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Capitolo 6: il modello di Ireland (2004)

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Capitolo 6: il modello di Ireland (2004)

In questo capitolo si riporta un esempio di modello DSGE Neo-Keynesiano nel quale si effettua un passo in più rispetto a quanto visto nei modelli esposti da Torres. Come già detto, nei modelli esposti da Torres (2013) il riferimento rimane sempre e comunque quello di un modello RBC al quale vengono via via applicate determinate frizioni prese singolarmente nei diversi capitoli, inoltre lo shock è rappresentato sempre da un cambiamento nella tecnologia. Tutto ciò è finalizzato allo scopo didattico di comprendere come sia possibile modificare le caratteristiche dello scenario economico considerato, e osservare come queste variazioni si ripercuotano nelle fluttuazioni che subiscono le variabili endogene, ma ancora non vi è ancora alcuna pretesa di realismo in questi lavori.

Il passo in avanti di questo modello, che evidentemente non ha più la finalità didattica ma ricerca un livello di maggior realismo, è rappresentato dal fatto che adesso gli shocks con sono 4; oltre allo shock nel livello tecnologico si considerano gli shocks nel cost-push, nelle preferenze dei consumatori e nella politica monetaria. L’obiettivo è quello di dimostrare, in controtendenza con i modelli RBC originari, come il comportamento di certe variabili endogene (output, inflazione, tasso di interesse e output gap) non sia dovuto tanto allo shock tecnologico, quanto agli altri 3 shocks appena citati. Ma c’è un altro elemento molto importante da considerare. Nei modelli di Torres abbiamo visto diverse frizioni all’interno del modello canonico, ma ciascuna di queste frizioni veniva presa singolarmente all’interno dei vari capitoli col risultato che ciascun capitolo considerava esclusivamente una singola frizione. In questo modello, invece, vengono messe insieme diverse di queste frizioni e si può così descrivere un’economia con un maggior grado di realismo.

Il modello ha la pretesa di descrivere l’impatto dei suddetti shock sull’economia statunitense; questo tipo di scelta (ben diversa da quanto avveniva in Torres, dove si parlava di un’economia in termini più ampi) si ripercuote anche sulla definizione del modello sul software Dynare; nello specifico non stiamo più “costruendo” un modello DSGE, ma lo stiamo “stimando”. Questo aspetto della stima del modello si può osservare

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sia a livello di parametri, sia a livello di variabili endogene; per quanto riguarda i parametri essi non vengono più calibrati, ma vengono stimati, in altre parole si definiscono dei valori di partenza e dei limiti all’interno dei quali devono stare i parametri, e poi si lascia che sia Dynare (attraverso appositi algoritmi) a calcolare il loro valore. Per quanto riguarda le variabili endogene, alcune di esse (opportunamente specificate) vengono ricavate direttamente dalle serie storiche del paese preso in esame (gli USA in questo caso). Tutto ciò non sconvolge quanto detto nell’introduzione in merito ai 5 blocchi in cui può essere diviso un modello DSGE in Dynare ma, ovviamente, alcuni dettagli saranno diversi.

Dopo le conclusioni in merito al modello di Ireland è riportato un esercizio. In questo esercizio si riprende il modello di Ireland ma si vanno a stimare dei nuovi valori per i parametri e nuove serie storiche per le variabili osservabili. Questi nuovi valori si riferiscono al periodo che va dal 1999 al 2015 per 2 distinte economie: gli USA, l’Area Euro; l’obiettivo è quello di cercare di spiegare quanto avvenuto in questi paesi nel periodo preso in considerazione sulla base dei dati che emergono dal modello.

6.1 Introduzione

Un modello Neo-Keynesiano nella sua forma più semplice può essere composto da tre sole equazioni. La prima equazione ha il significato della curva IS e collega i consumi e l’output al tasso di interesse reale (vale a dire il tasso di interesse nominale dei bond corretto per il valore dell’inflazione). La seconda equazione è rappresentata dal comportamento massimizzante di imprese che operano in un contesto di concorrenza monopolistica, le quali da un lato scelgono i loro prezzi attraverso un procedimento casuale (alla Calvo) dall’altro fronteggiano un costo di aggiustamento del prezzo. L’ultima equazione è quella che descrive il comportamento della politica monetaria che, sullo stampo della regola di Taylor (1993), afferma che la Banca Centrale aggiusta i tassi di interesse a breve termine (che quindi rappresentano lo strumento attraverso il quale la BC esplica la propria funzione) in risposta sia a cambiamenti dell’output sia a cambiamenti dell’inflazione. Queste tre equazioni consentono di descrivere il comportamento di tre variabili economiche chiave: l’output, l’inflazione ed il tasso di interesse nominale. Come già accennato, nei

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modelli RBC lo shock nella tecnologia gioca un ruolo primario nelle fluttuazioni degli aggregati macroeconomici, mentre il ruolo della politica monetaria passa nettamente in secondo piano. Viceversa nei modelli Neo-Keynesiani, che comunque sono nati come estensione della precedente generazione di modelli DSGE, si richiama una speciale attenzione proprio al ruolo della politica monetaria; con ciò non si vuole sminuire il ruolo degli shock tecnologici che, aumentando la produttività dell’azienda e abbassando il costo marginale, si ripercuotono inevitabilmente sulla scelta del prezzo ottimo. L’intento è piuttosto quello di rendere più raffinato il modello affiancando allo shock tecnologico altri shocks ugualmente importanti; inoltre, la presenza di rigidità nei prezzi nominali permette di determinare con maggiore precisione come i diversi tipi di shocks si propaghino all’interno dell’economia considerata. L’obiettivo di questo modello è quello di osservare i legami che ci sono tra le due generazioni di modelli (Real Business Cycle e Neo-Keynesiani) e definire in termini quantitativi, attraverso apposite tecniche econometriche, l’importanza dello shock tecnologico nella cornice Neo-Keynesiana.

