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Capitolo 1 Analisi normativa

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Capitolo 1

Analisi normativa

Negli ultimi decenni i paesi industrializzati hanno vissuto un progressivo e costante aumento dell’impatto del costruito sull’ambiente naturale. Questa tendenza è diventata oggetto di innumerevoli studi e ricerche, nonché di dibattiti, congressi e seminari, che hanno cercato di sensibilizzare le politiche dei vari Paesi sulle conseguenze derivanti dall’ignorare il problema e, allo stesso tempo, di promuovere in vari modi il concetto della sostenibilità.

Contestualmente alle crisi energetiche degli anni settanta si registra la nascita di movimenti e associazioni che si pongono come obiettivo quello di promuovere forme di sviluppo sostenibile e portare a conoscenza dell’opinione pubblica le problematiche legate allo sfruttamento delle risorse energetiche.

Nel 1987 viene pubblicato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo il Rapporto Brundtland, in cui per la prima volta viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. Nel 1996, nell’ambito del progetto READ (Renewable Energy Architecture and Design), viene sottoscritta da dieci dei più famosi architetti europei la Carta europea per l’energia solare in architettura e pianificazione urbana, che ridefinisce il ruolo etico dell’architetto nei confronti dell’impatto ambientale.

Si voleva promuovere un approccio comune nelle politiche energetiche dell’Unione Europea, e ciò trova importanti conferme nel dicembre del 1997, quando gli Stati membri sottoscrivono congiuntamente il Protocollo di Kyoto. Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che venisse ratificato da non meno di 55 Nazioni firmatarie, e che queste complessivamente rappresentassero almeno il 55% delle emissioni inquinanti globali: quest’ultima condizione è stata raggiunta solo ad inizio 2005, quando la Russia ha perfezionato la sua adesione.

Il Protocollo di Kyoto, rappresenta il primo strumento globale per reagire ai cambiamenti climatici causati dalle attività umane. Impegna i Paesi sottoscrittori

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ad una riduzione quantitativa delle proprie emissioni di gas ad effetto serra rispetto ai propri livelli del 1990, fissando il limite di riduzione complessiva dell’8% da raggiungere nel periodo 2008-2012.

Gli impegni prefissati sono differenti da paese a paese: per l’Italia è stabilito l’obiettivo di una riduzione delle emissioni non inferiore al 6,5%. Questo valore corrisponde ad una riduzione assoluta di 33,9 MtCO2eq, in riferimento ad un livello

emissivo di 521 MtCO2eq attribuibile al caso in cui non vi fosse stato un

miglioramento delle performance ambientali al 1990 e ad un obiettivo di emissione al 2012 pari a 487,1 MtCO2eq. Dai dati che emergono dal “Dossier Kyoto

2013” l’Italia ha raggiunto l’obiettivo, con una riduzione di oltre il 7% ottenuta producendo nel 2012 emissioni dirette di gas serra pari a 465/470 MtCO2eq.

Nel 2008 con l’accordo sul piano di provvedimenti operativi denominato Pacchetto Clima ed Energia 20-20-20, gli Stati membri dimostrano la volontà di continuare ad impegnarsi nel processo per la lotta al cambiamento climatico anche dopo il 2012. I nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2020 sono: ridurre le emissioni di gas serra del 20%, aumentare l’efficienza energetica del 20% e incrementare l’uso di energia da fonti rinnovabili, giungendo alla quota del 20% del consumo energetico totale dell’Unione.

Nel contempo, al vertice G8 di Toyako (Giappone) i paesi industrializzati si impegnano in linea di principio a ridurre i gas serra di almeno il 50% entro il 2050. Nel 2009 il vertice G20 di Londra coinvolge oltre i ¾ del PIL, dei consumi energetici e delle emissioni mondiali e introduce il concetto di ‹‹Green Recovery››. Il programma presuppone che la crisi economica in atto possa non sottrarre, ma al contrario liberare, risorse sottoutilizzate da destinare alle politiche climatiche che quindi si pongono come motore di sviluppo rispetto all’intera economia.15

Dal Protocollo di Kyoto in avanti, le politiche della Unione Europea sono state indirizzate verso la promozione di un'economia più sostenibile, nonché in grado di rispondere alla duplice esigenza di contrastare gli effetti e le cause antropiche dei cambiamenti climatici. Le tecnologie energetiche sulle quali si punta nell’ottica di una nuova green economy, che possa aprire nuovi scenari di sviluppo non solo economico, ma anche e soprattutto sociale, sono quelle legate ai settori dell’efficienza energetica, delle emissioni di CO2 e delle fonti rinnovabili. È

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interessante rilevare che, a livello internazionale, è proprio il settore dell’efficienza energetica quello che ricopre un ruolo fondamentale, non solo per la varietà di soluzioni tecnologiche a cui fa capo, ma anche per le sue implicazioni sociali e comportamentali (ammette misure che investono non solo il settore dell’offerta, ma anche quello della domanda finale).

