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I FONDI PENSIONE 2.

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Academic year: 2021

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2.

I

FONDI

PENSIONE

(2)

2. I FONDI PENSIONE

2.1

Introduzione

Pag.

2.2

Cosa sono i fondi pensione

Pag.

2.3

Dalla crisi del welfare state alle riforme degli anni ’90

Pag.

2.4

Riforme del sistema pensionistico ed evoluzione della

previdenza complementare

Pag.

2.5

Contesto per lo sviluppo dei fondi pensione

Pag.

2.6

I tre pilastri

Pag.

2.7

Tipologie di fondi pensione

Pag.

2.8

Il funzionamento del sistema previdenziale italiano

Pag.

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2.1 Introduzione

Il presente capitolo ha lo scopo di mettere in evidenza l’importanza che i fondi pensione possono venire ad assumere all’interno del sistema pensionistico italiano, quale strumento fondamentale per integrare una pensione pubblica ormai pressoché insufficiente, cercando allo stesso tempo di dimostrare l’importanza che giocano all’interno del sistema economico nel suo complesso. I sistemi previdenziali, così come si sono consolidati nel tempo, hanno conseguito per molti anni il loro obiettivo essenziale: garantire ai lavoratori una certa sicurezza economica nel momento in cui cessavano la propria attività lavorativa. Le elevate prestazioni storicamente garantite dal nostro sistema pensionistico pubblico hanno reso pressoché marginale il ruolo sino ad oggi svolto dalla previdenza complementare.

Negli ultimi anni, però, l’evidente aggravarsi della crisi demografica ha messo in forte difficoltà il sistema che, infatti, ha registrato saldi di gestione sempre più negativi e non si è dimostrato in grado di garantire autonomamente il proprio equilibrio economico-finanziario. Le nascite nei paesi industrializzati stanno subendo una progressiva riduzione, e l’Italia assieme alla Spagna ricopre il primato della più bassa natalità di tutti i paesi europei; sull’altro versante si registra, invece, un continuo incremento dell’aspettativa di vita che in media supera gli ottanta anni, età destinata ad innalzarsi ulteriormente alla luce delle scoperte nell’ambito della medicina, della chirurgia e della genetica. Il sistema pensionistico tradizionale si basava sulla semplice formula secondo la quale i giovani lavoratori dovevano farsi carico del sostegno delle persone anziane in età da pensionamento, quindi il problema appare piuttosto evidente: se il numero di giovani continua a ridursi drasticamente ed allo stesso tempo gli anziani diventano sempre più numerosi, è facile immaginare come la classica piramide demografica sia destinata a perdere progressivamente spessore nelle sue fondamenta mentre la punta tenda ad allargarsi, mettendo così seriamente a rischio l’equilibrio del sistema pensionistico. I lavoratori ormai prossimi al

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pensionamento, pur avendo contribuito in passato al pagamento delle prestazioni dei propri genitori, proprio nel momento in cui sono in procinto di godere delle prestazioni sociali vivono una realtà di estrema incertezza ed insicurezza; i giovani, dall’altro lato, trovano con sempre maggiore difficoltà un posto di lavoro dipendente e se ci riescono sono chiamati a contribuire con costi sempre maggiori al sostegno di un sistema previdenziale che molto difficilmente li tutelerà con lo stesso livello di prestazioni quando sarà il momento. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, quindi, è un vero e proprio problema che va a minare gli equilibri della finanza pubblica, rendendo lo stato incapace di coprire completamente il fabbisogno generato dalla spesa previdenziale.

Per far fronte a questo, da un lato si è cercato di contenere al massimo la spesa pensionistica pubblica, e dall’altro si è incentivato il ricorso da parte dei lavoratori (soprattutto quelli più giovani ai quali spetterà una pensione statale alquanto ridotta) alla previdenza complementare privata. Questi provvedimenti a loro volta rappresentano un importante incentivo per il decollo dei fondi pensione, alla luce dell’importanza che rivestono nell’andare a colmare le ormai piuttosto evidenti lacune pubbliche in materia previdenziale.

Sotto questo aspetto, quindi, l’introduzione dei fondi pensione appare come una risposta necessaria all’esigenza dei lavoratori di ottenere trattamenti pensionistici complementari in grado di compensare le sempre più esigue prestazioni pubbliche. La previdenza privata nei paesi più avanzati gioca un ruolo di estrema importanza anche a favore dello sviluppo e del buon funzionamento dei mercati finanziari: le risorse accumulate dai fondi pensione, infatti, rivestono un ruolo cruciale nell’assicurare l’efficienza dei mercati finanziari, rafforzare il sistema produttivo e l’economia reale nel suo complesso, e favorire la realizzazione di grandi opere infrastrutturali. L’elemento chiave è la particolare natura che contraddistingue il risparmio gestito dai fondi pensione: si tratta, infatti, di risparmio previdenziale

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contrattuale, cioè di risorse finanziarie accantonate ed investite per garantire ai lavoratori un reddito futuro e che quindi si caratterizzano per la stabilità dei flussi ed il lungo orizzonte temporale d’impiego. La stabilità dei flussi a sua volta è legata alla regolarità con cui vengono effettuati i versamenti da parte dei lavoratori, mentre il vasto orizzonte d’impiego dipende esclusivamente dal fatto che questa tipologia di risparmio è destinata a soddisfare bisogni lontani nel tempo.

La natura collettiva dei fondi pensione, inoltre, permette il coinvolgimento di un numero potenzialmente elevato di risparmiatori, per cui anche le risorse gestite possono raggiungere volumi significativi e la gestione di un’elevata quantità di risparmio consente una più efficiente diversificazione del portafoglio, grazie ad una più equilibrata composizione tra scadenze, tipologie di strumenti e settori, ed una razionalizzazione complessiva dei flussi, altrimenti difficilmente ottenibile come risultato di gestioni individuali.

