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3. La valutazione in sede di IPO

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Academic year: 2021

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3.

La valutazione in sede di IPO

Il processo di valutazione aziendale, le metodologie

utilizzate e la questione dell’underpricing

Nel terzo capitolo entriamo nel fulcro di questo lavoro, con una visione più aziendalistica del processo di quotazione sul mercato borsistico, concentrandoci sulla fase cruciale della valutazione d’azienda, per la determinazione e fissazione del prezzo di emissione, che come vedremo poi è sistematicamente soggetto al fenomeno dell’underpricing, al fine di favorire la collocazione del titolo sul mercato e la sua liquidità post-quotazione. L’analisi su quest’ultimo fenomeno sarà concentrata sul confronto tra il mercato destinato alle piccole e medie imprese, AIM Italia-MAC, che abbiamo presentato e descritto nel secondo capitolo, e il mercato principale MTA, al fine di comprendere se le differenze tra i due mercati, in particolare i minori requisiti richiesti per il primo, comportano anche delle maggiori incertezze nella formazione dei prezzi.

3.1 La valutazione aziendale a fini di IPO

La valutazione aziendale svolta in sede di IPO è particolare ed unica rispetto ad una normale valutazione d’azienda, perché essa è in divenire, ovvero si parte da una valore poco accurato ed indicato in mancanza di informazioni importanti e poi, mano a mano che si va avanti con il processo di quotazione, il valore viene sempre più affinato con il pervenire di informazioni dalle varie fasi del processo e con il contributo e i pareri espressi a vario titolo da diversi soggetti. Da ultimo la valutazione terrà conto anche delle condizioni del mercato e dell’interesse che viene espresso da parte di investitori istituzionali e retail, con le considerazioni sulla domanda e la liquidità del titolo che portano a determinare anche l’ammontare di underpricing rispetto alle valutazioni di esperti e analisti da considerare nella fissazione del prezzo di emissione.

La valutazione della società quotanda deve essere vista come parte integrante e fondamentale dell’intero processo di quotazione e per poter procedere con essa è necessario che la stessa società quotanda, i suoi azionisti, l’advisor finanziario e il global coordinator siano coinvolti attivamente nella raccolta, elaborazione e analisi di dati e informazioni necessarie in tale fase. Pertanto è necessario affrontare ogni processo valutativo, ed in particolare anche quello riguardante una Initial Public Offering, in modo non meccanico e partendo dal disporre di una base informativa adeguata, che è rappresentata generalmente dal piano industriale, da informazioni riguardanti il business model, dal posizionamento strategico con i relativi vantaggi competitivi e dal sistema di governance dell’azienda che procede con la quotazione. Il punto di partenza del percorso valutativo è rappresentato dalla raccolta e dall’analisi della documentazione e delle informazioni rilevanti. Questo deve essere svolto attraverso un processo di analisi fondamentale, selezionando le logiche, metodologie e parametri più utili e idonei allo scopo e valutando accuratamente i principali fattori di rischio. La valutazione aziendale nell’ambito della quotazione in Borsa è quindi un processo continuativo di analisi e verifica dei dati man mano raccolti, che parte dalla

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processo continuativo di analisi e verifica dei dati man mano raccolti, che parte dalla stima del valore preliminare, effettuata quando ancora non sono disponibili tutte le informazioni e i dati relativi alla società, nell’ambito del cosiddetto “pitch” e termina con la determinazione del prezzo pre-money a cui l’azione viene effettivamente venduta agli investitori e collocata sul mercato. L’arricchimento e affinamento progressivo del processo di valutazione avviene grazie alle fasi di preparazione alla quotazione, quando la società quotanda mette a disposizione dati e informazioni dettagliate sull’attività e sulle prospettive future. La valutazione deve essere portata avanti privilegiando un’ottica industriale e perciò la ricerca di un valore espressivo del business dell’azienda. In virtù di queste ragioni il piano industriale rappresenta lo strumento principale sul quale si basa l’intero processo. Partendo da una stima preliminare del valore pre-money, ovvero del valore del business aziendale senza considerazioni sul titolo e la sua liquidità, la valutazione tiene conto man mano che il processo va avanti delle indicazioni fornite dagli investitori durante gli incontri e le riunioni delle fasi del roadshow e del pre-marketing, delle ricerche preparate dagli analisti del consorzio di collocamento, dell’andamento dei mercati borsistici, delle dimensioni dell’offerta e della potenziale liquidità del titolo. Soprattutto questi ultimi tre aspetti concorrono in genere alla determinazione e alla formazione dell’IPO discount, ovvero lo sconto sul prezzo rispetto al valore del business che viene applicato in sede di IPO e che genera il fenomeno dell’underpricing, il cui ammontare è appunto variabile a seconda di questi fattori e dell’incertezza e rischiosità del mercato di quotazione considerato. La funzione dell’IPO discount è quella di massimizzare il livello della domanda e di aumentare la probabilità, per coloro che hanno deciso di investito nell’azienda già durante la fase di emissione e collocamento dei titoli, di ottenere un buon rendimento dall’investimento. In questo modo, considerando tutti i fattori suddetti, si arriva alla definizione di un intervallo di valorizzazione indicativa, all’interno del quale verrà poi individuato il prezzo di emissione, e di un prezzo massimo, spesso vincolante, che vengono pubblicati all’interno del prospetto informativo. I due valori indicati nell’ambito dell’intervallo di valorizzazione hanno due finalità e significati diversi: infatti, il prezzo massimo viene indicato come riferimento e auspicio della società quotanda e degli eventuali azionisti venditori, che si aspettano di ricavare dall’operazione un valore più alto possibile, mentre il prezzo minimo viene indicato come riferimento e invito per i potenziali investitori, che sono ovviamente allettati dalla possibilità di fare un affare acquistando a un prezzo conveniente, con buone probabilità di guadagno da una vendita futura dei titoli. Alla fine il prezzo di offerta è determinato da coloro che propongono l’investimento, ovvero la società quotanda e/o i suoi azionisti (in caso di offerta pubblica di vendita), dopo aver sentito il global coordinator, tenendo conto delle condizioni del mercato di quotazione e di quelli internazionali, della quantità e qualità delle manifestazioni d’interesse ricevute dagli investitori istituzionali, della quantità della domanda ricevuta nell’ambito dell’offerta pubblica dagli investitori di tipo retail, dei risultati economici raggiunti dalla società quotanda e dalle sue prospettive, in ottica di sviluppo e internazionalizzazione. Durante tutto il periodo di svolgimento della valutazione è comunque opportuno e necessario avere dei frequenti aggiornamenti tra tutti i soggetti attivi e coinvolti nel processo valutativo (azionisti, esponenti della società quotanda e dell’advisor finanziario, banche collocatrici). Questi contatti devono avvenire soprattutto nei periodi di forti turbolenze e instabilità dei mercati finanziari, caratterizzati da forti oscillazioni dei prezzi e quando emergono nuove informazioni di tipo price sensitive sull’emittente e sul contesto competitivo nel quale si trova ad operare.

3.2 Le fasi del processo di valutazione

Il processo che porta alla determinazione del valore di un’azienda in sede di IPO e quindi alla fissazione del prezzo di emissione dei titoli è composto da varie fasi che sono caratterizzate, come già visto in precedenza, da approfondimenti e aggiornamenti progressivi fino ad arrivare, partendo da un intervallo ampio ed incerto, alla

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progressivi fino ad arrivare, partendo da un intervallo ampio ed incerto, alla determinazione del prezzo suddetto, ovvero il prezzo al quale le azioni sono collocate sul mercato. Il processo suddetto è da ritenersi come un tutt’uno senza soluzioni di continuità, dato che le varie fasi sono perfettamente integrabili e i confini sono labili proprio perché le conclusioni delle fasi stesse sono sottoposte ad aggiornamenti e affinamenti successivi. Nel complesso le varie articolazioni del processo sono riconducibili a quattro fasi principali, che come mostra il grafico nella pagina successiva si caratterizzano per una diversa durata e per un diverso affinamento del valore di business, infatti si parte dall’intervallo di valori più ampio definito nelle fasi iniziali arrivando poi ad una range più ristretto prima di iniziare il bookbuilding. Le principali fasi del processo sono quelle riportate di seguito:

➢ valutazione svolta al momento del pitch da parte delle banche collocatrici;

➢ valutazione svolta durante la preparazione alla quotazione, anche a seguito di incontri preliminari con investitori selezionati;

➢ pre-marketing e individuazione dell’intervallo di prezzo;

➢ bookbuilding e pricing.

