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Capitolo 1 NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA CHILDREN’S LITERATURE

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Capitolo 1

NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA CHILDREN’S

LITERATURE

Fuori dall’ambiente accademico non ci si è mai posti grandi problemi sul significato di children’s literature, identificandola semplicemente come materiale destinato alla lettura da parte di bambini e adolescenti. Tuttavia più recentemente, a causa del sempre maggior numero di adulti che si accingono alla lettura di libri nati in origine come letteratura per l’infanzia, si sono sollevati numerosi dibattiti con il fine di dare una risposta ai seguenti quesiti: questi libri sono davvero adatti anche agli adulti? Ma soprattutto, la linea che divide la children’s literature dai testi per adulti è davvero così netta o, con il passare del tempo, si sta sempre più assottigliando?

Il termine si rivela quindi pieno di complicazioni e negli ultimi decenni si è giunti alla conclusione che, in realtà, non esiste un corpo di testi chiaramente identificabile come “children’s literature”, così come non ne esiste uno nettamente classificabile come “adults’ literature”, né i due tipi di pubblicazione sono così lontani come le etichette vorrebbero farci credere. Come sostiene Peter Hunt, “it is important to establish that there is no single, coherent, fixed body of work that makes up children’s literature, but instead many children’s literatures produced at different times in different ways for different purposes by different kinds of people using different formats and media”. 1

Non dobbiamo inoltre dimenticare che la children’s literature gioca un ruolo molto importante nel delineare il modo in cui comprendiamo il mondo e ci rapportiamo ad esso. Storie di questo genere, rivolte prettamente ai bambini, sono solite trasmettere un messaggio educativo il cui scopo è insegnare loro come comportarsi nella società in cui vivono, per cui tale

Kimberley Reynolds, Children’s Literature: A Very Short Introduction, Great Clarendon

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materiale può rivelarsi una risorsa storica molto importante per capire che aspetto avevano i bambini del passato — o meglio, come venivano dipinti dagli adulti che ne traevano ispirazione per le proprie opere — e come si presentava l’ambiente a loro circostante. Bisogna però tenere conto che, essendo quasi tutti i libri per bambini scritti da adulti, questi ultimi finiscono per trasmettere una propria idea di infanzia che spesso si distacca dalla realtà per conformarsi alle esigenze di mercato e al messaggio che intendono trasmettere attraverso le proprie opere, rendendole quindi talvolta inaffidabili come documenti storici.

Questo non significa, ovviamente, che la loro lettura debba essere accantonata come un passatempo poco importante o interpretata come segno di una mente infantile: i libri per bambini sono stati e rimangono in ogni caso essenziali per la moderna cultura occidentale in ogni suo campo, dall’istruzione e lo sviluppo della persona, alla storia del pensiero e dell’identità nazionale. La differenza principale tra la letteratura per bambini e gli altri testi sta proprio nel fatto che in tutti i libri appartenenti alla children’s literature si cela un’idea ben precisa di bambino o di infanzia, che cambia nel tempo e a seconda dei luoghi di riferimento. Possiamo infatti riscontrare in questi testi le stesse caratteristiche degli altri libri, che tuttavia vengono modificate o distorte proprio da questo elemento, una concezione di infanzia strettamente legata alla visione soggettiva dell’autore.

In passato si è spesso contestato il diritto della children’s literature ad entrare a far parte delle discipline accademiche, accusandola di occuparsi solamente di opere minori, di essere trattata prevalentemente da donne e di presentare testi troppo semplici per poter essere di qualsiasi utilità in campo educativo. Fortunatamente oggi queste obiezioni sono scomparse o stanno scomparendo, e i libri per bambini vengono studiati presso tutte le università del mondo. Forse perché si è capito che questi testi talvolta si rivelano più difficili da leggere rispetto a quelli destinati agli adulti, tanto da obbligarci a concentrarci su noi stessi e sul motivo del nostro atto di lettura, oltre a riflettere su definizioni apparentemente semplici ma in realtà sfuggenti, come i concetti stessi di letteratura e di bambino.

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Come sopra accennato, la differenza tra libri per bambini e libri per adulti potrebbe sembrare ovvia, ma non è così. Ciò che li distingue è l’idea di bambino contenuta nel libro e non tanto il formato, il contenuto o l’intenzione: i libri per bambini, infatti, non sono tutti illustrati e scritti in un linguaggio semplice, e soprattutto non sempre sono quello che gli adulti vorrebbero che fossero. Cos’è allora che ci permette di capire se un libro è per bambini oppure no? Per parecchio tempo si è pensato che in questi testi non dovessero apparire argomenti tabù come violenza e sessualità, anche se tradizionalmente miti, leggende e fiabe popolari commercializzate per i bambini contengono questi aspetti.

Insomma, i criteri secondo cui sui decide cosa non è adatto ai bambini prevedono un percorso complesso, in quanto il critico letterario deve considerare non solo le tipologie di infanzia cui il testo si rivolge, ma anche quelle che entrano effettivamente in contatto con esso: i libri scritti per i bambini nel Cinquecento, per esempio, mostrano livelli di violenza che sarebbero stati inaccettabili nel Novecento.

Nell’Ottocento i libri per bambini venivano letti spesso anche dagli adulti, e solo con il secolo successivo la divisione divenne rigida, basandosi su una concezione di infanzia come spazio distinto. Nella contemporaneità, infine, si è assistito ad un ulteriore cambio di rotta: come afferma Peter Hunt, “Ora che la separazione tra gioventù ed età adulta è tornata ad essere più sfuggente, i libri per adulti e i libri per bambini si stanno riavvicinando, anche in virtù del fatto che la fantasy e il realismo magico sono di moda tra gli adulti”. 2

Ulteriore concetto problematico da definire è proprio quello di infanzia, che agli occhi degli adulti rappresenta la fase della vita contraddistinta dall’innocenza, mentre per i bambini è solo un momento che si desidera superare il prima possibile. Anche il mondo della psicologia ha contribuito ad

Peter Hunt, “Perché studiare la letteratura per l’infanzia?” in Dall’ABC a Harry Potter -

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Storia della letteratura inglese per l’infanzia e la gioventù, Bononia University Press, Bologna 2011, p. 23.

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affermare quanto questi primi anni di vita siano complessi, sostenendo che l’infanzia è costituita da diversi stadi evolutivi, idea condivisa anche da Hunt, secondo il quale

Diachronically, the concept of childhood is extremely complex, and not well documented. In the past, there have been extreme versions of childhood, from the Romantic noble-savage child who is nearest to God, to the child seen as having been born evil as a result of original sin. When the mortality rate was high, and in strata of society where poverty snd subsistence were the norm (that is, until the eighteenth century), the view of childhood as a protected developmental stage was not possible. In medieval times, there was little concept of childhood; in Elizabethan times, little concept of different needs. The rise of the middle classes in the wake of the Industrial Revolution suggests that it is contrasts which define childhood. In essence, childhood is defined in terms of seriousness - hence the concept of “childishness”. Consequently, when considering the history of children’s books, it may be that the type of childhood from which they were intended - that is, the kind of childhood that they defined - varies considerably.3

Il concetto di bambino ci si presenta quindi in tutta la sua complessità e ci costringe, quando parliamo di libri per bambini, a fare delle grossolane generalizzazioni.

Come vedremo nelle sezioni successive, in origine i libri per bambini servivano per istruire questi ultimi alla religione, al comportamento e all’alfabetizzazione. Tuttavia, con il passare del tempo, ci si dovette arrendere al fatto che i piccoli lettori si opponevano a questo tipo di manipolazioni, per cui nel corso dei secoli il concetto di infanzia come spazio di libertà e protezione è andato sempre più riflettendosi in una letteratura tendente all’accentuazione dell’aspetto giocoso piuttosto che di quello didattico e moralistico.