I fondi pensione forniscono anche un importante contributo alla stabilizzazione dei mercati, contrastando eventuali tendenze speculative: i loro gestori confidano in una crescita costante e graduale degli investimenti posti in essere e la presenza sul mercato di numerosi gestori interessati al raggiungimento dell’obiettivo di stabilità influenza efficacemente le tendenze di mercato. L’introduzione dei fondi pensione può contribuire anche alla rivitalizzazione dei mercati e favorire l’afflusso del risparmio verso strumenti finanziari moderni che, direttamente o indirettamente, contribuiscono al finanziamento delle attività reali d’investimento, ampliando in questo modo la gamma di prodotti finanziari offerti sul mercato ed aumentando le opportunità di finanziamento a favore delle imprese. Si tratta, infatti, di un importante mezzo per raccogliere flussi regolari e costanti di piccolo risparmio, altrimenti frammentato e volatile, e convogliarlo verso investimenti di medio-lungo periodo con importanti vantaggi per il mercato dei capitali. Parte delle risorse vengono investite in titoli obbligazionari, in grado di minimizzare il rischio sopportato

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assicurando allo stesso tempo rendimenti certi, privilegiando, vista la loro natura previdenziale, quelli con scadenze medio-lunghe. In questo modo si ottiene il duplice vantaggio di allungare la vita media del debito pubblico e ridurre la relativa spesa per interessi. Le conseguenze più significative, però, sono quelle che interessano il mercato azionario: l’introduzione dei fondi pensione, infatti, è un possibile incentivo all’incremento della domanda di azioni e quindi anche del volume complessivo di scambi realizzati in Borsa, contribuendo in questo modo a rendere più significativi i prezzi e ad ampliare il listino che diventerà sempre più rappresentativo del sistema produttivo reale.

Si possono inoltre ottenere importanti vantaggi per l’economia reale: le imprese possono fare affidamento su azionisti fedeli e con un’ottica d’investimento di lungo periodo che favoriscono la predisposizione di strategie di lungo termine ed il finanziamento dei relativi investimenti, con importanti vantaggi per la redditività d’impresa e quindi per gli stessi azionisti. In modo particolare possono trarne vantaggio le piccole e medie imprese non quotate, tipicamente profittevoli ed innovative, ma che riscontrano non poche difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie senza dover ricorrere all’indebitamento bancario. Le recenti riforme pensionistiche sono tutte rivolte ad una netta riduzione del grado di copertura pubblica, quindi i lavoratori, per assicurarsi un adeguato standard di vita futura, saranno costretti a ricorrere a forme previdenziali integrative.

Lo stesso Governo sta cercando d’incentivare con ogni mezzo il decollo dei fondi pensione, sia mediante la concessione di agevolazioni fiscali, sia prevedendo la destinazione delle future quote di Tfr alle varie forme di previdenza complementare secondo il principio del “silenzio-assenso”: a partire dal 1 gennaio 2007 ciascun lavoratore avrà sei mesi di tempo per decidere se lasciare le quote di Tfr maturando in azienda oppure trasferirle presso una forma previdenziale integrativa. In mancanza di esplicite dichiarazioni tali somme verranno automaticamente indirizzate al fondo

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pensione della propria categoria di appartenenza all’interno della linea d’investimento più prudenziale.

In Italia si può prospettare, a fronte di una riduzione della generosità della pensione statale, un progressivo sviluppo della previdenza complementare che in questo modo andrà a coprire il crescente spazio lasciato vuoto dallo Stato.

2.2 Cosa sono i fondi pensione

Le pensioni pubbliche degli odierni neo-lavoratori si prospettano molto meno consistenti di quelle percepite dai pensionati in passato ed è proprio per questo motivo che, per riuscire ad assicurarsi una vecchiaia più tranquilla, è necessario provvedere ad integrare la pensione pubblica ricorrendo ad un secondo pilastro previdenziale a carattere privato, rappresentato appunto dai fondi pensione.

I fondi pensione sono degli “enti” presso cui sia il lavoratore che l’azienda si impegnano a versare un contributo periodico che verrà successivamente investito professionalmente sul mercato finanziario fino al momento del pensionamento, in modo tale da costituire una rendita che vada ad integrare quella di carattere pubblico. I versamenti che confluiscono nel fondo sono gestiti secondo le regole proprie della capitalizzazione: ogni versamento viene accantonato in un conto previdenziale individuale che di anno in anno si accresce sia dell’importo delle ulteriori quote versate, sia del rendimento generato tramite l’investimento del patrimonio del fondo sul mercato finanziario. Al momento del pensionamento il lavoratore potrà decidere di riscattare il montante generato dalla gestione sotto forma di rendita vitalizia oppure metà della somma sotto forma di capitale e metà come rendita. In pratica i fondi pensione possono essere considerati come una forma di risparmio a lungo termine avente scopo prettamente previdenziale.

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L’adesione ai fondi pensione è libera, si tratta di una decisione che spetta liberamente a ciascun lavoratore, anche se lo stato dal lato suo cerca di incentivarla come possibile, ed in modo particolare ricorrendo alla concessione di importanti agevolazioni fiscali.

I fondi pensione possono essere costituiti:

1. come soggetti giuridici di natura associativa non riconosciuti come persone giuridiche, secondo l’ art. 36 del codice civile;

2. come soggetti dotati di personalità giuridica, secondo quanto previsto dall’art. 12 del codice civile, con riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale;

3. nell’ambito del patrimonio di una singola società o ente pubblico attraverso la costituzione di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo.

I fondi pensione sono ormai una realtà consolidata in paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda e gli USA in cui le pensioni pubbliche anche in passato erano molto più esigue rispetto a quelle italiane. In Italia, invece, il fenomeno sta prendendo piede solo adesso e ciò a causa soprattutto delle elevate prestazioni pagate in passato dal sistema previdenziale pubblico.

