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Capitolo 2: I Capitoli di prestito del 1432 e i successivi rinnovi.

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Capitolo 2: I Capitoli di prestito del 1432 e i successivi rinnovi.

La presenza degli ebrei ad Empoli nell’arco di tempo considerato risponde ad un fenomeno di carattere generale che tuttavia non può ritenersi né semplice né automatico. Le difficoltà di ordine giuridico, politico e religioso che si frapponevano alla libera circolazione degli ebrei e all’esercizio della loro attività di prestatori, non permettevano ad alcuna singola cittadina di provvedervi autonomamente. Perché questo si rendesse possibile, necessitavano sforzi e autorevolezza che solo gli stati erano in grado di mettere in campo. La permanenza degli ebrei rimaneva connotata da una strutturale precarietà.

I banchi di prestito su pegno svolgevano una funzione fondamentale perché assicuravano la disponibilità e la circolazione di denaro liquido non solo per gli strati più poveri della popolazione empolese, ma soprattutto per gli artigiani e i tanti bottegai e commercianti che lavoravano e vivevano nel castello di Empoli. Una nutrita documentazione dell’archivio storico locale ci informa dei numerosi e fitti rapporti tra banco ebraico ed empolesi.

Abramo di Dattilo, già titolare dal 1416 di un banco di prestito per San Miniato, aveva ottenuto, all’atto del primo rinnovo del 1421, la concessione di prestare “etiam forensibus a [sic] terra et curte et pertinentiis dicte terre Sancti Miniatis”1 e di commerciare in panni nuovi.

Nell’ottobre del 1432, oltre il rinnovo di tali concessioni per San Miniato, con una tassa di 240 fiorini Abramo acquisiva per la prima volta ufficialmente il diritto a svolgere attività finanziarie anche all’interno del castello di Empoli dietro il pagamento di ulteriori 20 fiorini d’oro.

Questa è la prima condotta conosciuta per Empoli, aveva durata quinquennale, doveva iniziarsi il 15 ottobre del 1432 e prevedeva il pagamento al comune di Firenze di una tassa annua complessiva di 260 fiorini d’oro, da dividersi in 240 fiorini per San Miniato e in 20 fiorini per Empoli2. Titolare di questi capitoli è quell’Abramo di Dattilo che per primo potrà aprire banchi di prestito a Firenze nel 1437 dopo aver acquisito il diritto a svolgere attività

1

ASFi, Capitoli, Appendice n.28, c.63r.; in A.BRUSCINO,Una famiglia di banchieri ebrei tra XIV e XV secolo: San Miniato, Empoli e Firenze, tesi di Laurea discussa pressa l’Università degli studi di Pisa, a.a. 1999-2000, relatore Prof. M. LUZZATI, p.108.

2

Vedi A. BRUSCINO, L’insediamento ebraico di San Miniato, in <<Miscellanea Storica della Valdelsa>>, Anno CX n.3 (2004), pp.27-52.

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economiche all’interno del castello di Empoli.

Non c’è sufficiente documentazione che certifichi che un banco ebraico fosse già attivo ad Empoli prima del 1432, ma è fuor di dubbio che questo Abramo di Dattilo di Matassia “ebreo di San Miniato” risulta creditore sulla piazza di Empoli già a partire dal maggio del 1430. Infatti a questa data chiede al Podestà locale che gli vengano restituiti rispettivamente 3, 45 e 25 lire dagli empolesi Michele d’Andrea, Nicoletto e Marco di Antonio3.

Tuttavia, un documento del 14 agosto 13994 ci ricorda di come già a questa data i riformatori eletti dal governo fiorentino avessero esaminato alcune riforme proposte dal comune di Empoli e, fra l’altro, quella di poter far venire “iudei […] in dicta terra ad fenerandum”. Tale richiesta verrà bocciata molto probabilmente per la concorrenza che esisteva con il banco sanminiatese.

A partire dal marzo 1433 procuratori e gestori del banco, a nome di Abramo, erano i figli Dattilo e Manuele5 che dal 1435 vengono definiti feneratori e abitanti nel castello di Empoli6.

Un’attendibile documentazione locale attesta una presenza continuativa di diversi membri dei da San Miniato nel castello di Empoli fino al 20 maggio 14387; al 30 maggio 1440 risale una richiesta fatta a Firenze da parte di alcune località, fra le quali Empoli, per avere ebrei affinché “li sovegna alle loro necessità e bisogni. […] Che gli uficiali del monte presenti e futuri e le due parti di loro possano e a loro sia lecito con piena auctorità e balia di tassare e fare pacti e compositioni e conventioni e capitoli con qualunche hebreo di qualunche stato o conditione se sia che volesse prestare nelli infrascripti luoghi idonei chome alli detti uficiali del monte parea”8. Da più di un decennio i da San Miniato prestavano agli empolesi e la condotta sopra citata – scaduta nel 1437 e del cui eventuale rinnovo non è rimasta traccia – ne aveva stabilito i rapporti.