A sua volta il problema dell’efficienza energetica può essere riconducibile a diversi comparti: agricoltura, industria, trasporti, terziario e residenziale.

Dalle analisi condotte in questi anni, è emerso che il comparto che ha un impatto maggiore dal punto di vista ambientale è quello legato al mondo delle costruzioni, che solo in Italia registra consumi energetici maggiori del settore dei trasporti e dell’industria. Nei Paesi occidentali il settore delle costruzioni è responsabile di oltre il 40% dei consumi finali di energia, nonché del 35% delle emissioni di gas serra; in particolare di questa fetta di consumi il 22% è imputabile agli edifici residenziali e il restante 18% agli edifici commerciali.

Le nuove forme di sviluppo sostenibile devono quindi prevedere nuovi modelli architettonici, che garantiscano l’efficienza energetica e un limitato impatto ambientale del settore delle costruzioni, dal residenziale al terziario, garantendo comunque le condizioni di confort richieste dagli utenti.

Nel perseguire gli obiettivi del Protocollo di Kyoto prima, e quelli del cosiddetto piano 20-20-20 poi, la Comunità Europea ha avviato nel corso dell’ultimo ventennio una politica sociale ed economica finalizzata al risparmio energetico nel settore edilizio.

La Comunità ha emanato nel 2002 la direttiva 2002/91/CE, conosciuta come Energy Performance Building Directive (EPBD), che contiene disposizioni in merito all’applicazione di requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche degli edifici, sia nuovi sia esistenti che fossero oggetto di importanti ristrutturazioni, e alle certificazioni energetiche degli stessi, in fase di costruzione, compravendita o locazione. Le disposizioni contenute nella direttiva europea indicano a tutti gli Stati membri le modalità attraverso cui emanare la legislazione nazionale finalizzata al risparmio energetico nel settore dell’edilizia, sottolineando l’importanza di valutare le prestazioni energetiche di componenti, sistemi ed edifici in relazione alle condizioni climatiche locali ed alle caratteristiche

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dimensionali e funzionali dell’edificio. Inoltre, la direttiva presta particolare attenzione ai consumi energetici estivi, che in un clima come quello mediterraneo influenzano notevolmente la progettazione energetica, indicando la necessità di sviluppare maggiormente le tecniche di raffreddamento passivo.

Dal febbraio 2012 la direttiva 2002/91 è stata abrogata dalla direttiva 2010/31/UE, conosciuta anche come “EPBD Recast” o direttiva per la progettazione di ‹‹edifici a energia quasi zero››, ovvero costruzioni edilizie ad altissima prestazione, con fabbisogno energetico molto basso, o quasi nullo, coperto in misura molto significativa da energia proveniente da fonti rinnovabili. La direttiva mira alla riduzione sostanziale dei consumi energetici di un comparto, come detto, strategico in prospettiva 2020 e delinea un quadro prescrittivo molto preciso, che spazia dalla definizione dei requisiti minimi per ciascun componente edilizio, fino alla definizione della strumentazione finanziaria. Dispone, inoltre, che la prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione e di quelli esistenti sia volta al raggiungimento di un livello ottimale in funzione dei costi.

Nel nostro Paese il processo legislativo per il recepimento della direttiva, iniziato con il Disegno di legge Comunitaria 2011, ha subito una battuta di arresto con la caduta del Governo Monti, rendendoci di fatto inadempienti ai termini ultimi fissati per il 9 luglio 2012.

Sebbene alcune Regioni si siano già mosse in modo autonomo per uniformarsi alla strategia europea, ad oggi manca ancora un quadro metodologico comparativo relativo ai requisiti minimi di prestazione energetica, che segua la linea comune tracciata dal regolamento n. 244/2012 (integrazione alla direttiva proprio in merito a tali aspetti). Di conseguenza, gli strumenti di finanziamento promossi all’interno del Decreto Sviluppo, finalizzati ad agevolare i lavori di ristrutturazione grazie all’innalzamento al 50% della detrazione Irpef e al raddoppio del tetto di spesa per unità immobiliare, non si legano ancora in modo strutturato al raggiungimento degli obiettivi di effettivo efficientamento energetico delle abitazione usate da gran parte della popolazione italiana. Riferimenti al raggiungimento di livelli di qualità effettiva e misurabile, permettono di premiare con gli incentivi solo le ristrutturazioni realmente virtuose, spingendo sia i singoli individui sia le società che operano nel settore delle costruzioni a sviluppare

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progetti sostenibili.