2.3 Dalla crisi del welfare state alle riforme degli anni ’90

All’inizio degli anni ’70 il sistema italiano si presenta come un sistema di sicurezza sociale misto, previdenziale-assistenziale: pensione minima a tutti i cittadini, diritti pensionistici estesi a lavoratori pubblici e privati, dipendenti e autonomi, con prestazioni armonizzate all’ultima retribuzione media (regime a ripartizione). Come la maggior parte dei Paesi occidentali, l’Italia subisce in questi anni un forte

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rallentamento dell’economia, e lo Stato deve affrontare una sempre maggiore spesa a sostegno di coloro che non riescono a trovare un’occupazione e delle imprese, anch’esse in crisi, facendo talvolta un uso distorto di alcune prestazioni (ad es. pensioni di anzianità e invalidità utilizzate al posto dei sussidi di disoccupazione). Ciò contribuisce, insieme all’invecchiamento della popolazione e alla successiva espansione del welfare state, a generare una situazione difficile per la finanza pubblica, caratterizzata dal forte aumento del debito pubblico.

La necessità di provvedere al riequilibrio dei conti pubblici attraverso il ridimensionamento della spesa si rende chiara in gran parte dei Paesi industrializzati nel corso degli anni ’80. In Italia, soltanto alla fine del decennio, viene realizzata una manovra di correzione dei disavanzi di bilancio basata sull’inasprimento della pressione fiscale.

A partire dagli anni ’90, vengono avviate riforme strutturali che riguardano anche il settore pensionistico. Il sistema pubblico è strutturato secondo il criterio della ripartizione ed è quindi evidente che il flusso delle entrate (rappresentato dai contributi) deve essere in equilibrio con l’ammontare delle uscite (le pensioni pagate). Come già abbiamo sottolineato il progressivo aumento della vita media della popolazione e il rallentamento della crescita economica ha frenato le entrate contributive del sistema. Vengono attuate, di conseguenza, una serie di riforme, con lo scopo di riportare sotto controllo la spesa pensionistica. Cambia il sistema di rivalutazione delle pensioni in pagamento, non più collegato anche alla dinamica dei salari reali, ma soltanto all’andamento dell’inflazione; vengono ritoccati i requisiti minimi per ottenere la pensione e vengono poste le basi per la creazione di un sistema di fondi pensione complementari, il cosiddetto secondo pilastro, al fine di far ottenere ai lavoratori pensioni complessivamente più adeguate ai loro bisogni in età anziana e diversificare i rischi intrinsechi di esposizione del sistema pensionistico.

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2.4 Riforme del sistema pensionistico ed evoluzione della previdenza complementare Fino al dicembre 1992 il lavoratore iscritto all’INPS riceve una pensione di importo direttamente collegato alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro: circa l’80% di quest’ultima, rivalutata negli anni successivi in base all’inflazione e all’aumento dei salari reali. In questa fase le uniche manifestazioni della previdenza complementare si riscontrano nelle banche e in alcune aziende con appositi fondi riservati ai propri dipendenti.

La Riforma Amato del 1992 (Decreto Lgs. 503/1992), cancellando l’indicizzazione delle pensioni ai salari, fa sì che la proiezione futura del rapporto tra spesa pensionistica e PIL si riduca. Il decreto innalza inoltre l’età per la pensione di vecchiaia (da 60 a 65 anni per gli uomini, da 55 a 60 per le donne, con 20 anni di contribuzione) ed estende gradualmente, fino all’intera vita lavorativa, il periodo di contribuzione sul quale calcolare l’entità della pensione. Stabilisce infine che le retribuzioni prese a riferimento per il calcolo vengano rivalutate all’1% e la rivalutazione automatica delle pensioni in pagamento sia limitata alla dinamica dei prezzi. La riforma Amato favorisce così la separazione tra interventi assistenziali e previdenziali, uniforma il trattamento delle diverse categorie di lavoratori, ma di fatto determina altresì una riduzione del grado di copertura pensionistica rispetto all’ultimo stipendio percepito. Si rende necessaria, quindi, l’introduzione di una disciplina organica della previdenza complementare con l’istituzione dei fondi pensione ad adesione collettiva negoziali e aperti.

Come esplicitato dall’articolo 1 del Decreto Lgs. 124/1993, questo disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale, e alla cui adesione volontaria è subordinato il versamento totale o parziale del TFR maturando. I contenuti del decreto si soffermano poi sulla costituzione,

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autorizzazione all’esercizio, gestione e sistema di vigilanza delle forme pensionistiche complementari. La normativa, pur prevedendo parecchie innovazioni, non creò le premesse per uno sviluppo di queste forme pensionistiche complementari, ma ne costituì addirittura un freno, bloccando infatti le iscrizioni alle forme preesistenti, e ponendosi in alternativa ai versamenti, della stessa natura, relativi alle polizze di assicurazione.

Con la cosiddetta Riforma Dini del 1995 (Legge 335/1995) si passa al sistema di calcolo contributivo, sostituendo con un meccanismo graduale, il precedente criterio retributivo.

Vengono a originarsi così tre diverse situazioni:

1) i lavoratori con almeno 18 anni di anzianità contributiva a fine 1995 mantengono il sistema retributivo;

2) ai lavoratori con un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, alla stessa data, è attribuito il sistema misto, cioè retributivo fino al 1995 e contributivo per gli anni successivi;

3) ai neoassunti dopo il 1995 è applicato il sistema di calcolo contributivo.

Sul piano della previdenza complementare, la legge 335/1995, modifica e innova il D. Lgs. 124/1993, in particolar modo migliorandone il regime tributario e l’assetto fiscale delle contribuzioni.

Successivamente il Decreto Lgs. 47/2000 del 18 febbraio 2000 mira a migliorare il trattamento fiscale per gli aderenti a un fondo pensione, introducendo anche nuove opportunità di adesione in forma individuale alla previdenza complementare attraverso l’iscrizione a un fondo pensione aperto o a un piano individuale pensionistico (cosiddetto PIP). I provvedimenti finora analizzati non solo hanno contribuito a tenere sotto controllo la spesa pensionistica e l’equilibrio delle finanze pubbliche italiane, ma anche a sostenere gli strumenti pensionistici privati (in

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particolare attraverso significativi sgravi fiscali). Il risultato complessivo è stato in ogni caso una diminuzione del tasso di sostituzione tra stipendio e pensione: per i lavoratori dipendenti con 40 anni di contributi, la pensione corrisponde a circa il 50 per cento dell’ultima retribuzione ricevuta prima del pensionamento, contro circa l'80 per cento ricevuto in precedenza.