Con i capitoli del 1432 Abramo e soci ottenevano la garanzia da parte di Firenze di essere i soli feneratori nella terra di San Miniato e nel castello di Empoli; in un apposito capitolo dei patti si legge che “nullus alius ebreus nec

3

ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, registro n.1, cc.56v. e 69v.

4

Cfr. ASFi, Miscellanea Repubblicana, n.144, cc.168rv. Cfr. anche L.TANZINI, Un aspetto della costruzione dello Stato territoriale fiorentino: il registro di approvazioni degli statuti del dominio (1393-1403), in “Società e Storia” Anno XXVIII n.107 (2005), pp.1-36.

5

ASFi Notarile Antecosimiano, n.17990, cc.407rv.

6

ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.3, cc.17r. e 28r.

7

ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.4, c.9r.

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aliqua alia persona cuiuscumque gradus, dignitatis vel preheminentie” potesse tenere bottega né esercitare attività di prestito nelle due località. In caso di trasgressione si applicava una multa di 100 fiorini d’oro “per quemlibet rectorem et officialem tam civitatis Florentie quam etiam dictorum terre Sancti Miniatis et castri Empolis”.

Per quanto riguarda l’interesse massimo esigibile da parte dei banchieri ebrei, i capitoli fiorentini del 1432 fissavano a sei denari per lira al mese (30% l’anno) il tasso d’interesse, lasciandolo invariato rispetto alle precedenti condotte: due soldi per fiorino al mese se si presta in fiorini, sei denari per lira al mese se si presta in lire. Veniva poi fissata una condizione restrittiva per 4 lire o meno se il tempo non copriva l’intero mese, senza limitazione per più di 4 lire; qualunque ufficiale era autorizzato a intervenire per costringere gli ebrei a restituire la somma indebitamente riscossa con una multa pari al doppio di quanto indebitamente ricevuto.

Se con la precedente condotta del 1421 Abramo era riuscito ad allargare il proprio giro d’affari, ottenendo la concessione di prestare “etiam forensibus a [sic] terra et curte et pertinentiis dicte terre Sancti Miniatis” e di commerciare in panni nuovi, con quella del 1432, oltre il rinnovo di tali concessioni, acquisiva il diritto a svolgere attività finanziarie anche all’interno del castello di Empoli.

Come già detto, oltre all’esercizio del prestito su pegno e alla vendita al minuto di panni nuovi e di qualunque genere, gli ebrei da San Miniato potevano prestare anche con scritture pubbliche, private o come volevano purché il tasso previsto per legge rimanesse invariato e si pagasse al comune di Firenze la gabella sui contratti: “possint quoque mutuare ad scriptam tam publicam quam privatam seu sine pignore cum scriptura publica vel privata seu sine, prout voluerint, non excedendo tamen fenus ad rationem predictam […] solvere debeant comuni Florentie ghabellam contractuum”. I banchieri ebrei potevano mutuare su qualunque pegno “exceptis crucibus, calicibus, missalibus, planetis, camicibus et aliis paramentis ecclesiarum” o di pertinenza ecclesiastica. Si stabiliva anche che tutti i pegni non riscattati dopo un periodo di un anno, un mese e tre giorni sarebbero divenuti a tutti gli effetti proprietà del titolare del banco, che aveva il diritto di venderli. In caso di pegno rubato, Abramo e soci erano tenuti a restituirlo al legittimo proprietario senza il pagamento di “aliquo fenore vel usura”. E’ importante sottolineare che fin tanto che non fosse stato pagato il debito contratto

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presso il banco ebraico non poteva essere reclamato alcun diritto di restituzione dei pegni e si dovevano ritenere prive di efficacia “aliqua petitio [o] querela” nei confronti degli ebrei. Il capitolo XIII confermava questa norma, stabilendo che gli stipendiati del comune di Firenze non potessero agire contro Abramo e soci, neppure se i pegni in questione fossero “arma, equi vel arnenses”, a meno che non fosse stato estinto il debito; si fissava una multa di 100 fiorini d’oro per ogni trasgressore di questa norma. I gestori del banco potevano citare in giudizio o far comparire i loro debitori di fronte alle autorità di San Miniato o di Empoli o di fronte a qualsiasi “potestate, vicario, capitaneo, officiali et rectore civitatis, comitatus et districtus Florentie” al fine di ottenere il pagamento di qualunque somma di denaro loro dovuta. Abramo e soci potevano contare anche sull’impegno da parte delle autorità preposte di una rapida esecuzione della giustizia. I debitori degli ebrei non potevano evitare il pagamento o il dilazionamento delle somme di denaro insolute tramite licenze o bollettini che fossero ritenute prive di validità anche se concesse dagli Ufficiali del comune di Firenze.

