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IV FISIOPATOLOGIA

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Academic year: 2021

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IV

FISIOPATOLOGIA

1. Possibile ruolo del sacco endolinfatico nella patogenesi della Malattia di Menière

Nonostante siano state condotte molte ricerche allo scopo di correlare un malfunzionamento del sacco endolinfatico (SE) all’eziologia e alla patogenesi della MdM, questa correlazione non è stata ancora completamente chiarita.

Nel corso degli anni, molteplici meccanismi sono stati ritenuti responsabili della sintomatologia tipica della MdM, ma per nessuno di essi esistono delle prove scientifiche inoppugnabili. I meccanismi in questione forniscono in ogni modo delle basi molto utili per ulteriori approfondimenti.

Oggi viene ritenuto possibile che i pazienti affetti da MdM non siano un gruppo omogeneo con le stesse basi fisiopatologiche. Inoltre, la MdM potrebbe essere causata da fattori diversi, ma non distinguibili tra loro, anche con le tecniche più moderne oggi a disposizione. Essendo un’affezione cronica, è anche possibile che la patogenesi delle lesioni cambi nel corso degli anni all’interno dello stesso paziente.

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1.1. Alterazioni morfologiche

Acquedotto vestibolare e sacco endolinfatico

Studi radiologici e istologici su ossa temporali di pazienti con MdM hanno dimostrato come l’acquedotto vestibolare di questi pazienti sia più corto e più stretto rispetto a quello di persone non affette da tale patologia (Sando I e Ikeda M, 1981; Hebbar GK et al, 1991). Willbrand e Stahle (1974) hanno costatato, inoltre, come nei pazienti con MdM l’acquedotto vestibolare non solo sia più piccolo, ma anche come si trovi in una posizione diversa dal normale all’interno dell’osso temporale.

Plantenga e Browning (1979), invece, non hanno trovato differenze significative riguardo alla grandezza e la forma dell’acquedotto vestibolare di pazienti menierici rispetto ai controlli sani.

Per spiegare la correlazione tra un acquedotto più stretto e corto e la genesi dell’idrope, Willbrand e Stahle (1974) hanno proposto che una conseguenza di quest’alterazione sia anche un SE più piccolo, con conseguente minore capacità funzionale di riassorbimento dei fluidi endolinfatici e di regolazione dell’omeostasi ionica.

Secondo Willbrand e Stahle (1974), inoltre, in ossa temporali poco pneumatizzate, il SE è dislocato in posizione più posteriore ed inferiore del normale.

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Il SE presenta una serie di canalicoli disposti trasversalmente rispetto al dotto endolinfatico, che conferisce alla sua parete un aspetto spongiforme. Galey (1989) ha riscontrato un minor numero di canalicoli rugosi in pazienti con MdM, rispetto a controlli sani, correlando questo reperto ad una minore capacità di riassorbimento dell’endolinfa.

Alterazioni epiteliali

Oltre alle alterazioni numeriche dei canalicoli del sacco endolinfatico, Galey (1989) ha riscontrato anche cambiamenti di grandezza e forma delle cellule epiteliali di rivestimento della parete. Le cellule provenienti dal sacco endolinfatico di pazienti menierici erano più piccole, rispetto a quelle osservate nei controlli sani. Un minor numero di cellule colonnari alte potrebbe influire negativamente sulla capacità di riassorbimento del SE. Alcuni Autori (Saito H et al, 1977; Schindler RA et al, 1979) hanno riscontrato alterazioni simili, mentre altri (Lee K e Kimura S, 1992) non confermano questi risultati.

Non è facile comprendere come il SE possa subire una perdita cellulare senza sviluppare alcun esito cicatriziale. Altmann e Kornfeld (1965) hanno proposto che l’epitelio rugoso normale del SE, potrebbe

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essere sostituito da un epitelio più liscio e piatto nei pazienti affetti da MdM. Una perdita dell’epitelio rugoso indurrebbe una diminuzione del rapporto superficie/volume, riducendo le sue capacità di riassorbimento e di regolazione della concentrazione ionica dell’endolinfa.

Fibrosi perisacculare

Alterazioni di tipo fibrotico dei tessuti perisacculari sono state messe in correlazione con la MdM fin dalle prime ricerche condotte da Hallpike e Cairns (1938) e Yamakawa (1938). Questi Autori notarono una sostituzione fibrosa del tessuto connettivo che circonda il SE. Vari Autori hanno potuto confermare successivamente queste alterazioni (Schindler RA et al, 1979; Lim DJ e Glassock ME III, 1981; Lee AJ et al, 1992). Sando ed Ikeda (1985) hanno proposto che il tessuto connettivo lasso e ben vascolarizzato dei soggetti normali, potrebbe essere sostituito da un tessuto fibroso denso meno irrorato. Quest’alterazione diminuirebbe la capacità di riassorbimento del SE.