Queste riforme non hanno pienamente sradicato le distorsioni del sistema nella distribuzione, ma hanno migliorato le condizioni strutturali e i meccanismi istituzionali per l’equilibrio della spesa pubblica. Inoltre, le riforme hanno posto l'accento sul pensionamento anticipato ma non sono state in grado di distinguere tra le diverse situazioni regionali di varie parti d'Italia (differenze tra nord e sud, con quest’ultimo tradizionalmente sofferente di un lento sviluppo economico). Questo a sua volta ha portato ad una riduzione del livello di benessere per molte persone, e in alcuni casi ha gravato sulla efficienza del sistema produttivo.

La Riforma Maroni del 2004 (Legge delega 243/2004) introduce incentivi agli individui che decidano di rinviare la pensione di anzianità beneficiando così di un super bonus, che consiste nel versamento in busta paga dei contributi previdenziali altrimenti versati all’ente di previdenza. Ulteriori novità volte al contenimento della spesa pensionistica sono l’introduzione di un requisito unico per la pensione (40 di contributi o 65 anni di età per gli uomini e 60 per le donne, con 35 anni di contributi) e altri provvedimenti a sostegno e favore delle forme pensionistiche complementari, culminanti con l’adozione del Decreto Lgs. 252/2005. Il decreto sostituisce il precedente Decreto Lgs. 124/1993, andando a migliorare l’equiparazione tra le diverse forme pensionistiche complementari e riunendo e omogeneizzando la vigilanza sul settore nella Commissione di Vigilanza sui fondi pensione, la COVIP. Inoltre il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del

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committente e attraverso il conferimento del TFR maturando, sia con modalità esplicita che tacitamente.

Misure compensative per le imprese, private di questa fonte sicura di finanziamento sono altresì previste dallo stesso decreto, in vigore dal 1° gennaio 2007.

Nel 2007 (Legge 247/2007), con la Riforma Prodi, si introducono le cosiddette quote per l’accesso alla pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati: nel 2009 la quota da raggiungere è 95 (con almeno 59 anni di età), dal 2011 si passa a quota 96 (con almeno 60 anni di età), mentre dal 2013 si sale a 97 (con almeno 61 anni di età). Con questa Riforma viene introdotto inoltre un sistema automatico con cadenza triennale per la revisione dei coefficienti di calcolo della pensione obbligatoria, in funzione della durata media di vita calcolata su dati ISTAT. La Legge 102/2009 del Terzo governo Berlusconi apporta ulteriori modifiche. In attuazione di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, infatti, dal 1° gennaio 2010, l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta progressivamente fino a raggiungere i 65 anni e dunque l’equiparazione del trattamento pensionistico per uomini e donne. Il secondo intervento, invece, prevede che, dal 1 gennaio 2015, l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento debba essere collegato all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e validato dall’EUROSTAT.

Appartiene alla manovra Salva Italia (Legge 214/2011), varata dal governo Monti, l’ultima innovazione del quadro previdenziale nel nostro paese. Citando l’articolo 24, «Le disposizioni del presente articolo sono dirette a garantire il rispetto, degli impegni internazionali e con l’Unione europea, dei vincoli di bilancio, la stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo, in conformità dei seguenti principi e criteri: a) equità e convergenza

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intra-generazionale e inter-intra-generazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli; b) flessibilità nell’accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa; c) adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali».

La legge, in vigore dal 1° gennaio 2012, estende a tutti i lavoratori (compresi coloro i quali, avendo maturato a dicembre 1995 almeno 18 anni di contributi, potevano fruire del più favorevole sistema retributivo) il sistema di calcolo delle pensioni con il metodo contributivo pro-rata, a partire dai versamenti successivi al 31 dicembre 2011. Aggiornati anche i requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia, ferma restando l’anzianità contributiva minima di 20 anni: per le lavoratrici dipendenti del settore privato, l’età sale a 62 anni e sarà ulteriormente elevata a 63 e 6 mesi nel 2014, a 65 nel 2016 e a 66 a partire dal 2018; per le lavoratrici autonome (commercianti, artigiane e coltivatrici dirette) l’aumento dell’età è di tre anni e 6 mesi (si passa quindi da 60 a 63 anni e mezzo). La soglia sale ulteriormente a 64 e 6 mesi nel 2014, a 65 e 6 mesi nel 2016, fino a raggiungere i 66 anni da gennaio 2018; o i lavoratori del settore privato devono aver compiuto 66 anni di età. Dal 1° gennaio 2019, il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia si adeguerà in funzione dell’incremento della speranza di vita con periodicità biennale. Si modificano anche i requisiti contributivi per la pensione anticipata (ex pensione di anzianità). Le donne del settore privato vanno in pensione, indipendentemente dall’età, con 41 anni e un mese di contributi, gli uomini con 42 anni e un mese, con ulteriori incrementi di un mese nel 2013 e nel 2014. È prevista, infine, una riduzione della prestazione pensionistica, per coloro i quali sceglieranno di andare in pensione con un’età inferiore ai 62 anni, pari al 2% per ogni anno di anticipo rispetto a tale limite anagrafico.

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Appare quindi evidente come, anche alla luce dell’ultima riforma delle pensioni, la previdenza complementare diventa sempre più indispensabile in uno scenario di allungamento della vita lavorativa, sia a fronte dell’aumento dell’aspettativa di vita, sia per la maggiore flessibilità e discontinuità delle carriere professionali e delle tipologie di rapporto lavorativo. Sebbene il ruolo del primo pilastro rimanga dominante, appare indispensabile il passaggio da una Stato paternalista, che obbliga alla contribuzione nella misura che ritiene necessaria e che eroga più di quanto riceve, a uno Stato che si limita a garantire il minimo vitale, lasciando alla responsabilità individuale il compito di destinare parte del risparmio a finalità previdenziali. Il tasso di sostituzione effettivamente ottenuto dipenderà sempre più dalla scelte personali in merito a quanto e dove accantonare. Più libertà di assecondare esigenze e propensioni personali, ma anche maggiore soggezione al rischio che il montante contributivo futuro sconti inappropriate politiche di gestione del risparmio e dinamiche avverse del mercato finanziario. Per questo è fondamentale una maggiore conoscenza sul tema della previdenza complementare, al fine di sceglier in modo non necessariamente migliore, ma almeno più consapevole.