Tra i capitoli, redatti al fine di garantire la sicurezza personale di Abramo e soci, ce n’era uno ad hoc che tutelava da eventuali incarcerazioni, molestie o gravezze di vario genere gli ebrei che risiedevano a San Miniato, Empoli e in tutti quei luoghi su cui Firenze aveva “iurisdictionem, preheminentiam vel custodiam”. Gli accordi del 1432, che regolavano la presenza ebraica a San Miniato e i suoi rapporti economici con gli abitanti di Empoli, autorizzavano Abramo e i suoi familiari ed impiegati del banco a possedere beni immobili per un valore massimo di trecento fiorini d’oro. Come tutti i cittadini di San Miniato ed Empoli anche gli ebrei dovevano pagare al comune di Firenze la gabella sui contratti; non potevano però allibrare tali beni e tanto meno inserirli in un futuro catasto o estimo. L’acquisto di beni immobili non deve essere letto solo come un desiderio di radicamento o di profitto poiché i motivi di tale concessione erano principalmente di carattere cultuale. Infatti all’interno dello stesso capitolo che accorda ad Abramo il diritto di vendere e comprare “domos, terras, possessiones et vineas”, si dice subito che gli ebrei possono adibire tali terreni a cimitero per “facere et habere eorum sepolturas” a patto che non si tratti di “locis piis vel ecclesiasticiis”.

Gli ebrei provvedevano a far inserire nelle clausole delle condotte il diritto di praticare liberamente le proprie cerimonie e le altre norme religiose. Pertanto si

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tutelavano i riti ebraici, riconoscendo il diritto di osservare il riposo sabbatico, di celebrare le festività e di adibire una casa a luogo di culto per “sinagogas facere secundum leges et mores suos”. Si specificava anche che Abramo e soci non potevano essere obbligati ad esercitare l’attività di prestito in occasione delle loro feste; gli ebrei si vedono garantito questo diritto dal comune di Firenze che impone addirittura una multa di cento fiorini d’oro per ogni trasgressore.

Tra le questioni che nei capitoli regolavano la presenza ebraica, quella relativa all’imposizione del segno distintivo ricopriva una notevole importanza.

La prima decisione di carattere generale e vincolante di imporre un segno distintivo fu quella espressa nel IV Concilio del Laterano in data 11 novembre 1215, presieduto da papa Innocenzo III (1198-1216). Nel suo canone 68 si dice che “ebrei e saraceni di ambo i sessi, in ciascuna provincia cristiana e in ogni tempo, debbono essere marcati davanti agli occhi di tutti gli altri, separati dalle altre persone mediante i caratteri dei loro abiti”9. Tuttavia alcuni ebrei erano esentati dal portare il segno; erano coloro a cui non si doveva imporre a motivo del loro impiego negli affari10.

Abramo e soci pattuirono con le autorità comunali il diritto a non portare sugli abiti l’umiliante segno distintivo e di potersi abbigliare a proprio gusto; ebbero anche la garanzia da parte delle autorità fiorentine che nessun “episcopus, iudex vel prelatus aut officialis ecclesiasticus vel secularis vel alia persona” avrebbero potuto obbligarli a portare alcun segno distintivo o altra veste contro la loro volontà, “sub pena florenorum centum auri” da pagarsi al comune di Firenze.

Per quanto riguarda la forma, solitamente rotonda, e il colore, solitamente giallo, si suppone che tale segno potesse rappresentare una moneta che poneva in relazione gli ebrei con Giuda Iscariota o li qualificava come usurai. Tale segno potrebbe alludere anche all’Ostia e ricordare, da un lato, il sacrificio di Gesù, dall’altro, la tradizione della profanazione dell’Ostia, che era un’accusa ricorrente contro gli ebrei. Era evidente che il segno distintivo causava lo scherno nei confronti degli ebrei che chiedevano di essere esentati dal portarlo e che tentavano di sfuggire a questa misura oppressiva.

In tal senso numerose sono le attestazioni documentarie relative alla

9

N. GUGLIELMI, Il Medioevo degli ultimi, emarginazione e marginalità nei secoli XI-XIV, Roma 2001, pag.216.

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richiesta di esenzione da parte dei da San Miniato e di condanna nei confronti degli stessi da parte degli Otto di Guardia e Balia che comminavano loro delle multe. E’ importante anche notare che nell’iconografia corrente gli ebrei venivano rappresentati con abiti sui quali si vedeva chiaramente una ruota ora sul lato destro ora – stranamente – all’altezza della cintura11.

Nell’arco dei cinque anni previsti dalla condotta gli ebrei dovevano essere trattati, tanto per le cause civili che per le criminali, alla pari dei cittadini di San Miniato ed Empoli, “salvis omnibus et singulis suprascriptis et infrascriptis et privilegiis et inmunitatibus eis concessis et competentibus”. Per il valore poi da attribuire alle scritture degli ebrei, si stabiliva che ad esse ogni “rector et officialis stare et credere debeat et plenam executionem dare”. I feneratori ebrei dovevano essere considerati dalle autorità di Firenze, San Miniato ed Empoli liberi ed immuni da qualunque “gravedinibus, factionibus et onoribus realibus et personalibus”, ad eccezione delle gabelle sui contratti, sulle porte e sui beni immobili, oltre alla già citata tassa “pro fenerando” di 260 fiorini d’oro l’anno.

