonomia e discrezionalità nel loro esercizio nonché alla posizione del dipendente nell’azienda, sicché deve ritenersi vietata una modifica delle mansioni assegnate al dipendente che, pur se di carattere quantitativo, si traduca in un sostanziale declassamento del dipendente stesso” (Cass., 14 ottobre 1995, n. 10405);

4. “L’art. 2103 c.c., che vieta l’assegnazione a mansioni inferiori, è norma imperativa e, dunque, non può essere derogata. Conseguentemente, l’assegnazione a mansioni inferiori determina, sempre e comunque, l’obbligo per il datore di lavoro di risarcire il danno patrimoniale al lavoratore” (Cass., 14 aprile 2011, n. 8527);

(6)

5. “In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove” (Cass., 24 marzo, 2006, n. 6572);

6. “Dall’art. 2103 cod. civ. si desume che sussiste il diritto del lavoratore all’effettivo svolgimento della propria prestazione professionale e che la lesione di tale diritto da parte del datore di lavoro costituisce inadempimento contrattuale e determina, oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, l’obbligo del risarcimento del danno da dequalificazione professionale. Tale danno (detto anche danno professionale) può assumere aspetti diversi in quanto può consistere sia nel danno patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel pregiudizio subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di guadagno sia in una lesione del diritto del lavoratore all’integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero all’immagine o alla vita di relazione. È compito del giudice del merito - le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità - accertare se in concreto il suddetto danno sussista, individuarne la specie e determinarne l’ammontare eventualmente procedendo anche ad una liquidazione in via equitativa (Cass., 14 novembre 2001, n.

14199).

7. In materia di demansionamento (o dequalificazione), il lavoratore è tenuto a prospettare le circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia ed ha, quindi, l’onere di allegare gli elementi di fatto significativi dell’illegittimo esercizio del potere datoriale, e non anche quelli idonei a dimostrare in modo autosufficiente la fondatezza delle pretese azionate, mentre il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda e può allegarne altri, indicativi, del legittimo esercizio del potere direttivo, fermo restando che spetta al giudice valutare se le mansioni assegnate siano dequalificanti, potendo egli presumere, nell’esercizio dei poteri, anche officiosi, a lui attribuiti, la fondatezza del diritto fatto valere anche da fatti non specificamente contestati dall’interessato, nonché da elementi altrimenti acquisiti o acquisibili al processo (Cass., 08 luglio 2014, n. 15527, italgiureweb).

8. In caso di nuovo assetto organizzativo disposto dal datore di lavoro, che comprenda la riclassificazione del personale concordata con le organizzazioni sindacali, non sussiste violazione del divieto di dequalificazione qualora le mansioni del lavoratore, a seguito del riclassamento, non mutino rispetto al precedente inquadramento, poiché si realizza una violazione dell’art. 2013 c.c. solo se il dipendente venga adibito a differenti mansioni, compatibili con la nuova classificazione ma incompatibili con la sua storia professionale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, precisando che il lavoratore per acquisire il diverso parametro retributivo richiesto avrebbe dovuto prima ottenere giudizialmente il riconoscimento del diritto all’inquadramento superiore secondo il previgente accordo

(7)

nazionale, in ragione delle pregresse mansioni da ultimo svolte di fatto, e, quindi, rivendicare il superiore parametro secondo la corrispondenza della tabella di derivazione del nuovo accordo) (Cass., 15 settembre 2015, n. 19037, italgiureweb).

9. In tema di prova del danno da dequalificazione professionale ex art. 2729 c.c., non è sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice richiamo di categorie generali, come la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altri simili indici, dovendo procedere il giudice di merito, pur nell’ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza (Cass., Sez. Lav., 18 agosto 2016, n. 17163, “Leggi d’Italia)

█ 2. Il luogo della prestazione lavorativa.