2.5 Contesto per lo sviluppo dei fondi pensione

Per molti anni le elevate prestazioni assicurate dalla presenza di un sistema pensionistico pubblico a ripartizione hanno garantito un buon grado di sicurezza economica a coloro che smettevano di lavorare, ostacolando in questo modo lo sviluppo della previdenza complementare. I sistemi a ripartizione sono basati sul così detto principio della solidarietà tra generazioni: le prestazioni pensionistiche di coloro che cessano la propria attività lavorativa vengono pagate attingendo ai contributi versati dagli attuali lavoratori ed addebitando l’eventuale differenza al bilancio pubblico. Si assiste, quindi, ad una redistribuzione del reddito tra generazioni diverse

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di beneficiari: la generazione anziana dal punto di vista pratico viene mantenuta da quella giovane che a sua volta godrà del medesimo trattamento al momento del pensionamento che sarà a sua volta a carico della generazione futura. In tutti i paesi occidentali, e soprattutto in Europa, il successo della previdenza pubblica si è venuto determinando in particolar modo nel dopoguerra, grazie ad un ritmo di sviluppo economico particolarmente sostenuto, in grado di assicurare un continuo ampliamento della base occupazionale, dei redditi dei lavoratori e delle entrate statali sul versante contributivo. Negli ultimi anni, però, il sistema è stato messo seriamente in crisi da un problema di carattere strutturale: il sensibile aumento dell’incidenza della spesa pensionistica pubblica sul PIL.

Le cause scatenanti di questo fenomeno possono essere individuate in due fattori fondamentali:

1. l’aumento del tasso di dipendenza degli anziani (pari al rapporto tra persone ultrasessantaquattrenni ed ammontare complessivo delle forze di lavoro), che a sua volta è legato ad altri due fattori, quali l’invecchiamento della popolazione (dovuto contemporaneamente all’aumento della vita media e alla riduzione del tasso di natalità) e la riduzione del tasso di attività (persone in età da lavoro occupate in un’attività regolare);

2. la riduzione del tasso di crescita del PIL che non ha consentito di compensare l’aumento della popolazione che beneficia delle prestazioni pensionistiche col corrispondente aumento delle risorse disponibili a tale scopo.

E’ evidente come in un sistema a ripartizione in cui si registri una crescita relativa maggiore delle fasce più anziane, il peso del loro sostegno durante il periodo del pensionamento vada a gravare su una fascia di popolazione lavorativa tendenzialmente più esigua, andando ad incidere negativamente sul deficit della bilancia pensionistica. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione

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rappresenta, quindi, un problema che va a minare gli equilibri della finanza pubblica rendendo lo stato incapace di coprire completamente il fabbisogno generato dalla spesa previdenziale.

Per cercare di risolvere il problema in questione è stato necessario intervenire da un lato cercando di contenere il più possibile la spesa pensionistica gravante sullo Stato e dall’altro incentivando in ogni modo il ricorso alla previdenza complementare privata. Questi provvedimenti a loro volta sono stati un importante ausilio per favorire il decollo dei fondi pensione, per il semplice fatto che sono riusciti a mettere in evidenza l’estrema importanza che rivestono nell’andare a colmare le ormai piuttosto evidenti lacune pubbliche in materia previdenziale. In conclusione, appare evidente che l’introduzione dei fondi pensione può essere interpretata come una risposta necessaria all’esigenza propria dei lavoratori di ottenere trattamenti pensionistici complementari in grado di compensare le minori prestazioni attualmente erogate dal sistema previdenziale pubblico.

2.6 I tre pilastri

Come possiamo evincere dalla trattazione sino a qui svolta, il sistema pensionistico italiano, a seguito delle numerose riforme introdotte a partire dagli anni ’90 è stato indirizzato a una particolare forma complessiva mirante ad integrare la prestazione pubblica, già soggetta a significativi tagli, con altre forme di previdenza in grado di assicurare più elevati livelli di copertura.

Il sistema si regge su tre pilastri fondamentali:

I) La pensione pubblica, obbligatoria e basata sul criterio della ripartizione, con le regole di calcolo di cui sopra. Il compito di raccogliere i contributi previdenziali e di pagare le pensioni è affidato a soggetti pubblici specializzati, gli Enti previdenziali. I

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principali sono l’INPS (che si occupa prevalentemente dei lavoratori privati) e l’INPDAP (che si occupa dei lavoratori pubblici);

II) La pensione complementare, ricavata dalla libera partecipazione ai fondi pensione, operanti in un regime a capitalizzazione. Istituiti da banche, assicurazioni, Società di Gestione del Risparmio (SGR) e Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) che investono nei mercati finanziari i contributi versati dai lavoratori, datori di lavoro e Stato, i fondi pensione trasformano in rendita la base patrimoniale accumulata dal momento della sottoscrizione;

III) La pensione integrativa individuale, realizzata mediante polizze assicurative (contratti di assicurazione sulla vita a scopo previdenziale) a carattere individuale, offerti da istituzioni finanziarie private e basati sul meccanismo della capitalizzazione. In particolare queste forme riguardano i cosiddetti PIP (piani individuali pensionistici). 2.7 Tipologie di fondi pensione

Non esiste un’unica tipologia di fondo pensione, ma al loro interno è possibile effettuare una duplice classificazione. In primo luogo è possibile fare una distinzione tra :

fondi a contribuzione definita: sono quei fondi in cui al momento della

stipulazione del contratto viene prestabilito solamente l’importo dei contributi che devono essere versati regolarmente durante la fase di accumulazione. In questo caso non viene né previsto né garantito il livello della pensione futura, elemento che a sua volta dipende da tutta una serie di fattori, quali l’ammontare dei versamenti effettuati ed i rendimenti finanziari che sono riusciti a generare. Il ricorso a questo schema di contribuzione comporta per il fondo il vantaggio non trascurabile di non doversi assumere il rischio di una prestazione stabilita già in precedenza. I vantaggi a favore dell’aderente,