A conferma di quanto detto sopra, il capitolo XV ribadiva che agli ebrei non sarebbe stato chiesto di pagare nient’altro al di fuori della somma indicata nel primo capitolo relativa alla concessione dell’esercizio del prestito.

Abramo aveva la facoltà di associare al banco chi meglio credesse entro il successivo mese di dicembre 1432, ma doveva garantire di far osservare tutti i capitoli contenuti nella condotta dai suoi futuri soci e procuratori. Gli ufficiali del Monte di Firenze si impegnavano a difendere i diritti che venivano riconosciuti nei capitoli ai feneratori ebrei; inoltre si stabiliva che nessun ufficiale di Firenze potesse condannare o multare né Abramo né alcun altro impiegato del banco per inosservanza degli accordi contenuti nella condotta senza avere prima ottenuto espresso consenso da parte degli ufficiali del Monte di Firenze, anche se era data loro facoltà di costringere Abramo e soci all’osservanza dei capitoli. Un apposito capitolo conteneva le norme da osservare nel caso in cui la condotta non venisse rinnovata al termine dei cinque anni previsti. I da San Miniato avrebbero goduto di un anno di proroga per poter restituire o vendere i pegni, riscuotere le somme loro dovute e continuare i loro traffici senza limitazione alcuna, eccezion fatta per il prestito su pegno. Durante questo periodo di proroga gli ebrei avrebbero potuto

11

B. BLUMENKRANZ, Il cappello a punta. L’ebreo medievale nello specchio dell’arte cristiana, Bari 2003, pag.29, ill.9, pag.32. ill.10 e 11.

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“stare et permanere in dicta terra Sancti Miniatis et in dicto castro Empolis” pagando a Firenze una tassa di 120 fiorini d’oro per San Miniato e 10 per Empoli, cioè la metà di quanto era stabilito versassero sino a quando fossero rimasti in vigore gli accordi per l’esercizio del prestito. Le modalità di pagamento erano le stesse di quelle previste per la regolare tassa “pro fenerando” contenute nel primo capitolo, così come l’eventuale multa in caso di mancata riscossione da parte del comune di Firenze della somma stabilita.

Un apposita clausola impegnava, da una parte, Abramo e soci a rispettare gli accordi presi, e dall’altra gli ufficiali del Monte a ritenere sospesa la provvisione antifeneratizia del 1406 per i prossimi cinque anni. L’ultimo capitolo della condotta prevedeva la possibilità di un nuovo accordo tra gli ufficiali del Monte ed Abramo o un altro gestore del banco ebraico. Le due parti avrebbero dovuto redigere nuovi patti, tenendo conto però di un punto fermo su cui il comune di Firenze non aveva intenzione di cedere: il divieto per gli ufficiali del Monte di diminuire la tassa di 260 fiorini d’oro per l’esercizio del prestito.

L’ultima condotta in favore di prestatori ebrei di cui si abbia notizia per il comune di San Miniato raggiunse il suo termine ultimo nel 1437, anno in cui Abramo continuò a fenerare nel castello di Empoli e aprì banco in Firenze. Il comune di San Miniato invece non procedette alla stipula di nuovi accordi. Dalla documentazione reperita non sembra che gli organi comunali si siano rivolti a nuovi interlocutori, piuttosto pare più probabile che Abramo di Dattilo abbia scelto autonomamente di cercare altrove nuove occasioni di guadagno, mantenendo banco ad Empoli e aprendone a Firenze. Alcuni richiami archivistici attestano una presenza ebraica a San Miniato legata soltanto al possesso di case e di terre12.

12

Archivio Storico Comunale di San Miniato (da ora in avanti ASCSM), Comunità di San Miniato, Deliberazioni dei Priori e del Consiglio (1370-1808), n.2330, c.36v. In data 8 maggio 1437 “Datterus Ioseph ebreo” affitta una casa sita nel terziere di Fuoriporta. ASCSM, Vicariato di San Miniato. Atti vari n.1346, c.6v. 14 gennaio 1480 David di Manuele, in nome di Monna Bionda, vedova di Angelo di Abramo di Dattilo da San Miniato, chiede che alcuni lavoratori cristiani ammorbati dalla peste vengano allontanati dalla casa di Bionda. ASFi, Notarile Antecosimiano n.11402 [già L 45], c.n.n. Il notaio Lanfredini Giuliano, in data 30 maggio 1442, roga a Firenze il testamento di Guglielmo del fu Sabatuccio ebreo di Pistoia che, morto il 1° giugno 1442, chiede come primo punto, la sepoltura “in castro Sancti Miniatis florentini ubi sepelliuntur alii ebrei de provincie tusche”. Al terzo punto si dice “Item pro remedio anime sue et eligit amore Dei et pauperibus eiusdem et partim pro reparationem sepulcri iudeorum florenos quinquaginta auri quos voluit et iussit gerendi dispensari illi et illis cui et quibus et eo modo et forma et prout et sic videbitur et placebit Abramo olim Dactali de Sancto Miniato ebreo habitatori ad presens in civitate Florentie et in dicto populo Sancte Trinitatis de Florentie”. ASFi, Notarile