6.2 Il modello Neo-Keynesiano

In questa sezione si introduce una versione di modello Neo-Keynesiano che sarà usata successivamente per compiere delle analisi relative all’importanza dello shock tecnologico nel generare oscillazioni su certe variabili economiche negli Stati Uniti. Nel modello viene considerata l’esistenza di 4 individui, una famiglia rappresentativa, un’impresa rappresentativa produttrice del bene finale, una serie di imprese produttrici di beni intermedi diversificabili indicizzati con ed un banca centrale. In ciascun periodo ogni impresa produttrice del bene intermedio produce un bene distinguibile dagli altri. Procediamo ad osservare il comportamento di questi individui.

6.2.1 La famiglia rappresentativa

La famiglia rappresentativa ha in ciascun periodo t un ammontare di riserve monetarie pari a e titoli di stato per . All’inizio di ciascun periodo riceve un trasferimento lump-sum effettuato da parte della Banca Centrale pari a , inoltre i titoli di Stato giungono a maturazione garantendo un introito al periodo t pari a ; parte di questi soldi saranno reinvestiti in titoli di Stato che garantiscono un certo rendimento dal periodo t al periodo t+1.

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Durante il periodo t le famiglia offrono unità di lavoro alle varie imprese produttrici del bene intermedio garantendosi un guadagno pari a , dove rappresenta il salario nominale. La famiglia consuma unità di prodotto finito acquistandolo al prezzo dall’ impresa produttrice del bene finale. Infine, al termine del periodo t, la famiglia incassa un dividendo pari a dall’impresa produttrice del bene intermedio. Una parte di denaro verrà utilizzata al periodo . Si definisce così il vincolo di bilancio:

(6.1)

La funzione di utilità da massimizzare sotto il suddetto vincolo di bilancio è:

( ) ( ) (6.2)

Dove ( ) e . In questa funzione di utilità il parametro , lo shock nelle preferenze, segue un processo di autoregressione del primo ordine:

( ) ( ) (6.3) Si assume poi che la funzione di utilità sia separabile additivamente nei tre argomenti, i consumi, le riserve reali di moneta e le ore lavorate. Dalla risoluzione del problema di massimizzazione si ricava la condizione di ottimalità intratemporale:

(6.4)

Tale condizione lega il salario reale al tasso marginale di sostituzione tra il consumo ed il tempo libero.

Si ricava anche la condizione di ottimalità intertemporale: (

) (6.5)

Questa condizione lega il tasso di interesse reale al tasso marginale di sostituzione intertemporale.

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6.2.2 L’impresa rappresentativa produttrice del bene finale

Durante ciascun periodo t, l’impresa rappresentativa produttrice del bene finale utilizza ( ) unità di bene intermedio i acquistate al prezzo ( ) per realizzare unità del bene finale in accordo con la seguente funzione di tecnologia (con rendimenti di scala costanti),

(∫ ( )( ) ⁄ ) ⁄( ) (6.6)

Come mostrato in Smets e Wouters (2003) e Steinsson (2003), misura l’elasticità di domanda per ciascun bene intermedio; esso funziona come uno shock nel cost-push del tipo introdotto nel modello Neo-Keynesiano di Clarida et al. (1999). Come abbiamo visto nel capitolo 5 il mark-up è legato ad un ambiente di concorrenza monopolistica; tanto maggiore è il mark up (e quindi il potere di mercato delle imprese operanti in concorrenza monopolistica), tanto più elevata sarà la differenza tra il prezzo dei fattori produttivi e la loro produttività marginale, ciò determina una maggiore inefficienza nell’allocazione delle risorse. Lo shock nel cost-push segue un processo di autoregressione,

( ) ( ) ( ) (6.7) Dove e .

L’impresa produttrice del bene finale massimizza i propri profitti scegliendo:

( ) ( ) (6.8)

per ogni i ϵ [0, 1] e t = 0, 1, 2…, il che conferma che misura l’elasticità di domanda per ciascun bene intermedio. L’ambiente competitivo in cui opera l’impresa produttrice del bene finale implica dei profitti per l’impresa pari a zero, da cui:

(∫ ( ) ) ( ⁄ ) (6.9)

(6)

6.2.3 L’impresa rappresentativa produttrice del bene intermedio

In ciascun periodo t = 0, 1, 2, ... , l’impresa che produce il bene intermedio assume ( ) unità di lavoro dalla famiglia rappresentativa per costruire ( ) unità di bene intermedio i in accordo con la seguente funzione di tecnologia:

( ) ( ) (6.10)

In questo caso, come in molti modelli real-business-cycle, lo shock tecnologico è spiegato dalla seguente relazione:

( ) ( ) ( ) (6.11) con .

