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Academic year: 2021

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Capitolo 7

I

MPLICAZIONI SULL

INTERPRETAZIONE DELL

EVENTO DI

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AGO

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ARE

Sono trascorsi più di trent’anni dall’ormai famoso Leg 13 del DSDP che riportò in superficie dalle profondità del bacino balearico rocce evaporitiche di età messiniana, scalfendo il tetto di un’unità sismostratigrafica presente in modo diffuso nelle successioni sedimentarie dei bacini più profondi del Mediterraneo (Hsü et al., 1973). Questo ritrovamento fornì l’elemento chiave per la formulazione di ipotesi unificanti riguardo i grandi eventi paleoambientali che alla fine del Miocene avevano disseminato i bacini dell’area mediterranea di evaporiti (Hsü et al., 1973), ben note da tempo nelle successioni affioranti in Spagna, in Grecia, lungo la catena appenninica e in Sicilia. Dopo un periodo di acceso dibattito agli inizi degli anni ’70, il modello del disseccamento di un bacino profondo proposto dallo staff scientifico che aveva condotto il Leg 13 prevalse nella considerazione generale della comunità scientifica. Questo modello, in sintesi, si basa su due assunti chiave: 1) la precipitazione in acque poco profonde delle evaporiti; 2) una fisiografia del Mediterraneo simile a quella attuale, con aree profonde occidentali e orientali già formate e una soglia a occidente, non lontano da Gibilterra. La successione degli eventi messiniano ricostruita dal modello prevede:

- la progressiva chiusura delle connessioni tra Oceano Atlantico e bacino Mediterraneo, per cause tettoniche e/o eustatiche;

- la creazione di condizioni di circolazioni ristretta con sviluppo di depositi eusinici a causa della ridotta ossigenazione del fondo;

- lo sviluppo di condizioni favorevoli alla precipitazione di evaporiti marine a causa del forte deficit idrologico del Mediterraneo in una fase di connessioni intermittenti con l’Atlantico;

- l’isolamento totale del bacino, con conseguente disseccamento totale di una colonna d’acqua che poteva in alcuni punti raggiungere i 2000-3000 metri e deposizione di evaporiti nelle zone più depresse del Mediterraneo;

- la cattura del drenaggio fluviale di bacini paratetidei posti a oriente, nell’attuale zona balcanica e conseguente formazione di un grande bacino lacustre (il “Lago-Mare”), simile all’attuale Mar Caspio;

- il ripristino improvviso delle connessioni con l’Atlantico alla base del Pliocene, un evento questo considerato quasi istantaneo e catastrofico, che riporta in tempi brevissimi una colonna d’acqua di

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più di 2000 metri nelle aree precedentemente emerse o ricoperte da una lama d’acqua dolce non troppo profonda.

Nonostante l’apparente debolezza di alcune argomentazioni a sostegno (la paleofisiografia del Mediterraneo alla fine del Miocene, la natura ignota ancora oggi delle successioni pre-evaporitiche dei bacini mediterranei più profondi, la scarsa risoluzione dei profili sismici utilizzati), il modello ottenne un successo senza precedenti, e gode tuttora di ottima salute, tanto da poter esser considerato un vero e proprio paradigma. Il modello ha sicuramente il merito di aver fornito una spiegazione unificante ed estremamente affascinante ad una serie di evidenze geologiche difficilmente comprensibili se considerate singolarmente (Ricci Lucchi et al., 2002).

Dopo la formulazione del modello del disseccamento profondo, gli studi si sono concentrati essenzialmente sulle successioni affioranti nei bacini dell’area mediterranea. I problemi logistici connessi alle indagini geologiche in mare hanno di fatto impedito avanzamenti significativi delle conoscenze stratigrafiche e geologiche generali dei bacini profondi del Mediterraneo. Rimangono quindi irrisolti alcuni problemi fondamentali, quale la natura profonda o meno dei depositi pre-evaporitici e quindi la ricostruzione della fisiografia del Mediterraneo alla fine del Tortoniano.Gli studi condotti a terra si sono spesso concentrati su contesti particolari, quali bacini marginali articolati e non sempre correlabili, caratterizzati da successioni talvolta ridotte, lacunose, e in alcuni casi tettonizzate; va però sottolineato che la stragrande maggioranza di questi lavori si muove all’interno del paradigma, ed assume un’importanza talora fondamentale soprattutto per gli aspetti cronostratigrafici. Gran parte del dibattito in questi anni si è concentrato infatti sull’esatta taratura cronostratigrafica degli eventi (Krijgsmann et al., 1999, 2001; Roveri et al., 2001, 2006; Vai, 1997; Hilgen et al., 2000).