In definitiva possiamo dunque affermare l’esistenza di due tipi di libri “per bambini”: quelli che oggi sono per bambini e quelli che invece lo erano un tempo, questi ultimi di particolare interesse, quindi, non per i giovani lettori cui erano destinati in origine ma per gli studiosi di letteratura. Questa distinzione, secondo la percezione comune, delinea una differenza di prestigio tra le due categorie, portando ad una suddivisione convenzionale tra quei libri che

Peter Hunt, Criticism, Theory, and Children’s Literature, Basil Blackwell Ltd, Oxford 3

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vengono effettivamente ritenuti degni di essere chiamati “letteratura” e quelli che invece non lo sono. Per questo motivo anche solo l’idea dell’esistenza di una letteratura per l’infanzia viene vista da molti come un paradosso: come può una mente così immatura come quella di un bambino apprezzare opere tali da poter essere contenute in un canone letterario?

Questo atteggiamento porta a due spiacevoli conseguenze: la prima è che ai libri per bambini non viene attribuito lo stesso prestigio di quelli per adulti; la seconda, che i giovani lettori vengono spinti verso tipologie di testi non pensati direttamente per loro. Quando si tratta di bambini, quindi, il termine “letteratura” deve essere avvicinato con molta cautela, coscienti del fatto che la letteratura per l’infanzia occupa un sistema totalmente differente da quello della letteratura per gli adulti.

Procediamo adesso delineando le varie tappe percorse dalla children’s

literature nel corso dei secoli a partire dal XVI, delineando di pari passo il profilo del bambino in essa rappresentato per meglio comprendere quanto la sua visione sia cambiata dalle prime apparizioni ad oggi.

1.1. Tardo Medioevo e prima età moderna

Si ritiene che la storia dell’editoria per l’infanzia in Inghilterra abbia avuto ufficialmente inizio — come vedremo più approfonditamente nei capitoli successivi — verso la metà del Settecento, momento in cui gli scrittori cominciano a pensare ai bambini come ad un potenziale pubblico di lettori da divertire oltre che istruire. Tuttavia, in un contesto che va al di là degli interessi commerciali delle case editrici, la children’s literature è sempre esistita, anche se sotto forma di filastrocche, testi a scopo didattico o fairy tales.

Si è spesso pensato al Medioevo come ad un periodo che prestava ben poca attenzione all’infanzia e ai bisogni dei piccoli lettori, forse a causa del fatto che i bambini venivano — nella maggior parte dei casi — connotati negativamente come esseri incompleti, che avrebbero raggiunto la loro piena realizzazione solo con il conseguimento della maggiore età. Tuttavia, non bisogna

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dimenticare che la loro immagine veniva spesso associata anche alle corti: si tratta infatti di un periodo in cui diversi re dell’Europa occidentale ascesero al trono durante l’infanzia, senza considerare il fatto che questi ambienti erano spesso frequentati da bambini appartenenti all’aristocrazia, mandati dalle famiglie a corte per completare la loro educazione.

Si iniziò quindi a sentire il bisogno di una letteratura didattica su misura per le esigenze di questo specifico gruppo sociale, composto da piccoli nobili che dovevano imparare ad adeguare il proprio comportamento alle occasioni ufficiali con lo scopo di divenire un modello di buone maniere: possiamo dunque affermare che l’obiettivo principale dell’editoria medievale nei confronti dei giovani lettori era quello di produrre una letteratura mirata alla loro educazione e alla loro crescita sociale.

Mentre i primi textbooks appaiono già nel VII secolo, bisognerà attendere l’XI per assistere alla comparsa delle Songs and Grammar Schools, scuole pubbliche collegate alle cattedrali, in cui l’educazione era finalizzata alla formazione di bambini obbedienti e devoti. Nelle fasce aristocratiche più alte e a corte, invece, l’educazione veniva solitamente impartita in ambito domestico, motivo per cui a questo pubblico d’eccellenza era riservata una particolare produzione di letteratura per l’infanzia: i babees books. Si tratta di manuali pratici di buone maniere rivolti a bambini o ragazzi di un gruppo sociale ben preciso, ed i primi manoscritti presenti in Inghilterra datano al XV secolo, nonostante testi ancora più antichi siano stati rinvenuti in altre zone come la Francia o la Normandia. Dato il basso tasso di alfabetizzazione a questa altezza storica, si suppone che i lettori cui erano rivolte queste opere fossero principalmente piccoli nobili o giovani destinati alla carriera ecclesiastica, richiedenti quindi un tipo di istruzione più elevato.

Aspetto potenzialmente interessante è il rapporto tra questi manuali e l’atto di lettura da parte dei bambini. Essendo i manoscritti molto costosi, fragili e di non facile reperimento, è pressoché impossibile che anche solo l’esistenza di una produzione letteraria destinata esclusivamente ai bambini venisse concepita da autori ed editori. Vi sono però generi letterari, come le favole esotiche o i romances, che sembrano indicare i bambini come lettori

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privilegiati, il che ci porta a pensare che la separazione tra educazione e intrattenimento per i piccoli lettori medievali non fosse poi così netta come si è soliti credere.

I babees books, nonostante il loro evidente intento pedagogico, non si occupano di indirizzare le letture del bambino. Solo uno di questi esorta i propri fruitori alla lettura della Bibbia o di altri testi religiosi: The Book of

Curtesye, dato alla stampa da William Caxton nel 1477. Il libro raccomanda ai lettori di dilettarsi nell’arte della musica, del canto e della danza, ma soprattutto propone un breve ma preciso elenco di scrittori consigliati — tra cui possiamo incontrare Chaucer, Hoccleve e Lydgate — che ci fornisce un primo canone di letteratura per l’infanzia e la prova dell’importanza attribuita all’educazione in Inghilterra alle porte dell’età moderna.

Come già accennato precedentemente, il processo di produzione e successiva diffusione dei manoscritti richiedeva tempo e risorse non indifferenti, ma un altro elemento essenziale da tenere in considerazione sta nel fatto che molti libri – soprattutto le narrazioni di intrattenimento – venivano letti ad alta voce in presenza di tutta la famiglia, soprattutto in contesti aristocratici. È quindi necessario distinguere tra due tipi di libri: quelli prettamente indirizzati ai bambini e quelli che si rivolgevano invece ad un pubblico più ampio, comprendente anche gli adulti. Alcuni racconti particolarmente complessi o con trame eccessivamente prolisse, per esempio, venivano all’occorrenza accorciati e semplificati in modo tale da renderli adatti ai più piccoli: tra questi troviamo le favole di Esopo, brevi racconti in versi con protagonisti animali incarnanti i vizi o le virtù umane, che nonostante attraggano i lettori di tutte le età, rimangono una forma che definisce la letteratura per l’infanzia. Queste narrazioni, infatti, si concentrano su momenti portanti della crescita del bambino – come l’educazione o il rapporto con l’autorità – offrendo una lista di esempi da seguire o da evitare attraverso un linguaggio semplice e flessibile, che meglio si adatta alle menti più immature.

Una simile linea fu seguita da un altro famoso genere di intrattenimento: i

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cortese con un frequente gusto per il comico ed il fantastico, affondando le proprie radici nella mitologia e nel folklore. Si tratta sempre di testi che potevano intrattenere anche gli adulti, ma che all’occorrenza potevano essere adattati alle esigenze dei piccoli lettori. Tuttavia, sarà necessario attendere fino alla fine del XVII secolo per ottenere un riconoscimento ufficiale dell’intrattenimento come elemento fondamentale dell’educazione del bambino.

Nonostante le tipologie di testo trattate finora fossero quindi orientate verso i lettori più giovani ma pensate anche per un pubblico maturo, si può riscontrare anche la presenza di generi rivolti prettamente ai bambini, come la ninna nanna (lullaby) ed il primer. La prima, esattamente come il suo surrogato moderno, consisteva spesso nella ripetizione di sillabe, talvolta anche prive di senso, mentre il secondo era un libro di preghiere utilizzato dai laici, appartenente esclusivamente alla lingua inglese.

Con il regno di Elisabetta I (1558-1603) l’istituzione di numerosissime scuole in Inghilterra determinò la diffusione di volumi scolastici, così che testi più specificamente pedagogici iniziarono a prendere piede a scapito dei manuali di comportamento come i babees books, che persero piano piano la loro importanza. Parallelamente a queste pubblicazioni – chiaramente destinate all’uso degli educatori – nacquero anche testi pensati appositamente per gli allievi, come catechismi, hornbooks, chapbooks e battledores. Mentre gli hornbooks, usati per l’educazione elementare, erano soliti includere alfabeto, numeri e altro materiale di base unito alle preghiere più conosciute, i

chapbooks erano invece opuscoli contenenti testi di letteratura popolare come

romances, ballate, filastrocche e racconti, e si sono rivelati di particolare interesse in quanto rappresentano il primo vero tentativo di individuare nei bambini un mercato di lettori specifico.

