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AVVERTENZA

INDICE GUGLIELMO GOLA, L'OPERA SCIENTIFICA DI E. D'ALBERGO,6

DOMENICO DA EMPOLI,PRESENTAZIONE DI E. D’ALBERGO,11

Per trovare una parola o frase, clicca: 1) Edit, Search;

2) Scrivi la parola o frase nella stringa che si apre sulla destra. Infine, clicca Search. NINO LUCIANI,IL “2° CRITERIO PARETIANO”, D’ALBERGO E LA SCIENZA DELLE FINANZE,408

The “2d Pareto’s criterion”, d’Albergo and the Science of Public Finance,425

INTRODUZIONE,13

I. DEFINIZIONE DELLA SCIENZA DELLE FINANZE COME ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA II. TRATTAZIONE SCIENTIFICA PER FINI DI CONOSCENZA SECONDO LA DEFINIZIONE.

III. PRINCIPI TEORICI CHE ORIENTANO LE INDAGINI.

IV. CONCEZIONE RAZIONALE-QUANTITATIVA ESPLICITA NELLA DEFINIZIONE E «GIUDIZI DI VALORE».

V. RAZIONALITÀ DELLA DEFINIZIONE CHE AFFERMA LA LIMITAZIONE DELLE RICERCHE TEORICHE ALL'ASPETTO ECONOMICO DEI PROBLEMI DELLA FINANZA PUBBLICA.

VI. RAPPORTI FRA DIRITTO E FENOMENO CONCRETO (ORDINAMENTO POSITIVO).

VII. IL DOMINIO DELL'ASTRAZIONE IPOTETICA NELL'ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA. VIII AUTONOMIA DELLA SCIENZA DELLA FINANZA PUBBLICA DALLA ECONOMIA POLITICA.

IX. LIMITI DELLA DIMOSTRATA RELATIVA AUTONOMIA DELLA "SCIENZA DELLE FINANZE” DALLA ECONOMIA POLITICA. X. RAPPORTI FRA ECONOMIA FINANZIARLA E: A) POLITICA ECONOMICA E FINANZIARIA IN SENSO TRADIZIONALE;

E B)“POLITICA FISCALE” NEL SENSO KEYNESIANO.

XI. IL CARATTERE RAZIONALE DELLO STUDIO COMPIUTO IN QUESTE LEZIONI DI ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA.

CAPITOLO I.-BISOGNI PUBBLICI - SPESE PUBBLICHE,73

I. I BISOGNI PUBBLICI. II. LE SPESE PUBBLICHE.

III CRITERIO DI DECISIONE DELLA QUANTITÀ DEI BISOGNI PUBBLICI DA SODDISFARE (SECONDO CRITERIO DI PARETO).

CAPITOLO II.-LE ENTRATE PUBBLICHE,86

I. LA LOGICA DELLA SEQUENZA: BISOGNI PUBBLICI - SPESE PUBBLICHE - ENTRATE PUBBLICHE.

II. LE ENTRATE PUBBLICHE CONSIDERATE DAL PUNTO DI VISTA DEI SINGOLI MEMBRI DELLA COLLETTIVITÀ CHE DOMANDINO O SUBISCANO IL CONSUMO DI SERVIZI PUBBLICI.

III. LE ENTRATE PUBBLICHE CONSIDERATE DAL PUNTO DI VISTA DELLO STATO CHE OFFRE E IMPONE CONSUMO DI SERVIZI.

A) PREZZO PRIVATO E QUASI-PRIVATO. B) PREZZO PUBBLICO.

C) TASSA (COME CORRISPETTIVO NON TRIBUTARIO).

D) COMMISTIONE DI TASSE NON TRIBUTARIE E DI TASSE CON NATURA DI TRIBUTI. E) I CONTRIBUTI (DI MIGLIORIA SPECIFICA).

F) IMPOSTE SPECIALI.

IV. LE IMPOSTE GENERALI E LA LORO CLASSIFICAZIONE. A) IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE.

B) IMPOSTE REALI E PERSONALI.

C) IMPOSTE PROPORZIONALI E PROGRESSIVE.

CAPITOLO III.–LA DISCRIMINAZIONE QUANTITATIVA DEGLI IMPONIBILI.DEI CRITERI SOGGETTIVI DI RIPARTIZIONE DEL COSTO DEI SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI,110

I. LO SPOSTAMENTO, NELL'IPOTESI, DEL SOGGETTO DELLE VALUTAZIONI EDONISTICHE DAI SINGOLI MEMBRI DELLA COLLETTIVITÀ ALLA CLASSE GOVERNANTE PER LA COLLETTIVITÀ STESSA.

II. INTUIZIONI E DIMOSTRAZIONI SCIENTIFICHE IN TEMA DI PRINCIPII E CRITERI O “MODI” DI DISTRIBUZIONE DEL COSTO DEI SERVIZI PUBBLICI INDIVISIBILI

III. ALTRE AVVERTENZE DI METODO PER LA VISIONE RAZIONALE DEL PROBLEMA.

IV. LA LEGITTIMITÀ LOGICA E LA FECONDITÀ TEORICA DELL'IPOTESI DI UNA DECRESCENZA «TIPICA» DELL’UTILITÀ MARGINALE DEL REDDITO VISTA DALLA CLASSE GOVERNANTE PER I MEMBRI DELLE COLLETTIVITÀ.

V. L'IRRAZIONALE E CONTRADDITTORIO SCETTICISMO LEGATO ALLA NEGAZIONE DI UNA «TIPICA» DECRESCENZA DELL'UTILITÀ MARGINALE DEL REDDITO, LOGICAMENTE ASSUNTA COME IPOTESI RAZIONALE IN QUESTO CORSO. VI. ANALISI DEL PRINCIPII DEL SACRIFICIO: A) EGUALE, B) PROPORZIONALE, C) MINIMO COLLETTIVO.

VII. CONSIDERAZIONI DI POLITICA FINANZIARIA E STATISTICHE CHE INFLUENZANO LA DETERMINAZIONE QUANTITATIVA E L'INTRODUZIONE DELL'IMPOSTA PROGRESSIVA.SISTEMI DI PROGRESSIONE.

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VIII CRITICA DELLA PROPRIETÀ «FONDAMENTALE» DELLA PROGRESSIONE E RELATIVITÀ DI ESSA.

CAPITOLO IV.-DEL PRINCIPIO DELLA «CAPACITÀ CONTRIBUTIVA»,149

I. TENTATIVI DI DARE SIGNIFICATO AL CONCETTO DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA IN SEDE OGGETTIVA: LA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA RELATIVA AL VANTAGGI (EFFETTI) DELLA SPESA PUBBLICA.

II. LA TASSAZIONE DIFFERENZIALE O ELISIONE DI «RENDITE DI PROTEZIONE» ALLA LUCE DEL «PRINCIPIO DELLA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA RELATIVA»

CAPITOLO V.-DEI COSIDDETTI PRINCIPII «ECONOMICO», DELLA «NEUTRALITÀ» E «PRODUTTIVISTICO»

E DI ALTRI CRITERI PER LA RIPARTIZIONE DELLE IMPOSTE GENERALI,161

I. IL "PRINCIPIO ECONOMICO” DI E.BARONE.

II. LA NEUTRALITÀ DELL'IMPOSIZIONE IN RAPPORTO ALLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITI.LA FORMULAZIONE DEL DALTON.

III. IL "PRINCIPIO PRODUTTIVISTICO”

IV. IL COSIDDETTO CRITERIO DELL'OPPORTUNITÀ (EXPEDIENCY).

CAPITOLO VI.-LA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA DEGLI IMPONIBILI,170

I. AVVERTENZE SULLE RAGIONI CHE FANNO PRECEDERE LO STUDIO DELLA DISCRIMINAZIONE A QUELLO DELLA EPURAZIONE DELL'OGGETTO DELL'IMPOSIZIONE.

II. SPIEGAZIONI POLITICO - SOCIOLOGICHE DELLA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA. III. DISTINZIONE CHE SI PRENDE IN ESAME.

IV. LE DUE IMPOSTAZIONI TEORICHE DEL PROBLEMA: A) UNA DI TIPO OGGETTIVO O RICARDIANO; B) L'ALTRA, APPROPRIATA E RAZIONALE, DI TIPO MARGINALISTICO O SOGGETTIVO, NEL SIGNIFICATO CHE SI PRECISA. V. DIMOSTRAZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA SU BASE EDONISTICA (PRIMA APPROSSIMAZIONE).

DEFINIZIONE DEL REDDITO.

VI. DEDUZIONI ULTERIORI ED AVVERTENZE SULLA DISCRIMINAZIONE.

VII. ANALISI DI SECONDA APPROSSIMAZIONE PER LA SPIEGAZIONE DELLA DISCRIMINAZIONE QUALITATIVA. VIII. SI INTRODUCE NEL RAGIONAMENTO LA «FUNZIONE DEL CONSUMO».