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Le ultime notizie su attività di prestito da parte di feneratori ebrei in San Miniato risalgono al 1437, anno di scadenza dell’ultima condotta per tale località. Al 14 gennaio 1438 risale un documento13 in cui il Comune si dichiara debitore di 200 lire nei confronti di Abramo ed è probabile che fosse questo un prestito risalente agli anni in cui il banco funzionava anche a San Miniato.

Ormai i da San Miniato avevano definitivamente spostato i loro interessi verso Firenze dove Abramo, con i suoi soci, era pubblico feneratore. I suoi figli invece gestivano il banco di Empoli la cui vita sarà assai confusa soprattutto per la presenza di un gruppo parentale numeroso e litigioso.

In numerosi rogiti notarili Abramo viene citato come abitante ora ad Empoli ora a Firenze. Lo stesso trattamento viene riservato dalla documentazione anche ai suoi tre figli di cui Manuele sarà il principale interlocutore delle autorità empolesi e i cui discendenti gestiranno in modo diretto il banco.

Lo strumento attraverso il quale, si è detto, si formalizzava l’accordo tra pubblica autorità e feneratori ebrei era la condotta. Per quanto riguarda il castello di Empoli, ad un’attiva presenza di prestatori ebrei ben documentata da atti locali, non si affianca il testo di veri e propri capitoli di prestito approvati dalla Dominante. Dopo il 1432 le informazioni su pattuizioni ufficiali tra prestatori ebrei e Firenze per il castello di Empoli sono prevalentemente indirette.

La prima notizia che richiama i capitoli di prestito per Empoli, successivi a quelli dell’ottobre 1432, possiamo ricavarla da un atto notarile di Niccolò di Antonio da Romena del 9 aprile 145514. A questa data Manuele di Abramo da San Miniato risulta feneratore nel castello di Empoli con la facoltà di “nominare […] et nominatos revochare” quante persone siano alle sue dipendenze in base ai capitoli di prestito stipulati con gli Ufficiali del Monte. Grazie a questo suo diritto, Manuele revoca a maestro Salomone di Tivoli la possibilità di godere dei benefici previsti e garantiti dai capitoli. Con lo stesso atto Manuele nomina Abramo di

Antecosimiano n.16841 [già P 357], cc.316r.-319r. e 320r.-321r. In data 8 luglio 1496 il notaio Piero da Vinci registra a Firenze il testamento di Manuele del fu Bonaiuto di Salamone da Camerino che, per quanto abitante a Firenze, non vuole esservi sepolto, preferendo il “castrum Sancti Miniatis al Tedescho comitatus Florentie in loco ubi soliti sunt sepelliri hebrei”. Ancora ASFi, Notarile Antecosimiano n.16841 [già P 357], Inserto 4° [numerazione valida a lapis] cc.8rv. In data 25 febbraio 1499, Rosa, figlia del fu Sabato di Bonaventura da Pistoia e vedova di Salamone di Manuele da San Miniato, vuole essere sepolta in “terram Sancti Miniatis”. Magari è preferibile trattare i possedimenti dei da San Miniato e la gestione del cimitero in un apposito paragrafo.

13

Cfr. ASCSM, Comunità di San Miniato, Deliberazioni dei Priori e del Consiglio, n. 2330, c.71v.

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maestro Vitale da Siena e i suoi figli Bonaventura e Vitale a godere del beneficio contenuto nei capitoli di prestito relativamente all’esenzione dal portare il segno dell’O. Questo atto notarile, per quanto scarno, permette di confermare quanto si legge nei documenti dell’archivio storico locale che attestano la continua attività degli ebrei nel castello di Empoli per gli anni centrali del 1400 non coperti dalle condotte. Inoltre ci ricorda la titolarità dei da San Miniato e la presenza, quanto prolungata non possiamo ancora dirlo, di altri ebrei non sanminiatesi ad Empoli.

Alcuni rinnovi vengono concessi piuttosto in anticipo rispetto alla data di scadenza dei capitoli al momento in vigore. Se ne deriva l’impressione che l’autorizzazione al prestito nelle singole località del dominio rientrasse in una politica globale di pianificazione e strutturazione della presenza e dell’attività dei prestatori ebrei sull’intero territorio soggetto a Firenze. A dimostrazione di quanto appena detto, sta il fatto che il testo delle condotte concesse sul finire del 1481 nei confronti delle varie località del distretto è sostanzialmente lo stesso.

Al 24 gennaio 1478 risalgono altre nuove pattuizioni, conosciute grazie ad un richiamo indiretto contenuto nella successiva condotta di rinnovo del 148115. I capitoli del 1478 avrebbero dovuto avere come termine ultimo di scadenza il 10 novembre 1483.