Tuttavia, si è ancora molto lontani, a questa altezza temporale, dalla concezione della letteratura per l’infanzia come forma di intrattenimento, o semplicemente come scrittura calibrata sulle esigenze dei piccoli lettori. Anche secondo Alessandra Petrina:

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Rimane il problema dei libri per l’infanzia: se i manuali discussi finora ci possono offrire un’idea dello sforzo pedagogico dell’età elisabettiana, non ci danno però indicazioni sui libri che i bambini amavano. Come nel caso del tardo Medioevo, analizzato precedentemente, è difficile parlare di una letteratura che sia pensata ad uso esclusivo dell’infanzia. D’altra parte, nel mare vasto e vario della letteratura del Rinascimento inglese, gli educatori spesso cercano questi testi che ritengono più adatti alla giovane età.4

1.2. La letteratura puritana

Alla fine del XVI secolo il termine “puritano” faceva riferimento a tutti coloro che si opponevano apertamente alla Chiesa anglicana, opposizione che nei primi decenni del secolo successivo assunse un carattere politico e che giunse al suo apice nel 1649 con l’esecuzione di re Carlo I Stuart e la Repubblica di Cromwell. Anche se la restaurazione della monarchia avvenuta undici anni dopo pose fine al governo puritano, alcune frange religiose rifiutarono l’obbligo alla conformazione del proprio credo, proclamandosi oppositori della Chiesa anglicana. È proprio da questi ambienti di dissidenza che nacquero i primi libri religiosi destinati ai bambini, i quali assunsero il compito, fino ad allora affidato a genitori, pastori e insegnanti, di educarli alla vita che li attendeva.

Come ci ricorda Peter Hunt, “One reason why the first histories of children’s literature often began in the 17th century is because by this time materials for children were being printed for public distribution rather than produced by hand for private use or extracted from writing for adults”. Fu 5 soprattutto la modernizzazione nel campo dell’editoria, quindi, a contribuire

Alessandra Petrina, “Prima della letteratura per l’infanzia: il tardo Medioevo e la prima età 4

moderna”, in Dall’ABC a Harry Potter - Storia della letteratura inglese per l’infanzia e la gioventù, Bononia University Press, Bologna 2011, pp. 51-52.

Kimberley Reynolds, Children’s Literature: A Very Short Introduction, Oxford University

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notevolmente alla diffusione su vasta scala di questi little godly books, testi studiati appositamente per indicare ai bambini la via della salvezza. Essi fondavano le proprie basi sulla convinzione che la corruzione del bambino fosse innata e sulla preoccupazione per la sorte di coloro che, nonostante la tenera età, erano ritenuti soggetti a rischio di cedimento al peccato e quindi destinati all’inferno. Ciò spinse molti autori a dedicarsi, attraverso le proprie opere, alla trasmissione di quei valori necessari per permettere ai bambini di intraprendere il cammino di conversione ritenuto necessario alla loro salvezza. Ma questo cammino doveva essere imboccato il prima possibile, poiché a causa dell’alto tasso di mortalità infantile presente a quel tempo, la morte avrebbe potuto sorprendere i piccoli peccatori in qualsiasi momento, gettandoli nelle braccia del demonio. I libri per bambini proponevano quindi, contrariamente a quelli cui siamo abituati oggi, un modello di vita da cui erano completamente esclusi concetti come la spensieratezza e il gioco, ma che invece puntava a ricordare continuamente ai bambini la corruzione tipica della loro natura umana e l’alta probabilità di una morte precoce, giocando sull’elemento del terrore nei confronti di questa eventualità. La letteratura puritana non è però così negativa come potrebbe apparire ad una prima occhiata, in quanto rivela un nuovo interesse nei confronti dei bambini già riscontrabile nelle loro stesse famiglie, le quali mostravano una particolare cura per i propri figli.

Secondo la dottrina calviniana, la vita del cristiano era solo un lungo cammino di conversione che necessitava, come punto di partenza, la presa di coscienza della propria innata corruzione e dell’inutilità di ogni sforzo per il conseguimento della salvezza. Nonostante ciò, anche se il processo di santificazione era esclusivamente ad opera di Dio, il cristiano era tenuto a fare la sua parte attraverso la pratica assidua delle virtù cristiane:

Lo scopo dei testi puritani per l’infanzia della seconda metà del Seicento è proprio quello di guidare i piccoli lettori nel cammino di santificazione: il cristiano adulto, che ha già compiuto parte di questo percorso, si mette al loro fianco, per guidarli lungo la strada, dura e angosciosa, che può condurli alla salvezza eterna. E lo fa adeguando ai bambini il proprio linguaggio, riferendosi alla loro vita quotidiana e alle loro esperienze,

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offrendo vari tipi di testi, come biografie esemplari, manuali di comportamento, libri di istruzione dottrinale e raccolte in versi. Furono gli autori puritani ad affermare per la prima volta il diritto dei bambini ad avere, in forma adeguata alla loro età, gli stessi strumenti di conversione di cui disponevano gli adulti. 6

Per venire incontro alle esigenze di quei bambini che non avevano avuto modo di ricevere un’istruzione adeguata, molti di questi autori inserirono nei propri testi pagine contenenti alfabeti, tavole sillabiche e semplici esercizi di lettura, affinché anche i più piccoli e meno agiati potessero avvicinarsi il prima possibile alle Sacre Scritture.

Gli autori di questi testi per l’infanzia erano perlopiù predicatori di umili origini e poco colti, che si rivolgevano ai lettori di ceto medio basso costituenti la forza della dissidenza. In questi anni, infatti, i dissidenti riponevano le loro speranze soprattutto nelle nuove generazioni, per cui la figura del bambino era ritenuta fondamentale ai fini dell’espansione del credo religioso. Si attribuiva grandissima importanza all’ascolto dei sermoni da parte dei bambini, mentre altri testi si presentavano come veri e propri manuali religiosi di comportamento che si concentravano sull’esortazione alla fuga dal peccato e all’adozione di una condotta il più possibile virtuosa. Il rapporto che si instaura nel testo tra autore e lettore è quindi molto particolare, fondato su esortazioni e ammonimenti, ma anche indicazioni di lettura del testo stesso e tentativi di allontanamento dei bambini pii da quelli che invece lo rifiutavano o lo leggevano senza coglierne il vero significato.

Morte, giudizio, inferno e paradiso erano i pilastri fondanti del testo, e l’opera di conversione nei confronti dei più piccoli prevedeva tappe ben precise. In primo luogo, si richiamava più volte l’attenzione alla realtà della mortalità infantile, ammonizione seguita dalla volontà di suscitare il timore del giudizio e del castigo eterno. Per trasmettere le profonde differenze tra paradiso e inferno e le conseguenze di un’eventuale vita ultraterrena trascorsa nel secondo, gli autori facevano riferimento alla dura vita quotidiana dei bambini, spesso caratterizzata da violenza, malattie, fame e freddo. Infine, per

Mariangela Mosca Bonsignore, “’Little godly books’: la letteratura puritana”, in Dall’ABC a 6

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quanto riguarda il giudizio finale, si sosteneva che i bambini buoni sarebbero stati divisi da quelli cattivi da una terribile sentenza, divisione già raccomandata — come abbiamo visto precedentemente — nella vita terrena.

Il compito di fornire ai bambini queste basi dottrinali era affidato ai catechismi, che i genitori dovevano trasmettere ai propri figli e che potevano essere diffusi come pubblicazioni autonome o all’interno dei già citati primers. Tra i testi puritani che ebbero più successo troviamo le biografie di bambini la cui vita esemplare era stata stroncata prematuramente dalla malattia, in cui la maggior parte dello spazio viene riservato alla narrazione delle sofferenze e della morte dei piccoli protagonisti. Ben presto nelle chiese riformate queste narrazioni di vite esemplari presero il posto delle tradizionali agiografie cattoliche, rivolgendosi ai coetanei dei protagonisti come destinatari speciali.