APPENDICE AL CAPITOLO VI.ALCUNE OSSERVAZIONI SULLE IMPOSTE DIRETTE, IN ITALIA: IMPOSTA DI FAMIGLIA, IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE, IMPOSTA SUL PATRIMONIO

CAPITOLO VII.-SULLA «DOPPIA TASSAZIONE DEL RISPARMIO,191

I. LA EGUALE TASSAZIONE DEL CONSUMO E DEL RISPARMIO È IMPLICITA NELLA DEFINIZIONE IPOTETICA DELL' OG-GETTO IMPONIBILE.

II. ETEROGENEITÀ DEI DUE SISTEMI DI TASSAZIONE: A) DEL REDDITO CONSUMATO, B) DEL REDDITO PRODOTTO.

CAPITOLO VIII.-LA «EPURAZIONE» DI QUANTITÀ ECONOMICHE PER LA RIDUZIONE AD IMPONIBILI,203

I. L' EPURAZIONE DEGLI IMPONIBILI NELLA TASSAZIONE DEL REDDITO:1) PRODOTTO,2) GLOBALE DISPONIBILE,3) CONSUMATO OVVERO DEL PATRIMONIO.

II. FONDAMENTO LOGICO DEL PROCESSO DI EPURAZIONE DEGLI IMPONIBILI

III. RAGIONI D'ORDINE ECONOMICO RAZIONALE CHE FANNO LUOGO ALLA TASSAZIONE DI REDDITI «NETTI» ANZICHÈ «LORDI».

APPENDICE AL CAPITOLO VIII-SULLE “EPURAZIONI” PRESUNTE

CAPITOLO IX.-GLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE,212

I. IMPORTANZA E COLLOCAZIONE DI QUESTO CAPITOLO NELLA FINANZA PUBBLICA.

II. I PRINCIPI DI CAUSALITÀ E DI FINALITÀ E L'IMPOSTAZIONE ATOMISTICA DEL PROBLEMA DEGLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE

III. IL PRINCIPIO DETERMINISTICO E LA SUA IMPOSTAZIONE SECONDO L'EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE. IV. NECESSITÀ LOGICA DELLO STUDIO COLLEGATO DEGLI EFFETTI DI PRELIEVO E SPESA DELLE IMPOSTE.

V. CONTRAPPOSIZIONE TRA LO SCHEMA “ATOMISTICO” E QUELLO “DETERMINISTICO” IN TERMINI QUANTITATIVI. VI. SPIEGAZIONE DELLE CORRENTI SEMPLIFICAZIONI DELLO STUDIO DEGLI EFFETTI DELLE IMPOSTE

VII. EQUIVALENZA DI EFFETTI ECONOMICI TENDENZIALI IN ECONOMIA DI MERCATO E NEI SISTEMI COLLETTIVISTI

CAPITOLO X.-ANALISI DEGLI EFFETTI DELLA ATTIVITÀ, FINANZIARIA,233

I. PRECEDENZA ALLA CONFIGURAZIONE DI CONCORRENZA «PURA» O «PERFETTA».

II. TRASLAZIONE IN CONDIZIONI DI CONCORRENZA PERFETTA, DOMANDA ELASTICA E COSTI CRESCENTI. III. TRASLAZIONE E COSTI DECRESCENTI.

IV. TRASLAZIONE IN CONDIZIONI DI MONOPOLIO PURO E TOTALE. V. TRASLAZIONE IN CONDIZIONE DL MONOPOLIO PARZIALE.

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VI. TRASLAZIONE IN CONDIZIONI DI CONCORRENZA MONOPOLISTICA.

VII. L’IPOTESI DI MONOPOLIO BILATERALE E LA TRASLAZIONE. VIII LA TRASLAZIONE REGRESSIVA.

IX. EFFETTI DELL’IMPOSIZIONE E RENDITA DEL CONSUMATORE.

X. EFFETTI DELL'IMPOSTA SULLE QUANTITÀ NEI CASI:A) DI BENI COMPLEMENTARI;B) DI BENI SUCCEDANEI. A) TRASLAZIONE DELL'IMPOSTA NEL CASO DI BENI COMPLEMENTARI.

B) TRASLAZIONE DELL'IMPOSTA NEL CASO DI BENI SUCCEDANEI.

XI. COINCIDENZA DI PERCUSSIONE ED INCIDENZA: L'AMMORTAMENTO DELL'IMPOSTA. XII. LA RIMOZIONE DELL'IMPOSTA.

A)IPOTESI DI IMPOSTA FISSA.

B)IPOTESI DI IMPOSTA PROPORZIONALE AL REDDITO..

CAPITOLO XI-PROBLEMI CONCERNENTI LA TRASLAZIONE ED EFFETTI ECONOMICO-EDONISTICI DI TRIBUTI,289

I. DAZI FISCALI.

II. EFFETTI SPECIALI DELL'IMPOSTA SU TUTTI GLI SCAMBI.

III. IMPOSTE DI FABBRICAZIONE, MONOPOLI FISCALI E LORO ALTERNATIVA.

IV. PRESSIONE COMPARATA DI IMPOSTE DIRETTE ED INDIRETTE, A PARITÀ DI PRELIEVO. V. RELAZIONI DEL TEOREMA PRECEDENTE CON VISIONI DI MASSIMO BENESSERE COLLETTIVO. VI. IL «PRINCIPIO ECONOMICO» DI BARONE E L'INTEGRAZIONE FRA IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE. VII. LA «MULTIDIREZIONALITÀ» DELLA DOMANDA E LA TEORIA DELLE IMPOSTE SUI CONSUMI.

CAPITOLO XII.-EFFETTI DEGLI «SGRAVI» FISCALI,329

I. L'IRREVERSIBILITÀ DELLE MODIFICAZIONI PRODOTTE DAL “FACTUM PRINCIPIS” SULLE CONDIZIONI DI EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE ?

II. EFFETTI DELLO "SGRAVIO" DI IMPOSTE GENERALI E PROPORZIONALI SUL REDDITO. III. EFFETTI DELLO "SGRAVIO" DI IMPOSTE NON GENERALI.

CAPITOLO XIII.-RAGIONAMENTI DEDUTTIVI E MISURAZIONE DEGLI EFFETTI ECONOMICI DELLE IMPOSTE,333

I. INATTENDIBILITÀ LOGICA DELLA DETERMINAZIONE STATISTICA DELL’ELASTICITÀ DELLA DOMANDA E OFFERTA, IN SEGUITO A VARIAZIONI FISCALI.

II. LIMITI DEL SIGNIFICATO DI INDAGINI EMPIRICO-STATISTICHE PER LA MISURAZIONE DEGLI EFFETTI DELLE IMPOSTE.

CAPITOLO XIV.-GLI EFFETTI DELLE FLUTTUAZIONI ECONOMICHE SULLE IMPOSTE,338

I. SULLA “ELASTICITÀ PASSIVA O SENSIBILITÀ” DELLE IMPOSTE ALLE VARIAZIONI DELLA CONGIUNTURA. II. IL PROBLEMA DELLA NEUTRALIZZAZIONE DELLA SENSIBILITÀ CONGIUNTURALE DELLE IMPOSTE.

APPENDICE AL CAPITOLO XIV

CAPITOLO XV.-TEORIA DELLA PRESSIONE TRIBUTARIA E FISCALE E DEGLI EFFETTI DELLA SPESA PUBBLICA,348

I)ANALISI DEI TERMINI DEI RAPPORTI CON CUI SI ESPRIMONO I CONCETTI DI PRESSIONE «TRIBUTARIA» E «FISCALE».

II)LA DIPENDENZA FUNZIONALE DEL REDDITO NAZIONALE DALLA MANOVRA DI QUANTITÀ MONETARIE PRELEVATE E SPESE AD OPERA DELLA CLASSE GOVERNANTE PER LO STATO.

III)LA PRESSIONE FISCALE IN TERMINI SOGGETTIVI DI UTILITÀ E SACRIFICI EDONISTICI. II. LA PRESSIONE TRIBUTARIA NEI CONFRONTI INTERNAZIONALI.

CAPITOLO XVI.-ALCUNI PROBLEMI DELLA FINANZA STRAORDINARIA,363

I. RAZIONALITÀ DELLA DIFFERENZIAZIONE LOGICA E METODOLOGICA DELLA FINANZA STRAORDINARIA DALLA FINANZA ORDINARIA

II GLI STRUMENTI DELLA FINANZA STRAORDINARIA” A)TESORO DI GUERRA.

B)IMPOSTA STRAORDINARIA E PRESTITO PUBBLICO.

III. IL PROBLEMA DELLA PRESSIONE COMPARATA DEL PRESTITO E DELL'IMPOSTA STRAORDINARIA IN TEORIA PURA. IV. IMPOSTA STRAORDINARIA SUI PROFITTI DI CONGIUNTURA.

V. VARI TIPI DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO. VI. LA CONVERSIONE DEI PRESTITI PUBBLICI. VII. L'AMMORTAMENTO DEL DEBITO PUBBLICO. VIII IL PROBLEMA DEI «LIMITI» DEL DEBITO PUBBLICO.

IX. «IL CIRCUITO DEI CAPITALI» PER UN FINANZIAMENTO “STRAORDINARIO” SENZA INFLAZIONE.

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ERNESTO

D

’ALBERGO

PROFESSORE ORDINARIO DI SCIENZA DELLE FINANZE

ECONOMIA

DELLA

FINANZA PUBBLICA

Guglielmo Gola

L’OPERA SCIENTIFICA

DI

E.