La ristrutturazione del parco immobiliare esistente rappresenta un aspetto fondamentale all’interno di una green economy nostrana, nonché un’occasione per rilanciare il Paese. In Italia il mercato del retrofit degli edifici, ovvero l’aggiunta di nuove tecnologie o funzionalità finalizzate a prolungarne la vita utile, vale sei miliardi di euro con oltre due miliardi di mq da ristrutturare.16

A ciò va sommata la necessità di provvedimenti volti ad un contenimento del consumo di suolo, che favoriscano interventi sul costruito piuttosto che la realizzazione di nuove costruzioni.

Tenuto conto del ritardo manifestato dagli Stati membri nel conseguimento degli obiettivi al 2020, nonostante i primi piani d’azione nazionali adottati in applicazione delle direttive 2002/91 e 2006/32, nel 2012 l’Unione Europea ha arricchito il quadro di norme comunitarie puntando ad un’ulteriore mobilizzazione degli investimenti nella ristrutturazione di edifici esistenti.

Con la direttiva 2012/27/UE, l’Unione Europea indica politiche che incentivano un ammodernamento finalizzato a ridurre il consumo energetico, sia fornito che finale, del patrimonio edilizio datato. In particolare viene individuata nel settore pubblico una fonte di risorse importante in prospettiva di un miglioramento dell’efficienza energetica. Dato che gli edifici di proprietà degli enti pubblici rappresentano una quota considerevole del parco immobiliare e godono di notevole visibilità all’interno della vita pubblica nazionale, regionale e locale, una loro riqualificazione permetterebbe loro di avere nuove risorse risparmiate da destinare ad altri fini, nonché di stimolare la trasformazione del mercato verso edifici e servizi più efficienti.

Gli Stati membri sono chiamati a elaborare e aggiornare periodicamente, una strategia a lungo termine per favorire la ristrutturazione di edifici residenziali e commerciali, sia privati che pubblici; garantiscono interventi che coinvolgano annualmente non meno del 3% della superficie coperta utile totale degli immobili posseduti dalle pubbliche amministrazioni e che li conformino ai requisiti minimi di prestazione energetica stabiliti in applicazione della direttiva 2010/31. La norma prevede un’attuazione graduale, inizialmente ad edifici con una superficie coperta utile totale superiore a 500 mq, per poi dimezzare la soglia nel 2015.

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1.1. Le direttive e il LCC

La direttiva 2010/31/UE ha introdotto il concetto di ‹‹livello ottimale in funzione dei costi››, ossia il livello di prestazione energetica che comporta il costo più basso, in termini di analisi costi-benefici legati all’energia, durante il ciclo di vita economico stimato, come requisito prestazionale per gli edifici. Il costo più basso è determinato tenendo conto dei costi di investimento legati all’energia, dei costi di manutenzione e di funzionamento (compresi i costi e i risparmi energetici e gli utili derivanti dalla produzione di energia) e degli eventuali costi di smaltimento. Già nelle considerazioni iniziali, che fotografano lo scenario raggiunto dall’Unione Europea negli ultimi anni, evidenziandone le problematiche e le necessità più impellenti, si evidenzia che: ‹‹le misure per l’ulteriore miglioramento della prestazione energetica degli edifici dovrebbero tenere conto delle condizioni climatiche e locali, nonché dell’ambiente termico interno e dell’efficacia sotto il profilo dei costi››.

Nella direttiva, gli Stati membri sono chiamati a fissare requisiti minimi di prestazione energetica, revisionati periodicamente in funzione del progresso tecnologico (intervalli regolari non superiori a cinque anni), degli edifici e degli elementi edilizi, in modo da conseguire un equilibrio ottimale in funzione dei costi tra gli investimenti necessari e i risparmi energetici realizzati nel ciclo di vita di un edificio. Da parte sua la Commissione si impegna ad elaborare un quadro metodologico comparativo che consenta di calcolare livelli ottimali in funzione dei costi per i requisiti minimi di prestazione energetica.

L’obiettivo finale è che gli Stati membri dovrebbero avvalersi di tale quadro per comparare i risultati del calcolo con i requisiti minimi di prestazione energetica da essi adottati. In caso di significativa discrepanza, ossia superiore al 15%, tra il risultato del calcolo dei livelli ottimali in funzione dei costi per i requisiti minimi di prestazione energetica e i requisiti minimi di prestazione energetica in vigore, gli Stati membri dovrebbero giustificare la differenza o pianificare misure adeguate per ridurre tale discrepanza. Come strumento comparativo utile al perseguimento di tale obiettivo, viene indicata la stima del ciclo di vita economico di un edificio o di un elemento edilizio (LCC).