1.3. Tra Settecento e Ottocento: la prima editoria

È solo con l’inizio del XVIII secolo, e più precisamente a partire dagli anni ’30 del Settecento, che alcuni stampatori iniziarono a pubblicare libri per bambini con la precisa intenzione di fondere in essi lo scopo didattico con quello ludico, il secondo fino a questo momento assente nella letteratura per l’infanzia. Nonostante ciò, già nei decenni precedenti si poté assistere alla comparsa di qualche testo improntato a questo atteggiamento: ne è un esempio The Child’s Weeks-work di William Ronksley, che, con atteggiamento comprensivo nei confronti dei piccoli lettori, li esorta a scegliere solo quelle parti che li attraggono nel libro e a tralasciare invece quelle che non li interessano. 7

La nascita e lo sviluppo dell’editoria per l’infanzia in questo periodo sono una prova concreta dell’importante e vasto cambiamento culturale che si stava diffondendo in Occidente, stimolato anche dalle teorie esposte da John Locke in Some Thoughts Concerning Education (1693). In quest’opera, Locke dà

Ibidem., p. 75.

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precise indicazioni ai genitori dei bambini riguardanti la dieta, l’esercizio fisico e l’istruzione dei propri figli, al fine di favorirne una crescita sana sia nella mente che nel corpo:

I confess, there are some men’s constitutions of body and mind so vigorous, and well fram'd by nature, that they need not much assistance from others; but by the strength of their natural genius, they are from their cradles carried towards what is excellent; and by the privilege of their happy constitutions, are able to do wonders. But examples of this kind are but few; and I think I may say, that of all the men we meet with, nine parts of ten are what they are, good or evil, useful or not, by their education. ’Tis that which makes the great difference in mankind. The little, or almost insensible impressions on our tender infancies, have very important and lasting consequences. […] The consideration I shall have here of health, shall be, not what a physician ought to do with a sick and crazy child; but what the parents, without the help of physick, should do for the preservation and improvement of an healthy, or at least not sickly constitution in their children. 8

Ciò che risulta essere davvero interessante in queste parole è il fatto che Locke raccomandi metodi di disciplina più propensi all’incoraggiamento e alla ricompensa che alle punizioni. Per quanto riguarda l’istruzione, per esempio, difende la necessità di sfruttare l’innata propensione al gioco dei bambini, suggerendo metodi di insegnamento che tengano conto delle loro esigenze in base all’età, rendendo così quella dell’apprendimento un’attività gradevole quasi quanto lo svago.

Oltre all’importante opera del filosofo inglese, anche il graduale miglioramento dello stile di vita di gran parte della popolazione — favorito da uno straordinario sviluppo della produzione industriale, dal commercio interno e internazionale e dalla rete dei trasporti e dei consumi — contribuì notevolmente a questa nuova sensibilità nei confronti dei bambini. Non bisogna inoltre dimenticare che il più alto tasso di sopravvivenza infantile, dovuto alle migliori condizioni di vita e ai progressi della medicina, consentiva ai genitori di investire con più tranquillità una maggiore quantità di denaro nel

John Locke, “Some Thoughts Concerning Education”, The Federalist Papers Project, 12 8

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futuro dei loro figli, investimento che si riversava in primo luogo, appunto, nell’istruzione. È per questo motivo che sorsero in tutto il Paese numerose

academies, istituti in grado di fornire ai piccoli studenti un’educazione tale da favorirne il facile ingresso nella nuova società. In questo contesto, bambini e ragazzi iniziarono ad essere concepiti dagli editori come potenziali consumatori, divenendo così un nuovo importante target di mercato.

Tra i più importanti editori per l’infanzia di questo periodo troviamo Mary Cooper e soprattutto John Newbury, i quali diedero alla luce i primi pretty

little books, colonne portanti della letteratura inglese per l’infanzia, che sfruttavano la familiarità dei piccoli lettori con la letteratura popolare dei

chapbooks e le loro versioni semplificate e fantastiche delle opere per adulti. Come sottolineato anche da Peter Hunt:

Research following the discovery of Jane Johnson’s materials has established that commercial publishers were not inventing new ways of writing for children, but adapting practices that had existed in a variety of forms for centuries. It is now apparent that leading figures in the field - printer publishers such as John Newbery (1713-67), Mary Cooper (d. 1761), John Harris (1756-1846), and William Godwin (1756-1836) - were attempting to reproduce the association between homemade reading materials and a caring adult, usually a mother, reading to and teaching children, with a view to substituting their own printed versions of these materials for those made at home. 9

Questi volumi si distinguevano per essere molto economici e di facile reperimento, in quanto i ragazzi potevano acquistarli presso venditori ambulanti o addirittura tramite gli stampatori stessi, i quali cercavano di soddisfare i gusti dei giovani lettori pur rispettando le aspettative dei genitori in merito all’influsso positivo di questi testi sui propri figli a livello educativo. John Newbery fu il primo a considerare la produzione di questi libri come un vero e proprio settore editoriale degno dello stesso impegno e degli stessi investimenti economici di cui godevano i testi per adulti, concependo questi ultimi come i reali acquirenti delle proprie opere, specialmente se appartenenti alla classe media e medio bassa della società. Comprese che il segreto del

Kimberley Reynolds, Children’s Literature: A Very Short Introduction, cit., pp. 11-12. 9

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successo stava nel far capire ai genitori che l’acquisto di questi libri era indispensabile per la crescita dei loro bambini, perché solo attraverso la lettura sarebbero stati in grado di assimilare le conoscenze necessarie per poter progredire nella scala sociale.

Fu nel 1744 che Newbery pubblicò A Little Pretty Pocket-Book, da molti considerato il prototipo della moderna letteratura per l’infanzia. Il piccolo volume contiene nursery rhymes, favole in versi, pagine di insegnamento morale e diversi proverbi. Tuttavia, la parte più interessante riguarda i giochi dei bambini e consiste nell’inserimento di un’illustrazione ad accompagnare la quartina che descrive ognuno di essi, seguita da alcuni versi che aggiungono una breve morale a conclusione della sezione. Le illustrazioni che accompagnano il testo potrebbero apparire alquanto rozze agli occhi del lettore moderno, come conviene anche Peter Hunt:

Of course, as ideas about childhood change, understanding of what is suitable for children and what children will enjoy also changes, meaning that to modern eyes, it can be hard to understand the appeal of many of the materials that were popular in their day. However, there is considerable evidence to show that many books from this period, including those such as John Bunyan’s The Pilgrim’s Progress (1678) which were not written for children but repackaged for them, continued to be loved by young readers long after they first appeared. 10

Le figure dei bambini sono effettivamente molto rigide ed i loro volti inespressivi, ma al contrario della maggior parte delle illustrazioni di quel periodo, non sono riciclate da pubblicazioni precedenti e hanno la capacità di rendere più vivace la descrizione del gioco cui fanno riferimento. Inoltre, sia i bambini che le bambine sono vestiti con abiti da adulti in miniatura, a ribadire che lo scopo della lettura in questione è proprio quello di formare degli ottimi adulti futuri.

Molti di questi racconti sono caratterizzati dalla presenza di personaggi che, attraverso l’impegno nello studio e nel lavoro, riescono a superare le difficoltà tipiche della loro età, salendo così la scala sociale e dando un esempio ai

Ibidem., p. 14. 10

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bambini di come, con impegno e dedizione, sia possibile migliorarsi e raggiungere i risultati sperati.

In ultima analisi, possiamo affermare che il successo di queste pubblicazioni stava nella loro capacità di riflettere perfettamente lo spirito del tempo, caratterizzato dall’ottimismo e dalla fiducia che nel mondo moderno chiunque, con la giusta preparazione, sarebbe stato in grado di migliorare la propria condizione sociale. I testi di Newbery furono, in questo senso, un efficiente veicolo dell’ideologia borghese dominante, offrendo ai bambini delle classi medie letture che esaltavano proprio quei valori che avevano permesso ai loro genitori di divenire il motore del grande sviluppo economico del secolo.