D

’A.*

Domenico da Empoli

PRESENTAZIONE

DI

E.

D

’A.*

Nino Luciani

Il “2° Criterio Paretiano”,

E. d’Albergo e la Scienza delle Finanze*

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Ernesto d’Albergo

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Guglielmo Gola

L'opera scientifica di Ernesto d'albergo

Ernesto d'Albergo nacque il 2 giugno 1902 a Siracusa, in Comune di Noto, da nobile famiglia sicilia-na. Egli ricordava con espressioni di dolce ammirazione il Padre, N. H. Salvatore d'Albergo della Ci-marra morto nel 1944, avvocato illustre, fondatore ed animatore di benefiche istituzioni sociali. Le doti oratorie che avevano reso “affascinante il dire e la persona” l'esuberanza di sentimenti, l'atteggiamento fiero ed aristocratico, indipendente da ogni compromesso, che Ernesto d'Albergo ricordava del Padre, facevano spicco parimenti in Lui. Dalla Madre, Nella Scirpa d'Agata, aveva ricevuto il «vigore fisico ed intellettuale, sorretto da eccezionale forza di raziocini, e lo spirito realizzatore », che caratterizzarono anche la Sua azione.

Era d'animo molto generoso e la sua signorilità di tratto e di sentire era di natura tale da non creare disagio, pur nel massimo rispetto, nei postulanti che a Lui si rivolgevano.

Al culto della famiglia, accompagnava quello per l'amicizia: la stima e l'affetto che nutriva per le persone elette alla Sua amicizia sempre prevalevano su altri sentimenti.

Studiò alla Università Bocconi, a Milano, laureandosi nel 1924. Nel 1930 conseguí la libera docenza; fu professore incaricato all'Università del S. Cuore ed all'Università statale di Milano, oltre che a Vene-zia, Cà Foscari. Nel 1935 fu ternato, con S. Pugliese e L. Gangemi, nel concorso alla cattedra universi-taria, avendo come giudici i professori Fanno, Mazzei, Papi, Repaci e Tivaroni. Titolare di Scienza delle finanze e Diritto finanziario nella Università di Ferrara e Siena (1935-38), di Trieste (1938-40), di Bolo-gna (1941-55), ebbe la cattedra di Scienza delle finanze, dal 1956, alla Facoltà di Scienze politiche del-l'Università di Roma, conservata sino al collocamento fuori ruolo.

La separazione dell'insegnamento della Scienza delle finanze da quella del Diritto finanziario fu per Lui motivo di particolare soddisfazione. Invero, Egli, pur dotato di spiccata sensibilità giuridica, anche per tradizione di entrambi i rami familiari dei genitori, da molto tempo aveva combattuto la cosiddetta commistione di indirizzi della disciplina, in cui dovrebbero coesistere, secondo taluni, economia e dirit-to, oltre a politica, tecnica, sociologia. Largo posto viene fatto a simile questione in Economia della Fi-nanza pubblica (1952), con argomentazioni riprese poi in appositi scritti, fra cui Un aspetto della diffe-renziazione fra economia e diritto (estratto da «Studi senesi in memoria di Ottorino Vannini » 1954), e più tardi in Elementi volontaristici e coattivi nei rapporti finanziari con enti pubblici («Studi in onore di G. Zanobini », vol. IV, 1962), Per il progresso degli studi finanziari (« Riv. Bancaria », 1963).

Della Sua vita accademica va anche ricordato che fu Preside della Facoltà di Economia e Commer-cio di Bologna dal 1947 al 1952. L'intenso agire, riflesso di intima dote spirituale, annovera il merito dell'esistenza della Rivista Bancaria - Minerva Bancaria. Ernesto d'Albergo, infatti, che dal 1936 era stato titolare di una rassegna fissa, f u invitato nel 1945 a realizzare il rilancio della nuova serie della Rivista, che da allora diresse per un trentennio, fino alla Sua dipartita (15 aprile 1974).

Parimenti alle Sue doti di realizzatore, l'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani, di cui fu Presi-dente sin dal 1952, deve a lui, in gran parte, la sua vitalità. Per Lui, quella fu una preziosa palestra in cui trovarono sfogo, su terreno a cui voleva imprimere carattere di totale neutralità di interessi di qual-siasi parte, i Suoi innati impulsi a servire, con illuminata e sapiente difesa della verità e dell'obiettività, gli interessi della cosa pubblica.

Tratteggiare la figura di Ernesto d'Albergo come studioso di economia della finanza pubblica é com-pito assai difficile e facile nello stesso tempo.

Il critico incontra notevoli difficoltà nell'affrontare la mole e la varietà della produzione scientifica; ma risulta facilitato nella sua indagine dalla coerenza che lega i ragionamenti in cui si snoda la proble-matica, per quanto estesa e varia, da lui affrontata. Si può ben dire che non esiste capitolo della scienza delle finanze in cui Ernesto d'Albergo non si sia cimentato, recando contributi talvolta fondamentali per il progresso della conoscenza teorica.

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Guglielmo Gola, già Professore Ordinario di scienza delle finanze e diritto finanziario nell’Università di Bologna,

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In questa sede, la disamina non può procedere in profondità, poiché la completa indagine sui conte-nuti del pensiero scientifico del Nostro comporterebbe estesi e approfonditi sviluppi logici non compati-bili, appunto, con le imposte limitazioni di tempo e di spazio.

Pertanto, questa esposizione, necessariamente in forma sintetica, intende individuare e presentare le idee-madri che hanno in preminenza fecondato le ricerche del nostro Autore; e ciò al fine di contribuire ad una competente valutazione dell'apporto da Lui dato al progresso della scienza economico finanzia-ria.

Di fronte alla dibattuta questione della legittimità logica della presenza dei giudizi di valor, sul terre-no proprio della scienza, Ernesto d'Albergo tiene presenti i giudizi di valore come appartenenti alla scienza, unicamente in quanto possono significare, pur nell'improprio linguaggio, ipotesi, assunti, con-dizioni, presupposti, ecc. E non ammette - sono Sue parole - « compromessi ed ibride commistioni fra analisi, distaccate dal dover essere, e programmi o fini caldeggiati dallo studioso, in quanto politico formulatore di idee-guida, incompatibili con la neutralità della scienza ».

E’ alla base della impostazione della Sua visione teorica generale della finanza pubblica, l'assunzio-ne della classe governante quale soggetto dell'unico calcolo delle variazioni edonistiche dei governati, prodotte anche dall'attività finanziaria, in vista della realizzazione di un massimo di utilità per la collet-tività. Si tratta dell'applicazione del “ Secondo criterio di Pareto » (così definito dal d'Albergo), presente nelle originali impostazioni dei teoremi che spiegano la ripartizione formale dell'imposta ed altri fatti o fenomeni, come pure definiscono analiticamente le condizioni di massimo benessere collettivo, in presen-za anche dei vincoli fiscali.

Illustri studiosi, italiani e stranieri, in sede di aggiornata critica della letteratura scientifica, hanno prospettato come aspetti negativi dell'impostazione accennata: a) le basi soggettive utilitaristiche ecces-sivamente astratte; b) l'accentuazione sociologica.

Argomentare, sia pure in prima approssimazione, su simili questioni, farebbe sconfinare questa me-moria oltre i suoi intenti. Pertanto, ci limitiamo ad accennare che l'astrattezza e la natura utilitaristica trovano spiegazione e giustificazione nella visione del d'Albergo proprio nella osservata misura in cui esse sono strumentali rispetto al compito definito per la scienza delle finanze, considerata quale ricerca di uniformità teoriche relative all'analisi dei modi di prelievo e spesa e dei corrispondenti effetti sulle condizioni di equilibrio economico.

In simile quadro logico, Ernesto d'Albergo, per molti versi in modo originale, ha fatto vivere in un compiuto sistema conoscitivo la teorematica economico finanziaria, con rilievo ai problemi riguardanti la natura delle entrate pubbliche, la distribuzione ottima della spesa, la differenziazione quantitativa de-gli imponibili, la discriminazione qualitativa dei redditi, la pressione tributaria e fiscale, l'onere compa-rato di diverse forme di tributi, il confronto fra diverse forme di entrate, eccetera.

Orbene, a fronte di simile costruzione razionale, presentata in sintesi per fini didattici nei due densi volumi di lezioni, ed illustrata da una produzione scientifica, per specialisti, di rara mole e varietà tema-tica, dobbiamo registrare la mia insoddisfazione rispetto a visioni alternative proposte da altri studiosi, se non addirittura, in qualche caso, la nostra delusione per la dichiarata rinuncia di alcuni a trovare la spiegazione di istituti tributari, con il solo uso degli strumenti dell'analisi economica. Ricordiamo, ad e-sempio, l'istituto della progressività, da alcuni non considerato fenomeno suscettibile di spiegazione da parte dell'analisi economica. In verità apparirebbe paradossale che la scienza economica fosse incapace di spiegare un fatto di indubbio contenuto economico come la distribuzione della imposta, dichiarando il proprio fallimento di fronte a tale compito.