Tra i mesi di novembre e dicembre 1481 il Comune di Firenze aveva rinnovato la licenza al prestito per numerose località del suo dominio quali Arezzo16, Empoli17, Borgo San Sepolcro18, San Giovanni Valdarno19, Cortona20 e Prato21. Il successivo 26 novembre 1481 vengono concessi nuovi capitoli, in vigore dal 6 dicembre 1481, agli ebrei prestatori in Firenze22 e il 5 dicembre 1481 una nuova licenza di prestito è approvata per Borgo San Lorenzo23.

L’ipotizzato cambiamento nella gestione del prestito autorizzato nelle località sottoposte, per quanto riguarda i rapporti tra Firenze e le località soggette, sembrerebbe allinearsi al consolidamento del potere mediceo ed all’ascesa di

15

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, c.56v.

16

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, c.48r.

17

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc. 56r.-57v. già trascritta, anche se non integralmente, e pubblicata in U.CASSUTO, I libri di Isach ebreo in Empoli, in “La Bibliofilia”, 12 (1910), pp.247-249.

18

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc.58rv.

19

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice,n.30, cc.72rv.

20

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc.73rv.

21

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc.74rv.

22

Cfr. U. CASSUTO, Gli ebrei a Firenze, cit., pp.145-146.

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Lorenzo il Magnifico: si assiste al progressivo accentramento dei poteri della Dominante e al processo di erosione delle autonomie locali24.

Anche Empoli sembra rientrare in questo piano di accentramento politico se il 6 novembre 148125 diversi rappresentanti diretti della discendenza di Abramo di Dattilo da San Miniato rinnovano, prima della sua naturale scadenza, una condotta decennale per il castello di Empoli.

La redazione reperita di questi capitoli di prestito è assai frettolosa e sembra badare fondamentalmente al lato economico della tassazione degli ebrei.

A dimostrazione di quanto appena detto è il fatto che, a differenza di tutte le altre condotte conosciute per San Miniato o per Empoli, in questa versione del 1481 non compare alcun capitolo sulla nomina dei soci, sull’interesse massimo esigibile, sulla vendita dei pegni, sull’autorizzazione a possedere beni immobili, sull’esclusiva del prestito, sull’osservanza religiosa, sulle norme relative al segno e agli abiti, o su altre tasse imponibili.

Come di consueto, in apertura del documento, si giustifica la presenza di prestatori ebrei per sovvenire l’“inconmodum habitantium tam in dicto castro Emporii quam in locis ibidem circumstantibus qui subventione dictorum hebreorum in eorum necessitatibus indigerent”.

Si ricorda la durata decennale della condotta e la sua validità a partire dal prossimo 10 novembre 1483, mantenendo le stesse “taxa, conditionibus, obligationibus, partibus, capitulis et effectibus cum quibus et pro ut aliter conducti fuerunt ad faciendum dictum exercitium fenoris in dicto castro Emporii per offitiales Montis Comunis Florentie de mense ianuarii 1477 in omnibus et per omnia, de qua conducte rogatus fuit ser Nicolaus ser Antonii de Romena”.

I nomi di tutti i titolari sono quelli di Isacco, David, Jacob e Abramo di Manuele di Abramo da San Miniato, di Abramo e Zaccaria di Dattilo di Abramo da San Miniato, di Bionda moglie del fu Angelo di Abramo da San Miniato e dei suoi figli Abramo e Dattilo, appunto di Angelo da San Miniato. Non esiste un apposito capitolo di nomina dei soci del banco, ma si dice che i titolari della condotta e ogni loro erede possono, tutte le volte che vorranno, “nominare ad dictum exercitium fenoris et ad artem rigatteriorum in eorum sotium seu sotios,

24

Cfr. P. SALVADORI, I fiorentini e i centri del dominio, in W.J.CONNELL eA.ZORZI (a cura di), Lo stato territoriale fiorentino (secoli XIV-XV). Ricerche, linguaggi, confronti. Atti del seminario internazionale di studi , San Miniato 2-8 giugno 1996, pp.477-497.

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factores et ministros unum vel plures hebreos”, per tutto l’arco temporale previsto dalla pattuizione. E’ concesso loro pure di revocare tali nomine e sostituire i loro soci tutte le volte che vorranno e tutte le persone nominate dai titolari possono godere dei “benefitiis, privilegiis, favoribus et aliis quibuscumque” contenuti nella condotta.

La “tassa pro fenerando” ammonta a 90 fiorini d’oro larghi da pagarsi annualmente, in due rate semestrali. La ratifica di questi capitoli fu sottoscritta pochi giorni dopo dai titolari della stessa il 26 novembre 148126 “in palatio populo fiorentini” alla presenza di “ser Francisco Vivaldi Francisci, ser Stefano Filippi ser Stefani et ser Francisco ser Marci de Romena civibus et notariis publicis florentinis iustibus”. A questa data i da San Miniato non erano più solamente feneratori che andavano incontro alle esigenze delle fasce più indigenti della popolazione empolese, come venivano descritti dai documenti ufficiali, erano diventati ormai proprietari di beni immobili, rigattieri, mercanti di panni lino e lana.