Facciamo adesso un salto verso gli ultimi due decenni del Settecento, in cui lo scopo della maggior parte degli autori per l’infanzia consisteva nell’offrire un tipo di narrativa realistica che, attraverso la presentazione di determinati comportamenti infantili positivi e negativi, fornisse esempi di comportamento da seguire o evitare, contenendo in sé una chiara lezione morale per i bambini. I protagonisti di questi racconti incarnano infatti una sorta di “tavolozza” delle più comuni virtù e trasgressioni infantili, allo scopo di spingere i piccoli lettori ad adattare la propria condotta alle regole di comportamento proprie degli adulti e di trasmettere loro i valori più importanti della società, come laboriosità, sobrietà e rispetto nei confronti delle persone più sfortunate e degli animali:

to show the consequences of sin, the plots of such works had first to feature vice and villainy, while to inspire charity, writers told pitiful tales of woeful child victims and virtuous mothers worn to death by the hardship of poverty. By the end of the 19th century, publishing for children spanned everything from these evangelical tearjerkers through fantasy, fairy tales, nonsense, and an array of genres including adventure, animal, and school stories. 11

Tra i moral tales che ebbero più successo negli ultimi decenni del secolo incontriamo soprattutto i racconti che hanno come protagonisti delle vicende narrate oggetti animati o animali antropomorfizzati, che raccontano la propria

Ibidem., p. 16. 11

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storia in prima persona fornendo allo stesso tempo un’occasione per commentare e valutare diverse tipologie di comportamento umano. Tra gli oggetti-narratori più famosi incontriamo lo spillo di The History of a Pin, as

Related by Itself, pubblicato — senza sapere chi ne fosse l’autore — da Elizabeth Newbery nel 1798. Lo spillo, oltre a raccontare le proprie avventure, non smette mai di ricordare ai suoi piccoli lettori l’importanza che risiede nell’istruzione, nell’altruismo, nelle buone maniere e nell’obbedienza nei confronti dei più grandi.

Per quanto riguarda invece la seconda categoria di racconti — quelli che hanno come protagonisti animali — uno dei più noti è The Adventures and

Perambulations of a Mouse di Dorothy Kilner, titolo dal quale si evince immediatamente che il ruolo di protagonista questa volta va a un topolino. In questo caso abbiamo a che fare con una narrazione di secondo livello, ossia una “narrazione nella narrazione”: mentre il narratore umano siede al suo tavolo, titubando sul fatto di raccontare o meno la propria storia, ad un tratto sente squittire un topolino, il quale si propone a sua volta come narratore della propria di storia. Tuttavia, nel corso della narrazione, l’autrice inserisce numerose puntualizzazioni riguardanti la funzionalità di ciò che sta proponendo ai propri lettori, mostrando un evidente timore di essersi avvicinata troppo al confine che separa la letteratura realistica da quella fantastica. Molti autori del tempo condividevano con la Kilner la medesima ansia nei confronti di questo genere, molto diffuso tra i giovani ma visto dai pilastri della letteratura per l’infanzia con ostilità, in quanto si riteneva che fosse espressione della cultura delle classi subalterne e soprattutto parte della concorrenza editoriale.

Ciò che più ci interessa, comunque, è la chiarezza dell’intento morale ed educativo di questi racconti: durante il loro percorso, i protagonisti entrano in contatto con persone —- sia adulti che bambini — appartenenti ad ogni classe sociale, di cui vengono sia esaltati i comportamenti virtuosi sia discriminate le condotte riprovevoli, delle quali si mostrano le tristi conseguenze come deterrente. Ciò che si vuole insegnare ai bambini tramite l’adozione del punto di vista di questi particolari narratori consiste nel considerare con altri occhi le

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sofferenze che gli uomini provocano agli animali, convinti che questi non siano in grado di provare sentimenti o sentire dolore.

Nel corso dell’ultimo decennio del Settecento un altro tema molto importante che accomuna i moral tales è quello dell’accettazione del proprio status: in seguito allo scoppio della Rivoluzione francese e ai numerosi conflitti che essa portò con sé, i disordini erano all’ordine del giorno e le preoccupazioni per l’ordine e la stabilità sociale divennero sempre più intense. Per questo motivo le storie esemplari di piccoli eroi che, in passato, presentavano l’ascesa sociale come la dovuta ricompensa alle fatiche dei protagonisti, lasciarono il posto a racconti che preferivano trattare con cautela la possibilità di un miglioramento della propria condizione, consigliando ai bambini di accontentarsi piuttosto di ciò che già possiedono, riconoscendo come legittima e immutabile la gerarchia esistente.

Anche la pubblicazione di testi religiosi per l’infanzia vide un notevole aumento in questo stesso periodo, grazie soprattutto al diffondersi del movimento evangelico e delle Sunday Schools, che condizionarono profondamente la vita quotidiana delle famiglie meno abbienti e l’educazione dei loro figli. Eredi della severa moralità puritana, gli evangelici sostenevano la necessità della conversione e la consapevolezza dell’innata corruzione dell’uomo, oltre a proporre come principale strumento di salvezza un’attenta lettura della Bibbia e delle Sacre Scritture. Le prime scuole sorsero con il preciso scopo di fornire anche ai bambini più disagiati una prima alfabetizzazione, in modo da permettere loro di entrare in contatto con i testi religiosi, ma con il passare del tempo l’esigenza di dotare questi bambini di letture adatte alla loro condizione si fece talmente impellente da dare vita ai cosiddetti Cheap Repository Tracts, opuscoli contenenti semplici racconti ad un prezzo estremamente vantaggioso ed accessibile a tutti, come suggerito dal titolo stesso. In seguito, nei primi decenni del XIX secolo ebbero grande successo anche i periodici di ispirazione religiosa destinati specificamente ai ragazzi; tuttavia, negli anni successivi, nella maggior parte di questi periodici si

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tese a riservare maggiore spazio ai contenuti didattici e scientifici a scapito di quelli religiosi, che finirono per essere ridotti al minimo.

Addentrandoci nel cuore dell’epoca vittoriana (1839-1901), ci accorgiamo di come questo periodo sia stato spesso descritto in termini di compromesso tra realismo e ideologia, tra la ricchezza delle classi più alte e l’estrema povertà di quella operaia. La prima opera che veramente pone l’attenzione con occhio critico sulle condizioni dei piccoli operai nell’industria tessile — offrendoci un’ampia panoramica sia sulle leggi riguardanti lo sfruttamento infantile nel particolare, sia sulla working class costretta a lavori sovrumani più in generale — è The Life and Adventures of Michael Armstrong, the Factory Boy (1840). Nonostante la storia sia narrata in prima persona dal piccolo protagonista che ne fa esperienza — o forse proprio per questo motivo — al lettore non viene risparmiato alcun dettaglio riguardante le penose condizioni dei bambini costretti a lavorare nelle fabbriche, condizioni che nella maggior parte dei casi venivano occultate o presentate come una benedizione a beneficio delle classi più povere che, in questo modo, avevano la possibilità di incrementare le ben misere entrate di cui godevano grazie alle braccia dei propri figli.

Perché quindi fornire questo eccesso di dettagli forti e scomodi per l’immagine del Paese? Molti narratori di questo periodo erano convinti che i bambini ricchi, dotati di un’istruzione e capaci di leggere, avessero l’obbligo morale di conoscere le condizioni dei coetanei meno fortunati, e soprattutto quello di adoperarsi affinché questa situazione migliorasse.

Al tempo stesso, però, a questo scenario pieno di tristezza e desolazione si mescola quello rinascimentale della Golden Age of Children’s Books, che trasporta i fortunati lettori in grado di attingervi nel magico mondo della fantasia e della fuga dalla realtà. Fantasia e realismo sociale sono quindi due facce opposte della stessa medaglia, quella del compromesso vittoriano, che trova nel bambino un nuovo destinatario ideale per i propri fini commerciali.

Per poter cogliere in tutte le sue sfaccettature questo concetto dobbiamo concentrarci sullo scenario della metropoli, luogo in cui la povertà assume le

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sue forme più oscure, ma dove si può trovare sempre un’anima pia pronta a soccorrere i più bisognosi, grazie ai valori della famiglia e della religione.