È inoltre vero che Ernesto d'Albergo non si è sottratto alla tendenza (manifestata anche da autori, anche fra i più noti di cui si onora la scienza economica)- a ricercare spiegazioni sempre più comprensi-ve della fenomenica isolata nella specializzazione scientifica. Animato da insoddisfazione per la minore forza esplicativa degli schemi logici, costruiti con i soli strumenti elaborati dall'analisi economica, Erne-sto d'Albergo ha ragionatamente accolto (in un gruppo di saggi, specialmente degli anni più vicini) an-che fattori prima trascurati, perché di natura extra-economica: ciò, ripetiamo, al fine di arricchire l'effi-cacia euristica delle uniformità logiche, atte a dare spiegazione del complesso fenomeno sociale, me-diante l'impiego anche di ipotesi e di fattori propriamente elaborati dalla sociologia. Difatti sono nella visione di Ernesto d'Albergo il riconoscimento- della classe governante quale soggetto dell'unico, calcolo

edonistico per conto dei governati, e la valorizzazione del concetto paretiano di “massimo d'utilità per la collettività”, soprattutto analizzato negli studi su Finanza e Benessere.

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L'assunzione della impostazione metodologica di cui abbiamo indicato alcuni caratteri essenziali, ha consentito ad Ernesto d'Albergo di accompagnare, talvolta con notevole anticipazione, gli sviluppi della scienza economica realizzati, per approssimazioni successive, al complesso fenomeno concreto o con l'applicazione di « nuovi » principi o uniformità conseguenti all'assunzione di nuove ipotesi di lavoro.

La costante attualità degli studi di Ernesto d'Albergo è affidata: a) alla sua astrazione da giudizi di valore, ammissibili solo come dati del problema e mai con forza di dimostrazione, da cui consegue lo svincolo da cangianti valutazioni politico sociali del momento, della validità delle risultanze (e che, per-tanto, conservano carattere generale di uniformità teoriche, nel tempo e nello spazio; b) alla varietà de-gli orizzonti aperti da visioni del fenomeno globale, riconosciute da attenti studiosi anticipatrici dell'ap-proccio keynesiano e post-keynesiano (e, pertanto, proprie della più recente problematica

macro-finanziaria; e) all'applicazione di strumenti analitici, elaborati dall'economia della finanza pubblica, per la soluzione di problemi di benessere economico, portati avanti sino alla definizione di massimo benes-sere collettivo. All’interno di questo, il vincolo fiscale (considerato per le variazioni edonistiche causate da prelievo e spesa) viene fatto vivere, con intuizione originale, nel modello paretiano di massimo benes-sere collettivo (in termini di utilità) in sociologia.

Dall'opera scientifica di Ernesto d'Albergo traspare l'intento non sempre esplicito di dimostrare il crattere unitario e universale della teoria pura, le cui formulazioni generali definiscono verità che a-straggono da differenze di ordinamenti storici, ovvero prescindono da differenze metodologiche, quando siano rispettati i canoni della coerenza ed evitate incompatibilità e contraddizioni. Soprattutto in saggi appartenenti all'ultimo periodo della Sua produzione scientifica e quindi della Sua operosissima esisten-za ( per tutti citiamo il saggio su Un'identificazione di schemi per l'economia finanziaria, in Giornale de-gli Economisti, 1967-68) Ernesto d'Albergo auspica “l'annullamento di divergenze di opinioni scientifi-che e di corrispondenti sscientifi-chemi classificatori”, facendo soprattutto appello allo sscientifi-chema generale di Pare-to, atto a comprendere tutti i fatti, idealizzati o concreti tendenzialmente, del dominio finanziario pubbli-co, coordinato con le concezioni di Pantaleoni. Da Lui è negata antinomia fra le idee -madri di Pareto e Pantaleoni in tema di strumenti logici interpretativi del complesso fenomeno finanziario, rifiutando, co-me inevitabili, schemi parziali in sede concettuale e analitica. Egli tende a collegare i due schemi, appa-rentemente separati, che spiegano le variazioni d'equilibrio economico, in cui operino soggetti, uti singu-li o raggruppati: quello degsingu-li effetti dei legami fra costi e vantaggi dell'attività finanziaria ( anche in termini di effetti di prelievi e spese discriminate); e l'altro che continua la visione di massimo di utilità per la collettività (“secondo criterio di Pareto”), da Lui applicato, anche in lontani saggi, a questo ordi-ne di temi di pura teoria.

.Soprattutto per le considerazioni sopra riferite, Ernesto d'Albergo appare continuatore sia di Panta-leoni sia di Pareto, le cui visioni, solo apparentemente contrapposte, sono risultate componibili nella ra-zionale trattazione da Lui svolta; in essa l'analisi del particolare non perde di vista la natura composita e la globalità, in concreto, del fenomeno studiato. In altre parole, la conoscenza delle dipendenze parti-colari esistenti fra le singole grandezze esaminate pone in rilievo la presenza delle dipendenze da altre grandezze e l'interdipendenza generale da fattori economici ed extra economici, che in sintesi concorro-no a comporre il complesso fatto sociale.

Di questa Sua capacità di sintesi, posta a servizio della ricerca di uniformità generali teoriche, d'Al-bergo fornisce ancora luminoso saggio in Gli effetti di imposte e spese di bilancio in regime collettivisti-co (in «Giornale degli Ecollettivisti-conomisti », 1966).. L'origine di quest'ultima impostazione, nella produzione scientifica del d'Albergo, non è netta, potendosi trovare anche nei Suoi primi lavori significative intui-zioni. Ma essa è soprattutto nelle trattazioni che fanno razionalmente superare il cosiddetto no-bridge e pertanto in quelle aventi per oggetto le visioni del benessere collettivo, che risulta esaltata la posizione di Ernesto d'Albergo nei confronti della concezione paretiana, specialmente in quella da Lui stesso de-nominata “secondo criterio”.

Elenco, seguendo sempre un ordine logico a scapito di quello cronologico, i seguenti fondamentali contributi: Finanza e benessere, estratto da « Giornale degli Economisti »,1963-64; Sviluppi di un teore-ma finanziario e sue relazioni con il teore-massimo benessere, estratto da « Studi in memoria di Guglielmo Ma-sci », Giufjré, 1943; Di una proprietà dell'imposta progressiva alla luce della « matematica fiscale » e l'economia finanziaria, (in « Giornale degli Economisti », 1952; Teoria dello «scambio volontario » e del-l'utilità collettiva, estratto da « Stato sociale », 1958.

Altri settori particolari di ricerca, che attestano l'eccezionale varietà della tematica scientifica di Er-nesto d'Albergo possono essere presentati come segue: Nuovi studi sull'ammortamento del debito

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co, estratto dal « Giornale degli Economisti », 1933-1934; Brevi note su l'ammortamento e sui « limiti » del debito pubblico, estratto da « Studi in onore del prof. Nina », «Annali dell' Università di Macerata », 1955; Prestiti ed imposte nelle nuove teorie e nell'esperienza bellica, estratto da « Studi dell'Istituto di Scienze Economiche e Statistiche dell'Università degli Studi di Milano », 1945.

In questi saggi, dopo avere posto da parte le “derivazioni” in senso Paretiano, ovvero i sentimenti e i giudizi morali (erroneamente estesi dal campo dei rapporti tra privati al campo della finanza pubblica) nella condotta che deve tenere lo Stato in tema di ammortamento del debito pubblico, Egli f a notare che si ripresenta il problema classico della pressione comparata di prestito e imposta straordinaria. Que-st'ultimo tema è affrontato nel saggio del 1945, nell'impostazione, in termini di utilità, del Borgatta, e dal d'Albergo sottoposta a revisione critica, in cui il fattore tempo, prima trascurato, è preso in considera-zione.

Gli effetti economici dell'imposta sugli scambi è definita come imposta sugli affari e ritenuta equiva-lente ad imposta sul ricavo lordo, ovvero sul profitto lordo oppure sul valore globale del prodotto. Egli respinge invece l'ipotesi di imposta sulle vendite o sui consumi, studiati in: La natura e il fondamento del-le «imposte sugli scambi », Di alcuni effetti economici dell'« imposta sugli scambi », (in « Giornadel-le degli Economisti »,1931); Sulla condensazione delle aliquote sugli scambi, (in « Giornale degli Economisti », 1935).

Una singolare disamina dei pensamenti rivolti dal d'Albergo al noto teorema della doppia tassazione del risparmio ( di cui nega la validità, come dimostrazione di violazione di eguaglianza e, quindi, di giu-stizia, quando non siano adeguatamente definite). Egli fece questo fin dall'epoca in egli ricevette le le-zioni universitarie di Einaudi, Prato, Gobbi, invece sostenitori del teorema. Si vegga il saggio dal titolo Confessioni, convinzioni e conferme nella negazione del teorema della doppia tassazione del risparmio, e-stratto da « Studi economici », 1971. Simile conclusione Egli aveva già esposto nelle Lezioni di Econo-mia della Finanza Pubblica ed in Sur la double taxation de 1'épargne, in « Revue de Science et de Législa-tion financière », 1952, che riproduce una conferenza tenuta alla Sorbona, a Parigi.