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In riferimento all’articolo 5 della direttiva, a primavera 2012, la Commissione Europea ha pubblicato il regolamento delegato (UE) 244/2012, che istituisce un quadro metodologico comparativo per il calcolo dei livelli ottimali in funzione dei costi.

Il regolamento definisce le modalità secondo cui svolgere l’analisi del ciclo di vita economico dell’edificio (LCC), ricoprendo le fasi di realizzazione, esercizio ed eventualmente di dismissione. Data la complessità della procedura viene impiegata la categoria degli “edifici di riferimento” come elemento di raccordo tra LCC e edifici reali. La procedura di calcolo dei livelli ottimali in funzione dei costi, volta a stabilire le soglie minime prestazionali per gli edifici nuovi e ristrutturati, deve essere quindi applicata a un numero minimo di edifici rappresentativi, ai quali ricondurre poi l’intero stock edilizio esistente.

Il regolamento dispone che il calcolo possa essere condotto secondo due distinti livelli: il primo, “finanziario”, prevede la computazione dei costi dell’energia al lordo delle tasse, e corrisponde a una visione centrata sul solo soggetto che investe in efficienza energetica; il secondo, “macroeconomico”, prevede la computazione al netto delle tasse e con l’aggiunta della voce di costo per emissioni di gas a effetto serra, e corrisponde a una visione centrata sull’intera società (che trae beneficio dagli investimenti). In entrambi i casi devono essere analizzate differenti misure a scala di componente o di sistema, al fine di individuare quale, fra quelle che presentano un’analisi costi-benefici positiva, risulti economicamente ottimale. L’interpretazione è sintetizzata dalla traslazione della valutazione dallo spazio a una dimensione, rappresentativo dell’energia primaria, allo spazio a due dimensioni, rappresentativo della combinazione tra energia primaria e valore attuale netto dei costi globali correlati all’energia lungo il periodo di calcolo considerato (stabilito in 20-30 anni).

L’attualizzazione dei costi rispetto all’anno iniziale del periodo di calcolo implica l’assunzione di tassi di interesse e di inflazione che risultino rappresentativi per la determinazione del tasso di sconto, oltre a una loro previsione di variazione nel tempo. Analoga previsione deve essere sviluppata per le tariffe dei vettori energetici e per le quotazioni della CO2, a partire dagli scenari

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In sintesi, lo schema metodologico generale proposto dal regolamento è composto essenzialmente dai seguenti passi:

− definizione di edifici di riferimento

− definizione di misure/pacchetti/varianti di efficienza energetica

− valutazione del fabbisogno energetico finale e primario delle varianti di edificio

− valutazione dei costi delle misure/pacchetti/varianti tecnologiche

− generazione di una curva fabbisogno-costo

La scelta di utilizzare un edificio di riferimento da cui derivare le soglie minime prestazionali per una molteplicità di edifici a esso riconducibili è resa necessaria dalla complessità della procedura. La questione è come individuare un edificio di riferimento tale da rappresentare nel modo più ampio possibile il parco edilizio, sia esso virtuale o reale; infatti, risulta difficile categorizzare gli edifici, pur assumendo importanti semplificazioni.

Secondo la definizione data dal regolamento, un edificio di riferimento deve essere “tipico”. I progetti di ricerca europei sul tema, “ASIEPI” e “TABULA”, riconducono la qualifica “tipico” alla qualifica “tipologico”. Essa si presta parzialmente a un’applicazione al settore residenziale, ma non sembra applicabile alle altre categorie di edifici. In generale, la mancanza di database nazionali sufficientemente estesi, o meglio di catasti energetici, impedisce un approccio di tipo statistico, obbligando ad assumere criteri semiempirici.

Date le incertezze di individuazione, il ricorso all’edificio di riferimento come elemento di raccordo tra LCC e edifici reali può introdurre un passaggio non oggettivo nella valutazione; le variabili tecniche e costruttive che caratterizzano ogni singolo edificio sono, infatti, tali da rendere non generalizzabili i risultati ottenuti per uno di essi.