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• Pneumatizzazione dell’osso petroso

Vari Autori (Willbrand HF, 1981; Yasawa Y e Kitahara M, 1991) hanno trovato ossa temporali poco pneumatizzate in pazienti affetti da MdM. Questa correlazione, invece, non è stata riscontrata da altri Autori come Kraus e Dubois (1979) e Sackett et al (1980).

• Alterazioni vascolari

Una possibile causa alla base dell’idrope endolinfatico, potrebbe essere un’alterazione vascolare a livello dei vasi che circondano il dotto e il sacco endolinfatico (DE e SE). Gussen (1980) ha osservato un minor drenaggio venoso del DE e del SE. In mancanza di circoli collaterali venosi, queste alterazioni potrebbero essere responsabili dell’idrope endolinfatico.

Altri Autori (Belal A, 1979; Lim DJ e Glassock ME III, 1981) non hanno potuto confermare questi risultati.

Anche l’ischemia è stata chiamata in causa per la genesi dell’idrope, inducendo alterazioni metaboliche: Lee et al (1995) hanno dimostrato delle alterazioni atrofiche nelle cellule epiteliali del sacco endolinfatico occluso sperimentalmente.

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• Altre alterazioni morfologiche

Kelemen (1976) ha riscontrato una ialinizzazione dell’area perisacculare, che potrebbe essere responsabile di una minor capacità di riassorbimento e alterata omeostasi dei fluidi del SE. Bachor e Karmody (1993) hanno studiato una serie di ossa temporali, riscontrando una frequente chiusura della valvola utricolo-endolinfatica.

Depositi di calcio trovati nei sacchi endolinfatici di pazienti affetti da MdM (Danckwardt-Lillieström N et al, 1996), potrebbero creare un restringimento dell’acquedotto vestibolare.

Alterazioni delle cellule sensoriali e perdita delle loro ciglia sono state osservate in animali con idrope endolinfatico indotto sperimentalmente (Rydmarker S e Corner C, 1990).

1.2. Alterazioni dei meccanismi fisiologici

• Composizione dell’endolinfa

La composizione dell’endolinfa non è costante (Silverstein H, 1966). Mentre a livello degli organi sensoriali la concentrazione endolinfatica di potassio è alta e quella del sodio è bassa, la

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condizione opposta si riscontra a livello nel SE, dove la composizione dell’endolinfa assomiglia a quella della perilinfa. Inoltre, nel SE, la concentrazione proteica è molto più alta, rispetto alle altre porzioni del sistema endolinfatico (Miyamoto H e Morgenstern C, 1981). Quindi, probabilmente l’endolinfa subisce delle modificazioni lungo il suo tragitto. Vari reperti morfologici (Wackym PA et al, 1986) del SE e del DE indicano un loro attivo coinvolgimento nel trasporto dei fluidi e degli ioni.

• Funzione vascolare e secretoria del sacco endolinfatico Il DE ed il SE sono circondati da capillari fenestrati, riscontrabili generalmente in strutture coinvolte direttamente nel mantenimento dell’omeostasi dei fluidi e degli ioni (Rask-Andersen H et al, 1983). Alcuni studi (Erwall C, 1988) indicano un coinvolgimento del SE anche nella secrezione di sostanze all’interno del proprio lume, oltre alla sua già citata capacità di riassorbimento. Una delle sostanze secrete è la cosiddetta “stainable substance” (sostanza colorabile), costituita prevalentemente da mucopolisaccaridi acidi (Erwall C et al, 1989). Questo materiale è stato trovato anche nell’uomo e sembra essere coinvolto nel mantenimento dell’omeostasi endolinfatica (Hebbar GK et al, 1991). In pazienti affetti da MdM, assistiamo ad un aumento quantitativo della sostanza, per cui

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aumenta anche l’attività secernente (Hebbar GK et al, 1991), favorendo, in ultima analisi, l’insorgenza dell’idrope endolinfatico.

• Alterazioni del riassorbimento dell’endolinfa

Il SE ed il DE possono essere soggetti ad una diminuzione permanente o temporanea della capacità di riassorbimento dei fluidi. Negli epiteli con “leaky cell junctions” (giunzioni cellulari lasse), esiste il fenomeno del trasporto isotonico: l’acqua fluisce liberamente senza alcuna forza propulsiva (Frömter E, 1981). Bagger-Sjöbäck et al (1981) hanno dimostrato giunzioni cellulari di questo tipo a livello della porzione prossimale del SE nella cavia. Nelle porzioni più distali sono, invece, presenti delle “tight junctions” (giunzioni serrate). Questi risultati suggeriscono un coinvolgimento nel trasporto dei fluidi della parte prossimale del SE (e probabilmente anche del DE), mentre le restanti porzioni avrebbero più una funzione nei processi di turnover.