La continuità della guida del banco di Empoli da parte di ebrei sanminiatesi è ufficializzata indirettamente da un elenco, del 15 dicembre 149127, di ebrei impiegati nei banchi fiorentini dove Abramo di Dattilo di Abramo da San Miniato e Isacco e David di Manuele di Abramo da San Miniato risultano i titolari del banco “al Pagone o altrove; e i medesimi sono a Empoli”. I da San Miniato sono ancora impegnati presso il banco di Empoli pur essendo attivi nella piazza creditizia principale di Firenze con la gestione del banco dei Quattro Pavoni appunto.

Una delibera della Balia dello stesso 15 dicembre 149128 ribadisce in modo più chiaro il rinnovo della condotta del 1481 di cui si confermano tutte le precedenti condizioni di prestito ricordando specificatamente solo la tassa “pro fenerando” che viene ancora fissata in 90 fiorini d’oro larghi da pagarsi ogni anno. Tra il 1529 e il 1630 dicembre 1491 abbiamo la ratifica della condotta che vale sia per Firenze che per il castello di Empoli, mentre il successivo 4 giugno 149231 Abramo di Dattilo di Abramo da San Miniato, per quanto abitante a Firenze,

26

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc.57rv.

27

Cfr. ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, c.136v. e c.170v.

28 Cfr. ASFi, Balie, n.139, c.127r. 29 Cfr. ASFi, Balie, n.139, c.133r. 30 Cfr. ASFi, Balie, n.39, c.113v. 31

(12)

rimane, insieme ai cugini Isacco e David, titolare del banco empolese. Per la gestione di tale banco Abramo nomina i fratelli Israele e Joseph di maestro Abramo “de Civita Ducali”, Angelo di Aliuccio di Matassia da Vetralla, abitante in “Civitate Castelli”, e Manuele di David da Bologna, abitante in “Civitate Castelli” perché possano godere per i prossimi due anni del beneficio dell’esenzione del segno dell’O in base al capitolo 18 della condotta sottoscritta il 6 novembre 1481.

Nella gestione del banco empolese e di quello fiorentino dei Quattro Pavoni troviamo molti esponenti dei da San Miniato ora a Firenze, ora ad Empoli e numerosi sono i salvacondotti che gli Otto di Guardia e Balia rilasciarono agli ebrei di questo gruppo parentale perché non fossero molestati “in persona nec in bonis”32 durante gli spostamenti tra il contado e la capitale come durante il loro soggiorno a Firenze33.

Come si è visto poco sopra, la presenza di feneratori ebrei ad Empoli non è più limitata ai soli da San Miniato se in data 11 aprile 149434 Abramo di Dattilo di Abramo da San Miniato nomina “Israelem et Joseph fratres et filios magistri Abrami hebrei de Civita Ducali” e Salomone di maestro Gabriele “de Francia” “et quemlibet eorum licet absentes” a godere del beneficio di non portare il segno distintivo dell’O per tutta la durata della condotta per il castello di Empoli. Di tale condotta, in base alla quale Davide di Manuele da San Miniato nomina irrevocabilmente suo fratello Abramo di Manuele perché possa godere dei benefici, dei privilegi, delle immunità e dei favori previsti dai capitoli per l’esercizio del prestito nel castello di Empoli, abbiamo documentazione solo indiretta non essendo stato reperito il testo35.

Parte della storiografia36 sugli ebrei fiorentini sostiene la tesi di una sospensione del prestito ebraico decretata dal governo di Firenze il 28 dicembre 149537, a seguito della cacciata di Piero de’ Medici dalla città; invece le attività

32

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia della Repubblica, n.95, c.11r. In Appendice Documentaria questo e altri documenti dello stesso tenore.

33

I da San Miniato risultano titolari, anche se per un periodo di tempo assai limitato, anche del banco di Borgo San Lorenzo e soci di altri banchi seguendo un uso tradizionale dei feneratori ebrei ad investire in località diverse.

34

Cfr. ASFi, Balie, n.39, c.138r.

35

Cfr. la balia del 12 febbraio 1494 che richiama la condotta stipulata il 15 dicembre 1491. ASFi, Balie, n.39, c.137v. e ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, c.173v.

36

Cfr. U. CASSUTO, Gli Ebrei a Firenze, cit., pag.66, n.3 e M. CIARDINI, I banchieri ebrei in Firenze, cit., pag.100.

37

(13)

del banco empolese non dovettero interrompersi.

A sostegno di questo, abbiamo numerosi documenti relativi alla seconda metà del 1495 che ci informano di ebrei che continuano a risiedere ad Empoli e a ottenere soddisfazione dal podestà locale per i loro crediti insoluti.