Il grafico sottostante rappresenta in maniera visiva le fasi sopra citate che generalmente caratterizzano una valutazione finalizzata alla quotazione in Borsa, in modo molto efficace poiché, rappresentando sui due assi il tempo e il valore, si vede molto bene come con il passare del tempo e delle fasi, con gli affinamenti successivi, si arriva ad un valore rappresentativo del business aziendale, partendo da un intervallo di valori molto ampio.

La prima fase di questo processo che abbiamo appena visto è denominata pitch ed è caratterizzata da un’iniziale valutazione preliminare molto incerta perché basata su poche informazioni. Infatti, il pitch è il momento in cui la società, tramite l’assistenza del suo advisor finanziario, seleziona uno o più intermediari che abbiano la funzione di affiancarla durante la quotazione; questi intermediari sono i global coordinator, che selezioneranno poi le banche che andranno a costituire il consorzio di collocamento, da essi presieduto. Durante questa fase quindi le varie banche d’affari presentano le proprie proposte per ricevere l’incarico di global coordinator, che come abbiamo visto nel primo capitolo potrà coincidere con l’incarico di sponsor. Le proposte fatte pervenire alla società quotanda includono generalmente una valutazione preliminare sul valore di business della società stessa. Tale valutazione viene presentata, in genere,

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sul valore di business della società stessa. Tale valutazione viene presentata, in genere, almeno 4-6 mesi prima della conclusione del processo di quotazione e rappresenta il valore più incerto e meno accurato tra tutti quelli determinati nel corso della fase preparatoria all’Initial Public Offering. Infatti, questo valore di business indicato all’interno delle proposte per l’incarico di global coordinator, prescinde da un’approfondita e adeguata conoscenza della società, del suo piano industriale, dai riscontri avuti in interazioni con gli investitori potenzialmente interessati e dalle informazioni e risultati ottenuti con la due diligence, che verrà effettuata dalla banca che avrà ricevuto l’incarico di global coordinator per l’operazione e quindi successivamente a questa fase. La scelta del global coordinator pertanto deve avvenire in base alla qualità dell’intermediario, ovvero in base ad aspetti importanti come il track record delle precedenti operazioni di IPO seguite, la conoscenza del settore di appartenenza dell’emittente, la qualità del team di analisti e altri, anziché basarsi in maniera prevalente sul valore di business indicato nella proposta che caratterizza questa fase, cioè quella per l’ottenimento dell’incarico di global coordinator, che però è poco significativo perché fornito precedentemente alle informazioni ricavate dalla due diligence e dal confronto con il mercato e gli investitori potenzialmente interessati.

Un maggiore approfondimento e affinamento della stima del valore aziendale si ha nella fase successiva, durante la quale il global coordinator, che è stato incaricato dalla società quotanda, e il consorzio di collocamento, allestito dall’intermediario stesso, svolgono la due diligence, che porterà a disporre di maggiori dati e informazioni. Infatti, nella fase così denominata la società avvia il processo preparatorio che conduce alla quotazione e, contemporaneamente, gli analisti della banca collocatrice e del suo consorzio iniziano la loro attività di due diligence basandosi sulle informazioni rese disponibili. Al termine di questa operazione le banche del consorzio, capeggiate dal global coordinator, saranno in grado di comprendere a fondo e in dettaglio il business dell’azienda, di capirne le potenzialità e di svolgere un’analisi approfondita del piano industriale, il documento che come abbiamo visto è determinante al fine di definire la valutazione di un’azienda, dato che consente di valutare le prospettive future di un’azienda sia in termini di coerenza e adeguatezza rispetto all’assetto strategico e organizzativo e alle tendenze del mercato di riferimento, sia in termini di sostenibilità e ragionevolezza delle principali ipotesi sottostanti, che rappresentano il presupposto necessario per la realizzabilità del piano. Le conoscenze acquisite nella fase di due diligence sono utili per l’advisor finanziario e le banche collocatrici anche per la redazione dell’Equity Story, quel documento necessario per raccontare e descrivere brevemente l’azienda e suscitare l’interesse degli investitori e indurli ad aderire all’offerta delle azioni. Già in questa sede viene quindi svolta un’attività di early marketing, cioè di interfaccia con il mercato, finalizzata ad ottenere dei riscontri, da una cerchia ristretta di investitori potenzialmente interessati, riguardo all’appetibilità e attrattività dell’Equity Story. Si tratta pertanto di un primo riscontro esterno ma limitato all’ambito dell’Equity Story e non sul valore proposto per la società. Al termine di questa fase, in genere dalla durata compresa tra 2 e 4 mesi, la banca collocatrice presenta, nella maggior parte dei casi, una prima ipotesi di valutazione. Questa prima ipotesi di valore è da intendersi come un range di valutazione preliminare, cioè la stima del valore del capitale economico della società in ottica di quotazione, che non tiene conto dell’IPO discount, non presentando quindi underpricing, né delle indicazioni provenienti dall’attività di pre-marketing, che caratterizza, infatti, la fase successiva.

Il pre-marketing è quella fase della valutazione caratterizzata dall’interfaccia continua con gli investitori potenzialmente interessati, al fine di avere dei riscontri sulla valutazione attribuita all’azienda. Per prima cosa durante questa fase viene generalmente organizzata l’analyst presentation, ovvero la presentazione dell’emittente agli analisti finanziari delle banche del consorzio di collocamento, con la finalità di permettere loro la successiva predisposizione e pubblicazione delle

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la finalità di permettere loro la successiva predisposizione e pubblicazione delle ricerche aventi ad oggetto l’azienda emittente. Infatti, a questo scopo, durante l’incontro di presentazione, viene elaborato e distribuito agli analisti finanziari presenti un documento contenente la descrizione dell’investment case, l’analisi dettagliata dell’azienda del business e delle strategie di crescita, nonché della struttura e della tempistica dell’offerta. L’analyst presentation rappresenta un importante momento del processo di preparazione alla quotazione, poiché garantisce un’adeguata conoscenza dell’emittente agli analisti del consorzio, che saranno così successivamente in grado di rifletterla nelle ricerche distribuite dalle banche collocatrici ai loro clienti con la finalità di educarli sull’Equity Story, prima di incontrare, durante il roadshow, il management della società quotanda. In precedenza rispetto alla pubblicazione delle ricerche da parte degli analisti finanziari viene generalmente svolta da parte del global coordinator, il pilot fishing, ovvero un’indagine presso gli investitori istituzionali, comprendendo una platea di investitori più ampia rispetto a quella sondata nella fase antecedente durante l’early marketing, finalizzata pure in questo caso a valutare l’attrattività dell’Equity Story proposta, ma in più anche ad ottenere un primo feedback sul valore dell’emittente indicato dal consorzio. La presentazione della società quotanda viene poi allargata anche alla sales force del global coordinator con la finalità di permetterle di interagire con gli investitori interessati e di cominciare già a raccogliere le eventuali manifestazioni d’interesse all’acquisto dei titoli azionari. A questo punto si ha la pubblicazione delle ricerche, a circa un mese di distanza dall’analyst presentation. Tali ricerche, oltre ad informare la comunità degli investitori prima e durante il roadshow, hanno soprattutto la funzione di arricchire il processo valutativo con ulteriori elementi quali le indicazioni valutative indipendenti fornite da parte degli analisti del consorzio (in alcuni casi anche le ricerche arrivano a contenere dei veri e propri range di valutazione), che sono utili per migliorare e affinare ulteriormente il range di valutazione preliminare determinato in precedenza. Generalmente, una volta pubblicate le ricerche redatte dagli analisti del consorzio di collocamento, inizia la vera e propria attività di investor education condotta dagli analisti stessi e dalla equity sales force del global coordinator. Questa attività può avviarsi solo dopo che le ricerche sono state pubblicate perché si basa e si avvale esclusivamente di queste ultime. Durante i meeting con gli investitori interessati, oltre a effettuare la presentazione della società e della sua Equity Story, vengono raccolte delle indicazioni approfondite riguardo all’appetibilità e attrattività dell’investment case e ai livelli di valutazione ritenuti accettabili. L’ultimo passaggio si ha nel momento in cui la banca, possedendo adeguati riscontri sul prezzo che gli investitori istituzionali sono disposti a pagare, può confrontarsi con il management e gli eventuali azionisti venditori della società quotanda e con l’advisor finanziario, per giungere alla definizione del range di prezzo pre-money indicativo e del prezzo massimo da indicare all’interno del prospetto informativo, da presentare alla Consob per il nulla-osta alla pubblicazione. Come abbiamo visto, generalmente il range di prezzo viene fissato in maniera tale che il prezzo minimo rappresenti una soglia molto attrattiva per gli investitori, mentre il prezzo massimo viene fissato in modo da essere in linea con le aspettative di valorizzazione del management e degli azionisti di riferimento dell’emittente e delle soglie valutative espresse dagli investitori durante l’attività di pre-marketing. Questo processo, appena descritto, conduce alla definizione di un intervallo di prezzo che è caratterizzato da un divario tra il prezzo massimo e il prezzo minimo compreso mediamente tra il 20% e il 25%. La fissazione di tale intervallo è il punto di partenza e di riferimento per l’avvio della fase successiva, definita bookbuilding, che consiste nella raccolta degli ordini da parte degli investitori istituzionali ed eventualmente retail.