La direttiva ritiene opportuno stimare i costi correlati all’energia, al fine di individuare i margini di efficienza energetica che siano economicamente convenienti in base a un’analisi costi-benefici. Si ritiene tuttavia necessario che la centralità della valutazione sia di natura tecnica e non di natura economica. Il ruolo attribuito dalla Commissione Europea al calcolo del livello ottimale in funzione dei costi si rivela perciò contrario all’esigenza di attendibilità dei risultati. L’opzione

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tra calcolo finanziario e calcolo macroeconomico costituisce un ulteriore elemento di divergenza applicativa, poiché concede agli Stati membri una serie di gradi di libertà nell’implementazione del regolamento.

Il calcolo del livello ottimale in funzione dei costi è fortemente condizionato dalle assunzioni operate circa le variabili di natura strutturale (meccanismi di tassazione) e di natura economica (costi dell’energia e del carbonio) e finanziaria (tassi di sconto).

In un calcolo finanziario, i costi dell’energia sono computati al lordo delle tasse. I meccanismi di tassazione sono diversificati fra Paesi, e all’interno di uno stesso Paese sono diversificati fra vettori. Una più ampia diversificazione è data, inoltre, dalla valutazione (opzionale) degli incentivi e degli aiuti di Stato. La previsione dell’andamento dei costi dell’energia sul medio e lungo termine è dipendente da fattori globali, che sfuggono al controllo della politica comunitaria, e variabile in funzione delle ipotesi fatte dagli analisti sugli scenari di riferimento; entra in gioco quindi una rilevante incertezza nella stima delle quotazioni dei vettori energetici. Inoltre, anche analisi svolte a breve distanza di tempo possono presentare significativi scostamenti nelle proiezioni, rendendo quindi necessario un aggiornamento frequente del quadro di riferimento per l’ottimalità dei costi.

In un calcolo a livello macroeconomico sono compresi i costi per emissioni di CO2.

Le quotazioni internazionali della CO2 attuali e nella recente evoluzione si rivelano

volatili e svincolate dalle quotazioni dei vettori energetici, mentre le previsioni sul medio e lungo termine mostrano una dipendenza dalle politiche programmate di riduzione delle emissioni di gas serra a scala comunitaria (Low Carbon Economy 2050), e dall’efficacia delle principali strategie messe in atto a tal fine.

Ciò considerato, emerge che la valutazione del “livello ottimale in funzione dei costi” come requisito prestazionale per gli edifici non è univoca, in quanto dipende da grandezze non oggettive.

Come detto, in Italia il processo legislativo per il recepimento della direttiva 2010/31 non è ancora completato. In data 4 giugno 2013 è stato pubblicato il decreto legge n. 63, che ne costituisce l’atto di recepimento a livello nazionale, e opera principalmente tramite modifiche e integrazioni al DLgs 192/05, a sua volta atto di recepimento della direttiva 2002/91.

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Il DL 63/03 non entra nel merito delle modalità di parametrizzazione economica secondo cui determinare i requisiti minimi di prestazione energetica.

Il DL 63/13 si pone come struttura normativa di trasposizione dei principali passaggi della direttiva, rinviando a successivi decreti attuativi il dettaglio delle modalità di applicazione a livello nazionale. In particolare, gli elementi di maggior rilievo sono:

− la definizione del concetto di edificio a energia quasi zero;

− la previsione entro il 2014 di un Piano d’Azione Nazionale per l’attuazione degli edifici a energia zero e le relative misure politiche e finanziarie;

− l’adozione di una metodologia di calcolo basata sulla Raccomandazione CTI 14/2013 e sulla serie di specifiche tecniche UNI TS 11300;

− la sostituzione dell’attuale Attestato di Certificazione Energetica con un Attestato di Prestazione Energetica, contenente indici di energia primaria totale e non rinnovabile e di emissioni di CO2 per ciascun servizio energetico

considerato, anche ai fini della classificazione dell’edificio.

L’ENEA ha recentemente avviato un programma di ricerca per elaborare le informazioni relative allo sviluppo e alla validazione di una metodologia di calcolo, applicabile nel contesto italiano, per la caratterizzazione del ”livello ottimale in funzione dei costi”.

L’obiettivo dello studio è quello di impostare e testare una metodologia di calcolo cost-optimal, tramite la quale sia possibile associare un valore di fabbisogno energetico e di costo globale alle varianti tecnologiche di edificio.17

Volendo supportare l’adattamento al contesto nazionale della metodologia di calcolo e di analisi tracciata dal regolamento n. 244/2012, lo studio considera rilevante focalizzare l’analisi primariamente sugli edifici realizzati negli anni 50-70, sottolineando, per ciascuna categoria di edifici (definite in base alla destinazione d’uso), la necessità di definire almeno un edificio di riferimento per gli edifici di nuova costruzione e almeno due per gli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazione completa.