Tenuto conto della data di pubblicazione, risalta nei saggi sotto indicati per originalità il rilievo dato ai rapporti di dipendenza funzionale fra variabilità del gettito di talune imposte tipiche per “sensibilità congiunturale” e “fluttuazioni economiche”. Si tratta dei saggi Della sensibilità delle imposte in rapporto alle fluttuazioni economiche, in « La riforma sociale », 1934;e Sulla neutralizzazione della sensibilità con-giunturale delle imposte, in «Rivista internazionale di scienze sociali », 1935.

L'Autore perviene alle conclusioni seguenti: 1) è da escludere una scala con gradi costanti ed assoluti di sensibilità congiunturale, anche difficilmente osservabili in via analitica nel passato; 2) non appare logico riformare i sistemi tributari trascurando di considerare le ragioni giuridiche, amministrative, e-conomiche, ecc. che con vario peso, hanno contribuito a determinare l'assetto tributario nei vari paesi.

Dell'opera di Ernesto d'Albergo come scienziato, oltre il rigore logico e la forza d'analisi nello stesso tempo possente e acutissima, stupiscono l'originalità e la varietà dei temi affrontati. Ciò traspare, con evidenza immediata, dalla lettura del Corso di lezioni intitolato alla Economia della finanza pubblica, pubblicato nel 1951-52, che praticamente conclude una serie di edizioni di « Corsi » di ben minori di-mensioni, quali dispense universitarie, iniziata nel 1939. Invero, i due volumi del 1971 (Giuffrè editore) sono l'aggiornamento dell'edizione 1951-52, con aggiunta di una Appendice, alla fine del volume secon-do (capp. IX-XVI), nella quale ritorna su vari aspetti, trattati nei precedenti vari capitoli. Ciò vale, a te-stimonianza e dimostrazione della viva attualità della trattazione, ai fini del progresso degli studi nel campo della finanza pubblica, considerata per il contenuto economico e per l'aspetto razionale della ri-cerca di uniformità teoriche. E non vi sono istituti o teorie, criticamente analizzate con la padronanza assicurata da una preparazione culturale eccezionale, dell'Autore, che anche con questa varietà dà pro-va della Sua costante presenza, del Suo costante parlare in prima persona.

È vero che la ricerca teorica ha costituito per il d'Albergo la principale occupazione della Sua mente di scienziato, e la Sua produzione nel campo della pura conoscenza non ha mai subito soste, se non quel-le dovute dal travaglio della meditazione su temi specifici. (Ricordo i Suoi tormenti documentati da con-fidenziale corrispondenza epistolare, su temi come quelli del benessere, della doppia tassazione del ri-sparmio, della discriminazione qualitativa degli imponibili).

Ma non può tacersi l'importanza della Sua attività di pubblicista, di commentatore di fatti, di critico tecnico. Le Sue « cronache » per lustri, premesse ad ogni fascicolo della “Sua” Rivista Bancaria - Mi-nerva Bancaria, sono un condensato di interpretazioni degli avvenimenti più significativi per il mondo

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economico: la capacità di sintesi, oltre che quella della analisi (negli studi). Gli è qualità di rilievo, non meno dell'obiettività e della indipendenza assoluta di giudizio.

Sul terreno applicativo della finanza pubblica, le riforme dei sistemi tributari italiani o stranieri, pro-poste e succedutesi nell'arco del mezzo secolo, gli fornirono l'occasione per occuparsi di simili problemi concreti. Mi limito a citare, senza neppure una scelta fra i numerosi scritti riassuntivi, i seguenti: La cri-si dell'imposta personale sul reddito, Cedam 1931, che reca l'illustrazione del cri-sistema di impocri-sizione di-retta e progressiva del reddito spendibile o consumabile (preferibile - anche se di difficile attuazione - all'imposta diretta e progressiva sul reddito percepito, solo in parte nei sistemi positivi traducibile in reddito globale « disponibile » o « godibile »); Orientamenti per una revisione del sistema tributario ita-liano, Unione Italiana Camere di Commercio, 1948; Legittimità giuridica e razionalità economica delle imposte di fabbricazione nell'ambito del sistema tributario italiano, in « Rassegna di diritto e tecnica do-ganale », 1955; Alcuni rilievi critici intorno all'imposta sulle società, in « Rivista Bancaria », 1954; Ri-lievi critici sull'ordinamento dell'imposta generale sull'entrata, 1961; Sulla interpretazione delle norme fi-scali del trattato istitutivo del Mercato Comune, in « Rivista Bancaria », 1960; e le Relazioni generali svolte in tutti i congressi dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani, a Lui particolarmente cara e per la quale profuse tante energie, ricevendone ampi riconoscimenti. In queste Relazioni, invero, l'attivi-tà legislativa del nostro Paese in questo scorcio di secolo, in ogni fase dal progetto alla attuazione, è sta-ta commensta-tasta-ta favorevolmente o negativamente dal d'Albergo, con critiche sempre costruttive, serene e, quel che più conta, particolarmente per Lui, unicamente al servizio dell'obiettività e nell'interesse del Pae-se.

A conclusione, dirò della figura di Ernesto d'Albergo come Maestro: solo poche parole, che però vorrei scelte fra le più ricche di significato per recare una testimonianza formata di giudizi a cui non fanno velo sentimenti estranei o incompatibili con l'obiettività. Assai generoso nei consigli, suggerimenti, meraviglia-va per la prontezza con la quale sapemeraviglia-va far riferimento a visioni generalizzanti per chiarire i termini di problemi, teorici o concreti, che chiunque, allievo o non, poteva proporgli. Nemmeno nei momenti di stan-chezza, che Egli pur dotato di resistenza fisica eccezionale alle volte denunciava, lasciò senza risposta chi Gli prospettava dubbi, incertezze.

Anche per questo, Ernesto d'Albergo sarà ricordato nei luoghi e dal pubblico da Lui prediletti, ossia nei seminari scientifici, nelle aule universitarie, dove Egli ha esercitato un magistero eccezionale, creando una Sua scuola, e tracciando sicure strade alla divulgazione di quelle verità scientifiche, alla cui ricerca ha ve-ramente dedicato tutta la Sua intensamente laboriosa esistenza.

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Domenico da Empoli

Presentazione di Ernesto d’Albergo

Conseguì nel 1930 la libera docenza e nel 1935 ottenne la cattedra di “Scienza delle finanze e Diritto finanziario” (come, allora, si denominava la disciplina, prima che lo stesso d’Albergo ne ottenesse il cam-biamento nell’attuale denominazione di “Scienza delle finanze”).

Egli insegnò dapprima a Ferrara e a Siena (1935-38), poi a Trieste (1938-40) e quindi a Bologna (1941-1955), ove ricoprì anche la carica di Preside della Facoltà di Economia e Commercio dal 1947 al 1952. A partire dal 1^ novembre1956, Ernesto d’Albergo divenne titolare di Scienza delle finanze e diritto finanziario presso la Facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma, divenuta poi cattedra di Scienza delle finanze in tutte le Facoltà di Scienze Politiche (con legge 18 dicembre 1962 n. 1.741, che rendeva i-noltre obbligatoria la disciplina) . A Roma d’Albergo, dopo la conclusione della sua attività didattica con il collocamento fuori ruolo dal 1^ novembre 1972, si spense improvvisamente il 15 aprile 1974.

Il periodo in cui d’Albergo si era formato e aveva scritto i suoi primi contributi era ancora un periodo in cui gli studi economici italiani (e quelli di Scienza delle finanze in particolare) godevano di ampio pre-stigio internazionale. Anche se non sarebbe del tutto appropriato parlare di una vera e propria “scuola” italiana di Scienza delle finanze, per la varietà e per le diversità di posizioni metodologiche e di punti di vista tra i diversi studiosi della disciplina, non vi è dubbio che molte delle tematiche che ancor oggi sono centrali negli studi di Scienza delle finanze erano state individuate dagli studiosi italiani, le cui soluzioni, pur se basate su schemi teorici meno sofisticati degli attuali, erano fondamentalmente corrette e, per l’epoca, molto innovative.

Basti pensare alla teoria dei beni pubblici, che costituisce il nucleo teorico intorno al quale si è formata la scienza delle finanze (come “domanda e offerta di beni pubblici”) in parallelo con l’economia politica (domanda e offerta di beni privati) e che, nell’ambito dell’impostazione degli equilibri parziali, è stata ap-profondita in modo ineccepibile da Antonio de Viti de Marco (preceduto da Maffeo Pantaleoni e affiancato da Ugo Mazzola). Ed inoltre, ai numerosi contributi alla teoria della traslazione delle imposte e agli effetti del debito pubblico, oltre a contributi più specifici, come il “teorema di Barone” sull’eccesso di pressione delle imposte indirette e le discussioni sulla doppia imposizione del risparmio. Non si possono poi ignorare i primi studi di analisi economica delle istituzioni, iniziati con la distinzione devitiana tra Stato “monopoli-sta” e Stato “cooperativo” e con gli schemi politico-sociologici, che hanno contribuito a delineare le basi di una vera e propria “teoria dell’offerta” di beni pubblici.