La fase conclusiva, basata sulle attività di bookbuilding e pricing, porta alla determinazione finale del prezzo di emissione. Indicazioni fondamentali in tal senso possono arrivare dalle operazioni di marketing che sono portate avanti e che si concretizzano, nei confronti degli investitori istituzionali, in un roadshow nelle principali piazze finanziarie di riferimento per il collocamento, e, nei confronti degli investitori retail e del pubblico indistinto, dopo la pubblicazione del prospetto

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investitori retail e del pubblico indistinto, dopo la pubblicazione del prospetto informativo, si traduce in una vera e propria campagna promozionale sui principali canali di comunicazione. Durante il roadshow, della durata generalmente di due settimane (anche se variabile a seconda del tipo e del numero di piazze finanziarie toccate), come abbiamo già visto nel primo capitolo, il management dell’azienda emittente, accompagnato dai rappresentanti del global co-ordinator, incontra gli investitori potenzialmente interessati alla società, svolgendo sia dei meeting di gruppo sia dei meeting one-to-one con investitori singoli (soprattutto nel caso di investitori importanti e rilevanti). Questa attività è da considerarsi cruciale all’interno del processo: infatti, nonostante sia già stata svolta l’investor education da parte degli analisti finanziari del consorzio di collocamento, proprio dal confronto con il management team della società quotanda, in genere rappresentato almeno del Chief Executive Officer e dal Chief Financial Officer, dipende in ultima istanza la volontà da parte degli investitori di inviare un ordine di acquisto che andrà ad alimentare il book istituzionale. Pertanto la capacità del management di presentare in modo adeguatamente convincente il documento fondamentale di tutto il processo di quotazione, relativamente al rapporto tra emittente e investitori, ovvero l’Equity Story, risulta essenziale per il successo dell’intera operazione. A questo scopo, durante il processo di preparazione il global coordinator e l’advisor finanziario svolgono un’intensa attività di preparazione nei confronti dei rappresentanti della società quotanda che si interfacceranno con i potenziali investitori sulle migliori modalità con cui condurre i meeting del roadshow. Successivamente agli incontri, gli investitori istituzionali interessati inviano delle manifestazioni d’interesse all’acquisto di un determinato quantitativo di titoli che vanno ad alimentare il cosiddetto book istituzionale, che consiste in un sistema elettronico gestito in tempo reale da tutte le banche coinvolte nella raccolta degli ordini. Le manifestazioni d’interesse vengono presentate ad un prezzo che tiene conto non solo dei fondamentali della società e delle informazioni presenti nelle ricerche degli analisti finanziari, ma anche di fattori cosiddetti soft, quali ad esempio: livelli di valutazione di società comparabili, corporate governance, management team, rischi specifici dell’operazione, rapporti con le parti correlate, sistemi manageriali e condizioni di mercato. Queste manifestazioni d’interesse nella maggior parte dei casi contengono indicazioni di prezzo e possono riguardare un prezzo fisso oppure dei volumi di ordini differenti a seconda del livello del prezzo. Le suddette indicazioni rappresentano un elemento fondamentale, infatti il prezzo finale di offerta viene individuato dalle banche collocatrici, in collaborazione con gli esponenti del management team della quotanda e il suo advisor finanziaria, sia tenendo in considerazione il numero di azioni richieste registrate nel book e il prezzo che gli investitori istituzionali sono disposti a pagare per esse, sia analizzando la qualità della domanda degli investitori istituzionali medesimi. La qualità degli investitori si misura in base alle caratteristiche degli stessi in termini di politica d’investimento e di gestione del portafoglio, di dimensione dello stesso e di mercati e settori d’interesse. Il prezzo finale è a grandi linee determinato in modo tale da collocare effettivamente il numero delle azioni agli investitori istituzionali e retail (secondo l’ordine prioritario stabilito dai rappresentanti della società e dal global coordinator), lasciando contemporaneamente, che una parte della domanda non venga soddisfatta in modo da alimentare la richiesta, la liquidità del titolo e quindi il suo andamento, nella fase di negoziazione successiva alla quotazione, ovvero il cosiddetto aftermarket.

3.3 I soggetti coinvolti nel processo di valutazione

I soggetti che partecipano al processo valutativo fino al pervenire del prezzo finale di emissione sono quelli stessi soggetti che più in generale permettono il raggiungimento della quotazione sul mercato borsistico e che abbiamo visto già nel primo capitolo nelle loro principali caratteristiche e funzioni. In questa sede non staremo quindi a descriverli nuovamente, ma porremo l’accento solo su quei soggetti che danno un maggior contributo nella valutazione dell’azienda emittente, analizzando quali sono le principali funzioni svolte. È necessario premettere che la decisione sul prezzo finale è

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maggior contributo nella valutazione dell’azienda emittente, analizzando quali sono le principali funzioni svolte. È necessario premettere che la decisione sul prezzo finale è decisamente critica, perché avviene in condizioni di informazione incompleta e asimmetrica e coinvolge dei soggetti che hanno interessi economici (e non) in contrasto tra loro. Questo rende particolarmente importante il ruolo delle banche di investimento che fanno parte del consorzio di collocamento e dell’advisor finanziario della società emittente. Di fatto l’incastro e l’integrazione tra queste figure e i loro ruoli deve avvenire in maniera tale da valorizzare al meglio la società quotanda, rendendola appetibile agli investitori e da coordinare il processo di formazione del prezzo in modo coerente con le valutazioni espresse in fase successiva dal mercato. L’emittente dovrà quindi accettare un ragionevole sconto di prezzo (IPO discount), che va a generare un underpricing rispetto al valore di business dell’azienda, a fronte del molto più probabile successo dell’operazione, mentre gli investitori vorranno ottenere un rendimento in linea con il profilo di rischio assunto al momento della sottoscrizione dell’offerta, possibilità che viene resa molto più concreta da un cospicuo underpricing in fase di emissione del titolo sul mercato. Appare evidente da quanto appena esplicato che i soggetti maggiormente coinvolti nel processo di valutazione ai fini della quotazione sul mercato borsistico sono:

• la società emittente • l’advisor finanziario

• le banche del sindacato di collocamento • gli analisti delle banche stesse

Il management e l’azionariato della società emittente, come abbiamo già evidenziato, svolgono un ruolo fondamentale nel processo che porta alla definizione del prezzo in sede di quotazione in Borsa. L’importanza e centralità del loro ruolo risiede nel fatto che costoro, da un lato, avranno l’esigenza di raggiungere la migliore valorizzazione del titolo, in modo da vedere premiati gli sforzi compiuti e gli oneri sostenuti fino a quel momento, e dall’altro dovranno concedere un ragionevole sconto di prezzo agli investitori (il sopracitato underpricing) al fine di rendere l’investimento appetibile e di consentire a questi ultimi il raggiungimento di un rendimento adeguato alle loro aspettative, assicurando così il buon esito dell’operazione. Da quanto appena scritto emerge che in parte il successo della quotazione in Borsa è legato anche all’underpricing applicato in sede di emissione, poiché in tal modo gli investitori vedranno più facile e più probabile il raggiungimento dei loro obiettivi di rendimento e saranno quindi maggiormente invogliati ad investire nel titolo. A sua volta, l’entità dell’undepricing applicato dipende dalla buona volontà della società quotanda, del suo management team e dei suoi azionisti. L’underpricing è quindi anch’esso un fattore cruciale nel processo di valutazione e di quotazione in senso generale e non è legato solo all’appetibilità dell’investimento per gli investitori potenzialmente interessati e alla buona volontà della società emittente, ma questo argomento sarà trattato in maniera più esaustiva e sarà oggetto di un approfondimento soprattutto nei paragrafi successivi, perciò non ne parleremo ulteriormente in questa sede.

Invece, un altro soggetto che svolge un ruolo di grande importanza in tutto il percorso valutativo è l’advisor finanziario che, pur non essendo una figura prevista obbligatoriamente, svolge una serie di attività all’interno di tutte le fasi del processo valutativo precedentemente descritte, ovvero all’interno della fase di preparazione alla quotazione (cosiddetto pitch), di due diligence, di pre-marketing e di bookbuilding e pricing. Durante la fase preparatoria, questo intermediario assiste la società nella predisposizione del piano industriale (anche detto business plan), seguendo criteri e linee guida generalmente accettati dal mercato. Si tratta di un documento cruciale per il proseguimento con successo del processo di valutazione infatti, l’Equity Story è principalmente basata sulle indicazioni in esso contenute e, come abbiamo già visto, l’Equity Story rappresenta il profilo della società che sarà presentato agli investitori in

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l’Equity Story rappresenta il profilo della società che sarà presentato agli investitori in modo di valorizzare al meglio gli elementi di attrattività dell’investimento al fine di indurli ad aderire all’offerta pubblica delle azioni. Sempre in questa fase l’advisor è incaricato di elaborare una prima valutazione di massima che consenta agli azionisti dell’emittente di giudicare la convenienza o meno dell’operazione di quotazione e quindi la sua fattibilità. Durante la successiva fase di due diligence, l’advisor finanziario coordina, con la collaborazione del global coordinator responsabile del collocamento, il processo di elaborazione dell’Equity Story, da presentare agli investitori, contribuisce alla redazione del Prospetto Informativo, da mettere a disposizione in sede di offerta pubblica, assiste la società nella relazione con le banche del consorzio di collocamento e con i loro analisti finanziari e, infine, si occupa di promuovere l’immagine aziendale, supportando la società quotanda nelle relazioni con la società di comunicazione. Al termine della presente fase, insieme al global coordinator, presenta alla società una prima ipotesi di valutazione, il cosiddetto range di valutazione preliminare. Nel corso dell’attività di premarketing, l’advisor finanziario svolge un ruolo fondamentale e agevolativo nel rapporto tra emittente e mercato, infatti, insieme agli altri intermediari che affiancano la società nel processo di quotazione, assiste la quotanda nella predisposizione della presentazione (analyst presentation) che dovrà essere effettuata agli analisti del consorzio di collocamento, coordina le attività di pilot fishing e investor education e la fissazione del range di prezzo indicativo e del prezzo massimo da inserire all’interno del Prospetto Informativo. Da ultimo, durante il bookbuilding, l’advisor finanziario, sempre unitamente ai rappresentanti del global coordinator, assiste l’emittente nello svolgimento del roadshow, verifica la corretta formazione del book istituzionale e porta la sua assistenza nella definizione del prezzo finale e nell’allocazione dei titoli agli investitori che ne hanno fatto richiesta. Quanto appena descritto pone in evidenza come il ruolo dell’advisor finanziario sia di fondamentale importanza per permettere di raggiungere nel prezzo finale di emissione un’adeguata valorizzazione della società e quindi come, nonostante questa figura non sia espressamente e obbligatoriamente prevista e possa quindi rappresentare un onere non necessario, sia interesse degli azionisti e del management della stessa società quotanda prevederla e selezionarla attraverso adeguati “beauty contest” prima di procedere con le altre operazioni funzionali alla quotazione in Borsa.

Il terzo attore principale che contribuisce alla definizione finale del valore aziendale pre-money e conseguentemente del prezzo di emissione sono le banche del consorzio di collocamento. Faremo riferimento nella presentazione e descrizione successiva delle attività svolte da costoro a una forma particolare di tale consorzio, ovvero il consorzio di collocamento e garanzia, che abbiamo descritto nelle sue caratteristiche principali all’interno del primo capitolo e che è la forma più diffusa tra i mercati finanziari evoluti. Le attività propedeutiche alla valutazione aziendale svolte dal consorzio di collocamento sono diverse. Innanzitutto si occupa della raccolta dei feedback preliminari degli investitori, che come abbiamo visto rappresenta una passaggio importante nella formazione del prezzo, poiché permette un progressivo arricchimento in termini di sostanza e contenuto delle valutazioni preliminari fatte dal global coordinator al momento del pitch e dell’early marketing. Il ruolo del consorzio delle banche durante il successivo processo di marketing vero e proprio è cruciale in quanto si occupa, in collaborazione con l’advisor finanziario, di svolgere tutte le attività della fase del pre-marketing precedentemente elencate, come il pilot fishing e l’investor education. Si tratta di passaggi fondamentali per raccogliere indicazioni in merito all’appetibilità dell’investment case e al range di valori proposto. Un’altra funzione di queste banche la possiamo definire come statica, perché legata semplicemente alla loro presenza a fianco della società emittente, infatti esse hanno il compito di garantire la qualità di quest’ultima e della sua Equity Story presso gli investitori. In particolare, il global coordinator e le altre banche facenti parte del suo consorzio mettono la propria reputazione in fianco supportando e sostenendo la società quotanda durante il processo di collocamento e anche la clausola di garanzia che caratterizza il consorzio rappresenta, come lascia intendere il nome, un rafforzamento in questo senso.

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rappresenta, come lascia intendere il nome, un rafforzamento in questo senso. L’aspetto reputazionale è rilevante soprattutto perché uno dei principali problemi che gli investitori devono affrontare durante una IPO è quello dell’asimmetria informativa, dovuta alla carente conoscenza della società da parte del mercato. Per questa ragione gli investitori spesso attribuiscono una grande importanza, non solo all’Equity Story proposta ma anche alla reputazione di cui godono le banche facenti parte de consorzio di collocamento, che quindi devono essere selezionate e scelte in base alla loro qualità e al loro track record in operazioni similari e non in virtù esclusivamente della valutazione preliminare sull’emittente espressa al momento del pitch. Infine, l’ultima fondamentale funzione svolta dal consorzio riguarda due attività propedeutiche tra loro, come la raccolta degli ordini effettuati dagli investitori (placing), con i quali potrà concorrere alla definizione del prezzo finale di emissione (pricing). Infatti, le banche del consorzio si occupano di massimizzare le manifestazioni d’interesse all’offerta degli investitori sia istituzionali che retail. Per quanto riguarda i primi, le attività di placement e le preliminari attività di marketing, che abbiamo già visto precedentemente, contribuiscono, grazie alla forza distributiva messa in campo dal consorzio, allo sviluppo della domanda e quindi a creare il presupposto per il buon esito dell’offerta. Dopo aver raccolto tutte le potenziali adesioni, un altro compito del consorzio, di concerto con gli altri intermediari e in particolare con l’advisor finanziario, è quello di svolgere un’adeguata selezione dei potenziali investitori in modo da poter soddisfare l’offerta dei titoli secondo i criteri già descritti, che esauriscano l’offerta e che alimentino la domanda anche nella fase di negoziazione successiva all’emissione. Sempre per questo tipo di investitori vi è ampia discrezionalità nell’assegnazione delle azioni da parte del consorzio, mentre per quanto riguarda gli investitori di tipo retail e quindi l’offerta al pubblico indistinto i criteri rappresentati nel prospetto informativo sono oggettivi e trasparenti e vanno dall’estrazione a sorte all’assegnazione pro-quota.