Al fine di limitare le simulazioni dinamiche di varianti di involucro edilizio risulta conveniente ragionare su pacchetti tecnologici piuttosto che su singole misure. In questo modo vengono evidenziati i parametri fisici che più influenzano i fabbisogni

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energetici. Lo studio individua i seguenti pacchetti tecnologici:18

− pacchetto 1: parametri fisici associati alle superfici opache dell’involucro edilizio (pareti esterne, copertura e solaio su terreno), descritte primariamente dalla loro trasmittanza (o livello di isolamento);

− pacchetto 2: parametri fisici associati alle superfici trasparenti dell’involucro edilizio. Questa famiglia comprende la trasmittanza termica dei serramenti (vetro + telaio) e la permeabilità all’aria degli infissi;

− pacchetto 3: parametri fisici associati al controllo dei carichi termici estivi (fattore solare delle superfici trasparenti, riflettenza dell’involucro, massa termica efficace e livello di ventilazione naturale notturna durante il periodo estivo).

Considerando tre variazioni per ogni misura e combinandole, si otterranno 27 modelli di involucro, per cui quantificare i fabbisogni di energia termica utile per riscaldamento e raffrescamento, e successivamente di energia primaria in riferimento alle varianti di impianto considerate. Dopodiché è possibile condurre la valutazione dei costi globali per ciascuna delle alternative selezionate e definire quelle migliori (con minori costi globali.)

1.2. Normativa italiana per le riqualificazioni energetiche

Le valutazioni sull’evoluzione del sistema energetico italiano fino al 2020 registrano un aumento medio annuo dei consumi di energia dell’ordine dell’1,2% nel primo decennio e dello 0,8% nel secondo.

La domanda di energia primaria si attesta nel 2011 a 184,2 Mtep, subendo una flessione di circa due punti percentuali rispetto al 2010, per una generalizzata contrazione dei consumi di tutte le fonti fossili non compensata dall’accresciuto contributo delle fonti rinnovabili.19

In questo momento, le politiche energetiche italiane sono finalizzate a ridurre la dipendenza energetica dall’estero e ad aumentare la stabilità di approvvigionamento sul medio e lungo termine, limitando contemporaneamente l’emissione di sostanze nocive attraverso il ricorso a fonti energetiche rinnovabili. La necessità di incrementare l’efficienza energetica nazionale, intervenendo sul

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settore delle costruzioni, a cui come abbiamo visto sono imputabili i maggiori consumi finali di energia, ha determinato il rilancio della ricerca e della produzione industriale legata a prodotti innovativi che consentono non solo di ridurre le dispersioni, ma garantiscono di trasformare l’involucro architettonico in un componente capace di produrre energia necessaria al fabbisogno energetico dell’edificio.

Dal punto di vista normativo l’Italia ha recepito le direttive europee 2002/91 e 2006/32. In particolare le indicazioni dell’EPBD sono state trasferite nelle leggi emanate a partire dal 2005 in materia di efficienza energetica degli edifici: dal DLgs 192/05 al decreto attuativo DPR 59/09, anche l’attenzione del legislatore si è spostata sulla necessità di indicare nuovi modi di costruire e consumare energia all’interno dei nostri fabbricati, indicando le prestazioni che gli elementi d’involucro e d’impianto devono garantire per il ridurre il fabbisogno energetico per il riscaldamento ed il raffrescamento.

Il DPR 59/09, in vigore a partire dal 25 giugno 2009, è destinato all’edilizia sovvenzionata e convenzionata, all’edilizia pubblica e privata, sia nei casi di nuove costruzioni, sia nelle ristrutturazioni degli edifici esistenti, intendendo come tali gli interventi integrali riguardanti l’involucro di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 mq, le demolizioni e le ricostruzioni in manutenzione straordinaria di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 mq, gli ampliamenti di edifici nel caso in cui risultino volumetricamente superiori al 20% dell’intero edificio esistente.

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Il DPR contiene “i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi” relativi alle prestazioni termiche degli edifici per la climatizzazione invernale ed estiva e al rendimento energetico degli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria.

Occorre sottolineare che “i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi” erano già stati introdotti dal DLgs 192/05, dal DLgs 311/06 (disposizioni correttive del DLgs 192/05) e dal DLgs 115/08 (decreto attuativo della direttiva 2006/32), anche se in regime transitorio. Tanto è vero che il DPR rimanda all’allegato C del DLgs 192/05, apportando tuttavia alcune integrazioni sui valori da verificare e parziali modifiche sulle procedure di verifica, pur lasciando invariate le tabelle di riferimento contenenti i valori limite per il fabbisogno annuo di energia primaria per la climatizzazione invernale e i valori limite di trasmittanza termica dell’involucro, come modificati dal DLgs 311/06.

