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IL BIOETANOLO DAL MAIS

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Academic year: 2021

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CAPITOLO III

IL BIOETANOLO DAL MAIS

In questo capitolo viene analizzato nel dettaglio il ciclo di produzione del Bioetanolo prendendo come materia prima di riferimento il mais.

Per la produzione di Bioetanolo il mais costituisce una delle materie prime principalmente impiegate a livello mondiale, essendo la risorsa di riferimento dell’etanolo statunitense, principale produttore di biocarburante nell’intero panorama mondiale.

Inoltre rispetto alla canna da zucchero per il mais è più complesso il problema etico e di mercato tra l’utilizzo per la biocarburazione e il campo alimentare.

3.1 – La Valutazione del Ciclo di Vita (LCA)

Il concetto di “coscienza ambientale” è una conquista recente che ha contribuito decisamente a sensibilizzare le industrie, e molte attività produttive, nell’assumere una politica ecocompatibile e il più possibile rispettosa dell’ambiente. Fornitore Trasporto Produzione Imballaggio Utilizzo Eliminazione

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Oggigiorno la maggior parte di queste attività stima ed analizza attentamente quali siano i loro potenziali impatti sull’ambiente, impiegando l’integrità ambientale, la protezione della biodiversità come gli strumenti chiave per la determinazione dei loro obiettivi e delle modalità con cui ottenerli. Tra gli strumenti tecnici che vengono utilizzati per raggiungere questi obiettivi trova sempre un maggiore impiego il Life Cycle Assestment.

La Valutazione del Ciclo di Vita rappresenta un metodo analitico ed oggettivo per la quantificazione dei carichi energetici ed ambientali, nonché dei potenziali impatti associati ad un processo e/o ad un’attività. L’importanza di questa tecnica risiede di fatto nel suo approccio innovativo nel quale vengono valutate tutte la fasi della vita di un prodotto, partendo dal presupposto che queste siano tutte correlate tra di loro, e che ogni operazione ne promuova un’altra successiva.

Da un punto di vista più pratico si tratta di considerare tutti gli input e gli output che caratterizzano il nostro sistema (prodotto, processo, etc.), in modo tale da ottenerne una visione globale degli aspetti e dei bilanci ambientali. La figura seguente riassume graficamente i principali input ed output che caratterizzano un sistema modellato secondo l’LCA (Fonte: EPA,13 1993).

13 Enviromental Protection Agency.

Acquisizione delle Materie Prime

Produzione

Utilizzo dei Prodotti

Riciclo e Trattamento dei Rifiuti

Confini del Sistema

INPUTS OUTPUTS Materie Prime Energia Emissioni Atmosferiche Rifiuti Liquidi Rifiuti Solidi Co-prodotti Altri Outputs

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La valutazione del ciclo di vita è quindi un processo sistematico che consiste di quattro fasi (Fonte: ISO,14 1997):

1) Definizione degli Obiettivi

In questa parte si procede alla definizione ed alla descrizione del prodotto studiato, dei processi e delle attività che lo caratterizzano, delimitando in tal modo il campo d’applicazione dell’indagine.

2) Compilazione dell’Inventario

Si identificano e quantificano tutte le fonti energetiche, gli usi dell’acqua e dei materiali e in particolar modo le emissioni nell’ambiente circostante (atmosferiche, nei corpi idrici e rifiuti solidi).

3) Valutazione degli Impatti

Vengono stimati i potenziali impatti che il prodotto ha sull’ambiente, attraverso la valutazione dei singoli input ed output.

4) Interpretazione

Valutazione dei risultati ottenuti atta ad identificare le assunzioni attraverso cui poter generalizzare le conclusioni raggiunte.

14 International Organization for Standardization, detta più comunemente International Standard

Organization. Definizione Obiettivi Compilazione dell’Inventario Valutazione degli Impatti Interpretazione

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In definitiva la Valutazione del Ciclo di Vita di un prodotto o di un processo può diventare un valido strumento di supporto all’attività decisionale, che attraverso il raffronto dei principali impatti ambientali, permetta di individuare l’alternativa ottimale.