Gli ultimi soggetti che svolgono un’importante funzione nell’operazione di valutazione aziendale in ottica di quotazione sono gli analisti finanziari delle banche facenti parte del consorzio di collocamento. Nonostante che l’analista faccia parte a tutti gli effetti del gruppo di lavoro della banca collocatrice, egli deve essere visto e considerato come un soggetto terzo e indipendente che ha il compito di studiare e comprendere l’Equity Story per poi presentarla in un documento ad hoc, definito Equity Reasearch, che sarà diffuso presso gli investitori target delle banche consorzio al fine di svolgere l’attività di investor education sul profilo dell’investimento proposto. Il contenuto di queste ricerche elaborate dagli analisti inoltre può rappresentare anche un ulteriore elemento di conforto per le banche del consorzio riguardo alla validità dell’Equity Story, che verrà fatta pervenire ai loro investitori target e che quindi, se valida, permette di evitare brutte figure. La conferma sulla validità dell’Equity Story che perviene dagli analisti pertanto costituisce un rilevante presidio a difesa della reputazione delle banche stesse. A sua volta, la reputazione degli analisti finanziari delle banche collocatrici coinvolti nel processo di quotazione, rappresenta un elemento fondamentale per una IPO, che è espressa anche tramite dei ranking pubblici elaborati da società specializzate con riferimenti ad alcuni settori industriali e aree geografiche di riferimento. Risulta fondamentale per la buona riuscita dell’intera operazione la capacità di questi soggetti di suscitare e stimolare l’interesse degli investitori più importante, che a loro volta possano spingere altri investitori a fare la medesima scelta, fungendo da catalizzatore e generando un effetto a cascata molto importante. La società emittente deve pertanto considerare l’analista finanziario come un soggetto terzo e indipendente dalle banche da coinvolgere e convincere a parte rispetto ad esse, al pari di un importante investitore istituzionale, proprio perché la sua ricerca rappresenta uno dei fattori più rilevanti per influenzare l’opinione degli investitori a proposito del posizionamento competitivo dell’emittente e alla sua valutazione. L’Equity Reasearch, inoltre, come già scritto in precedenza, rappresenta, nel corso della fase di pre-marketing, uno strumento utilissimo per raccogliere indicazioni preliminare sull’appetibilità dell’investimento proposto e sul range di

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indicazioni preliminare sull’appetibilità dell’investimento proposto e sul range di valori che sarà poi il riferimento nel corso del bookbuilding. La ricerca è generalmente redatta e strutturata rispettando le linee guida consolidate ed è composta dalle seguenti parti:

1. L’investment case, nel quale sono indicate le principali motivazioni

all’acquisto del titolo;

2. L’analisi dei punti di forza e di debolezza della società quotanda;

3. L’analisi del settore cui la società quotanda appartiene e del

posizionamento competitivo della stessa;

4. I fattori di rischio dell’investimento;

5. I criteri di valutazione della società e in alcuni casi l’espressione di un

range di valori;

6. La storia della società con la descrizione della sua attività; 7. La biografia del management team e dei principali azionisti; 8. L’analisi delle business units e del modello di business;

9. L’analisi del portafoglio prodotti/servizi e dei marchi della società; 10. I dati finanziari storici e la stima dei dati finanziari prospettici;

Le proiezioni finanziarie riportate nella ricerca non rappresentano le stime contenute nel piano industriale elaborato dalla società quotanda, ma sono solo frutto del lavoro dell’analista poiché quest’ultimo non può avere accesso a dati e informazioni ulteriori rispetto a quello presenti nel Prospetto Informativo. Spesso le Equity Research non contengono una esplicita valutazione della società emittente, ma tendono ad identificare un campione rappresentativo di società già quotate con caratteristiche simili alla quotanda, i cui multipli di mercato possano rappresentare un’utile approssimazione della valutazione della quotanda stessa. Una volta pubblicata, la ricerca servirà anche a supportare la forza vendita della banca collocatrice permettendo di interagire al meglio con gli investitori interessati.

3.4 I metodi di valutazione in sede di IPO

Dagli aspetti appena affrontati emerge che il percorso valutativo si può suddividere in due momenti principali. Il primo nel quale si procede alla ricerca del valore di business, che è definito pre-money, più rappresentativo dell’azienda quotanda in virtù principalmente di tutti i dati e le informazioni fornite dal management dell’azienda, raccolte durante la fase di due diligence e contenute nelle ricerche degli analisti finanziari. Il secondo momento durante il quale, grazie all’analisi del mercato, del suo andamento e della condizione della domanda e grazie all’incontro e al confronto con i principali investitori potenzialmente interessati si arriva alla determinazione del prezzo finale di emissione tenendo conto di tutti i fattori, come l’underpricing, che possano essere utili al collocamento dell’intero ammontare offerto e a stimolare la domanda e la liquidità del titolo anche nella fase di negoziazione sul mercato successiva all’emissione. Le determinanti di questi valori che vengono via via affinati durante lo svolgimento del processo sono diverse, poiché i valori stessi sono di natura diversa, il primo di tipo statico poiché riguarda è vero sia la situazione dell’azienda al momento della quotazione che le sue potenzialità di sviluppo per il futuro, ma non tiene conto dell’interazione con il principale soggetto in gioco, ovvero il mercato e con la sua situazione in divenire. Logicamente per lo stesso motivo ma in modo speculare possiamo considerare il valore del prezzo di emissione, comprensivo di considerazioni sulla domanda e sulla liquidità del titolo, come un valore dinamico che tiene conto di una situazione in divenire come l’andamento del mercato e della domanda di titoli.