• Alterazioni della membrana basale

È stato descritto un solo caso di MdM, nel quale la membrana basale dell’epitelio del SE e i capillari circostanti erano assottigliati (Bagger-Sjöbäck D et al, 1990). Reperti patologici simili si osservano in caso di glomerulonefrite, un’affezione che causa

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alterazioni delle capacità del trasporto dei fluidi e degli ioni a livello del rene.

Presumibilmente, durante un attacco acuto della MdM, si ha solo un piccolo incremento della quantità di endolinfa. Ritenendo che una crisi duri circa 2 ore, un arresto del flusso di questa durata non sembra poter creare cambiamenti morfologici tali da spiegare la gravità delle crisi. È pertanto possibile che i vari meccanismi precedentemente illustrati agiscano contemporaneamente, potenziandosi a vicenda.

2. Omeostasi dei fluidi dell’orecchio interno

Il sistema del SE e del DE è responsabile del mantenimento dell’omeostasi dell’orecchio interno. Una normale omeostasi è necessaria per creare un ambiente stabile indispensabile per una normale funzione uditiva e vestibolare.

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2.1. Ruolo del flusso longitudinale e radiale nell’omeostasi endolinfatica

Fin dalla prima scoperta dell’idrope endolinfatico da parte di Hallpike e Clairns nel 1927, vari Autori hanno cercato di spiegare come la quantità di endolinfa possa subire un incremento tale da condurre all’idrope endolinfatico.

La teoria del flusso longitudinale formulata da Guild nel 1927 e confermata successivamente da Lundqvist et al (1964), spiega come l’endolinfa si formi a livello dell’epitelio secernente della coclea e del vestibolo, e defluisca attraverso il ductus reuniens nel sacculo e, successivamente, attraverso il DE nel SE, dove avverrebbe il riassorbimento.

A questo proposito, è stata studiata la risposta dell’orecchio interno ad un eccesso di volume di endolinfa: un aumento di volume entro gli 80nl non genera alcun flusso e l’eccesso è corretto attraverso meccanismi locali. Per quantità maggiori, la regolazione avviene attraverso un flusso longitudinale diretto verso la coclea o nella direzione opposta.

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Nel 1958, Naftalin e Harrison presentarono la teoria del flusso radiale che contempla un turnover più locale dell’endolinfa all’interno delle porzioni finali del sistema endolinfatico.

Secondo questa teoria, il tasso massimo di propulsione dei fluidi endolinfatici, valutato con studi sul turnover ionico (sodio e potassio) dell’endolinfa (Konishi T et al, 1978), sarebbe al massimo di 0,2 mm/min. Non è certo se ci possano essere altri meccanismi che contribuiscono al turnover; in tal caso il tasso sarebbe ancora minore.

In studi successivi (Salt AN et al, 1986), è stato impiegato il trimetilammonio (TMA+) per marcare gli ioni. Da questi studi risulta che il meccanismo di propulsione del TMA+ è più simile alla diffusione che non ad un vero e proprio “flusso”. Infatti, il tasso massimo era di 0,009 mm/min. In un altro studio (Salt AN e Thalmann R, 1989) la velocità massima era di 0.0036 mm/min. In questo caso, un turnover completo avverrebbe in un “half time” di più di 57 ore.

In base a questi risultati sembra che siano predominanti processi di turnover radiali (Salt AN et al, 1986, Sziklai I et al 1992).

Ulteriori studi sono stati condotti allo scopo di approfondire i meccanismi di regolazione del volume del SE: perfondendo lo spazio perilinfatico con una soluzione iperosmotica, la

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concentrazione endolinfatica degli ioni potassio aumenta in senso base-apicale (Salt AN e DeMott JE, 1995). Questo movimento del potassio rappresenta un meccanismo di ricostituzione del volume endolinfatico conseguente ad una sua diminuzione.

Altri Autori confermano il ruolo del SE nel ripristinare il volume dell’endolinfa attraverso un’attività di secrezione attiva (Friberg U et al, 1986; Takumida M et al, 1989).

In conclusione, è possibile affermare l’esistenza sia del flusso longitudinale (aumento di volume > 80 nl), sia di quello radiale (diminuzione del volume).