Poiché i beni intermedi sono tra di loro sostituti imperfetti nel concorrere alla formazione del bene finale, l’impresa produttrice del bene intermedio vende il suo output in un mercato con concorrenza monopolistica: al periodo t, l’impresa produttrice del bene intermedio fissa il prezzo al livello ( ), scelto in modo tale da soddisfare la domanda dell’impresa produttrice del bene finale. Inoltre l’impresa produttrice del bene intermedio fronteggia un costo di aggiustamento del prezzo nominale, misurato in termini di bene finito e dato da:

( ( )

( ) ) (6.12)

dove determina la forza del costo di aggiustamento del prezzo e misura il tasso di inflazione nello stato stazionario. Questa forma quadratica del costo di aggiustamento del prezzo nominale fu introdotta per la prima volta da Rotemberg (1982) e rende dinamico il problema fronteggiato dall’impresa produttrice del bene intermedio. Infatti essa, adesso, deve scegliere una sequenza di prezzi ( ) tali da massimizzare il proprio valore di mercato dato da,

∑ ( )

(6.13)

dove ( ⁄ ) misura l’utilità marginale della famiglia rappresentativa di fronte ad un aumento di un’unità dei profitti reali generati al periodo t; mentre ( ) ⁄ misura i profitti reali, dati da:

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( )

( ( )) ( ( )) ( ( )

( ) ) (6.14) Incorporando in quest’ultima relazione l’equazione (6.10) e la richiesta che l’impresa produttrice produca e venda l’output sulla base della domanda formulata per il prezzo

( ), è possibile ricavare le condizioni del primo ordine, ( )( ( )) ( ( )) ( ) ( ) ( ) ( ( ) ( ) ) ( ) ( ) ( ) (6.15) Nel caso specifico in cui , l’equazione che definisce le condizioni del primo ordine collassa in:

( )

Ciò indica che, in assenza del costo di aggiustamento del prezzo nominale, l’impresa produttrice del bene intermedio fissa il mark-up del prezzo ( ) rispetto al costo marginale ⁄ , pari a ⁄ dove, nuovamente, misura l’elasticità del prezzo rispetto alla domanda per l’output. In generale può essere interpretato come uno shock al mark-up desiderato dall’impresa: in un determinato istante è probabile che il mark-up che si manifesta sia diverso da quello desiderato dall’impresa, ciò nonostante esso tende al mark-u desiderato nel lungo periodo.

6.2.4 L’equilibrio del modello

Nell’equilibrio tutte le imprese produttrici del bene intermedio prendono le stesse decisioni, così che ( ) , ( ) , ( ) e ( ) per tutte le imprese. Inoltre le condizioni che “sgombrano” i mercati prevedono che e per ogni periodo t. Con l’imposizione di queste condizioni il vincolo di bilancio della famiglia rappresentativa può essere riscritto come:

( ) (6.16)

l’equazione (6.5) può essere riscritta come, (

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e la condizione del primo ordine dell’impresa produttrice del bene intermedio è riscritta come, ( ) ( ) ( ) (6.18) dove ⁄ caratterizza il tasso di inflazione in ciascun periodo t.

A questo punto si introduce il concetto di output gap. Si può pensare ad un individuo (un pianificatore sociale) in grado di superare le frizioni presenti nella nostra economia, come quelle che danno origine al costo di aggiustamento del prezzo nominale. Il pianificatore sociale può allocare il lavoro della famiglia rappresentativa per produrre un certo ammontare di bene intermedio, poi utilizzare il bene intermedio per la produzione del bene finito. Anche in questo caso è possibile impostare un problema di massimizzazione, la cui soluzione determina la seguente condizione del primo ordine:

dove rappresenta il livello di output efficiente. Si può osservare che il livello efficiente dell’output è sensibile allo shock nelle preferenze e allo shock tecnologico , d’altra parte esso non dipende dallo shock nel cost-push . L’output gap è dato dal rapporto tra il livello di output realizzato ed il livello efficiente:

( ) ⁄ ( ⁄ ) (6.19)

6.2.5 Il modello linearizzato

Le equazioni (6.3), (6.7) e (6.11), e quelle che vanno dalla (6.16) alla (6.19) descrivono il comportamento di 5 variabili endogene e di 3 variabili esogene . Queste equazioni implicano che in assenza di shocks l’economia converge in uno stato stazionario di lungo periodo dove tutte le variabili sono costanti nel tempo: per ogni t = 0, 1, 2,… .Possiamo poi inserire le percentuali di deviazione di ciascuna variabile rispetto al proprio livello nello stato stazionario: ̂ ( ) ̂

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( ) ̂ ( ) ̂ ( ) ̂ ( ) ̂ ( ) ̂ ̂ ( ) ̂ ( ) .

La versione linearizzata del modello prevede le seguenti equazioni:

̂ ̂ (6.20) ̂ ̂ (6.21) ̂ (6.22) ̂ ̂ ( ̂ ) ( )( ) ̂ (6.23) ̂ ̂ ̂ ̂ (6.24) ̂ ̂ ̂ (6.25) ̂ ̂ ̂ ̂ (6.26)

dove ho inserito l’equazione (6.26) che rappresenta il tasso di crescita dell’output. Inoltre il nuovo parametro nelle equazioni (6.23) e (6.25) è definito come ⁄ , mentre il parametro nell’equazione (6.24) risulta da ( ) ⁄ ; infine il parametro ̂ rappresenta il cost-push shock definito da ( ⁄ ) .