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invece, consistono nel fatto che riceverà quanto maturato senza dover sopportare i costi che altrimenti risulterebbero necessari per contribuire alla costituzione delle riserve del fondo ed aventi lo scopo di fronteggiare gli impegni presi, e nella costanza dei contributi che non dipendono dal livello di pensione desiderata per il futuro. A fronte di questi vantaggi, però, si contrappone al contempo lo svantaggio di non poter definire a priori quanto effettivamente si potrà percepire al momento del pensionamento;

fondi a prestazione definita: sono quei fondi che garantiscono una determinata

prestazione finale, indicata non in valore assoluto, ma come percentuale del livello di reddito o del trattamento pensionistico pubblico del lavoratore. In questo modo il fondo si assume in proprio il rischio della prestazione garantita il che comporta l’obbligo di accumulare le risorse necessarie per farvi fronte. Il ricorso a questo particolare schema di funzionamento del fondo pensione comporta l’evidente vantaggio per il lavoratore di poter conoscere a priori e con certezza il livello della prestazione che percepirà in futuro. Il rovescio della medaglia è caratterizzato dalla presenza di maggiori costi a carico dei contribuenti e nell’esistenza del rischio, anche se in realtà molto remoto, che il fondo in futuro non risulti in grado di far fronte agli impegni presi. Un’altra caratteristica peculiare di questa tipologia di fondi è rappresentata dal fatto che i versamenti non rimangono costanti nel tempo, ma sono definiti al momento della stipulazione del contratto e poi devono essere continuamente adattati facendo riferimento all’andamento del mercati finanziari.

Una seconda importante distinzione è quella tra:

fondi chiusi o negoziali: si tratta di soggetti giuridici autonomi , costituiti sia

come associazione riconosciuta che non riconosciuta, promossi da accordi bilaterali tra associazioni rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori o da loro iniziative unilaterali. Sono definiti “chiusi” perché sono accessibili solo

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agli appartenenti a determinate categorie ed aziende. L’organizzazione interna è basata sul principio della partecipazione paritetica dei lavoratori e dei datori di lavoro e nel caso di contribuzione unilaterale a carico del lavoratore deve essere rispettata la rappresentanza di tutte le categorie e raggruppamenti interessati. Gli organi sociali, le cui funzioni sono stabilite nello statuto del fondo, sono: l’assemblea, il consiglio d’amministrazione ed il collegio dei revisori contabili. I fondi chiusi di origine contrattuale proposti ai lavoratori dipendenti possono essere costituiti unicamente secondo lo schema a contribuzione definita (al momento dell’adesione viene stabilita la somma da versare mensilmente, espressa come percentuale della retribuzione), mentre i fondi rivolti ai lavoratori autonomi possono essere costituiti anche utilizzando lo schema alternativo a prestazione definita;

fondi aperti: sono fondi a cui possono aderire quei lavoratori, sia autonomi che

dipendenti, per i quali non sussistano o non siano ancora operanti fondi chiusi. E’ possibile accedere ad un fondo aperto anche dietro trasferimento della propria posizione individuale da un fondo chiuso, nel caso in cui vengano meno i requisiti richiesti per la partecipazione al fondo. Anche in assenza di questa condizione è prevista la possibilità di trasferire la propria posizione presso fondi aperti una volta decorsi tre anni di permanenza presso il fondo che si intende lasciare. Si tratta in pratica di fondi aperti a tutte la categorie di lavoratori, promossi dalle istituzioni finanziarie abilitate per legge alla gestione dei fondi chiusi (banche, Sim, Sgr e compagnie di assicurazione) che aprono un fondo patrimoniale di destinazione, autonomo e separato dal patrimonio dell’istituzione promotrice, nel quale affluiscono i contributi raccolti ed i relativi frutti generati dalla gestione finanziaria. Dal punto di vista pratico il loro funzionamento risulta simile a quello tipico dei piani di accumulo, fatto salvo che le prestazioni possono essere erogate solo una volta maturati i requisiti necessari per accedere alla pensione pubblica. I rapporti tra fondo,

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partecipanti e gli altri soggetti istituzionali coinvolti, sono disciplinati all’interno del regolamento del fondo. In questo caso non esistono organi sociali assimilabili a quelli previsti per i fondi chiusi, ma la stessa società istituente deve provvedere alla nomina di un responsabile del fondo.

2.8 Il funzionamento del sistema previdenziale italiano

Il sistema di Welfare di ciascun Paese si pone come principale obiettivo il perseguimento delle seguenti finalità: assistenziale, assicurativa e previdenziale. La finalità previdenziale, che consiste nell’erogazione di benefici sostitutivi al reddito al termine dell’età lavorativa, è assolta in parte direttamente dallo Stato e in parte dall’intervento di intermediari specializzati nella gestione di forme pensionistiche complementari.

Il sistema previdenziale italiano, come già detto, si fonda su tre pilastri: I. la previdenza pubblica;

II. la previdenza complementare collettiva; III. la previdenza complementare individuale.

Per colmare le lacune del sistema pubblico, il legislatore ha promosso la partecipazione dei lavoratori a forme di previdenza complementare, su base privatistica e con adesione volontaria, organizzate in forma collettiva o individuale (rispettivamente secondo e terzo pilastro).

Il sistema pensionistico pubblico (c.d. primo pilastro) si caratterizza per la partecipazione obbligatoria di tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa retribuita: i contributi sociali sono corrisposti in proporzione alla remunerazione o al

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reddito. La gestione di tali contributi è affidata ad enti di previdenza statali (INPS, INPDAP, ENPALS, OPOST, ENASARCO, ENPAIA) o casse professionali che garantiscono la funzione di assicurazione obbligatoria.

Le principali prestazioni previdenziali sono le pensioni di vecchiaia e le pensione anticipate. La pensione di vecchiaia è erogata a favore di coloro i quali terminano l’attività lavorativa al raggiungimento di specifici limiti di età anagrafica, a condizione che vantino un tempo minimo di permanenza nella gestione previdenziale (la c.d. anzianità contributiva). Prima del raggiungimento dei suddetti limiti d’età, è possibile maturare il requisito posto dalla legislazione vigente in termini di sola anzianità contributiva e avere così diritto alla pensione anticipata.