3.2 – Le Fasi del Ciclo Produttivo

A livello mondiale la risorsa prima che viene principalmente impiegata nella produzione di bioetanolo è sicuramente il mais, ad eccezione del Brasile dove la materia prima per eccellenza è la canna da zucchero. La filiera per la produzione del bioetanolo è abbastanza articolata, e può essere suddivisa in sei fasi:

1. produzione e distribuzione dei chemicals (fertilizzanti, CaO, erbicidi e pesticidi);

2. coltivazione e raccolta delle materie prime (farming);

3. trasporto delle materie prime (dal campo all’impianto di trasformazione);

4. produzione del carburante;

5. trasporto, distribuzione e stoccaggio del carburante;

6. utilizzo del carburante da parte dei veicoli.

Produzione e Distribuzione dei Chemicals Corn Farming Produzione di Bioetanolo Trasporto delle Materie Prime Produzione dei Macchinari Agricoli Trasporto e Distribuzione del Carburante Utilizzo del Carburante

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Nel nostro paese stenta, per diversi motivi, ad affermarsi ed a diffondersi una filiera efficiente per la produzione dell’etanolo.

La principale difficoltà risiede proprio nei molteplici passaggi, di trasformazione e distribuzione della risorsa di partenza, che moltiplicano gli spechi energetici rendendo a volte infruttuosa questa pratica.

Una filiera più efficiente, che riduca quindi al minimo le perdite energetiche, ed un approccio integrato sono gli strumenti necessari per incentivare i vari paesi a spendere risorse e denaro nell’adozione di tecnologie ecocompatibili e rispettose dell’ambiente.

Lo spreco energetico nei passaggi intermedi non deve però essere preso come alibi per giustificare un approccio inadeguato verso il settore dei biocarburanti.

Una filiera lunga non è di per sé fruttuosa, ma in Italia si paga principalmente il fatto che questa filiera non è integrata sul territorio, cosicché ogni singola fase risulti complessa e allo stesso dispendiosa.

I principali paesi produttori di biocarburanti hanno risolto, in maniera più o meno definitiva, questo problema, tramite un’attività di sviluppo e ricerca costante ed affermata nel tempo.

La mancanza di accordi politici precisi ed efficaci rende ancora più difficile l’integrazione della filiera sul territorio, sia in ambito regionale che in quello nazionale.

Ciascuna fase del ciclo produttivo verrà analizzata più approfonditamente allo scopo di evidenziare gli aspetti che la contraddistinguono, le spese energetiche necessarie per realizzarla, i prodotti e sottoprodotti ottenuti in modo tale da avere un quadro completo ed esaustivo sull’intera fase di produzione e distribuzione dell’etanolo.

L’intento di questa analisi è di fornire gli strumenti necessari per determinare, a seconda della situazione che si crea, la fattibilità economica ed ambientale della produzione di Bioetanolo.

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3.3 – La Produzione e Distribuzione dei Chemicals

Per chemicals si intendono un’insieme di prodotti, chimicamente sintetizzati, impiegati per migliorare e ottimizzare la fase di crescita delle colture agricole. Fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi hanno questa funzione, in quanto forniscono alla pianta nutrienti, protezione da malattie ed insetti infestanti, evitando la morte della pianta e quindi una minor resa del campo coltivato. E’ evidente però che la produzione e la distribuzione di queste sostanze richiede una certa spesa da parte dell’agricoltore, che deve essere considerata nell’insieme delle spese totali da sostenere. Viene stimato mediamente che la spesa riguardante il consumo ed utilizzo dei fertilizzanti può raggiungere quasi la metà, e in alcuni casi superarla, delle spese totali.

3.3.1 – Azoto, Fosforo e Potassio

I principali fertilizzanti che vengono utilizzati nelle varie pratiche agricole sono costituiti prevalentemente da tre elementi che di composto in composto si presentano con un’abbondanza variabile: Azoto, Fosforo e Potassio.

Questi tre elementi sono considerati nutrienti fondamentali e necessari per le piante e per il loro adeguato sviluppo.