Il 16 giugno 149538 David di Manuele di Abramo da San Miniato, feneratore “in castro Emporii”, nomina a godere del beneficio dell’esenzione dal segno della O Consiglio di Sabato da Rimini. Dunque sembra che la caduta del primo governo Medici non abbia avuto ripercussioni di rilievo sulla vita della componente ebraica della società empolese tanto che essa sembra aumentare con l’arrivo di ebrei sefarditi. Esattamente nel mese del luglio 149539 compaiono per la prima volta ad Empoli ebrei spagnoli. “Jacob vocatus spagnolo ebreus” risulta creditore di un certo Cristoforo, mercante lombardo, per la vendita di fazzoletti.

La presenza degli ebrei ad Empoli per gli ultimi anni del 1400 è variamente e riccamente documentata se il 19 settembre 149640 si impone a Sansone ebreo di pagare ai Provveditori della Dogana e della Gabella delle porte del comune di Firenze 200 lire (somma pagata il 28 febbraio 1497) e se tra il 24 e il 25 gennaio 149841 i Dieci di Libertà e Balia della Repubblica chiedono al podestà di Empoli di verificare se David di Manuele da San Miniato abitante ad Empoli abbia pagato al loro camerario 57 fiorini, 16 soldi e 8 denari di cui sono stati gravati gli ebrei. E soprattutto se con atto del 9 dicembre 150042 gli Otto chiedono al podestà di Empoli di convocare presso il loro ufficio Isacco e Abramo di Manuele da San Miniato e il figlio di Isacco, Guglielmo, e di trattenere presso di sè tutte le cose sequestrate agli ebrei su istanza degli ufficiali delle vendite; cose che non devono essere consegnate a nessuno previa autorizzazione degli Otto. Ancora il successivo 12 dicembre43 il podestà notifica ad Isacco e Abramo di Manuele da San Miniato e a Guglielmo di Isacco di Manuele quanto contenuto nella lettera degli Otto.

Tuttavia la documentazione reperita non permette di sostenere con una qualche sicurezza la continuità dell'attività feneratizia garantita dai capitoli del

38

Cfr. ASFi, Balie, n.39, c.138r.

39

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.73, c.2v. In Appendice Documentaria questo e altri documenti attestanti la presenza e l’attività commerciale dei sefarditi ad Empoli.

40

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.75, c.65v.

41

Cfr. ASCE, Archivio del Podestà di Empoli, Atti civili, n.76, c.104v.

42

Cfr. ASFi, Otto di Guardia e Balia, n.118, c.136v.

43

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1491, il cui rinnovo era previsto per il 1503.

I capitoli di prestito, come è ben noto, si costituivano come l’esito finale di una articolata dialettica tra due interlocutori (autorità pubbliche concedenti da una parte e prestatori ebrei dall’altra) e proponevano un “corpus” normativo che, nelle intenzioni delle due parti, aveva lo scopo di disciplinare e rendere applicabili esigenze, diritti e doveri di tutti.

Tra gli obblighi sottoscritti dai da San Miniato ce n’era uno che più di tutti formalizzava e permetteva la loro presenza nel territorio fiorentino: il costante afflusso di denaro nelle casse del comune tramite il pagamento della tassa annuale “pro fenerando”. A livello di impostazione generale ciò ricorre nel formulario di tutte le condotte conosciute per Empoli, ma non solo per Empoli; era la prassi consolidata per giustificare la presenza ebraica nel Castello e il motivo della loro conduzione. Le autorità che il 13 ottobre 1514 stipulano i nuovi capitoli feneratizi si preoccupano di ricordare che gli ebrei non esercitavano da tempo attività di prestito ad Empoli e che per sovvenire ai bisogni della popolazione empolese “et aliorum circumstantium” si decide di condurli “in castro Emporii”44.

Le autorità costituite sottolineano i vantaggi derivanti dalla presenza di un banco e i problemi, invece, provenienti da una sua eventuale chiusura e mancata apertura.

Nell’ottobre 151445 viene sottoscritta una condotta, anch’essa decennale, il cui rinnovo viene richiamato in un atto del 13 ottobre 152446. Da tale rinnovo, il banco di Empoli ha una copertura ufficiale fino al 1529.

La documentazione dell’archivio di Empoli per questi anni rimanda l’immagine di ebrei continuamente creditori insoddisfatti e più di una volta in procinto di vendere all’incanto i pegni non riscattati. Ancora a dimostrazione di una loro continua ed ininterrotta permanenza ad Empoli nel periodo della presunta sospensione del permesso di tenere un banco è il proemio della condotta del 1514. Qui si dice che ormai da tempo non c’erano più nel castello di Empoli ebrei che esercitassero attività di prestito senza negare la presenza di ebrei dediti ad altre attività.

44

Per la lettura integrale della presente condotta si rimanda all’Appendice Documentaria.

45

ASFi, Capitoli, Appendice, n.30, cc.240r-254v.

46

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