Anche uno dei più grandi scrittori vittoriani, Charles Dickens, mostra come la Londra dei quartieri alti e quella dei vicoli più malfamati non siano in realtà poi così diametralmente opposte: orfani, vagabondi e ladruncoli sono i mediatori inconsapevoli di questi due mondi apparentemente paralleli. Nonostante i più grandi romanzi di Dickens affrontino temi che vanno ben oltre — sia per il loro contenuto che per il linguaggio — le capacità di un pubblico infantile, questi testi hanno finito con il diventare dei classici della

children’s literature: David Copperfield, Hard Times, Nicholas Nickleby, tutti romanzi in cui l’autore mira a denunciare le manipolazioni cui erano normalmente sottoposti i bambini, condotti alla rovina fin da piccolissimi. In questo contesto, come abbiamo già accennato, sono i ricchi ad avere l’obbligo di venire incontro ai poveri cercando di appianarne le difficoltà, e ciò è dimostrato anche dalla pratica filantropica tipica della middle-class di fare una visita settimanale alle persone meno fortunate.

Il XIX secolo vede inoltre la nascita di un altro genere fondamentale per la

children’s literature, quello della fiaba d’autore. Oggigiorno il termine viene usato in modo molto impreciso e generico, tuttavia sembra che i suoi elementi caratteristici, che lo contraddistinguono da altri generi, siano quello della presenza del meraviglioso in tutte le sue possibili sfaccettature ed il destinatario cui si rivolge, appunto il bambino. L’importanza che risiede nella fiaba sta nel fatto che essa è, probabilmente, il primo genere letterario con cui il bambino entra in contatto, ancor prima di acquisire le capacità di lettura e scrittura: sono infatti queste, nella maggior parte dei casi, le storie che i genitori raccontano ai propri figli la sera per addormentarli, oppure in presenza di tutta la famiglia riunita davanti al focolare in inverno.

Ma nonostante l’associazione tra bambini e fiabe sia ormai data per scontata, è importante ricordare che il genere, almeno inizialmente, non è nato con lo scopo di intrattenere i più piccoli: per secoli la fiaba popolare è stata una forma di intrattenimento per adulti, come dimostra la prima edizione dei

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racconti dei famosissimi fratelli Grimm, che con i loro contenuti estremamente macabri e violenti non potevano certo essere rivolti ad un pubblico infantile.

È comunque impossibile risalire ad una versione originale della fiaba, che nasce molto prima dell’avvento della scrittura ed è legata a un’antichissima tradizione di miti e leggende popolari, un tempo tramandate solo oralmente. Sarà con l’avvento della stampa che il genere inizierà ad adattarsi alle esigenze di un mondo adesso — almeno in parte — alfabetizzato e che sempre di più sembra sentire il bisogno di mettere su carta il proprio presente, così come il passato con le sue tradizioni. Così, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, la fiaba raggiunge l’apice con la pubblicazione di raccolte che ricevono sempre più consensi dal pubblico, composto da grandi e piccini. La già citata raccolta dei Grimm, in particolare, ebbe un enorme impatto sullo sviluppo della fiaba in Inghilterra, soprattutto grazie alla sua capacità di fondere in una sinergia perfetta il racconto orale, caro alle vecchie generazioni, con l’invenzione, più accattivante agli occhi delle nuove. Ma fu probabilmente solo grazie all’enorme successo della traduzione inglese del 1823 di Edgar Taylor, German Popular

Stories, a suggerire ai fratelli più famosi della children’s literature di creare una speciale edizione ridotta appositamente per loro. Certo, chiamare semplicemente “traduzione” l’operazione effettuata da Taylor non è del tutto esatto, in quanto l’autore non si è limitato a riportare parola per parola, nella propria lingua, il testo di queste fiabe, ma le ha adattate in modo tale che potessero essere “a prova di bambino”, eliminando cioè tutti quei passi che facevano riferimento alla religione o al diavolo, oppure i particolari più cruenti delle versioni originali, riservati solo agli adulti.

Come fece Taylor a suo tempo, ogni epoca seleziona il repertorio più adatto al tipo di lettore che la abita; così, delle oltre 200 fiabe scritte dai fratelli Grimm solo una piccola parte continua ancora oggi a circolare nelle nostre librerie. Questo perché la pedagogia pensata in origine dai due autori, fondata sulla paura come deterrente e sulla descrizione delle crude punizioni destinate a coloro che infrangevano le regole, non è più adatta alla cultura contemporanea, che ha semmai bisogno per i propri figli di modelli positivi cui

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ispirarsi. Si sta infatti affermando sempre di più un modello di famiglia in grado di investire sia emotivamente che economicamente nell’educazione dei bambini, in un mondo che ha ormai acquisito la nozione di infanzia come periodo separato e privilegiato rispetto all’età adulta. Anche se dovremo aspettare la metà dell’Ottocento per assistere ad una completa affermazione della fiaba letteraria in Inghilterra, la sua diffusione è immediata e rivolge le proprie critiche alla società borghese e alla sua paralisi di fronte alla grave problematica che aveva afflitto tutto il secolo: la degradazione morale e ambientale provocata dalla rapida industrializzazione.

Facendo un passo indietro al secolo precedente, ci accorgiamo di come inizialmente l’atteggiamento comune nei confronti del genere della fiaba fosse quello della diffidenza, stimolata soprattutto dal pensiero di Locke, che in

Some Thoughts Concerning Education considerava le fiabe come veicolo di irrazionalità, pur sostenendo – come abbiamo già visto precedentemente – che la componente del divertimento e dello svago fosse comunque molto importante per la sana crescita del bambino. È solo con gli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento che gli ideali romantici della fantasia, grazie soprattutto all’opera di autori come Wordsworth e Coleridge, riescono ad abbattere le barriere dell’ideologia razionalista e della religione. Assistiamo quindi in questo periodo ad una vera e propria rinascita della fiaba popolare in Inghilterra, e con essa alla centralità del ruolo infantile nella letteratura e una sempre maggiore sensibilità nei confronti delle questioni del lavoro e dello sfruttamento minorile.

Nel pieno dell’età vittoriana — tradizionalmente considerata la Golden Age della children’s literature — la fiaba è ormai stata completamente riabilitata, e avvicinandoci al XX secolo vediamo come, anche nel mercato letterario, si stia affermando sempre di più una nuova visione del bambino e dell’infanzia:

Per certi versi il periodo vittoriano tende a idealizzare e talvolta persino ad angelicare i bambini protagonisti dei romanzi sui quali viene inevitabilmente proiettata una costruzione adulta di infanzia innocente, spensierata e asessuata, basata sulla rivisitazione nostalgica e selettiva di

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un’età dell’oro, spazio dell’utopia, che fatica a conciliarsi con la realtà. Tuttavia, questa concezione idealizzata dell’infanzia e della famiglia convive con delle immagini di infanzia trasgressive e dirompenti: basti pensare alla satira feroce della amorevole maternità vittoriana nel sesto capitolo di Alice in Wonderland (1865) dove l’isterica Duchessa, scuotendo un neonato innervosito e urlante, grida le sue inquietanti teorie pedagogiche”. 12

Queste opere mettono nuovamente l’accento sulla destinazione ideale di questi testi per l’infanzia, mostrando come la maggior parte delle fiabe, presentando diversi livelli di lettura, abbiano in realtà un doppio destinatario: da una parte il pubblico adulto, cui si rivolgono discorsi di un certo spessore; dall’altra quello infantile, attratto invece dai personaggi tipici della tradizione folklorica inglese come fate, folletti, gnomi e draghi.

1.4. Il Novecento: un’età di cambiamento

A partire dall’Ottocento, e soprattutto a cavallo tra XIX e XX secolo, la

children’s literature riflette spesso sul tema del tempo e sui paradossi che esso comporta. Il Peter Pan di J.M. Barrie, in questo senso, è emblematico: in quest’opera il bambino vorrebbe — e riesce a — non crescere mai, sia in senso mentale che fisico, rifugiandosi su una Neverland in cui il tempo è magicamente fermo e a regnare è l’eterna giovinezza.