Il decreto introduce, tuttavia, una importante novità: i requisiti minimi per la climatizzazione estiva (in base alla prestazione termica dell’involucro), confermando l’adozione delle metodologie di calcolo basate sulle UNI TS 11300 (introdotte già dal DLgs 115/08).

Il DPR conferma la richiesta, espressa già nel DLgs 192/05, per tutte le categorie di edifici, nei casi sia di nuova costruzione che di ristrutturazione, della verifica, in sede progettuale, che l’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale (EPi), ossia del fabbisogno annuo di energia primaria, sia inferiore ai valori limite contenuti nelle tabelle del DLgs. 311/06.

Introduce requisiti minimi più restrittivi in tutti i casi di nuova costruzione o ristrutturazione di edifici pubblici o a uso pubblico, come richiesto dalla direttiva 2002/91: in questi casi, i valori limite di fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento invernale e i valori limite di trasmittanza termica delle chiusure opache e trasparenti devono essere ridotti del 10% e verificati entrambi.

Nel caso di edifici di nuova costruzione e nei casi di ristrutturazione di edifici esistenti, il DPR richiede anche il calcolo della prestazione energetica per il raffrescamento estivo dell’involucro edilizio (Epe,invol), pari al rapporto tra il

fabbisogno annuo di energia termica per il raffrescamento estivo (calcolato secondo la norma UNI TS 11300) e la superficie utile interna (per gli edifici

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residenziali) o il volume (per gli edifici con altre destinazioni d’uso). Il valore non deve risultare superiore a:

− 40 kWh/mqa nelle zone climatiche A e B e 30 kWh/mqa nelle zone climatiche C, D, E ed F, nel caso di edifici residenziali;

− 14 kWh/mca nelle zone climatiche A e B e 10 kWh/mca nelle zone climatiche C, D, E ed F, per tutti gli altri edifici.

Il DPR 59/09 richiede che, per tutte le categorie di edifici, nei casi di ristrutturazioni totali o parziali e di manutenzione straordinaria dell’involucro che non siano “integrali” (come, per esempio, rifacimento di pareti esterne, di intonaci esterni, del tetto o dell’impermeabilizzazione delle coperture), e che abbiano una superficie utile inferiore a 1000 mq, la verifica che la trasmittanza termica a ponte termico corretto delle chiusure e dei serramenti rispetti i valori limite di riferimento previsti dal DLgs 311/06. Qualora il ponte termico non fosse corretto, i valori limite devono essere rispettati dalla trasmittanza termica media (chiusura corrente più ponte termico). Per questo tipo di ristrutturazioni, non è richiesta la verifica del fabbisogno di energia primaria per la climatizzazione invernale ed estiva.

Come già previsto dai decreti precedenti, il DPR richiede che, per tutte le categorie di edifici, sia nel caso di nuova costruzione, sia nel caso di ristrutturazione di edifici esistenti (comprese le manutenzioni straordinarie dell’involucro di edifici che abbiano una superficie utile inferiore a 1000 mq), da realizzarsi in zona climatica C, D, E ed F, il valore della trasmittanza termica degli elementi di divisione verticali e orizzontali che separano due edifici o due unità immobiliari confinanti sia inferiore a 0,8 W/mqK. Lo stesso limite deve essere ugualmente rispettato per tutti gli elementi opachi verticali, orizzontali o inclinati che separano gli ambienti non riscaldati dall’ambiente esterno.

Richiede anche, per tutte le zone climatiche, di procedere alla verifica dell’assenza di condensazioni superficiali e che le condensazioni interstiziali delle pareti opache siano limitate alla quantità rievaporabile, conformemente alla normativa tecnica vigente (UNI EN ISO 13788:2003).

Il decreto modifica i requisiti minimi per il confort estivo introdotti nei precedenti decreti in relazione alla riduzione del fabbisogno energetico per la climatizzazione

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estiva e al contenimento delle temperature interne degli ambienti, puntando sempre su tre elementi chiave: le schermature solari delle superfici trasparenti, l’inerzia termica degli involucri opachi e la ventilazione naturale. Tali requisiti si applicano a tutte le categorie di edifici (esclusi gli edifici adibiti ad attività commerciali, ad attività sportive, ad attività scolastiche e ad attività industriali), sia nel caso di nuova costruzione, sia nel caso di ristrutturazione, comprese le manutenzioni straordinarie dell’involucro di edifici che abbiano una superficie utile inferiore a 1000 mq.