L’azoto è abbastanza abbondante all’interno di una pianta ed in media ha un’abbondanza del 3 - 4 % (in peso rispetto alla massa secca totale della pianta). Le piante non assumono direttamente l’azoto presente nell’atmosfera, in quanto non sono in grado di assimilarlo nella forma biatomica in cui è presente in questo comparto, ma solamente quando l’azoto una volta raggiunto il suolo si trasforma o in ammoniaca o in nitrato, per la presenza di Nitrobatteri. In questa forma l’azoto viene facilmente assorbito dall’apparato radicale delle piante. Sebbene studi sperimentali dimostrino che la piante si accrescono più rapidamente assimilando una miscela di ammoniaca e nitrato, la quasi totalità dell’azoto viene assimilata sotto forma di nitrato. Ciò dipende dalla rapida conversione microbica dell’ammonio a nitrato nel suolo, che grazie alla sua più alta mobilità lo rende maggiormente disponibile per le radici rispetto all’ammonio. Questa situazione tende a cambiare al variare del pH del suolo che influenza tutti i vari equilibri

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chimici rendendo più mobile e quindi assimilabile l’ammoni rispetto al nitrato. L’azoto assimilato a livello dell’apparato radicale viene trasportato nella parte superiore della pianta dove, tramite passaggi intermedi, viene trasformato in materiale proteico. Generalmente l’azoto, al termine di questo percorso, è immagazzinato maggiormente nelle parti giovani della pianta che in quelle vecchie; e quando la quantità di azoto assimilata radicalmente non è sufficiente, piccole quantità di azoto si spostano dalle parti vecchie a quelle più giovani della pianta.

Il fosforo è essenziale per il processo fotosintetico, poiché è uno dei costituenti primari strutturali delle membrane che sostengono le cellule della pianta. Il fosforo viene assimilato dall’acqua presente nel suolo tramite l’apparato radicale.

I composti a base di fosforo solo poco solubili e, in alcuni casi, la quantità di fosforo disponibile per la pianta è inferiore alle sue richieste alimentari, in particolare nelle prime fasi quando la pianta si accresce con più vigore richiedendo di conseguenza una maggiore quantità di nutrienti. In questo caso vengono somministrate delle dosi, opportunamente misurate, di fosforo per colmare questo deficit evitando di rallentare la crescita delle piante stesse.

Su base giornaliera una pianta in fase di rapido accrescimento può arrivare ad assimilare anche l’equivalente di circa 2.5 kg di P2O5 per ettaro. Risulta

evidente che per permettere una crescita di questo tipo debbano essere presenti già delle riserve di fosforo nel suolo, che dovranno essere aggiunte tramite la distribuzione di fertilizzanti qualora tali riserve risultassero insufficienti.

Una carenza di fosforo nel suolo non colpirebbe solo la pianta in fase di crescita, ma anche la qualità dei frutti e la formazione dei semi.

Per produrre con successo la prossima generazione di piante, semi e grains, devono poter accumulare fosforo per poi utilizzarlo quando sarà necessario nel periodo della crescita dell’apparato radicale, poiché senza un apparato radicale ben sviluppato la pianta non sarebbe in grado di accrescersi per l’incapacità di acquisire nutrienti dal suolo.

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Oggigiorno il fosforo ha vari impieghi, ma tre possono essere considerati prevalenti:

 produzione di fertilizzanti (79 %);  additivo nel cibo per animali (11 %);  produzione di detergenti (7 %);

 restanti applicazioni (es. trattamento anticorrosione dei metalli, etc., - 3 %).

Nelle figura a seguire sono riportati i trend sia del consumo di fosforo (come P2O5), sia del tempo di vita delle riserve.

Sono stati considerati quattro differenti scenari: tre in cui il fosforo viene consumato con un aumento percentuale rispettivamente del 2 %, 2.5 %, 3 %, e un quarto in cui viene considerato il consumo più probabile di fosforo.

Figura 8 - Relazione tra i vari scenari di consumo ed il tempo di vita delle riserve (Fonte: EFMA,

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Il potassio svolge due ruoli importanti nell’economia cellulare di una pianta. Il primo, che è insostituibile, consiste nella capacità di attivare i complessi enzimatici fondamentali per la sintesi di proteine e zuccheri. Solo piccole quantità di potassio sono richieste per questa funzione biochimica.

Il secondo è legato alla natura dello ione potassio (K+) che è lo ione principale per il mantenimento del turgore cellulare, quindi in questo caso svolge un ruolo di natura biofisica. La turgidità cellulare è essenziale per mantenere il vigore delle foglie fondamentale per avere sempre un’ottimale superficie fotosintetica.

Quindi una pianta in rapida fase di crescita assume una quantità di potassio, presente in soluzione nell’acqua del suolo, tra i 6 e gli 8 kg per ettaro. Anche in questo caso è necessario che il suolo sia già dotato di riserve disponibili di potassio, accumulate dalle precedenti applicazioni di fertilizzanti e concimi e successivamente mantenute costanti dall’aggiunta di quantità variabili di fertilizzanti per mantenere intatte tali riserve.