Più specificamente, è la narrativa fantasy a popolarsi di personaggi che si trovano intrappolati in una sorta di tempo secondario, cui accedono tramite un espediente magico, sia esso il superamento di una soglia fisica o l’uso della semplice forza dell’immaginazione. A questa particolare categoria è stato attribuito l’appellativo di time fantasy, e ciò che più la caratterizza è il fatto che l’aspetto magico consiste non tanto nel tempo secondario in sé, quanto nel collegamento che si instaura tra i due mondi — quello reale e quello fittizio — e nella natura sovrannaturale del viaggio che permette il passaggio tra di essi.

Laura Tosi, “Mondi incantati e critica sociale: la fiaba dell’Ottocento”, in Dall’ABC a 12

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La peculiarità di questo strano percorso viene solitamente accettata dai piccoli protagonisti senza particolare sforzo, ragione per cui questo sottogenere è spesso avvicinato alla corrente del realismo magico. Questa etichetta fu utilizzata per la prima volta dal critico tedesco Franz Roh per descrivere l'insolito realismo, tipico dei pittori appartenenti alla corrente classica della Nuova oggettività, caratterizzato da una resa dei dettagli tanto minuziosa da risultare straniante.

Il tema del viaggio nel tempo raramente viene utilizzato nella letteratura per adulti, in quanto il suo scopo primario è di natura pedagogica e consiste nel far sperimentare ai personaggi — e attraverso di essi ai giovani lettori — alcune delle vicende storiche più significative del passato, con il fine di trasmettere loro gli insegnamenti che esse portano con sé. Il concetto stesso di viaggio nel tempo comporta ovviamente numerosi problemi per quanto riguarda la questione della verosimiglianza, posta per la prima volta da H.G. Wells nel 1895, con il suo The Time Machine.

Lo scrittore inglese esercitò un influsso estremamente importante su Edith Nesbit (1858-1924), i cui viaggi nel tempo ci permettono di entrare in piena età edoardiana (1901-1910), caratterizzata da una maggiore partecipazione della middle-class alle questioni sociali più importanti, ma anche dal netto divario tra classi alte e basse, così palese da spingere queste ultime alla denuncia delle proprie condizioni.

Ciò che più ci colpisce della Nesbit è il fatto che la critica sociale promossa attraverso le sue opere si applichi anche e soprattutto alla condizione dei bambini:

Una delle caratteristiche del periodo è la diminuzione dei figli per famiglia, con conseguente aumento di investimento emotivo ed economico da parte dei genitori nei confronti della prole - si sottolinea spesso l’idealizzazione edoardiana dell’infanzia come “the best of all possible words”. Tuttavia, le condizioni dei bambini della working class erano ancora estremamente precarie. In The Story of the Amulet, i bambini viaggiatori riescono a mandare nel passato Imogen, una bambina poverissima di otto anni rimasta orfana che sta per essere spedita nella work house. Nel presente, come osserva lo Psammead, nessuno vuole i bambini […] Nei vari viaggi nel tempo (dove visitano l’antico Egitto, Babilonia, Atlantide, un accampamento romano in Gallia,

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un nave fenicia), i bambini londinesi si rendono conto che le civiltà passate si prendono cura dei bambini molto meglio di quanto accade nel presente. 13

Durante la prima metà del XX secolo, una visione molto particolare di infanzia domina le trame dei testi appartenenti alla children’s literature: i giovani personaggi — e anche i lettori impliciti — sono nella maggior parte dei casi pre-adolescenti bianchi provenienti dalla middle class di stampo patriarcale, piccoli bambini-prodigio capaci di fare qualsiasi cosa alla perfezione senza la minima supervisione da parte dei genitori, i quali sembrano non essere affatto interessati ad imporre la propria autorità ai figli. Da qui il senso di nostalgia nei confronti dell’infanzia passata che domina molte delle opere scritte tra il 1900 ed il 1950.

Facendo un piccolo passo indietro, vediamo come romanzi e racconti d’avventura — molto gettonati anche dai piccoli lettori contemporanei — costituiscano uno dei generi principali della letteratura per l’infanzia nell’Ottocento. Nonostante nasca da impulsi principalmente commerciali e si evolva radicalmente nel corso del tempo, il romanzo d’avventura vede la presenza di alcuni grandi classici rivolti in origine a bambini e ragazzi, ma entrati successivamente a far parte anche del canone per adulti.

La nascita del genere si fa solitamente coincidere con quella della pubblicazione di Robinson Crusoe (1719), prima importante avventura esotica della letteratura inglese. Seguono poi a ruota anche la Alice in

Wonderland (1865) di Lewis Carroll e il Peter Pan (1904) di James Matthew Barrie, che con il capolavoro di Defoe condividono il grande paradosso di tutta la narrativa d’avventura: il richiamo del viaggio, della scoperta e della fuga dal contesto familiare, ma allo stesso tempo anche la nostalgia per l’ambiente domestico.

Successivamente, nel corso del XIX secolo, la pubblicazione dei grandi classici fu affiancata da quella di centinaia di libriccini ad un prezzo stracciato

Laura Tosi, Elena Paruolo, “’Time is a very confusing thing’: la time fantasy”, in Dall’ABC 13

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— in linea con la qualità delle opere — chiamati anche penny dreadfuls: volumetti di otto pagine dalle copertine spettacolari atte ad attrarre il maggior numero possibile di lettori, un formato che riprende un po’ quello dei vecchi

chapbooks. I dreadfuls raggiungono il loro picco di popolarità negli anni Settanta dell’Ottocento, mescolando cronaca reale e avvenimenti fantastici o gotici e aggiungendo, come ulteriore motivo di attrazione per i giovani lettori, dettagliate descrizioni di bellissime fanciulle indifese, che riuscivano a stuzzicare le loro prime curiosità sessuali provocando allo stesso tempo la profonda indignazione della classe media vittoriana. Come ci fa notare anche Alessandra Petrina,

Si vede quindi in questo caso come la letteratura per l’infanzia, soprattutto nella sua variante più commerciale, si trovasse a fare i conti con fasce d’età ben definite, e cominciasse a distinguere i propri lettori tra bambini e ragazzi, maschi e femmine. […] il romanzo d’avventura è in parte letteratura per l’infanzia. Facendo appello a un desiderio di sensazionalismo condiviso dai lettori adulti, questa narrativa si affermò nella seconda metà del diciannovesimo secolo sia in una versione per i più giovani che in libri pensati per un pubblico adulto.14

Inoltre, i romanzi d’avventura individuano più nello specifico anche i propri lettori, connotandosi come letteratura prettamente maschile, nonostante anche le ragazze, ignorando ciò che veniva loro consigliato di leggere, si avvicinassero a queste opere con molto interesse. Mentre i protagonisti maschili vengono esaltati per la loro forza, per il coraggio e per la virilità, i personaggi femminili vengono idealizzati in maniera diametralmente opposta, per la loro dolcezza, delicatezza e per la consapevolezza della propria inferiorità fisica ed intellettuale rispetto all’uomo. Con il passare del tempo, il romanzo d’avventura si fa portavoce di una funzione sempre più didascalica, a causa della richiesta da parte del pubblico di una letteratura per l’infanzia che non si limitasse alla semplice alfabetizzazione dei piccoli lettori che ne usufruivano, ma che potesse accompagnarli lungo l’intero processo di crescita come buoni cittadini e cristiani.

Alessandra Petrina, “Isole misteriose e giardini segreti: il romanzo d’avventura”, in 14

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Colui che per primo ha saputo avvicinarsi in maniera coinvolgente al delicato tema delle terre colonizzate dall’impero è stato Rudyard Kipling, autore del famosissimo The Jungle Book e di Kim, che pare riuscire a risolvere il paradosso tipico del romanzo di avventura attraverso una fusione tra impulso di fuga e nostalgia della propria terra.