In questo sistema lineare le equazioni da (6.20) a (6.22) governano il comportamento dello shock nelle preferenze, nel cost-push e nella tecnologia; mentre le equazioni (6.25) e (6.26) definiscono l’output gap ed il tasso di crescita dell’output. L’equazione (6.23) rappresenta la curva IS, l’equazione (6.24) è la versione Neo-Keynesiana della Curva di Philips.

6.2.6 La Banca Centrale

Rispetto ai modelli considerati in Torres adesso si introduce la presenza di un terzo soggetto, la Banca Centrale. Essa conduce la politica monetaria seguendo una forma modificata della Taylor (1993) rule,

̂ ̂ ̂ ̂ ̂ (6.27) In base a questa formula il tasso di interesse a breve termine sale o scende in risposta a dei cambiamenti nell’inflazione, ̂ , nella crescita dell’output, ̂ , e nell’output gap, ̂

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rispetto al loro livello nello stato stazionario. Adottando una Taylor rule di questo tipo la Banca Centrale deve quindi scegliere un livello di inflazione di lungo periodo; sceglie inoltre i parametri .

6.3 I risultati del modello

Le equazioni dalla (6.20) alla (6.27) formano un sistema che coinvolge 3 variabili osservabili (il tasso di crescita dell’output ̂ , l’inflazione ̂ ed il tasso di interesse a breve termine ̂), 2 variabili non osservabili (l’output con tendenza eliminata ̂ e l’output gap ̂ ) e 4 shocks non osservabili (shock nelle preferenze ̂ , nel mark-up desiderato ̂ , nella tecnologia ̂ e nella politica monetaria ). È possibile utilizzare l’algoritmo di Kalman delineato da Hamilton (1994, capitolo 13); in questo modo si stimano i parametri attraverso il criterio della massima verosimiglianza e si guarda l’inferenza del comportamento delle variabili non osservabili del modello basata sulle informazioni contenute nelle serie storiche delle 3 variabili osservabili. L’esercizio econometrico utilizza i dati trimestrali degli Stati Uniti che vanno dal 1948 al 2003. La misura della crescita dell’output è data dal PIL pro-capite (dove la popolazione considerata è quella non-istituzionale di età maggiore ai 16 anni), la misura dell’inflazione è invece data dai cambiamenti nel deflatore del Pil e la misura del tasso di interesse nominale è data dal rendimento dei Titolo di Stato Statunitensi con scadenza a 3 mesi. L’obiettivo di questo esercizio è quello di capire il contributo di ciascuno shock sulle variabili osservabili e non osservabili del modello.

Esiste la possibilità di rimpiazzare le equazioni (6.25) e (6.26) con delle forme più generali della curva di Philips e della curva IS:

̂ ̂ ( ) ̂ ( ̂ ̂ ) ( )( ) ̂ (6.28) ̂ ̂ ( ) ̂ ̂ ̂ (6.29) In questa maniera si evita che il processo di stima guardi esclusivamente al futuro, e si inserisce invece l’idea che anche l’inflazione passata e l’output gap passato possano spiegare le dinamiche dell’economia considerata. Sono proprio i parametri che colgono l’importanza degli elementi passati nell’economia; nel caso in

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cui i valori assegnati a questi parametri fossero bassi, si potrebbe tornare all’utilizzo delle equazioni (6.25) e (6.26) a scapito delle espressioni (6.28) e (6.29).

Il modello empirico consiste nelle equazioni che vanno dalla (6.20) alla (6.22) e dalla (6.26) alla (6.29); ci sono 16 parametri: . Tra questi parametri alcuni di essi vengono semplicemente calibrati come . Per il valore è fissato pari a 1,0048, tale numero riflette il tasso di crescita del Pil pro-capite nei dati raccolti pari all’1,95%. Per quanto riguarda il valore è fissato ad 1,0086, numero che si lega al tasso di inflazione media nei dati pari al 3,48%. Il valore rappresentante il tasso di sconto per l’impresa rappresentativa, , è fissato pari a 0,99 che implica un tasso di sconto del 4%. Come già osservato in precedenza il parametro (ovvero il coefficiente per cui viene moltiplicato l’output gap nell’equazione(6.29)) dipende inversamente dal parametro che esprime il costo di aggiustamento del prezzo; per il parametro si sceglie un valore molto piccolo che implica un elevato costo di aggiustamento del prezzo nominale, da cui . Questo parametro può essere interpretato anche in un’altra maniera: se nel modello Neo-Keynesiano i prezzi sono fissati sulla base del meccanismo proposto da Calvo (1983) un valore di implica un caso nel quale i prezzi dei beni sono selezionati in media ogni 3,74 trimestri.

Adesso che abbiamo scelto il valore per questi 4 parametri si procede a stimare attraverso il criterio della massima verosimiglianza la grandezza dei restanti 12. = 0,0617, siccome ⁄ il valore piccolo scelto per questo parametro implica un’offerta di lavoro molto inelastica. Il livello di mentre , il piccolo valore assegnato a questi parametri implica che tanto la curva IS quanto la curva di Philips tengono poco in considerazione i valori passati dell’inflazione e dell’output gap. La larga stima di e significa che la Banca Centrale ha risposto in maniera forte sia ai movimenti nell’inflazione che ai movimenti della crescita dell’output; mentre indica che l’output gap ha giocato un ruolo secondario nelle decisioni sulla politica monetaria. La stima di e implica che lo shock tecnologico e lo shock nel cost-push sono molto persistenti. Infine sono dei valori sufficientemente alti da implicare che ciascuno degli shock presi in esame contribuisce alla spiegazione dei movimenti nei dati. In tabella sono riportati i valori appena elencati.