Lo studio affrontato nell’ambito di questo lavoro di tesi si colloca perfettamente all’interno di quegli studi regionali e locali che hanno contribuito e che contribuiscono ad approfondire la conoscenza degli eventi connessi alla Crisi di Salinità.

Alla luce di quanto discusso nei paragrafi precedenti in merito alle interpretazioni paleoambientali a scala mediterranea del record stratigrafico e paleontologico tardo messiniano, appare evidente come l’analisi stratigrafico-paleontologica effettuata sulla successione post-evaporitica messiniana affiorante a Cava Marmolaio, possa fornire nuove e significative chiavi interpretative per la fase che ha caratterizzato la fine della Crisi di Salinità, e di conseguenza per il noto evento di “Lago-Mare”. È noto che il Messiniano può essere suddiviso in tre momenti o fasi, in relazione all’intervallo caratterizzato dalla precipitazione delle evaporiti: 1) pre-evaporitico, prevalentemente marino, con grande sviluppo di facies eusiniche; 2) evaporitico in senso stretto, con deposizione di evaporiti marine; 3) post-evaporitico, caratterizzato da depositi continentali (“Lago-Mare”) all’interno dei quali localmente si possono sviluppare altre evaporiti non marine.

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La fase post-evaporitica, sulla base di accurati studi ciclostratigrafici e astrocronologici (Krijgsmann et al., 1999, 2001) è considerata essere compresa tra 5.55 e 5.33 Ma. Le ipotesi riguardo le condizioni deposizionali di questo intervallo sono state fino ad oggi ampiamente discusse (Rouchy & Caruso, 2006). Studi precedenti relativi agli aspetti geochimici della deposizione di tali sedimenti indicano che la formazione dei minerali evaporitici tipici di questa fase (solfati di Ca, halite, sali di K e Mg) si sono formati soprattutto per precipitazione da brine in piccoli bacini alimentati da acque marine, ma con un significativo e progressivo apporto, negli stessi, di acqua dolce (Kuehn & Hsü, 1978; Longinelli, 1979; Pierre, 1982, 1988; García-Veigas et al., 1995).

La fase delle Evaporiti Superiori è ad ogni modo comunemente associata ad una generale e rapida transizione, successiva alla fine della deposizione delle Evaporiti Inferiori, ad un ambiente caratterizzato da periodiche variazioni di salinità, come registrato dalla evidente alternanza di evaporiti e depositi clastici contenenti faune salmastro-dulcicole (Orszag-Sperber, 2006).

Un carattere fortemente ciclico si riscontra in quasi tutti i depositi messiniani relativi alla crisi di salinità. È proprio grazie a tale caratteristica deposizionale che sono stati fatti molti progressi nella comprensione di alcuni degli aspetti più controversi della MSC. La mancanza di una scala temporale accurata relativa all’intervallo messiniano ha rappresentato per lunghi anni un ostacolo per una maggiore comprensione dei processi paleoambientali e deposizionali che hanno innescato la Crisi di Salinità (Roveri et al., 2007). La ricostruzione temporale su base astronomica dell’intero intervallo Messiniano (Hilgen et al., 1995; Krijgsman et al., 1999, 2001) ha permesso di poter effettuare correlazioni a vasta scala tra molte delle successioni messiniane pre e post- evaporitiche affioranti nel bacino Mediterraneo. Le correlazioni su base astronomica infatti mostrano generalmente una buona concordanza tra i caratteristici cicli sedimentari e la curva di variazione astronomica (Sierro et al., 2001), risultano estremamente precise ed accurate (con risoluzione non peggiore di 20.000 anni) e consentono di scoprire discontinuità in sezioni misurate dovute ad accidenti tettonici, altrimenti non distinguibili, o di cui sarebbe difficile valutare l’entità in altro modo. Inoltre, la ciclicità evaporitica risulta fortemente influenzata dalla ciclicità precessionale, che a sua volta genera fluttuazioni climatiche testimoniate dagli aspetti sedimentari delle successioni analizzate.

Il numero di cicli riconosciuti nelle sezioni delle Evaporiti Superiori del Mediterraneo varia da 7 a 10 cicli (Decima & Wezel, 1971; Vai, 1997; Fortuin & Krijgsman, 2003; Roveri et al., 2007), e tale quantità ben si correla con il numero di picchi precessionali del relativo intervallo di tempo, suggerendo perciò una durata della deposizione di tali evaporiti di ca 180.000 anni.