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una situazione in divenire come l’andamento del mercato e della domanda di titoli. In questo paragrafo ci concentreremo sulla principale determinante del valore che abbiamo definito di tipo statico, ovvero della valutazione sul business aziendale che viene espressa in forma di range al termine della fase di due diligence e proprio grazie ai dati e ai pareri tecnici raccolti durante essa. Ovviamente il valore espresso dipende dai dati economici e finanziari dell’azienda e dalle sue prospettive indicate nel piano industriale che possono essere considerate veritiere o meno dal confronto con i dati reali dell’azienda e del mercato/settore di appartenenza. In seconda battuta però, e non per ordine di importanza, dipende dalle metodologie di valutazione utilizzate. I metodi di valutazione utilizzati in sede di Initial Public Offering e per ognuna di esse sono generalmente pari a due, che è anche il numero minimo di metodi da utilizzare per ottenere una valutazione che si possa considerare accettabile, ma ciò non esclude che in alcuni casi siano anche di più. Il fatto che si debba valutare un’azienda con almeno due metodi differenti serve per definire un intervallo di valutazione più accurato possibile e per avere una conferma dei valori indicati in prima sede, infatti, questi due metodi vengono considerati uno come metodo principale e l’altro come metodo di controllo: con il secondo range di valori si va a confermare e ad affinare il primo, esprimendo un rafforzamento della valutazione effettuata. Per la valutazione in ottica di quotazione in Borsa, il cosiddetto Discounted Cash Flow (DCF) viene considerato nella stragrande maggior parte dei casi la metodica principale di valutazione, mentre la metodologia di controllo quasi universalmente utilizzata e la cui applicazione assume per gli investitori particolare importanza è quella definita dei multipli di mercato, che consiste in una metodologia basata sul raffronto tra i moltiplicatori impliciti rispetto ad alcune grandezze economiche e/o patrimoniali della società quotanda (normalmente prospettiche e ricavate dai rapporti di ricerca degli analisti delle banche del consorzio di collocamento) e gli equivalenti multipli espressi in un dato momento dal mercato per società comparabili. In alcuni casi può essere utilizzata come metodologia principale una valutazione di tipo patrimoniale che è particolarmente apprezzata e considerata come tale dagli investitori quando si è in presenza di società caratterizzate da attività nelle quali il patrimonio rappresenta la principale leva di valore da considerare (società immobiliari) o le cui attività sono già negoziate su mercati liquidi (holding di partecipazioni). I metodi di valutazione utilizzati poi possono essere anche altri, soprattutto quando si ritiene di dover utilizzare più metodi valutativi per esprimere un range che sia il più possibile accurato, ma poiché i tre appena elencati rappresentano la base prevalentemente per la totalità delle valutazioni ed esauriscono, anche esclusivamente considerati, tutte le possibile casistiche di business per le quali sia maggiormente raccomandato l’utilizzo di un metodo piuttosto che di un altro, in questa sede andremo a presentare solamente le tre suddette metodologie di valutazione:

1. Discounted Cash Flow methodology; 2. Metodo patrimoniale;

3. Metodo dei multipli di mercato.

Il DCF appartiene ai cosiddetti metodi finanziari ovvero metodi che vengono applicati basando i calcoli su grandezze flusso, che sono ricavate dai bilanci riclassificati dell’azienda. Grazie a una particolare forma di riclassificazione dei dati di bilancio e di ricalcolo di questi ultimi si giunge alla determinazione dei flussi finanziari, che sono i più oggettivi e indiscutibili, perché ricavati dai movimenti di cassa e pertanto li denomineremo da questo momento in avanti flussi di cassa (cash flow). Per la valutazione di aziende già quotate in Borsa il flusso può essere rappresentato non solo dal cash flow ma anche dai dividendi distribuiti agli azionisti e si parla in questo caso di Discounted Dividend Method (DDM), ma in questa sede non ci interessa affrontare questo metodo poiché ci concentriamo sulla valutazione di aziende che devono ancora quotarsi in Borsa e delle quali si tratta di stabilire il prezzo finale di emissione dei titoli. La valutazione basata sui flussi di cassa, che devono essere attualizzati, è

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titoli. La valutazione basata sui flussi di cassa, che devono essere attualizzati, è funzione di tre elementi fondamentali: l’entità del flusso di cassa, la distribuzione nel tempo e il tasso di attualizzazione utilizzato. Un’operazione preliminare e necessaria alla valutazione è la riclassificazione dello stato patrimoniale, che viene effettuata nella stragrande maggioranza dei casi in base al criterio di pertinenza gestionale (o funzionale). Seguendo questo criterio nell’attivo di questo documento di bilancio devono essere inseriti tutti gli elementi patrimoniali riferibili alla gestione operativa: l’attivo diventa la sezione del capitale investito. Nel passivo invece, la sezione opposta alla precedente, vengono inserite le coperture finanziarie, cioè tutti gli elementi riferibili alla gestione finanziaria. Con questo criterio non interessano le scadenze, come per il criterio finanziario (che si basa su una riclassificazione secondo la liquidabilità o realizzabilità delle poste), ma la natura operativa o finanziaria della posta. Il criterio di pertinenza gestionale non è alternativo al criterio finanziario suddetto, ma i due criteri sono finalizzati all’ottenimento di informazioni di tipo diverso. Infatti, utilizzando questo criterio di riclassificazione si giunge alla determinazione di grandezze quali il capitale investito netto, che coincide con l’attivo dello stato patrimoniale riclassificato, le coperture finanziarie che coincidono con il passivo e soprattutto di elementi che saranno riutilizzati successivamente per il calcolo dei flussi di cassa come il capitale circolante operativo netto e capitale fisso operativo netto, detto Capex. Lo stato patrimoniale così riclassificato quindi si presenta come esposto nella figura della pagina seguente.

Dopo aver svolto questo passaggio preliminare di riclassificazione dello stato patrimoniale, si deve passare alla determinazione dei veri e propri flussi di cassa che saranno poi utilizzati nel calcolo del valore aziendale con il metodo finanziario. Per farlo si parte da un documento, il conto economico, il cui utilizzo può sembrare in contraddizione con il fatto che si devono determinare dei flussi di tipo finanziario, per i quali potrebbe sembrare più corretto l’uso dello stato patrimoniale, ma quest’ultimo riporta solo delle grandezze stock mentre le grandezze flusso, come quelle che servono per la valutazione aziendale con il metodo finanziario, sono contenute solamente nel conto economico. Si deve pertanto procedere anche in questo caso ad un’adeguata riclassificazione del conto economico, effettuando delle correzioni in modo da passare dalla definizione di grandezze di pertinenza dell’anno di riferimento del bilancio alla definizione di grandezze finanziarie che hanno un impatto sulla tesoreria nell’anno di riferimento del bilancio. La grandezza reddituale di riferimento da cui partire per effettuare le debite correzioni è il reddito operativo. Nei vari passaggi si andranno a stornare i costi non pagati come ad esempio gli ammortamenti e gli accantonamenti e si vanno ad aggiungere i costi finanziari sostenuti nel periodo, ma non di pertinenza di esso e che quindi per tale motivo non sono stati riportati a conto economico. Questi ultimi elementi si calcolano dall’incremento o decremento del capitale circolante e dall’incremento o decremento del Capex: in caso di incremento si va a sommare la

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dall’incremento o decremento del Capex: in caso di incremento si va a sommare la differenza e quindi ad imputare ai flussi di cassa del periodo considerato, andandola a stornare invece nel caso opposto. Quindi, ad esempio, per gli storni di ammortamenti, tutte le volte che gli accantonamenti superano gli utilizzi si usa il segno positivo nella variazione dei fondi, altrimenti il segno negativo. Si può giungere in questo modo alla determinazione di flussi di cassa lordi, quale il flusso monetario operativo netto d’imposta denominato in inglese free cash flow from operation (FCFO) o free cash flow to the firm (FCFF). Se invece nel calcolo dei flussi di cassa si vanno anche a considerare la posizione finanziaria e le sue variazioni si giunge alla determinazione di flussi di cassa netti, quali il flusso monetario netto per gli azionisti o, in inglese, free cash flow to equity (FCFE). Quello che viene comunemente utilizzando sia in Italia che nel mondo anglosassone è il flusso monetario operativo poiché è un flusso che precede l’area extra-caratteristica. Quelli appena indicati sono i flussi che rappresentano il risultato finale dell’affinamento e delle correzioni apportate ai valori di conto economico. Come riportato nelle formule che seguono, le correzioni vengono effettuate in maniera progressiva, fino ad arrivare al flusso di cassa finale che è quello utilizzabile per le procedure di calcolo, di attualizzazione/capitalizzazione e di valutazione dell’azienda. La correzione del conto economico dovrà dunque essere effettuata seguendo questo metodo di calcolo molto semplice ed intuitivo, seguendo due diversi criteri di calcolo a seconda che si tratti di flussi di cassa lordi o netti. Il flusso di cassa disponibile per gli azionisti (FCFE), un flusso netto quindi di tipo levered, si ottiene da:

Utile netto

+ ammortamenti e accantonamenti +/- variazione fondi

+/- variazione capitale fisso e circolante +/- variazione TFR

+/- versamenti/rimborsi di capitale +/- accensione/estinzione finanziamenti = free cash flow to equity

Invece, il flusso di cassa disponibile per gli azionisti e i finanziatori esterni (FCFO), un flusso lordo quindi di tipo unlevered, si ottiene da:

Risultato operativo (Ebit) - imposte sul reddito operativo + ammortamenti e accantonamenti +/- variazione fondi

+/- variazione capitale fisso e circolante = free cash flow from operation

Per questi flussi poi si deve guardare sia ai dati storici, partendo dai dati economici storici, sia ai dati futuri, facendo riferimento ai dati prospettici. Generalmente si riportano per la valutazione i flussi dell’anno in corso ma anche ai flussi prospettici di almeno tre anni successivi. Per stimare questi flussi prospettici è necessario basarsi su quelli che sono gli andamenti storici, di cui si presume la prosecuzione del trend, ma anche su delle assumptions specifiche concernenti ad esempio le prospettive di crescita dell’economia in generale, del settore cui l’azienda appartiene o le dinamiche specifiche dell’azienda. In particolare, le ipotesi valutative per la determinazione dei flussi futuri riguarderanno:

▪ Tasso di crescita del PIL

▪ Tassi d’interesse

▪ Tasso di crescita dei consumi

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▪ Tassi d’inflazione attesa

▪ Tasso di crescita dei mercati

▪ Politiche commerciali della concorrenza

▪ Andamento dei prezzi di acquisto e di vendita dell’impresa

▪ Tasso di crescita dell’impresa

▪ Evoluzione dell’indebitamento e degli investimenti

▪ …

Queste ipotesi devono essere confermate e verificate sulla base della coerenza rispetto ai valori storici, della compatibilità con l’evoluzione dell’ambiente, della sostenibilità economica e tecnico-finanziaria e della dimostrabilità dei valori presunti riportati. Considerando tutto quanto sopra descritto si giungerà alla determinazione dei flussi di cassa che dovranno poi essere attualizzati e capitalizzati utilizzando i tassi adeguati e coerenti, ovvero dei tassi netti per i flussi netti e dei tassi lordi per i flussi lordi. Infatti, tutti i flussi vengono attualizzati, ma per il calcolo del terminal value è necessario capitalizzare il flusso monetario disponibile per gli azionisti (flusso netto) o il flusso monetario operativo (flusso lordo) di tipo prospettico, ovvero il flusso stimato l’esercizio successivo. Come già detto, il principio fondamentale del processo di valutazione mediante attualizzazione dei flussi di cassa è quello della determinazione di tali flussi e della loro coerenza con i tassi di attualizzazione e le due opzioni possibili sono: flussi di cassa disponibili per gli azionisti (flussi levered, ovvero che considerano l’indebitamento) attualizzati utilizzando il tasso Ke calcolato con il Capital Asset Pricing Model (CAPM) oppure i flussi di cassa disponibili per azionisti e finanziatori esterni (flussi unlevered, ovvero che non considerano l’indebitamento) attualizzati utilizzando il costo medio ponderato del capitale o in inglese Weighted Average Cost of Capital (WACC). Quest’ultimo tasso è la media ponderata dei costi delle diverse fonti di finanziamento utilizzate dall’azienda ossia l’indebitamento e il capitale proprio. La differenza tra flussi di cassa levered e unlevered ovvero tra flussi di cassa netti e lordi risiede nel fatto che il metodo unlevered discounted cash flow consente di determinare direttamente il valore del capitale operativo, mentre il metodo basato sul flusso netto spettante agli azionisti (levered) porta a determinare direttamente il valore del capitale netto. Si può passare dal primo al secondo sottraendo dal valore del capitale operativo l’indebitamento finanziario e gli eventuali assets. Da quanto appena descritto si può concludere che il metodo finanziario fa coincidere il valore dell’azienda con il valore attuale dei flussi di cassa attesi. Pertanto il DCF può essere a sua volta suddiviso in tre raggruppamenti principali, nel modo che segue. I metodi finanziari analitici sono caratterizzati dal fatto che la previsione dei flussi di cassa viene effettuata in maniera anno per anno fino al termine previsto della vita dell’azienda. Questo tipo di metodo può essere applicato solo in valutazioni con orizzonte temporale finito e in ipotesi di relativa prevedibilità e stabilità dei flussi, pertanto molto raramente nel caso di nuova quotazione in Borsa, dato che si effettua questo passaggio solo in prospettiva di una durata di lungo periodo dell’azienda e dato che esso provoca grandi stravolgimenti nell’assetto aziendale per cui si può parlare molto difficilmente di elevata prevedibilità dei flussi in questo caso. Ci sono poi i metodi finanziari sintetici che si applicano per previsioni su archi temporali a lungo periodo e si definiscono sintetici proprio perché si basano sul presupposto della stabilità e costanza da un anno all’altro di alcune grandezze quali i flussi di cassa, i redditi netti e i tassi di capitalizzazione. Questo tipo di metodo può essere appunto applicato nelle valutazioni con orizzonte temporale indefinito, nell’ipotesi forte che l’azienda si trovi in situazione di equilibrio finanziario duraturo, pertanto difficilmente in caso di azienda quotanda perché anche un’ipotesi di crescita costante dei flussi è sufficiente per invalidare questo tipo di metodo. Infine, la mediazione tra questi due tipi di metodi è quella più largamente utilizzata sia in generale che nel caso di valutazione in ottica di quotazione sui mercati, perché risolve il problema della

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valutazione in ottica di quotazione sui mercati, perché risolve il problema della previsione dei flussi. Tale mediazione avviene con il metodo analitico con terminal value, con il quale si procede alla stima analitica dei flussi annuali per un breve arco temporale (di norma tra i 3 e i 7 anni), mentre per il restante periodo si effettua una stima sintetica. Il valore del capitale risulta quindi dalla somma dei flussi di cassa e del terminal value. Quest’ultimo si calcola generalmente con la valorizzazione perpetua dei flussi di cassa e partendo da due ipotesi differenti, una di stabilità dei flussi e una di crescita costante degli stessi. Il terminal value (in formula TV) viene quindi stimato utilizzando la formula sintetica di Gordon, ossia, nel caso di crescita costante:

Nel caso invece di stabilità dei flussi la formula per il calcolo del terminal value sarà invece la seguente:

Le stesse formule valgono anche per il calcolo del terminal value con flussi levered, cioè netti, semplicemente sostituendo come tasso di capitalizzazione il Ke al posto del

Wacc e considerando i flussi netti, cioè FCFE al posto di FCFO. Con g si intende il tasso di crescita costante atteso, mentre con ∏ si intende il tasso di inflazione previsto. Una volta determinato il valore del terminal value in questo modo si può procedere al calcolo del valore aziendale mediante DCF, che può essere ricavato anch’esso considerando flussi levered o flussi unlevered. Nel primo caso la formula da utilizzare è la seguente:

Nel caso invece di flussi unlevered la formula sarà la seguente:

Dove con PFN si considera la posizione finanziaria netta dell’azienda sottoposta a valutazione.

Questo è pertanto il metodo di calcolo denominato Discounted Cash Flow, basato su grandezze flusso, in particolare grandezze finanziarie, che consiste nel metodo principale più largamente utilizzato per stimare il valore del capitale di un’azienda in ottica della sua quotazione sul mercato borsistico, da affiancare ad un metodo di controllo per una stima più accurata di tale valore. Un altro metodo principale di calcolo che adesso andremo ad affrontare è il metodo patrimoniale, che però a differenza del DCF è utilizzato in molti meno casi perché si applica a delle situazioni aziendali particolari, quando il patrimonio dell’azienda rappresenta l’elemento di valorizzazione più importante. Mentre valutare l’azienda con metodi basati su grandezze flusso significa dare preferenza all’operatività dell’azienda, valutandola cioè in base alla sua capacità operativa e, in particolare nel caso del DCF, alla sua capacità di generare flussi finanziari, valutare la stessa con metodi patrimoniali significa valutarla indipendentemente dai flussi che essa genera, guardando alla sua struttura e cioè alla situazione dell’azienda in termini di:

• Assets • Investimenti • Debiti

Questo è quindi un metodo basato su grandezze stock. Nel DCF, metodo basato su grandezze flusso, la valutazione è di tipo sintetico, cioè si fanno stime, attraverso capitalizzazioni e attualizzazioni, e si trova un valore che rappresenta la valutazione indivisibile del capitale aziendale. Con il metodo patrimoniale, che valuta grandezze

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indivisibile del capitale aziendale. Con il metodo patrimoniale, che valuta grandezze stock, si segue un approccio totalmente diverso, un approccio di tipo analitico perché non si valuta direttamente l’azienda nel suo complesso, ma prima si valutano i singoli assets che sono all’interno del patrimonio della stessa, poi si sottrae l’indebitamento netto dell’azienda e solo allora si può stimare il valore patrimoniale. Diventa in questo caso di fondamentale importanza il valore degli assets indipendentemente da ciò che si riesce a produrre con essi. Non c’è un metodo migliore dell’altro ma solo metodi che possono essere considerati volta per volta più opportuni, a seconda della tipologia dell’azienda.