In questo vasto quadro d’indagine, Ernesto d’Albergo operò dando prova di capacità innovativa, ap-profondendo con visione originale temi già trattati da altri studiosi e allargando il campo d’indagine a fe-nomeni nuovi, o comunque non sufficientemente approfonditi in precedenza, come la crisi dell’imposta per-sonale sul reddito, come gli scritti sulla sensibilità congiunturale delle imposte e anche le anticipazioni del-la moderna politica di bidel-lancio. Diede altresì interpretazioni nuove di teorie ampiamente discusse, come del-la teoria delle illusioni finanziarie di A. Puviani, di cui dimostrò l’estensione anche a contesti istituzionali democratici.

Accanto ai temi di carattere teorico, d’Albergo si soffermò anche, in periodi diversi, su aspetti concreti dell’ordinamento tributario, soprattutto nel primo dopoguerra e poi, negli Anni 60, in occasione dei dibat-titi che precedettero la riforma tributaria italiana.

Ernesto d’Albergo dedicò anche molta attenzione ai problemi economici e finanziari correnti, sia ita-liani che internazionali, con scritti apparsi su riviste scientifiche (in particolare la Rivista Bancaria-Minerva Bancaria, da lui diretta a partire dal 1945) ed anche su quotidiani economici (soprattutto il Sole-24 Ore).

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2. Dagli scritti di E.d’Albergo emerge la personalità di uno studioso indipendente, anche dalla

tradizio-ne italiana, di cui pure si considerava partecipe e quasi custode (o, forse si dovrebbe meglio dire, “il cu-stode”).

Nato scientificamente in un periodo in cui le scuole scientifiche nazionali avevano identità proprie, per la limitata circolazione delle idee nel mondo scientifico internazionale, ed in cui, inoltre, la tradizione scientifica italiana negli studi di finanza pubblica aveva un peso molto consistente (anche se molti contri-buti italiani erano rimasti quasi ignorati, come dimostra il successo del saggio di James M. Buchanan sulla Scienza delle finanze), d’Albergo viveva male la nuova situazione, progressivamente verificatasi dopo la seconda guerra mondiale, in cui l’internazionalizzazione della scienza economica aveva fatto perdere visi-bilità alla c.d. “scuola italiana” di Scienza delle finanze.

Credo di non essere lontano dal vero nel ritenere che d’Albergo abbia vissuto la nuova situazione inter-nazionale della disciplina come una vera e propria sconfitta personale e, quindi, quasi come “dramatis persona”.

Se non si tiene conto di questo particolare, quasi risentito atteggiamento di d’Albergo, non è possibile comprendere le sue polemiche degli ultimi anni con gli studiosi americani, la cui riproposizione delle teo-rie italiane era per lui occasione per interventi distruttivi, anziché di dialogo pacato e, quindi, utile a quel corretto inserimento dei contributi italiani nel panorama scientifico internazionale a cui lo stesso

d’Albergo anelava.

E’ indubbio, per esempio, che gli scritti di Paul Samuelson sulla teoria dei beni pubblici sono stati, sia per il loro specifico contenuto che per il ruolo scientifico di Samuelson, molto importanti per rivalutare gli studi di scienza delle finanze, in un periodo in cui le indagini di carattere macroeconomico sembravano le uniche rilevanti scientificamente. Credo non vi siano dubbi che si possa far risalire ad essi la rinnovata at-tenzione internazionale per la Scienza delle finanze, che non è più venuta meno.

E’ anche vero che Samuelson aveva trattato con “distacco” le teorie italiane, cosa piuttosto grave, an-che perché l’economista americano non aveva una conoscenza diretta dei contributi italiani: le sue consi-derazioni erano basate su una sintesi, alquanto carente, fornitagli da Richard Musgrave (come egli stesso ha rivelato alcuni anni fa), anch’egli, peraltro, senza conoscenze dirette delle fonti italiane.

Tuttavia, non vi è dubbio che le aspre critiche di d’Albergo non abbiano molto aiutato la rivalutazione dei contributi italiani. Una reazione moderata, che avesse documentato le inesattezze in cui era incorso Samuelson, sarebbe stata indubbiamente più efficace.

Ancor più inspiegabile (se non nella logica che sopra ho delineato) è l’atteggiamento di assoluta chiu-sura di d’Albergo nei riguardi dei lavori di James Buchanan e, in particolare, del suo lungo saggio sulla teoria finanziaria italiana, che costituisce ancor oggi il principale riferimento internazionale per chiunque voglia studiare i contributi italiani alla Scienza delle finanze. I successivi lavori di Buchanan, e in partico-lare le costruzioni della teoria della Public Choice, che hanno stabilito un collegamento permanente con la tradizione italiana, sono stati un riconoscimento fondamentale per la scienza finanziaria italiana. Anche per essi non vi sono stati apprezzamenti (per usare un eufemismo) da parte di d’Albergo. E’ un peccato, quindi, che questo atteggiamento di d’Albergo gli abbia impedito di inserirsi nel dibattito internazionale, nel quale i contributi italiani alla Scienza delle finanze venivano, direttamente o anche indirettamente, rie-saminati e discussi, apportando i chiarimenti e le precisazioni che egli riteneva più importanti.

Tutto ciò nulla toglie ai meriti scientifici di Ernesto d’Albergo, di cui questo volume costituisce testimo-nianza, per quanto incompleta. Ci auguriamo che la sua lettura possa essere motivo di ulteriori riflessioni sul pensiero di questo illustre studioso, che sin dalle prime opere ha dimostrato originalità di pensiero e forte spirito critico.”

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INTRODUZIONE 1

I.

DEFINIZIONE DELLA SCIENZA DELLE FINANZE COME ECONOMIA DELLA FINANZA PUBBLICA

Comincerò a dare una definizione della scienza delle finanze, come studio del contenuto economi-co-quantitativo di essa. Questa definizione vuole abbracciare i problemi che effettivamente seguiranno nella trattazione successiva. Quindi essa è una sintetica enunciazione programmatica, che coerentemente trovi giustificazione in ciò che si presenterà ai lettori nelle singole parti dello svolgimento del «corso» di lezioni.

L'esigenza di una definizione della scienza delle finanze, deriva dalla logica necessità di

delimitare la trattazione, coerentemente, in rapporto a quella che sembri la materia oggetto di

stu-dio, scientificamente inteso.

Definizione, dicono i filosofi, è il discorso col quale significhiamo che cosa è un oggetto. Si suppo-ne quindi che noi abbiamo già una certa noziosuppo-ne dell'oggetto. La difficoltà maggiore sta suppo-nel trattarsuppo-ne in mo-do sintetico e comprensivo, tale che agevoli la immediata conoscenza di conclusioni che presuppongono ragionamenti.

R. A. Murray2 aveva, come altri studiosi, sentito la esigenza metodologica di definire «provviso-riamente» la scienza delle finanze come «lo studio delle uniformità che presenta l'attività finanziaria degli enti pubblici in genere e dello Stato in particolare». Per "attività finanziaria" intendeva 1'«attività svolta da-gli enti pubblici per la soddisfazione di quei bisogni che, essi, in un dato momento e in un dato luogo, as-sumono a proprio compito per svariate ragioni».

Compito od oggetto della scienza delle finanze come teoria pura od ipotetica con contenuto econo-mico, è «la ricerca di uniformità teoriche relative all'analisi:

a) dei modi secondo i quali lo Stato e gli enti pubblici minori possono procurarsi, con o senza coa-zione, le entrate e distribuire le spese necessarie al soddisfacimento dei bisogni pubblici;

b) delle variazioni degli equilibri economici particolari e dell'equilibrio economico generale pro-vocate dal modo e dal «quantum» di prelievo ed ottenimento, in genere, delle entrate e della erogazione delle spese, nelle varie ipotesi di organizzazione dei mercati e di intervento, o meno, del fattore tempo» .

In questa introduzione, che è anche metodologica3 e vuol delimitare coerentemente la materia scientifica di questo insegnamento universitario, la definizione che precede può avere qualche vantaggio. Essa può servire a precisare l'orientamento logico del cultore di questa scienza, che consiste nello escludere, quanto è possibile, ogni fattore estraneo alla teoria che persegue fini di conoscenza e di spiegazione di fatti

__________

1

AVVERTENZA. L’Edizione digitalizzata di questo libro di Ernesto d’Albergo è stata curata da Nino Luciani. La

edizione cartacea di riferimento è quella del 1952, Steb Bologna, di cui sono custodite delle copie, in particolare, nel-le Università “La Sapienza” di Roma, e di Bologna.

I primi elementi di questo libro sono stati raccolti dagli studenti nel corso di lezioni universitarie di scienza delle

fi-nanze, e successivamente integrati dall’Autore.,

In questa edizione digitalizzata, sono state apportate piccole limature al testo originale cartaceo. Ad es. sono state tolte alcune frasi incidentali, proprie del linguaggio parlato, durante le lezioni; sono stati scissi alcuni paragrafi, troppo lunghi, ed è stato riscritto il testo in casi rarissimi. Questo è stato fatto, in vista della sua traducibilità in lin-gua inglese, appena sarà possibile trovare il relativo finanziamento.