Sulla base di quanto detto finora, è possibile tentare di effettuare una correlazione astronomica degli 8 cicli riconosciuti nella Cava Marmolaio con le successioni messiniane delle Evaporiti Superiori del Mediterraneo (figura).

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L’organizzazione verticale comunemente osservata nelle successioni post-evaporitiche del tardo Messiniano permette secondo alcuni autori di suddividere le Evaporiti superiori in due unità (p-ev1 e

p-ev2 di Roveri et al., 1998, 2001).

L’unità inferiore p-ev1 è caratterizzata di una ciclica alternanza di gesso e livelli di argilla, ed è

maggiormente sviluppata nel Mediterraneo meridionale e orientale (Sicilia, Isole Ioniche, Creta, Cipro, delta del Nilo). Le facies gessose affioranti risultano diverse da quelle costituenti le Evaporiti Inferiori, e sono indicative di un ambiente di formazione di acque basse (Manzi et al., 2007); i valori sulla composizione isotopica di 87Sr/ 86Sr sono inferiori rispetto a quelli del gesso primario

della fase evaporitica e indicano un costante e progressivo apporto di acqua dolce, suggerendo un ambiente di deposizione totalmente o in parte continentale (tipo “Lago-Mare”) (Butler et al., 1995; Krijgsman et al., 1999; Taberner et al., 2004). Nelle argille intervallate alle facies gessifere viene riscontrata la rara e discontinua presenza di assemblaggi faunistici talvolta monospecifici (ostracodi, molluschi) tipici di acque salmastre o talvolta iperaline (Bonaduce & Sgarella, 1999; Flecker & Ellam, 2006,).

I depositi dell’unità superiore (p-ev2) mostrano un sostanziale e progressivo aumento dell’apporto di

acque dolci, registrato da un aumento della diversità specifica delle faune e della flora ad essi associati. In particolare, la presenza di un cospicuo numero di taxa di origine paratetidea (Loxocorniculina djafarovi, Galeacysta etrusca) (Bertini, 2006; Gliozzi et al., 2006; Londeix et al., 2007) viene comunemente associata allo sviluppo del noto evento di “Lago-Mare”.

L’evento di “lago-Mare” ha rappresentato, in particolar modo nella letteratura precedente alla seconda metà degli anni ’90, una fase tendenzialmente oscura e dal carattere fortemente controverso. La definizione fisiografica e paleogeografia dei bacini endoreici ipotizzati per la fase “Lago-Mare”, che venivano a collocarsi sul fondo di un bacino disseccato in seguito alla cattura del drenaggio paratetideo, non è stata purtroppo supportata da un modello ecologico e biogeografico adeguato ed esauriente.

La cattura del drenaggio della Paratetide rappresenta uno dei temi meno giustificati e più dibattuti del modello della Crisi di salinità. I due possibili corridoi tra Mediterraneo e bacino della Paratetide ovvero il Mar di Marmara e il Bosforo, sono stati proposti da molti autori (Cağatay, 2006; Görür et al, 2000; Gliozzi et al., 2007; Popov et al., 2006; Faranda et al., 2007; Stoica et al., 2007) sulla base della presenza in tali aree, in particolare all’interno di depositi messiniani e dello Zancleano inferiore, di faune dulcicole salmastre di affinità paratetidea molto simili a quelle rinvenute nei depositi di “Lago-Mare” del Mediterraneo. Un recente studio condotto da Bassetti et al. (2003), attraverso un dettagliata revisione tassonomica dei taxa classicamente considerati di origine paratetidea, ha rivelato l’identità endemica mediterranea per la maggior parte di questi, dei quali

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soltanto alcuni, tra i quali il noto “marker” biostratigrafico Loxocorniculina djafarovi, indicherebbero relazioni biogeografiche con le aree europee orientali.

È chiaro come l’utilizzo degli ostracodi tardo-messiniani quali indicatori paleoambientali o paleogeografici per l’interpretazione dell’evento “Lago-mare” risulti uno strumento tendenzialmente debole per poter chiarire gli aspetti più controversi di questa fase; inoltre, la natura e l’aspetto spazio-temporale delle connessioni tra bacino della Paratetide e Mediterraneo rimangono questioni irrisolte e molte sezioni stratigrafiche tardo messiniane della regione del Mar di Marmara necessitano, secondo Flecker & Ellam (2006) di ulteriori analisi sulla composizione isotopica dello Sr.