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0,0617 0,9470 0,0836 0,9625 0,0000 0,0405 0,3597 0,9625 0.2536 0,0109 0,0347 0,0031

Tabella 1. Stima dei parametri

Adesso passiamo a considerare i grafici che rappresentano le funzioni di risposta dell’output, dell’inflazione, del tasso di interesse nominale e dell’output gap rispetto a ciascuno dei 4 shocks considerati.

Figura 1. Effetti dei 4 shocks sulle diverse variabili

Dalla prima colonna in figura si evince che uno shock nelle preferenze determina un aumento nella crescita nell’output e nell’inflazione ciò comporta, sulla base dell’equazione che definisce il comportamento della Banca Centrale, un aumento del tasso di interesse a breve termine che risulta essere piuttosto persistente. Lo shock

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nelle preferenze non influenza il livello efficiente dell’output quindi l’output gap cresce seguendo quello che è l’aumento dell’output.

Dalla seconda colonna in figura si osserva che uno shock nel cost-push determina un incremento nella crescita dell’output ed una riduzione dell’inflazione. La caduta dell’inflazione spinge la Banca Centrale ad allentare la politica monetaria attraverso una riduzione del tasso a breve termine che dura per un tempo superiore ai 4 anni. Anche lo shock nel cost-push non intacca il livello efficiente dell’output e, quindi, la dinamica dell’output gap segue quella della crescita del Pil.

Nella terza colonna della figura si osservano gli effetti dello shock tecnologico sulle variabili osservate; si verifica un aumento della crescita a dell’output ed una riduzione del tasso di inflazione. Il bilanciamento di questi due elementi avviene attraverso un piccolo incremento del tasso di interesse di breve periodo. Il livello efficiente dell’output è molto sensibile al cambiamento nella tecnologia e quindi, in questo caso, si verifica un aumento dell’output gap.

Infine lo shock nella politica monetaria, attraverso l’incremento dei tassi di interesse di breve periodo per una durata di circa 2 anni, causa una caduta nella crescita dell’output e nell’inflazione. Anche l’output gap subisce una forte riduzione.

Dall’osservazione delle funzioni di risposta si osserva come gli shock si ripercuotano nell’economia considerata. Lo shock nelle preferenze e nella politica monetaria aumentano entrambi il tasso di interesse ma, nel caso delle preferenze l’aumento del tasso di interesse coincide con un’accelerazione della crescita dell’output e dell’inflazione, mentre lo shock monetario ha un effetto opposto sulle stesse variabili. Lo shock nel cost-push e nella tecnologia portano entrambi ad un aumento della crescita dell’output e ad una riduzione dell’inflazione, però il cost-push determina una riduzione nel tasso di interesse nominale, mentre lo shock tecnologico lo fa aumentare. Si osserva, inoltre, che solamente lo shock tecnologico cambia in maniera permanente il livello dell’output.

L’analisi non si ferma allo studio delle funzioni di reazione ma prosegue con l’analisi della decomposizione della varianza, ovvero l’impatto percentuale che ha ogni shock su ciascuna variabile. Tali risultati sono riportati nella seguente tabella.

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Crescita dell’output 21,9 14,6 26,1 37,4

Inflazione 1,7 69,0 12,9 16,4

Tasso di interesse 69,7 28,7 0,7 0,9

Output gap 0,8 89,7 4,2 5,3

Tabella 2. Decomposizione della varianza periodo 1948-2003

Questi risultati sembrano confermare quanto già si poteva intuire dall’osservazione delle funzioni di reazione: lo shock tecnologico ricopre al più un ruolo secondario all’interno della nostra economia. Infatti, dalla decomposizione della varianza, si osserva che il massimo contributo offerto dallo shock tecnologico riguarda la crescita dell’output, dove comunque esso spiega solamente il 26% della dinamica di questa variabile a fronte di uno shock monetario indubbiamente più importante (quasi il 40%). Inoltre la decomposizione della varianza mostra che lo shock nel cost-push è il più importante nello spiegare la dinamica dell’inflazione e dell’output gap; mentre lo shock nelle preferenze determina la maggior parte del movimento nel tasso di interesse. Questi risultati conducono verso la conclusione che, per il modello Neo-Keynesiano stimato, sia le preferenze, sia il cost-push, sia lo shock nella politica monetaria siano più importanti dello shock tecnologico nello spigare le variabili macroeconomiche.

Si procede a questo punto a testare i risultati fino qui ottenuti; per fare ciò si va a replicare lo stesso modello suddividendo l’arco di tempo considerato in 2 sotto-periodi, il primo che va dal 1948 al 1979, il secondo che va dal 1980 al 2003. Per cercare di rendere il modello più verosimile si va ad effettuare una nuova stima dei parametri: essi dovranno essere diversi sia da quelli stimati precedentemente, ma anche tra i singoli sotto periodi considerati. Nella seguente tabella sono riportate le stime per i 2 periodi.