I contributi sociali versati dai lavoratori alimentano anche benefici pensionistici di altra natura, aventi carattere assicurativo, quali:

 le prestazioni erogate a favore di coloro che a causa di disturbi fisici o mentali hanno subìto la perdita totale o la riduzione consistente della capacità lavorativa (rispettivamente pensione di inabilità e invalidità);

 le prestazioni riconosciute ai familiari dell’assicurato in caso di premorienza (la c.d. pensione ai superstiti, detta di riversibilità nel caso in cui di lavoratore già in pensione, e indiretta, nel caso di lavoratore ancora attivo).

Assumono denominazione di pensioni anche alcune prestazioni erogate a favore di soggetti sprovvisti dei mezzi sufficienti a soddisfare le proprie esigenze vitali, indipendentemente dalla loro partecipazione al mercato del lavoro e quindi dal pagamento dei contributi (la c.d. pensione o assegno sociale).Tali prestazioni, a differenza delle precedenti, sono di natura prettamente assistenziale e risultano a carico della fiscalità generale. Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle prestazioni, un sistema pensionistico può essere organizzato secondo il meccanismo della ripartizione o della capitalizzazione.

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In un sistema a ripartizione, i contributi pagati dai lavoratori attivi sono utilizzati per finanziare le pensioni di quei soggetti che non sono più in grado di provvedere al proprio sostentamento, secondo logiche redistributive e di solidità generazionale. Non si ha, pertanto, accumulazione di risparmio e conseguente investimento nel mercato dei capitali, ma solo trasferimento di risorse finanziarie dai lavoratori attivi ai pensionati. In ciascun esercizio della gestione previdenziale, è necessario che i contributi pagati siano almeno pari all’importo dei benefici da erogare, in caso contrario sarà necessario un intervento dello Stato, a carico della fiscalità generale. Pertanto, in ogni periodo deve valere la seguente eguaglianza:

c * w * N(w) = p * N(p)

dove c è l’aliquota contributiva, w è la retribuzione media percepita, N(w) è il numero di lavoratori, p è la pensione media e N(p)è il numero di pensionati.

L’aliquota contributiva che garantisce l’equilibrio finanziario del sistema è pertanto pari a:

= ( ) ( )

Il primo elemento del prodotto è il rapporto tra pensione media e salario medio. Un indicatore frequentemente utilizzato per descrivere sinteticamente il grado di copertura offerto dal sistema è il tasso di sostituzione, calcolato come rapporto tra la pensione ricevuta e l’ultima retribuzione percepita (o media delle retribuzioni percepite durante la carriera lavorativa). Il secondo elemento del prodotto è il rapporto tra il numero di pensionati e quello dei lavoratori attivi. Tale rapporto dipende dalle dinamiche demografiche riguardanti la durata di vita media e il tasso di natalità, che determinano un’incidenza più o meno elevata degli anziani sulla popolazione in età lavorativa.

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Un indicatore frequentemente utilizzato, in questo caso, è l’Age Dependency Ratio dato dal rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni o più di 65 anni) e la popolazione in età attiva (15-64 anni). Se il sistema assicura il mantenimento di un determinato tasso di sostituzione, indipendentemente dall’evoluzione dello scenario di riferimento, il rischio demografico è a carico delle generazioni future, che subiscono un aumento dell’aliquota contributiva senza che questo determini un aumento delle prestazioni di cui, in futuro, avranno diritto. Un ruolo fondamentale è giocato, inoltre, dall’andamento del mercato del lavoro sia in termini di livello occupazionale sia di dinamiche salariali. Per esempio, una diminuzione della popolazione in età attiva potrebbe essere compensata da un incremento del tasso disoccupazione o da un miglioramento della produttività.

Profondamente diverse risultano le logiche e il funzionamento di un sistema a capitalizzazione, in cui i contributi versati dal lavoratore vengono accantonati per suo conto e investiti nel mercato dei capitali al fine di costituire il montante individuale, necessario all’erogazione della sua rendita pensionistica. In questo caso si ha il trasferimento di risorse finanziarie nel tempo secondo una logica assicurativa di tipo individuale, che rende automatico il mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema. Non essendoci alcun impegno né diritto nei confronti delle altre generazioni di contributori, il singolo lavoratore non subisce il rischio demografico. Tuttavia, il sistema a capitalizzazione è tutt’altro che esente da rischi, poiché il rendimento ottenuto nel mercato dei capitali, tenendo conto anche dell’inflazione, potrebbe rendere il risparmio previdenziale accumulato non sufficiente a garantire una pensione adeguata.

Un’altra distinzione, basata sul meccanismo di calcolo delle prestazioni, è quella tra sistemi pensionistici basati sul metodo retributivo o contributivo.

Il metodo retributivo commisura la pensione alla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa e all’anzianità contributiva del

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soggetto. Con l’applicazione di questo metodo è assicurata l’equità previdenziale, ossia la garanzia dello stesso tasso di sostituzione a tutti gli individui che vantino la medesima anzianità contributiva. Il beneficio, in termini di pensione erogata, calcolato con questo metodo, infatti, prescinde completamente dall’età del soggetto al termine dell’età lavorativa e perciò dalle sue aspettative di vita. La principale conseguenza è che l’importo della pensione può divenire molto elevato rispetto all’ammontare dei contributi effettivamente versati, soprattutto per i percorsi di carriera più dinamici. Il metodo retributivo, quindi, non realizza l’equità attuariale, ossia non garantisce lo stesso rendimento dei contributi versati a tutti i lavoratori, favorendo (a parità di anzianità contributiva e ultimo reddito) gli individui che smettono di lavorare in età più giovane e caratterizzati da una carriera più dinamica. Nel metodo contributivo la pensione è calcolata come sommatoria dei contributi effettivamente versati durante l’intera vita lavorativa, moltiplicati per un fattore di capitalizzazione e per un coefficiente di trasformazione in rendita che tiene conto della speranza di vita del soggetto al momento della cessazione dell’attività lavorativa. In tal modo si realizza automaticamente l’equità attuariale.