2 MURRAY R.A., Principii fondamentali di scienza pura delle finanze, Firenze, «La Voce», 1914,

3 Il proposito di evitare questioni di metodo, nelle quali troppo si intrattengono molti autori invece di far posto ad

applicazioni implicite di esso, essendo ovviamente infeconde per se stesse, non può essere se non parzialmente assolto in queste lezioni. Contro volontà, quasi, sono trascinato a trattarne per cercare di mettere ordine nelle idee con tanta pervicacia professate da docenti di questa disciplina, nella quale, ormai toppo insistentemente, si vogliono far rientrare materie diverse: economia, politica, diritto, tecnica; talune. delle quali sistemabili scientificamente ma con criteri ben distinti, oppure ribelli ad una teorizzazione, allo stato attuale delle conoscenze e probabilmente per lungo tempo.

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storici, attuali o probabili e virtuali, limitatamente alla considerazione dell’aspetto quantitativo che, finora, si è manifestato il più atto ad una sistemazione scientifica (quello economico).

II.

TRATTAZIONE SCIENTIFICA PER FINI DI CONOSCENZA SECONDO LA DEFINIZIONE La definizione esclude che la ricerca scientifica debba, nel campo della finanza pubblica, perseguire fini di immediata applicazione ovvero di formulazione di normae agendi, suggerimenti, programmi d'azio-ne, precetti ecc.. La scienza delle finanze - come economia finanziaria - non ha, lo scopo preminente era di dar consigli al principe o «signore» sul modo di amministrare la pubblica cosa per la felicità del sovrano e del popolo soggetto o per la potenza dello Stato, in genere. Tutto ciò si dice senza togliere merito a quanto nelle opere di pionieri quali Petty, Justi e Sonnenfels, specialmente, si formulò nei tempi in cui andavano gettando le prime basi scientifiche della finanza pubblica.

In altri termini, dalla ricerca per fini di pura conoscenza esulano scopi di arte finanziaria. Studioso e consigliere hanno compiti nettamente distinti, come meglio si dirà più oltre, nel separare razionalmente 1'aspetto economico da quello giuridico e politico del fenomeno finanziario.

Il perché dell'essere del fatto finanziario o del suo manifestarsi in dati modi, con l'analisi delle con-seguenze del come o del quanto, appartiene alla scienza ovvero alla teoria pura finanziaria, su cui qui emi-nentemente si insiste.

Il dover essere può, invece, costituire un travestimento di proposizioni scientifiche. Infatti, dietro formulazioni apparentemente vertenti nel campo dell'arte o della precettistica, può nascondersi un ragiona-mento teorico su base ipotetica. Questa distinzione fra forma e sostanza, per la contrapposizione in atto, di arte e teoria, sarà richiamata più oltre nel differenziare indagini economiche e giuridiche della finanza pub-blica.

Lo stesso dicasi dei canoni o metodi amministrativi concernenti, ad esempio, il migliore, più como-do, opportuno modo di prelevare entrate: anche questa è opera che spetta al tecnico, amministratore od or-ganizzatore degli stati e dei settori fiscali.

Taluno discorre di tecnica finanziaria. Comunque siamo fuori della teoria, la quale come parte della scienza, con contenuto eminentemente economico, tiene conto del modi o sistemi amministrativi come dati di fatto, che assume per la soluzione di problemi, ad es., di eguale distribuzione degli oneri che danno corpo alle pubbliche entrate. Criterio amministrativo (eguale) o se si vuole anche etico o politico, da cui discen-dono conseguentemente teoremi e problemi su base quantitativa, trattabili quasi come nelle scienze esatte (matematiche e fisiche), con la limitazione ben nota: che non può il cultore di questo ramo delle scienze so-ciali ricorrere all'esperimento, ma solo avvalersi dell'osservazione per un modo approssimato di verificare le deduzioni e le uniformità teoriche.

III.

PRINCIPI TEORICI CHE ORIENTANO LE INDAGINI.

Prima di esaminare altre coerenti conseguenze della definizione adottata nel par. I, occorre una pre-cisazione che si riferisce alla proposizione contrassegnata, in detta definizione, con la lettera b).

Supponendo azioni a contenuto positivo dei soggetti attivi (Stato o altro enti pubblici minori), quali prelievi di ricchezza, oppure a contenuto negativo come restituzioni o, ancora, rinuncia all'azione (esenzio-ne da prelievi) ecc., tutte le condizioni ed ipotesi, che si affacciano qui brevemente, giustificano l'utilizza-zione e l'applical'utilizza-zione di princìpii scientifici molteplici.

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Trattando di analisi di variazioni di equilibri e rapporti economici, come effetti dl intervento di fat-tori fiscali (prelievo e spesa di quantità di potere d'acquisto), faremo appello, quindi, ad alcuni princìpii o-rientativi.

a) Qui richiamo anzitutto il principio di causalità in senso filosofico, inteso come connessione, o relazione tra fatti, oggettivamente esistente. Essa corrisponde ad una relazione nella mente dell'osservatore, dando luogo alla teoria4.

Il principio di causalità non va confuso con il determinismo, definito come esistenza di connessioni necessarie, secondo cui «ogni causa ha un determinato effetto ed ogni effetto una determinata causa.

Il significato in cui sarà usato il concetto di causa, è quello Aristotelico di causa «efficiente», ovve-ro di forza atta a povve-rodurre una cosa o fatto o fenomeno.

Non possiamo, invece, seguire il principio di causalità quale è inteso dagli scienziati moderni, nel senso che sperimentalmente si possa provocare un fatto A dove e come piaccia per osservarne la conse-guenza B. I fenomeni finanziari, infatti, non sono riproducibili o causabili come nei laboratori sperimentali delle scienze fisiche. Non sono fenomeni causabili, ponendo in essere altri fenomeni a fine sperimentale, quelli di cui si occupa la finanza pubblica. Non esiste un fatto che si possa a piacimento ed a scopo speri-mentale causare o produrre, come causa o «sorgente delle onde» (dicono i fisico-matematici) che costitui-scono il fenomeno. Sono onde che «divergono» dalla sorgente che assurge a funzione di causa. Sono stati detti fenomeni entropici quelli provocabili o causabili ad arbitrio dello sperimentatore, nelle scienze fisiche.

b) Accogliendo il concetto di determinismo, nel senso che possano essere previsti i fenomeni futuri in base alla conoscenza di quelli presenti, non è escluso che si possano spiegare alcuni rapporti fra fatti che, in questa sede, vengono considerati in via ipotetica. Ma sempre escludendo che si possano, a nostro arbitrio, riprodurre i fenomeni teoricamente analizzati.

Quando, pur senza poter sperimentalmente riprodurre i fenomeni, si ammetta la relazione di causa-lità, non in senso scientifico ma piuttosto filosofico, si può prevedere che alla azione di una causa segua un effetto. Ove i casi osservati siano numerosi (grandi numeri), al probabile verificarsi di effetti si sostituisce la certezza, nella previsione. Introducendo un'imposta che modifichi il costo di produzione, anche in sede di osservazione di fatti reali istantanei (che la scienza considera per tipi ipotetici), si può prevedere una varia-zione del prezzo in aumento, in determinate circostanze (domanda poco elastica della merce prodotta e in-fluenzata dal fatto finanziario).

Ma quando, come si evince dalla definizione, si introduca il fattore tempo, e dalla visione statica (con assenza di tempo o durata dei fenomeni) di relazioni di causalità, si passi alla dinamica (e, cioè, si con-siderino i fenomeni nel loro sviluppo o movimento) l'intervento di fattori causali nuovi e imprevisti fa venir meno il legame deterministico, perché un fenomeno può non essere la conseguenza necessaria di uno ante-cedente. E per l'intervento di «atti creativi» variabili, non può concepirsi la previsione se non in termini di probabilità5.

Come vedremo a proposito di misurabilità «a posteriori» del processo traslativo (ovvero del trasfe-rimento di un onere fiscale, attraverso lo scambio, da un soggetto A, a mezzo di un aumento o di una dimi-nuzione di prezzi, a carico di un soggetto B, nel tempo), soltanto in via di probabilità si può ritenere che la variazione di prezzo sia stata conseguenza del fatto fiscale, agente nell'intero mercato, quale fenomeno di massa.

Nel modo più plastico e avvincente, ad opera di L. Amoroso6, la analogia fra teoria fisica ed eco-nomica, che si limiti allo studio del movimento stazionario che rappresenti la vita economica dominata da forze corrispondenti a quella che è l'inerzia in meccanica, è stata compiuta con la nota pubblicazione dal ti-tolo significativo da questo punto di vista. Il venir meno del carattere deterministico del movimento in fisi-ca, in base al «principio di indeterminazione» di Heisenberg (secondo il quale il movimento dell'atomo è considerato dipendente oltre che da forze, ostacoli e resistenze di inerzia, da elementi estranei al moto) ha fatto pensare per analogia alla visione della teoria dinamica relativa alla esperienza economica, in cui le

a-__________

4 PARETO V., Manuale, Introduzione.

5 DEMARIA G., Il principio di indeterminazione nella economia dinamica - Rivista Internazionale di scienze sociali,

settembre 1932.

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zioni non sono uniformemente ripetute, ma presentano una continua e perenne trasformazione, un incessan-te divenire.

c) Un altro principio, infine, che possiamo classificare nell'ordine causale, nel campo teorico in og-getto, dobbiamo tener presente, in relazione alla circostanza che consideriamo fatti e fenomeni non riprodu-cibili o provocabili a nostro arbitrio e che sono osservabili solamente.