Parametri Stima pre-1980 Stima post-1980

0,0000 0,0581

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0,0000 0,0000 0,3053 0,3866 0,2365 0,3960 0,0000 0,1654 0,9910 0,9048 0,5439 0,9907 0,1538 0,0302 0,0035 0,0002 0,0104 0,0089 0,0033 0,0028

Tabella 3. Stima dei parametri per i 2 sotto-periodi

Dalla tabella si può osservare che la Banca Centrale nel periodo post-1980 è diventata più sensibile ai movimenti nelle variabili della crescita dell’output, dell’inflazione e dell’output gap. Inoltre la stima piuttosto alta di nel periodo pre-1980 indica una maggior considerazione del passato da parte degli individui in questo sotto periodo. Non riporto i grafici delle funzioni di risposta per i due sotto-periodi poiché, essendo analoghi a quelli già osservati nella precedente parte del capitolo, non aggiungono molto alla nostra analisi. È invece più interessante osservare la decomposizione della varianza. La seguente tabella riporta i valori relativi al caso precedente al 1980.

Crescita dell’output 9,6 17,9 14,2 58,2

Inflazione 5,9 34,7 20,8 38,6

Tasso di interesse 99,6 0,1 0,1 0,2

Output gap 6,4 33,8 20,9 38,8

Tabella 4. Decomposizione della varianza pre-1980

Dalla tabella si desume che nel periodo precedente al 1980 lo shock nella politica monetaria ha assunto una dimensione ancora maggiore nello spiegare le fluttuazioni della crescita dell’output; inoltre, sebbene lo shock nel cost-push continui a spiegare una larga parte del movimento dell’inflazione, adesso lo shock nella politica monetaria lo eguaglia nella determinazione di questa variabile. Per questo sotto-periodo si osserva

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che lo shock nella politica monetaria sembra essere la principale fonte di destabilizzazione per l’economia Statunitense. Inoltre, lo shock tecnologico ha un ruolo ancora minore risetto al caso osservato precedentemente.

Adesso si procede ad effettuare lo stesso tipo di analisi considerando i risultati relativi al periodo successivo al 1980; in tabella è riportata la decomposizione della varianza.

Adesso lo shock nella politica monetaria ha un impatto molto minore rispetto a prima sulle variabili macroeconomiche, mentre lo shock tecnologico acquista importanza nel guidare i movimenti nella crescita dell’output. Questi risultati non devono sorprendere più di tanto. Essi sembrano essere in linea con la teoria che attribuisce la migliore performance dell’economia Statunitense nel corso degli anni ’90 proprio ad un miglioramento nella conduzione della politica monetaria affiancato da un inatteso incremento della produttività dovuto al susseguirsi di shocks tecnologici. Ciò nonostante, si può osservare che dove lo shock tecnologico sia quello più importante, esso spiega comunque un ammontare inferiore del 50% nella variazione della crescita dell’output. D’altra parte, gli shocks nel cost-push e nelle preferenze spiegano ancora la maggior parte del movimento nell’inflazione e nel tasso di interesse nominale.

6.4 Conclusioni

Nel capitolo è rappresentato un modello Neo-Keynesiano che aggiunge 3 disturbi aggiuntivi (le preferenze delle famiglie, il mark-up desiderato dalle imprese e la politica monetaria della Banca Centrale) allo shock tecnologico presente nel modello

Crescita dell’output 30,3 1,7 43,5 24,5

Inflazione 0,6 91,5 4,8 3,1

Tasso di interesse 36,9 61,6 0,9 0,6

Output gap 3,9 68,0 17,2 10,9

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real-business-cycle (il modello standard). Si applica il criterio della massima verosimiglianza per la stima dei parametri del modello, e si usa il modello stimato per valutare l’importanza dei vari shock nel guidare le variabili della crescita dell’output, dell’inflazione e del tasso di interesse sulla base dei dati Statunitensi del secondo dopoguerra.

I risultati empirici, spiegati nel dettaglio nella sezione precedente, mostrano che lo shock nella politica monetaria è stato la principale fonte di instabilità per la crescita dell’output, soprattutto nel periodo precedente al 1980. Lo shock nel mark-up dà il maggior contributo al movimento nell’inflazione, e lo shock nelle preferenze è il principale fattore nella dinamica del tasso di interesse reale a breve termine. In tutto questo lo shock tecnologico non ha un ruolo particolarmente importante. Anche dopo il 1980, periodo in cui ha il maggior impatto sull’economia, lo shock tecnologico spiega meno del 50% del cambiamento osservato nella crescita dell’output ed ha un impatto ancora minore sulla altre variabili macroeconomiche. Questi risultati sembrano indebolire il legame tra i modelli Neo-Keynesiani ed i modelli real-business-cycle da cui essi derivano.

6.5 Un’applicazione per il modello Kulish-Jones (2011)

I codici per il modello di Ireland sono resi disponibili dalla home page dell’autore. Si può osservare che Ireland non ha scritto il modello utilizzando Dynare, ma ha creato degli script che possono girare direttamente su Matlab. Due economisti (Kulish e Jones) hanno ripreso questo modello alcuni anni dopo e lo hanno replicato su Dynare per effettuare certi studi. Ovviamente, siccome stiamo parlando di un modello DSGE che viene stimato per gli Stati Uniti, all’interno dello script Dynare deve essere presente un richiamo ad un data-file nel quale siano contenute le serie storiche relative alle variabili osservabili che sono necessarie per la stima del modello. Nel nostro caso tali variabili sono: la crescita del Pil pro-capite, la crescita dell’inflazione ed il tasso di interesse a breve termine. Avendo a disposizione questo modello ho provato ad effettuare alcune elaborazioni: verificare se il modello di Ireland viene convalidato dal modello di Kulish e Jones e replicare il modello Kulish e Jones per due sotto-periodi, il periodo “pre-crisi” (1999-2007) ed il periodo “crisi” (2007-2015). La stessa analisi è poi stata effettuata per l’Europa al fine di effettuare dei confronti con gli Stati Uniti.