In Italia, a fronte del progressivo invecchiamento della popolazione, l’andamento della spesa pensionistica pubblica non risulta sostenibile nel lungo periodo, e proprio per questo motivo si sta diffondendo la consapevolezza riguardo la necessità, oltre ad un innalzamento dell’età pensionabile, di far transitare una quantità più consistente di risparmio previdenziale attraverso il mercato dei capitali, contribuendo in questo modo ad incrementare sia gli investimenti produttivi, sia le risorse disponibili per le pensioni. Proprio grazie allo sviluppo di una previdenza complementare che operi essenzialmente secondo le regole della capitalizzazione, infatti, risulta possibile garantire ai lavoratori l’erogazione di prestazioni pensionistiche superiori rispetto a quelle pubbliche oramai pressoché insufficienti.

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L’organizzazione del sistema previdenziale su due pilastri, uno pubblico a ripartizione ed uno privato a capitalizzazione, può rappresentare quindi una valida soluzione per consentire ai lavoratori di adattare il grado di copertura previdenziale alle proprie specifiche esigenze. I fondi pensione da questo punto di vista assumono un ruolo di estrema importanza quale strumento fondamentale per risolvere i principali problemi che caratterizzano il sistema previdenziale pubblico.

In linea generale ai fondi pensione viene attribuita tutta una serie di proprietà, quali:  la capacità di attenuare le conseguenze relative all’attuazione di riforme

inerenti il sistema pensionistico pubblico, offrendo la possibilità ai lavoratori di recuperare quanto perso sul versante pubblico;

 la possibilità di ampliare contemporaneamente le dimensioni e l’efficienza che caratterizzano il mercato finanziario italiano, favorendo così un maggiore sviluppo degli investimenti, soprattutto di quelli a carattere innovativo;

 la capacità di stimolare la creazione di nuovo risparmio;

 la capacità di introdurre elementi di democrazia economica, dando ai sindacati dei lavoratori la facoltà d’influire sulle scelte strategiche di finanziamento dello sviluppo attraverso i fondi di categoria.

Lo sviluppo della previdenza privata a capitalizzazione teoricamente presenta tutte queste potenzialità, ma non è detto che siano sempre tutte presenti contemporaneamente e che risultino compatibili tra loro; l’unica effettiva certezza riguarda il fatto che la concreta generazione di effetti benefici dipende dalle modalità con cui avviene l’introduzione della previdenza privata, dal contesto economico ed istituzionale esistente e dal rapporto che si viene a creare con la previdenza a ripartizione. In Italia lo sviluppo dei fondi pensione si prospetta graduale, e quindi piuttosto lento, per il semplice fatto che è strettamente legato all’opera di riproporzionamento della previdenza pubblica di non semplice realizzazione, e all’evoluzione dei mercati finanziari.

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2.9 Conclusioni

Da alcuni anni il tema della previdenza è per molti paesi un importante argomento di dibattito, preoccupazione ed analisi. A livello individuale, la pensione rappresenta un aspetto cruciale del benessere complessivo: per un adulto che ha maturato una certa anzianità lavorativa il mantenimento dell’attuale tenore di vita durante il pensionamento è un problema particolarmente urgente. Allo stesso tempo, anche per un giovane che generalmente è portato a disinteressarsi delle questioni lontane nel tempo, non è affatto fuori luogo prendere importanti decisioni per gli anni della vecchiaia, visto l’indubbio vantaggio legato alla lunga durata degli investimenti che possono così generare risultati positivi con un minimo sforzo.

A livello nazionale, il sistema pensionistico riflette l’organizzazione del welfare e le scelte politiche dei cittadini in merito ad alcune importanti questioni: il grado di protezione offerto ai meno abbienti, il livello di redistribuzione del reddito tra cittadini e tra generazioni, ed il ruolo rispettivamente attribuito allo Stato ed al mercato.

In Europa, ed in modo particolare in Italia, dopo la Seconda Guerra Mondiale si è assistito ad un elevato sviluppo economico accompagnato dall’espansione delle politiche pubbliche e dei sistemi pensionistici, passando da un sistema a capitalizzazione dei contributi pensionistici ad un regime a ripartizione. L’attuale sviluppo demografico ha però palesato come il tradizionale sistema pensionistico non sia in grado di reggere da solo: i giovani, che durante la fase attiva devono sostenere le pensioni delle persone in quiescenza, diminuiscono progressivamente a fronte del continuo aumento dell’aspettativa di vita e quindi anche del numero di pensionati da

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sostenere: i diritti pensionistici acquisiti durante la temporanea elevata crescita economica appaiono così insostenibili nel futuro più immediato, rendendo necessari importanti interventi di riforma del settore.

Nonostante gli incentivi fiscali che vi sono connessi, attualmente il sistema non ha ancora avuto il decollo sperato: gli iscritti sono solo una ridotta percentuale della forza lavoro complessiva e tra questi mancano soprattutto i giovani, cioè coloro che ne avrebbero più bisogno perché maggiormente colpiti dalle riforme in atto e quindi destinati a ricevere una pensione pubblica alquanto ridotta. Le spiegazioni a riguardo sono molteplici e tra tutte spiccano l’elevata copertura da sempre offerta dallo Stato, infatti esiste una correlazione negativa tra la generosità della pensione pubblica e lo sviluppo della previdenza complementare, ed il peso contributivo della previdenza di base gravante su lavoratori ed aziende che rende obiettivamente difficile, soprattutto per le fasce più deboli, decurtare ulteriormente il reddito a propria disposizione per alimentare una pensione complementare. I benefici fiscali sono sicuramente d’aiuto, ma da soli non bastano: dovrebbero invece essere affiancati da una graduale riduzione della contribuzione sociale a favore del primo pilastro.

E’ quindi importante che il Governo si impegni nel realizzare una decisa campagna d’informazione sull’argomento volta a favorire la destinazione di questa posta a favore del decollo della previdenza integrativa.

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