2.2. Ruolo della pressione dei liquidi labirintici nell’omeostasi endolinfatica

Lo spazio endolinfatico è una camera dalle pareti flessibili, sospesa all’interno dello spazio perilinfatico.

Normalmente, tra i due spazi non esiste una differenza di pressione idrostatica significativa (Böhmer A e Andrews IC, 1989). Il mantenimento dell’equilibrio tra le pressioni è un meccanismo

importante, dal momento che una differenza tra esse condurrebbe ad una diminuzione della sensibilità acustica.

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La pressione perilinfatica varia al variare della pressione intracranica, trasmessa attraverso l’acquedotto cocleare (Carlborg BIR, 1992), ad esempio durante la starnutazione, la tosse, alzando un peso o cambiando posizione. Queste fluttuazioni della pressione perilinfatica sono trasmesse anche all’endolinfa (Long CH, 1987). Nell’idrope endolinfatico acuta, le pressioni endo- e perilinfatiche sono identiche (Long CH, 1987), mentre in animali con idrope cronica (12-16 settimane), può essere osservato un cambiamento della pressione endolinfatica. La differenza di pressione tra i due spazi riscontrata da Andrews et al (1991) era di 0,96 mmHg.

Questi studi confermano che, negli stadi iniziali, i cambiamenti di pressione vengono bilanciati dalla distensione di alcune strutture (ad esempio la membrana di Reissner), mentre nelle fasi successive, i meccanismi di compenso sono insufficienti ed è possibile registrare un’aumentata pressione endolinfatica.

2.3. Ruolo degli ormoni nell’omeostasi endolinfatica

Una dieta a basso contenuto di sodio e l’uso di diuretici in pazienti affetti da MdM può migliorare la sintomatologia. Un effetto del minor apporto di sodio è l’aumento dell’aldosterone plasmatico.

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Uno studio di Takeda (1995) dimostra, infatti, come i livelli plasmatici di ADH siano più elevati in pazienti menierici rispetto a pazienti affetti da altre malattie dell’orecchio interno.

Studi su animali confermano questa ipotesi: sono stati trovati recettori per l’aldosterone e per i glucocorticoidi nei tessuti dell’orecchio interno (Pitovski DZ et al, 1993). Il successo del trattamento con desametasone, il quale ha effetti simili ai glicocorticoidi, è molto promettente, ma il suo meccanismo d’azione a livelli dell’orecchio interno non è chiaro (Itoh A et al, 1991; Shea JJ Jr e Ge X, 1996).

L’ormone antidiuretico (ADH) potrebbe avere un effetto sulla secrezione ionica o sulla permeabilità delle membrane (Julien N et al, 1994; Farrary E et al, 1996). Bartoli et al (1989) hanno osservato come una riduzione della pressione idrostatica a livello dell’orecchio interno aumenti significativamente i livelli plasmatici di ADH. Al contrario, un aumento della pressione idrostatica induce un decremento dei livelli di ADH. Questi Autori propongono l’ipotesi che l’orecchio interno possa essere coinvolto nel sistema recettoriale responsabile del rilascio dei ADH anche nell’uomo. L’aldosterone potrebbe, quindi, essere implicato nella regolazione dell’omeostasi endolinfatica, ma la localizzazione ed i meccanismi

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precisi rimangono da chiarire (Ma YL et al, 1995; Farrary E et al, 1996).

Altre possibili conferme a favore di un coinvolgimento di meccanismi ormonali nella genesi e/o mantenimento dell’idrope endolinfatico, sono i risultati di uno studio di Qvortrup et al (1996): sono stati trovati recettori per il peptide natriuretico atriale (ANP) a livello dell’orecchio interno. L’ANP è un potente diuretico ed antagonista dell’ADH e dell’aldosterone.

Questi Autori che propongono, inoltre, che il SE possa essere una struttura sensibile ad una sostanza natriuretica “cerebrale”, denominandola “saccina”, ma la funzione di questa ipotetica sostanza e quella dell’ANP in relazione all’idrope endolinfatico sono ancora da approfondire.

Anche il fatto che in alcune donne è possibile correlare i sintomi al ciclo mestruale, suggerisce un collegamento tra il controllo ormonale degli elettroliti plasmatici e l’omeostasi endolinftica (Andrews JC et al, 1992).

In base ai dati ad oggi presenti, è possibile affermare che alcuni ormoni possono giocare effettivamente un ruolo nella regolazione dell’omeostasi endolinfatica, ma non è chiaro quali tessuti siano strutture “rivelatrici”, e quali, invece, siano tessuti effettori, e come questi sistemi siano fra loro correlati.

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