In certo senso si potrebbe dire che questo è il significato di «causa», secondo Aristotele, detta «fina-le», che rappresenta il fine, motivo o intento dell'azione creativa della cosa o fatto o fenomeno.

Alludo al principio di finalità, secondo il quale un fenomeno (mezzo) è legato ad altro fenomeno (fine). E come senza causa, nella visione in cui domina il principio di causalità in senso ampio, non si a-vrebbe effetto, senza fine non si aa-vrebbe ricorso al mezzo per raggiungerlo7.

d) Un altro principio che troverà applicazione, vasta e frequente, in relazione anche coi termini del-la definizione (neldel-la quale si pone a compito deldel-la scienza delle finanze lo studio di variazioni dell'equili-brio economico) è quello di mutua dipendenza fra le quantità considerate. Il concetto di «funzione» e la sua traduzione grafica che offre una rappresentazione visiva delle variazioni collegate delle variabili, verranno utilizzati ampiamente, secondo si avverte nelle due precedenti (1942, 1944) «prefazioni» a questo «corso».

Poiché tutte le quantità, nei loro rapporti reciproci, influiscono le une sulle altre, in modo che la va-riazione di una porta con sé una vava-riazione di tutte le altre, si terrà conto del rapporto o principio di interdi-pendenza generale, oltre che come visione di massima, per i problemi che si prestino ad essere interpretati in questo quadro logico, ampio e senza le limitazioni della clausola del «ceteris paribus».

Non occorrerebbe avvertire che tutti i principii a cui si è fatto riferimento possono essere dimostrati non incompatibili con la utilizzazione dei procedimenti di conoscenza, propri delle scienze propedeutiche, quali:

1) il procedimento induttivo (argomentazione con la quale si passa da proposizioni particolari ad una propo-sizione universale);

2) il procedimento deduttivo (che parte da premesse generali immediatamente evidenti e positive, e, attra-verso un insieme ordinato di proposizioni, conduce a conseguenze coerenti).

IV.

CONCEZIONE RAZIONALE-QUANTITATIVA ESPLICITA NELLA DEFINIZIONE E «GIUDIZI DI VALORE».

La definizione dell'oggetto della scienza delle finanze, come studio economico di relazioni quanti-tative influenzate dal fatto finanziario, induce a far escludere dalle analisi quanto appartiene al dominio mo-rale espresso in termini qualitativi. Il giusto, il buono, ed ogni altro giudizio di valore debbono esulare dai ragionamenti che formano questa scienza.

Escludendo dall'oggetto della scienza delle finanze i giudizi di valore (giusto, ottimo, ecc), può sembrare che esista contrasto, fra coloro che giudizi di valore pronunciano qualificando in tali termini gli

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7 Rimando alla trattazione originale del FANTAPIE’, che trova applicazione nel campo delle azioni volontarie, quali

sono quelle che compiono anche i soggetti operando economicamente, come tendenze a fini. Azioni che più che da cause passate vengono determinate da fini futuri. In un campo, come l'economico, eminentemente basato su premesse psicologiche, non si può trascurare codesto principio per la spiegazione di fatti come quelli che ci intratterranno più ol-tre come, ad es.: la tendenza dei privati contribuenti al massimo utile, compatibilmente con l'interferenza del fattore fi-scale prelievo di imposte; la tendenza a conservare la disponibilità del reddito per i propri privati consumi, «rimuo-vendo» l'incidenza data dalla sottrazione di una quantità di potere d'acquisto, a titolo di imposta, ecc. Per il Fantappiè, la nostra personalità è mossa da fini e non da cause: di questo principio non si può non tener conto nella spiegazione della condotta, specialmente, di singoli, di fronte al fatto finanziario, ipoteticamente considerato. Per lo sviluppo di questa teorica si veda di questo autore: Fantappiè, Principii di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico, Roma, Soc. ed. «Humanitas nova».

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stituti e i sistemi o principii finanziari, e quanti si astengono da siffatte enunciazioni di apprezzamenti mo-rali.

Ricordo, a proposito della giusta imposta, le seguenti proposizioni del Berliri8:

a) economisti («e politici») si dichiarano concordi nel pensare che della giustizia o ingiustizia del-l'imposta debba la loro scienza disinteressarsi;

b) economisti, politici e giuristi finiscono a concludere che la giusta imposta non esiste.

Codeste proposizioni non sono metodologicamente ammissibili. Infatti non chiariscono la posizione dello studioso nei confronti degli ideali di giustizia, di bene ecc. che, pure, dominano le soluzioni concrete o politiche.

Non vedo perché il Berliri abbia affiancato a quello di economisti e giuristi il termine «politici» proprio quando solo i politici possono enunciare e di solito, come uomini d'azione, enunciano giudizi di va-lore che orientano la storia, ma non come studiosi.

Data una definizione di «giustizia» o di ciò che è «ottimo» nel campo finanziario, il cultore di eco-nomia finanziaria analizza la rispondenza, ad esse, degli istituti9, ponendo in evidenza quali conseguenze, in sede quantitativa, derivino dall'accogliere la definizione o il concetto di «giusto» «ottimo», ecc. Quando ci si dice: «con questo bisogno di giustizia dovrà, dunque, fare i conti l'economista» rispondiamo che sempre gli economisti, veri cultori di questa scienza, hanno «fatto i conti» con la giustizia come ideale posto dai po-litici, consacrato o meno nelle leggi da attuarsi nel campo tributario.

Supponiamo che la giustizia sia definita come eguaglianza di posizione dei membri della collettivi-tà di fronte al pagamento dei tributi. Rispetto a questa ipotesi, il cultore di teoria finanziaria esaminerà se detta eguaglianza, in termini obiettivi (o monetari), venga razionalmente tradotta dal prelievo di reddito o ricchezza in genere, in ragione proporzionale; se l'eguaglianza venga intesa in senso soggettivo (sacrificio di utilità della ricchezza posseduta), spiegherà se e in quali ipotesi, rispettivamente l'imposta proporzionale e quella progressiva soddisfino coerentemente alla premessa extra-scientifica della giustizia e della egua-glianza, nella corresponsione di tributi allo Stato.

Che cosa si dovrebbe dire di quanti ritengono che del concetto di giustizia non abbiano tenuto conto gli economisti, quando si pensi a due (Edgeworth, Wicksell) fra i più forti ingegni, razionalisti per eccellen-za e, anche per gli strumenti della ricerca impiegati, fra i più rigorosi ragionatori della fine del secolo passa-to e del primo quarpassa-to di quespassa-to in corso? Edgeworth10 intestava la seconda parte della trattazione della Teo-ria pura dell'imposta, al Principio della giustizia tributaTeo-ria. Wicksell11 dedicava il secondo dei suoi famosi Saggi di finanza teorica, integralmente alla illustrazione di Un nuovo principio di giusta tassazione.

Pare ben strano che proprio l'Einaudi12 non abbia rilevato che, da quando si è avuta sistemazione scientifica di questa disciplina in senso economico, gli economisti hanno «fatto i conti» con il concetto di giustizia. Proprio egli ha tentato una critica della correlazione fra detto concetto di giustizia, tradotto in quello di eguaglianza, e i sistemi astratti di esprimere il concetto, nel campo dell'imposizione di tributi. Tali sistemi astratti sono stati ipotizzati dai cultori di economia finanziaria anche attraverso criticati «sommi principii utilitaristici».

Un concetto di .giustizia tributaria, «pre-giuridico» come opportunamente rileva, iniziando la sua trattazione, l'Allorio, preesiste per il giurista ed è «quello stesso cui fanno frequente riferimento gli econo-misti». E continua: «In fondo, la giustizia tributaria nel senso rilevante per i giuristi non è che il prolungarsi e concretarsi della giustizia tributaria nei senso considerato dagli economisti». Pare strano che questo non abbia visto il Berliri, che certamente avrà meditato sul Diritto processuale tributario13; e più ancora che l'Einaudi non abbia pensato, nel dettare la prefazione, al proprio formale e ripetuto riferimento a concetti di giustizia, ed abbia fatto menzione indiretta solo della sua monografia sull'«ottima» imposta14 .

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8 BERLIRI L.V., La giusta imposta, Roma, edizione Istituto Italiano di Studi legislativi, 1945.

9 Modi e quantum del prelievo delle entrate soprattutto tributarie ovvero coattivamente conseguite dall'ente pubblico,

tenendo conto o meno, simultaneamente, dei vantaggi o della utilità dei pubblici servizi goduti.

10 EDGEWORTH, “Teoria pura dell'imposta”, Biblioteca dell'Economista, vol. XVI. 11 WICKSELL, “Saggi di finanza teorica”, Nuova collana di Economisti, vol. IX. 12 EINAUDI L., Miti e paradossi della giustizia tributaria,, G. Einaudi editore, 1938. 13 ALLORIO, Diritto processuale tributario, Milano, Giuffrè 1942, pp. 16-17.

14 EINAUDI L., "Contributo alla ricerca dell' "ottima imposta", Annali di Economia» dell'Università Bocconi, Milano,

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