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Validazione del modello

La validazione del modello è una verifica piuttosto semplice; essa consiste nel lanciare il modello di Kulish e Jones (stimato per una serie storica delle variabili osservabili opportuna) e verificare se effettivamente vi è una corrispondenza con il modello di Ireland.

Per quanto riguarda le funzioni di risposta delle variabili endogene, si osserva che i movimenti di queste di fronte ai vari shock sono gli stessi, ed anche il ritorno allo stato stazionario avviene in maniera analoga (la persistenza è simile).

La decomposizione della varianza è riportata nella seguente tabella.

Crescita dell’output 20.68 5.62 42.78 30.93

Inflazione 1.53 75.76 10.57 12.13

Tasso di interesse 58.51 37.85 1.69 1.94

Output-gap 2.14 76.82 9.79 11.24

Tabella 6. Validazione modello di Ireland

L’unica variabile per la quale vi è una differenza con il modello di Ireland è la crescita dell’output: in questo caso è spiegata principalmente dallo shock tecnologico, ed in secondo luogo dallo shock monetario. Nel caso precedente si aveva una situazione opposta. Per le altre variabili endogene si hanno delle situazioni analoghe a quelle già osservate in Ireland. Per questi motivi si può affermare che globalmente il modello di Ireland viene convalidato dal modello di Kulish e Jones.

Stati Uniti “pre-crisi” e “crisi”.

Dopo aver effettuato la validazione per il modello di Kulish e Jones si procede alla creazione di due sotto-periodi. Un periodo “pre-crisi” nel quale sono ricompresi i dati per le tre variabili osservabili che vanno dal 1999 al 2007, ed un periodo “crisi” dove si riportano le stesse variabili per un lasso di tempo che va dal 2007 al 2015. Si possono allora lanciare questi due esempi e vedere che cosa emerge sulla base del modello considerato. L’aspetto interessante non è tanto guardare che cosa accade

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alle funzioni di risposta, quanto osservare la decomposizione della varianza. Nelle 2 seguenti tabelle sono riportati i risultati per la decomposizione della varianza.

Crescita dell’output 15.85 - 71.05 13.10

Inflazione 3.27 - 80.18 16.55

Tasso di interesse 91.51 - 7.04 1.45

Output-gap 5.65 - 78.21 16.14

Tabella 7. Caso "pre-crisi" USA

Crescita dell’output 42.85 0.81 38.08 18.26

Inflazione 1.01 85.27 2.78 10.94

Tasso di interesse 96.90 0.30 0.57 2.23

Output-gap 1.54 1.65 19.62 77.18

Tabella 8. Caso "crisi" USA

Andiamo a definire delle conclusioni.

Crescita dell’output: nel periodo “pre-crisi” questa variabile è spiegata principalmente dalle variazioni dello shock tecnologico. Ciò non appare una conclusione priva di fondamento in quanto il periodo 1999-2007 è senza dubbio caratterizzato da numerose innovazioni tecnologiche avvenute principalmente nel settore informatico e nelle telecomunicazioni.

Nel secondo sotto-periodo lo shock tecnologico mantiene una certa importanza ma passa in secondo piano rispetto allo shock nelle preferenze. Lo shock nelle preferenze dà una rappresentazione dello stato della domanda, una ridotta preferenza per il consumo è indicativa di individui che preferiscono risparmiare e rimandare i consumi ai periodi successivi. Anche qua non appare strano che nel periodo della crisi lo stato della domanda giochi un ruolo principale per la crescita dell’output.

Inflazione: nel periodo “pre-crisi” è nuovamente lo shock tecnologico a spiegare gran parte delle fluttuazioni nell’inflazione.

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Nel periodo “crisi” l’inflazione è determinata prevalentemente dal cost-push. Questo sta a significare che i movimenti in questa variabile endogena sembrano essere dovuti principalmente alla struttura del mercato: il cost-push è collegato all’elasticità di sostituzione tra i beni, quindi un elevato valore per questa grandezza è significativo di un’economia con un grado di concorrenza elevato. Il contrario vale quando l’elasticità di sostituzione è bassa.

Tasso di interesse: in entrambi i casi è determinato principalmente dallo shock nelle preferenze. Il significato di questo risultato è che la banca centrale pone molta attenzione ai cambiamenti nelle preferenze degli individui. Così facendo si riesce ad evitare che questo tipo di shock si ripercuota sull’inflazione.

Output-gap: nel periodo “pre-crisi” è influenzato in via prioritaria dallo shock tecnologico. Nello specifico lo shock tecnologico ha un impatto sia sulla crescita dell’output attuale che sulla crescita dell’output efficiente; il risultato finale è una decrescita dell’output gap (dato dalla differenza tra output attuale ed output efficiente) indicativa di un maggior impatto dello shock tecnologico sull’output efficiente rispetto all’output attuale.