L’altro grande classico di cui abbiamo accennato all’inizio di questa sezione e che si afferma con tutta la sua forza proprio in questo periodo è Peter Pan, nato da una serie di racconti di James Matthew Barrie ambientati nei giardini londinesi di Kensington. Il personaggio di Peter apparve per la prima volta in

The Little White Bird, romanzo scritto da Barrie nel 1902 e rivolto principalmente ad un pubblico adulto. In seguito al largo successo dell'opera, gli editori vi effettuarono alcune modifiche per ripubblicarla nel 1906 sotto il titolo Peter Pan in Kensington Gardens, con l'aggiunta delle illustrazioni di Arthur Rackham. L'avventura più nota del personaggio debuttò il 27 dicembre 1904, nello spettacolo teatrale Peter Pan, or The Boy Who Wouldn't Grow

Up, storia che fu poi adattata, ingrandita e trasformata da Barrie in un romanzo pubblicato nel 1911 sotto il titolo Peter and Wendy, che nell’edizione successiva diverrà Peter Pan and Wendy e infine semplicemente Peter Pan.

Da allora il personaggio è apparso in moltissime opere — in particolare cinematografiche — a partire dal film Peter Pan del 1924, al celeberrimo film animato di Walt Disney del 1953, alle varie trasposizioni successive del romanzo e a quelle a esso ispirate.

Nonostante la storia rispetti lo schema tradizionale dei racconti d’avventura, essa propone però una grande novità rispetto ai suoi predecessori, ossia il fatto che la Neverland sia un mero prodotto dei sogni dei piccoli protagonisti appartenenti alla famiglia Darling e che non abbia alcun riscontro concreto nella vita reale. L’esplorazione proposta da quest’opera è infatti del tutto simbolica e corrisponde più ad una ricerca del sé che a quella di qualcosa di materiale:

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possiamo leggere questo dramma come una serie contraddittoria di desideri mai realizzati: i bambini sono sfuggiti al mondo degli adulti ma desiderano che Wendy diventi la loro mamma; Peter sconfigge Hook, ma diventa impercettibilmente come lui. Se il romanzo d’avventura classico nasceva per fornire ai lettori vicende estreme che li eccitavano senza costringerli a vivere nella realtà, Barrie esplora questo paradosso spostandolo sugli stessi personaggi della sua opera.15

In seguito alla rivoluzione effettuata da Barrie, il romanzo d’avventura subisce una svolta radicale, quando gli scrittori di letteratura per l’infanzia si arrendono all’impossibilità di racchiudere il genere all’interno di confini realistici, affidandolo così a quello fantasy.

Un altro tipo di romanzo che si afferma con pieni consensi nella prima metà del XX secolo è quello della school story, ma per comprendere meglio in cosa esso consista è necessario prima contestualizzarlo attraverso una descrizione dell’ambiente in cui si inserisce: la public school. Ad un primo impatto il nome potrebbe trarre il lettore in inganno, in quanto le public

schools inglesi non sono scuole pubbliche, bensì scuole private o di gestione autonoma da parte dello Stato. Tutti i fan della famosa saga di J.K. Rowling troveranno familiare la descrizione di questo luogo: la scuola offre ai propri studenti la possibilità di vivere all’interno delle sue mura per la maggior parte dell’anno, il senso della gerarchia tra studenti è molto forte e spesso a quelli più grandi è affidata una parte del controllo disciplinare dei più giovani. Si tratta di un’istituzione esclusiva che solo pochi bambini possono permettersi, in quanto il pagamento della retta prevede una notevole somma di denaro, oltre a requisiti di merito altrettanto alti. La public school costituisce quindi un importante rito di passaggio concesso solo a pochi eletti, un luogo in cui i bambini ricevono un’educazione a tutto tondo, dal vivere civile allo sport e alla cultura.

Per molto tempo la school story è stata identificata con le public schools, anche se paradossalmente il pubblico che nel tempo si è rivelato maggiormente attratto da questo genere è composto da tutti quei bambini che,

Ibidem., p. 255. 15

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per insufficienza di requisiti economici o di merito, non potevano permettersi di frequentare un ambiente così esclusivo. O forse non dovremmo definire questo fenomeno un paradosso ma una conseguenza logica, in quanto è proprio l’impossibilità di vivere tale esperienza nella vita reale che ha reso le

public schools un luogo mitico e irraggiungibile per tutti coloro che potevano guardarla solo dall’esterno.

Pare che la school story, che fa la sua prima comparsa nell’Inghilterra vittoriana, debba la sua fama a tre fattori principali:

la scoperta dell’adolescenza come fase essenziale dello sviluppo dell’individuo; l’incremento della produzione di massa del libro, con la conseguente riduzione dei costi; e il Foster Education Act (1870) che aprì la strada all’istruzione obbligatoria e gratuita in Gran Bretagna, rendendo il modello della public school più comprensibile, anche se sempre lontano dall’esperienza comune. Nel momento in cui l’educazione scolare diventa un’esperienza generalizzata, la school story si specializzò nella rappresentazione di un sistema scolastico per pochi. La letteratura per l’infanzia costituisce uno dei modi in cui la società presenta modelli di riferimento ai suoi membri; la school story, nella sua forma classica, ha presentato un modello di società elitario, basato su inespugnabili barriere di classe. 16

Anche nella school story, come nei romanzi d’avventura, troviamo insito un paradosso: poiché al fine di garantire un corretto funzionamento della scuola si richiede che i bambini obbediscano a regole ben precise, la loro istruzione dovrebbe avere lo scopo di favorire lo sviluppo individuale. Tuttavia spesso vediamo come, in queste scuole romanzesche, lo scopo non sia quello di trasformare gli studenti in adulti unici e completi, bensì di renderli buoni cittadini cristiani. Prova della presenza di questo paradosso è riscontrabile anche nel linguaggio adottato dai personaggi che popolano i racconti: il fatto che i bambini siano attratti da un linguaggio sovversivo e scurrile è dovuto all’incoraggiamento da parte degli insegnanti a interagire il meno possibile con gli adulti per un lungo periodo di tempo, il che porta alla creazione di una sorta di gergo che i bambini usano solo tra di loro per comunicare e per dimostrare una sorta di solidarietà reciproca. Nonostante ciò, a causa degli

Alessandra Petrina, “Collegi per l’impero, governanti magiche: la school story”, in 16

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intenti educativi che le sono richiesti, la school story non può tollerare tali oscenità, per cui quello che si può leggere nelle pagine di questi romanzi è semplicemente un linguaggio artificiale, che dovrebbe rappresentare quello adottato realmente dai bambini, ma che in realtà non oltrepassa mai i limiti della decenza.

Il valore dell’amicizia viene invece sottolineato e connotato positivamente in ognuna di queste opere, al centro delle quali si trova quasi sempre un bambino accompagnato da uno o due amici che costituiscono la sua forza nei momenti più avversi.

Parallelamente al fenomeno delle public schools, nel corso dell’Ottocento vediamo diffondersi a macchia d’olio in tutta l’Inghilterra anche quello delle governanti. Donne giovani e single, con una notevole istruzione alle spalle e appartenenti alla middle-class, le governanti sono sempre più richieste nelle famiglie, arricchitesi nel corso delle generazioni, che desiderano ottenere per i propri figli un’educazione aristocratica d’eccellenza. Non dobbiamo inoltre dimenticare che inizialmente e per molto tempo l’accesso alle public schools e alle università era consentito solo ai maschi, per cui le ragazze i cui genitori potevano permetterselo dovevano essere educate a casa da un’apposita governante fino all’età da matrimonio. In ogni caso, quello delle governanti è un fenomeno estremamente elitario, per cui le opere appartenenti alla letteratura per l’infanzia che vedono come protagoniste proprio questi personaggi sono abbastanza rare, cosa che non accade nella letteratura per adulti, in cui al contrario si trova una notevole produzione romanzesca sull’argomento.

Tutti però conosciamo la governante letteraria più famosa del mondo, la

Mary Poppins di P.L. Travers, protagonista del romanzo omonimo pubblicato nel 1934 e idolo di diverse generazioni di bambini anche grazie alla trasposizione cinematografica realizzata esattamente trent’anni dopo l’uscita del romanzo. I bambini di cui Mary Poppins si prende cura non fanno fatica ad abituarsi alle stranezze di questa buffa ma allo stesso tempo autoritaria figura, che attraverso i suoi poteri magici permette loro di passare dalla

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