Nel metodo patrimoniale il valore dell’azienda deriva dalla somma algebrica dei valori assegnati ai singoli elementi patrimoniali attivi e passivi, applicando un particolare criterio denominato criterio dei valori correnti di sostituzione. Valore corrente sarebbe quello vigente nel mercato, ma non si tratta di un valore strettamente di mercato, perché è vero che in molti casi esistono dei mercati attivi che negoziano quotidianamente certi beni, ma in altri casi questi mercati attivi non esistono, perciò il valore corrente si ricava diversamente. Per valore di sostituzione si intende quel prezzo che l’azienda dovrebbe pagare oggi per procurarsi un asset con le medesime caratteristiche di quello già inserito e compreso all’interno del patrimonio dell’azienda. Il metodo patrimoniale si può distinguere in metodo patrimoniale semplice e metodo patrimoniale complesso, a seconda degli elementi ricompresi nella stima. Il metodo patrimoniale semplice è quello nel quale sono ricompresi nella stima gli elementi patrimoniale risultanti dalla situazione contabile redatta alla data di riferimento della valutazione. Quindi, quando si fa una valutazione di questo tipo la prima cosa di cui dotarsi è uno stato patrimoniale aggiornato alla data di riferimento della valutazione. Lo stato patrimoniale non è l’unico documento di cui c’è bisogno, ma si necessita anche di altri documenti molto importanti, come il libro degli inventari, che è il primo documento utile per fare la valutazione, a cui si aggiunge anche il registro dei beni ammortizzabili, un registro nel quale sono annotati tutti i beni oggetto di ammortamento. Utilizzando il metodo patrimoniale complesso, invece, nella stima si devono aggiungere altri assets, i beni immateriali, che nel bilancio non figurano, ma vanno comunque considerati poiché sono presenti e determinanti all’interno della struttura aziendale. Nella valutazione dell’azienda è necessario, in entrambi i casi suddetti, passare dalla situazione patrimoniale a valore di libro alla situazione patrimoniale a valori correnti, attraverso un processo di rielaborazione dei valori: bisogna riprendere tutti i vari elementi compresi nella stima ed esprimere il loro valore con un criterio diverso, quello sopracitato dei valori correnti di sostituzione. Pertanto bisogna, dapprima, individuare correttamente gli elementi patrimoniali da considerare per la stima, selezionabili in base all’utilizzo del metodo patrimoniale complesso o di quello semplice, cioè in base alla considerazione da parte dell’esperto dei soli elementi che risultano dalla situazione patrimoniale a valore di libro (semplice) o se a questi si vanno ad aggiungere anche, quando possibile, altri valori non evidenziati a bilancio (complesso). Per quanto riguarda gli elementi attivi, essi devono essere riscritti a valori correnti di riacquisto, nel caso in cui ci sia un mercato di negoziazione attivo, o a valori correnti di riproduzione se si tratta di beni unici e non negoziati su mercati attivi. In tutto questo si deve tener conto del processo di logorio e di obsolescenza. Gli elementi passivi, invece, devono essere riscritti a valori correnti di negoziazione e quindi le passività compariranno ai loro valori residui. La formula sia del metodo patrimoniale semplice che del metodo patrimoniale complesso è molto elementare e basilare, infatti, se si indica con W il valore del capitale aziendale, la formula del metodo patrimoniale è la seguente:

W = K

Dove K è il capitale netto rettificato, che nel caso di metodo patrimoniale semplice comprende esclusivamente gli elementi patrimoniali che emergono anche dalla situazione contabile, mentre nel caso di metodo patrimoniale complesso comprende anche i cosiddetti beni immateriali che non risultano a bilancio. L’aspetto più complicato risiede nel fatto che i valori dei singoli assets devono essere rettificati per

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anche i cosiddetti beni immateriali che non risultano a bilancio. L’aspetto più complicato risiede nel fatto che i valori dei singoli assets devono essere rettificati per portarli ad essere equivalenti ai valori correnti di sostituzione e questo processo può risultare difficoltoso, perché per ogni posta del bilancio da ricomprendere nella valutazione con metodo patrimoniale il calcolo della rettifica deve essere fatto in maniera diversa. Una volta che viene effettuata la stima del capitale rettificato, si deve procedere con la verifica reddituale, ovvero un ultimo confronto per verificare che il valore patrimoniale che sia stato stimato è compatibile o meno con la capacità reddituale dell’azienda. Nel caso in cui questa verifica dia esito negativo il valore calcolato precedentemente dovrà probabilmente essere rivisto. Ma questo, come abbiamo detto, è solo l’ultimo passaggio, mentre il fulcro della valutazione con metodo patrimoniale è rappresentato dalle rettifiche. Queste ultime possono riguardare sia le attività che le passività e possono essere sia positive che negative. Nel caso in cui si abbia un incremento di valore di un’attività si parla di plusvalenza patrimoniale mentre ne caso in cui si abbia una diminuzione di valore di un’attività si parla di minusvalenza patrimoniale. Allo stesso modo, quando il valore delle passività è maggiore rispetto al valore di libro, significa che abbiamo più debiti e pertanto siamo di fronte a una minusvalenza, mentre nel caso in cui il valore delle passività sia minore rispetto al valore di libro siamo di fronte a una plusvalenza. Le rettifiche positive allora sono quelle che fanno aumentare il capitale netto rettificato rispetto al valore di partenza, cioè il capitale netto contabile, mentre quelle negative fanno diminuire il capitale netto rettificato rispetto netto contabile. Questo procedimento verrà svolto per tutte o quasi le varie poste dello stato patrimoniale quali:

• Immobilizzazioni tecniche materiali;

• Magazzino (prodotti finiti, semilavorati, prodotti in corso di lavorazione,

lavori in corso su ordinazione, materie prime o merci);

• Crediti di funzionamento;

• Crediti di finanziamento (solo in caso di gruppi societari); • Debiti;

• Passività potenziali occulte.

Per ognuna di queste poste la rettifica viene calcolata singolarmente e puntualmente con un metodo specifico che sia in grado di esprimere al meglio il valore corrente di sostituzione della attività/passività considerata. Conclusi questi passaggi, nel caso di utilizzo del metodo patrimoniale semplice, avendo tutti i valori facenti riferimento alla data della valutazione, si può procedere alla stima finale del capitale netto rettificato in questo modo:

Capitale sociale + Riserve

+ Utile d’esercizio da accantonare - Perdite di esercizio

- Perdite esercizi precedenti

= CAPITALE NETTO CONTABILE + Plusvalenze

- Minusvalenze

- Oneri fiscali potenziali - Benefici fiscali potenziali

= CAPITALE NETTO RETTIFICATO

Nel caso invece di metodo patrimoniale complesso, oltre agli elementi patrimoniali iscritti nell’attivo o nel passivo dello stato patrimoniale di fine periodo o infra-annuale, si valutano i beni immateriali non contabilizzati. Perciò, nel valore di K, che abbiamo visto in precedenza per il metodo semplice si va ad aggiungere il valore dei beni

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