Nel sotto-periodo “crisi” è invece lo shock nella politica monetaria ad influenzare principalmente l’output gap. La politica monetaria non ha alcun effetto sul livello efficiente dell’output, da qua si ha che di fronte ad un aumento dei tassi di interesse si verifica una riduzione della crescita dell’output e quindi un abbassamento dell’output gap.

Globalmente si può osservare che mentre nel sotto-periodo “pre-crisi” lo shock tecnologico è dominante rispetto agli atri, nel sotto-periodo “crisi” sono invece gli shocks monetari e nelle preferenze a determinare gran parte di movimenti nelle variabili macroeconomiche. Ciò appare effettivamente in linea con quanto avvenuto nell’economia Statunitense.

Europa “pre-crisi” e “crisi”

La stessa analisi proposta per gli Stati Uniti nei due sotto-periodi viene adesso effettuata per l’Area Euro. Ovviamente sarà necessario utilizzare delle serie storiche

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per le variabili osservabili relative all’Area Euro: questi dati sono stati reperiti su Datastream. È necessario ricordare quelli che sono i limiti di questa analisi. Nel momento in cui vengono stimati i parametri del modello è comunque necessario offrire al software Dynare dei valori di partenza (ed eventualmente l’intervallo nel quale possono oscillare i parametri) sui quali impostare la stima. Nel caso da me considerato questi valori di partenza vengono lasciati uguali a quelli proposti da Ireland; comunque la stima dei parametri avviene sulla base di un data-file relativo all’Area Euro. Gli unici parametri che vengono cambiati sono quelli relativi alla Taylor rule (la regola seguita dalla Banca Centrale): nello specifico si considerano due casi, il primo con i coefficienti per la Taylor Rule previsti originariamente (coefficiente di risposta dell’inflazione pari a 1,5 e coefficiente di risposta all’output-gap pari a 0,5), nel secondo i coefficienti della Taylor Rule sono stimati attraverso il criterio della massima verosimiglianza.

Di seguito sono riportate le tabelle relative all’esercizio appena esposto per i due sotto-periodi. I numeri tra parentesi rappresentano le risposte delle variabili endogene nel caso di stima dei parametri della Taylor Rule con la massima verosimiglianza.

Crescita dell’output 1.32 (40.52) 2.49 (-) 50.93 (37.57) 45.23 (21.91) Inflazione 0.03 (11.79) 66.08 (-) 18.25 (55.08) 15.64 (33.13) Tasso di interesse 56.58(98.09) 1.07 (-) 22.80 (1.20) 19.55 (0.72) Output-gap 0.13 (16.99) 2.47 (-) 52.45 (51.83) 44.95 (31.17)

Tabella 9. Caso “pre-crisi” Area Euro

Crescita dell’output 51.51 (28.20) 6.84 (-) 24.10 (30.87) 17.55 (40.92) Inflazione 2.79 (7.25) 18.36 (-) 34.94 (39.08) 43.90 (53.97) Tasso di interesse 98.87 (96.62) 0.20 (-) 0.41 (1.42) 0.52 (1.95) Output-gap 3.13 (10.78) 17.26 (-) 35.29 (37.59) 44.31 (51.63)

Tabella 10. Caso "crisi" Area Euro

Il primo elemento che si osserva è che lo shock nel cost-push è irrilevante nel caso in cui la Taylor Rule venga stimata. Nonostante la scelta dei parametri della Taylor Rule

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abbia delle conseguenze sui movimenti delle variabili endogene, possiamo definire delle conclusioni globali per i due sotto-periodi.

Periodo “pre-crisi”: un po’ come avveniva nel caso Statunitense anche adesso lo shock tecnologico sembra ricoprire un ruolo di primo piano nei movimenti delle variabili endogene. Esso spiega gran parte della crescita dell’output in entrambi i casi considerati (nel secondo esempio esso è praticamente uguale allo shock principale, quello nelle preferenze); è inoltre lo shock principale per quanto riguarda la dinamica dell’output-gap. Quando la Taylor Rule è stimata con il metodo della massima verosimiglianza lo shock tecnologico è quello più importante anche per i movimenti dell’inflazione.

Si può comunque osservare che, rispetto al caso degli Stati Uniti, l’importanza dello shock tecnologico è meno evidente; ciò sembra significare che gli shocks tecnologici hanno ricoperto un ruolo più importante negli Stati Uniti rispetto all’Area Euro. Periodo “crisi”: rispetto al sotto-periodo precedente acquistano molta importanza gli shocks nelle preferenze e nella politica monetaria. Quando la Taylor Rule è definita secondo i suoi valori classici, la crescita dell’output ed il tasso di interesse sono spiegati dai cambiamenti nelle preferenze, mentre l’inflazione e l’output- gap dalle manovre di politica monetaria. Invece quando la Taylor Rule è stimata secondo il criterio della massima verosimiglianza lo shock nella politica monetaria diventa preponderante nella crescita dell’output, nell’inflazione e nell’output-gap, mentre le preferenze spiegano la dinamica del tasso di interesse.

Un elemento che non è molto chiaro in questo sotto-periodo è dato proprio dalla politica monetaria: sembra che nel periodo della crisi, la politica monetaria abbia giocato un ruolo molto importante nell’Area Euro, anche più importante rispetto a quanto avvenuto negli Stati Uniti. Questo risultato non sembra essere molto in linea con quanto osservato nella realtà e rappresenta un punto di debolezza di questo esercizio.

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