Innanzitutto rende obbligatoria la presenza di sistemi schermanti esterni, che però possono essere omessi in presenza di superfici vetrate con fattore solare (UNI EN 410) minore o uguale a 0,5. Prescrive, inoltre, di utilizzare al meglio le condizioni ambientali esterne e le caratteristiche distributive degli spazi per favorire la ventilazione naturale dell’edificio; tuttavia, nel caso in cui il ricorso alla ventilazione naturale non fosse efficace, è possibile prevedere l’impiego di sistemi di ventilazione meccanica.

Infine, richiede di verificare, in tutte le zone climatiche ad eccezione della zona F, per le località nelle quali il valore medio mensile dell’irradianza sul piano orizzontale, nel mese di massima insolazione estiva, sia maggiore o uguale a 290 W/mq, che tutte le pareti verticali opache, con l’eccezione di quelle comprese nel quadrante nord-ovest/nord/nord-est, abbiano un valore di massa superficiale superiore a 230 kg/mc, oppure abbiano un valore del modulo di trasmittanza termica periodica (YIE) inferiore a 0,12 W/mqK; richiede, inoltre, nelle medesime

circostanze, di verificare che tutte le chiusure opache orizzontali e inclinate abbiano un valore del modulo di trasmittanza termica periodica inferiore a 0,20 W/mqK.

Come già previsto nei decreti esistenti, il DPR impone, per tutte le categorie di edifici, sia pubblici che privati, l’utilizzo di fonti rinnovabili per la produzione di energia termica ed elettrica. In particolare, nel caso di edifici di nuova costruzione o in occasione di nuova installazione di impianti termici o di ristrutturazione degli impianti termici esistenti, l’impianto di produzione di energia termica deve essere progettato e realizzato in modo da coprire almeno il 50% del fabbisogno annuo di energia primaria richiesta per la produzione di acqua calda sanitaria con l’utilizzo

(16)

di fonti rinnovabili. Tale limite è ridotto al 20% per gli edifici situati nei centri storici. Nel caso di edifici di nuova costruzione, pubblici o privati, o di ristrutturazione degli stessi, è obbligatoria l’installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica.

La pubblicazione della direttiva europea 2010/31 obbliga l’Italia ad una revisione della legislazione attuale; il DLgs 192/05 e il DPR 59/09 andranno in pensione a fine anno per lasciare il posto ad un nuovo documento legislativo che delineerà il futuro dell’efficienza energetica degli edifici nel nostro Paese, per poi passare al recepimento della direttiva 2012/27.

La recente adozione delle norme UNI TS 11300 come strumenti di riferimento per il calcolo del fabbisogno energetico degli edifici, ha colmato la lacuna registrata nel nostro paese in merito all’assenza di indicazioni precise per valutare l’efficienza energetica durante tutto l’arco dell’anno (inverno ed estate) ed in relazione alle diverse fasce climatiche.

Le UNI TS 11300 sulle prestazioni energetiche degli edifici si dividono in quattro parti:

− parte 1: Determinazione del fabbisogno di energia termica dell’edificio per la climatizzazione estiva ed invernale

− parte 2: Determinazione del fabbisogno di energia primaria e dei rendimenti per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria

− parte 3: Determinazione del fabbisogno di energia primaria e dei rendimenti per la climatizzazione estiva

− parte 4: Utilizzo di energie rinnovabili e di altri metodi di generazione per la climatizzazione invernale e per la produzione di acqua calda sanitaria

La conseguenza diretta di queste norme tecniche sarà la necessità di proporre nuovi modelli di edifici a emissioni zero anche per l’area mediterranea, dove negli ultimi anni si sono esportati modelli architettonici caratterizzati da involucri ermetici e iperisolati, nei quali il contenimento delle dispersioni durante i mesi invernali rappresenta l’unico input alla progettazione energetica, rendendoli difatti incapaci di garantire buone condizioni di comfort anche nei mesi con le temperature più elevate.

(17)

15 Autori vari, Rapporto Energia e Ambiente 2008. Analisi e Scenari, ENEA, Roma, 2009 16 M. Finizio, “Il retrofit degli edifici ‹‹vale›› 6 miliardi”, Casa 24 plus, 20 settembre 2012, p. 19 17

P. Zangheri, L. Pagliano, Sviluppo di una metodologia per l’individuazione dei requisiti di

prestazione energetica ottimali in funzione dei costi, ENEA, Roma, 2012

18

Ibidem

19

Figura

Fig. 1. 1 – Impieghi finali di energia per settore, Italia 2011. Fonte: elaborazione ENEA sui dati MSE

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