Come già discusso nei paragrafi precedenti, la fase “Lago-Mare” è comunemente inquadrata come un periodo della storia neogenica del Mediterraneo caratterizzata dal largo sviluppo di bacini endoreici ipoalini-salmastri, che potevano essere soggetti a periodiche incursioni marine legate a temporanee variazioni glacio-eustatiche, che avrebbero ripristinato, seppur per brevi periodi, le condizioni marine (Iaccarino & Bossio, 1999; Iaccarino et al., 1999; Spezzaferri et al., 1998). Lo studio condotto nell’ambito di questa tesi si colloca perfettamente all’interno dell’acceso dibattito riguardo molti e significativi aspetti della Crisi di Salinità messiniana del Mediterraneo. L’analisi stratigrafica della successione post-evaporitica tardo-messiniana di cava Marmolaio, che ha portato al riconoscimento di 8 cicli deposizionali, ha innanzitutto consentito una correlazione su base astronomica a scala mediterranea di tali cicli con alcune delle sezioni delle Evaporiti Superiori maggiormente investigate dell’intero bacino Mediterraneo. Ciò rappresenta un dato nuovo ed importante, soprattutto per quel che riguarda gli studi condotti sul messiniano post-evaporitico della Toscana, e in particolare del bacino neogenico del Fiume Fine, carenti anche e soprattutto per la mancanza di affioramenti significativi.

L’analisi paleontologica effettuata sui livelli argillosi interposti ai livelli gessiferi ha fornito un quadro ancor più dettagliato, in particolare riguardo gli aspetti paleoambientali che hanno caratterizzato la deposizione di tali sedimenti post-evaporitici. Sebbene la componente microfaunistica rinvenuta nelle argille sia caratterizzata da taxa comunemente associati alla fase di “Lago-Mare”, e quindi indicativi di un ambiente dulcicolo-salmastro, la presenza, mai prima d’ora riscontrata in questo tipo di depositi, di briozoi rappresenta un forte segnale marino che contrasta fortemente con le comuni teorie riguardo l’ambiente che ha caratterizzato l’evento “Lago-Mare”, e che non può e non deve essere trascurato. La presenza, inoltre, tra i resti delle faune ittiche analizzate , di due esemplari di pesci chiaramente marini, fortifica l’ipotesi della presenza di un ambiente marino, presumibilmente adiacente all’area analizzata in questo lavoro. Tale ipotesi va di pari passo con il recente ritrovamento di numerosi fossili e otoliti di pesci marini eurialini e

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stenoalini nella sezione tardo messiniana di “Lago-Mare” di Cava Serredi, un affioramento pochi km a NW di Cava Marmolaio (Carnevale et al., 2003, 2006, 2007).

È opportuno sottolineare che negli ultimi anni, sulla base di considerazioni stratigrafiche, paleontologiche e sedimentologiche, sono stati effettuati numerosi studi, purtroppo largamente trascurati, che hanno permesso di evidenziare la possibile presenza di condizioni marine durante l’intero intervallo di “Lago-Mare” (Riding et al., 1998, 1999; Keogh & Butler, 1999; Pedley e Maniscalco, 1999; Steffahn e Michalzik, 2000; Griffin, 2000; Aguirre e Sánchez-Almazo, 2004; Braga et al., 2006). Inoltre, sono state riconosciute, anche da quel gruppo di Autori che categoricamente rifugge da una possibile re-interpretazione dell’assetto paleoambientale della fase di “Lago-Mare”, periodiche incursioni marine in alcune successioni sedimentarie del Messiniano post-evaporitico, segnali evidenti che tuttavia sono state interpretati come il risultato di limitate variazioni eustatiche (Iaccarino & Bossio, 1999; Iaccarino et al., 1999; Rouchy et al., 2001; Crescenti et al., 2002; Clauzon et al., 2005)

Il ritrovamento di briozoi a partire dai livelli argillosi inferiori della sezione analizzata, e quello dei pesci sin dalla base della metà superiore della sezione, consente di riconsiderare l’evento finale della Crisi di salinità, il cosiddetto Terminal Messinian Flood, indicando che il ripristino delle condizioni marine in Mediterraneo successivamente alla fase “Lago-Mare” precedette il limite Mio-Pliocene, e non fu caratterizzato da scenari catastrofici, quali ad esempio una grande ‘cascata’ improvvisa e repentina riversatasi in un Mediterraneo quasi completamente privo di acqua, come suggerito dalla forse troppo fantasiosa ipotesi del disseccamento di Hsü et al.(1973).

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