In conformità alla disciplina generale in materia di contratti, il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa deve essere determinato dalla convenzione negoziale, o, in mancanza, deve essere desunto dagli usi o dalla natura della prestazione stessa (art. 1182 c.c.).

Salvo patti contrari (c.d. patto di inamovibilità), rientra nel potere direttivo del datore di lavoro la possibilità di modificare unilateralmente il luogo di svolgimento dell’attività, con il rispetto delle condizioni legittimanti e dei limiti individuati dall’art. 2103 c.c.

Giova, a tal proposito, distinguere preliminarmente tra trasferimento e trasferta.

► 2.1. Il trasferimento.

Il trasferimento costituisce uno spostamento definitivo del lavoratore da un’unità produttiva ad un’altra, disposto in via unilaterale dal datore di lavoro per comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive (art. 2103, co. 1 c.c.).

Occorre, pertanto, che tale operazione sia giustificata con riferimento a specifiche motivazioni di natura oggettiva o, in alternativa, che il dipendente interessato presti il suo consenso.

La norma non impone alcun vincolo di forma o di motivazione all’atto di trasferimento, ma la giurisprudenza ritiene che il datore di lavoro sia tenuto a comunicarne i motivi legittimanti a seguito di specifica richiesta del lavoratore.

Presupposti ulteriori sono previsti per:

i dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali, per il cui trasferimento è necessario il nulla – osta delle associazioni di appartenenza (art. 22, l. 20 maggio 1970, n. 300);

i lavoratori che esercitano funzioni di consigliere comunale e provinciale: in costanza di mandato elettivo, occorre il loro esplicito consenso al trasferimento (art. 27, l. 27 dicembre 1985, n. 816);

i portatori di handicap gravi o i lavoratori che assistono con continuità un parente od un affine entro il terzo grado portatore di handicap, i quali devono acconsentire al trasferimento (art. 33, co.

5 – 6, l. 5 febbraio 1992, n. 104).

Un trasferimento effettuato in assenza degli inderogabili presupposti legali deve considerarsi nullo.

Il lavoratore potrà tutelarsi attraverso:

l’accertamento giudiziale della nullità del trasferimento;

il rifiuto, in autotutela, di ottemperare al provvedimento di trasferimento (GHERA,VALLEBONA);

il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, sofferto;

la riassegnazione all’unità produttiva di provenienza.

L’accertamento giurisdizionale sarà teso a verificare la sussistenza delle ragioni obiettive poste alla base del provvedimento e del nesso di causalità tra le stesse ed il trasferimento disposto, ma non potrà spingersi fino a sindacare nel merito le scelte imprenditoriali ed organizzative del datore di lavoro (art.

30, l. 4 novembre 2010, n. 183).

Riferimenti

Documenti correlati

Ai fini della prova della sussistenza del giustificato motivo obiettivo del licenziamento, l'onere della dimostrazione della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di

L’ESU di Padova, per esigenze di carattere organizzativo e funzio- nale, correlate a garantire il corretto e regolare funzionamento del servizio ristorativo,

Il/la dipendente ha diritto alla tutela contro le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa

Il Lavoro Agile costituisce una modalità organizzativa flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che consente, su base volontaria, di lavorare in tempi e

Lo smart working o lavoro agile è un’esecuzione saltuaria della prestazione lavorativa, su base volontaria, all'esterno dei locali aziendali, in luoghi individuati dal/dalla

Si prega di consegnare il seguente modulo al proprio dipendente per raccogliere maggiori informazioni sull’incapacità lavorativa o di guadagno. Questo modulo deve essere compilato

Date (da – a) 13-14 Dicembre 07-08 Novembre/ 06-07 Ottobre/ 26-27 Settembre 2011 Nome e indirizzo del datore di lavoro Azienda Sanitaria Provinciale 5, Messina. Tipologia

d’ufficio, su proposta del dirigente responsabile, qualora il dipendente non si attenga alla disciplina contrattuale delle prestazioni di lavoro agile o al