Figura 9 - Relazione tra la disponibilità di potassio e l’assunzione di azoto (Fonte: EFMA,

Understanding Potassium And Its Use In Agricolture).

Sufficienti riserve di potassio assicurano inoltre che gli altri input richiesti per raggiungere l’optimum economico nei rendimenti siano usate efficientemente. In particolar modo una carenza di potassio porterebbe ad un inefficiente utilizzo di azoto da parte della pianta con il rischio che l’azoto non utilizzato rimanga nel

Granella Prodotta (t/ha)

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suolo dopo la raccolta della pianta e venga perso per erosione e lisciviazione. Questa situazione è evidenziata nella figura seguente.

Dal grafico (Figura 9) si evince che avendo a disposizione una quantità iniziale di potassio bassa (linea rossa) la quantità di azoto applicata cresce meno nettamente e di conseguenza la quantità di prodotto che verrà poi raccolta è modesta. Nell’altra situazione (linea blu) ovvero con la presenza nel suolo di una riserva sufficiente ed adeguata di potassio, l’applicazione di azoto è più netta e il prodotto raccolto sarà una quantità quasi doppia alla precedente. La quasi totalità del potassio (95 %) è utilizzata come fertilizzante, gli altri impieghi consistono ad esempio nel rendere meno dura l’acqua tramite la sostituzione dei Sali di calcio e magnesio che le danno questa proprietà.

Passiamo ora a vedere come l’azoto si ripartisce e si sposta nel suolo (Ciclo Azoto).

Figura 10 - Ciclo globale dell’azoto (Fonte: EFMA, Understanding Nitrogen And Its Use In

Agricolture).

Va premesso che le attività antropiche hanno contribuito molto ad aumentare la quantità di azoto che viene scambiata tra il mondo vivente e altri comparti quali: suolo, acqua, e atmosfera.

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Nel suolo è contenuto la maggior parte dell’azoto presente nell’intera litosfera, e mediamente nel mondo la quantità totale di N presenti in suoli coltivati varia tra lo 0.02 % e lo 0.4 %. In Europa il range più comune è compreso tra 0.04 % e 0.2 %, che è all’incirca equivalente a una quantità tra i 1800 e i 9000 kg di N per acro nel primo strato arato della profondità di 30 cm circa.

Suoli con un basso contenuto di N sono considerati non fertili e economicamente sfavorevoli per la coltivazione di piante.

L’azoto presente naturalmente nel suolo e quello che viene applicato tramite fertilizzanti azotati (provenienti da fonti sia minerali che organiche) è trasformato in diverse forme tramite una serie di reazioni chimiche più o meno complesse. E’ importante comprendere che i crescenti input di fertilizzanti azotati nel suolo non hanno create nuove vie all’interno del ciclo dell’azoto, ma hanno piuttosto aumentato sia la quantità di N presente all’interno di alcuni compartimenti, sia il flusso di azoto tra questi compartimenti. Le principali forme di azoto presenti nel suolo consistono nell’azoto legato ai composti organici nell’humus e le forme minerali di ammonio (NH4+) e nitrato (NO3-).

Nitrato e ammonio sono entrambi direttamente disponibili per le piante, ma come già accennato in precedenza la maggior parte dell’azoto è assunto sotto forma di nitrato. Ciò è legato al fatto che l’azoto nell’ammonio una volta nel suolo si lega sulle particelle di sedimento, mentre quello del gruppo nitrato riamane libero in soluzione rendendosi immediatamente disponibile per l’assunzione da parte dell’apparato radicale delle piante. Le principali reazioni che trasformano l’azoto da una forma all’altra sono elencate di seguito.

Queste reazioni chimiche non coinvolgono solo l’azoto ed i suoi composti, ma la fase di mineralizzazione permette il rilascio nel suolo anche degli altri nutrienti fondamentali per la crescita di una pianta come il fosforo ed il potassio.

Mineralizzazione

L’azoto presente nei composti organici è pressoché immobile e indisponibile per le piante. E’ stato stimato che dal 1 al 3 % dell’azoto organico totale nelle zone dal clima temperato viene mineralizzato da microrganismi nel corso di un solo anno, portando a una teorica sostituzione dell’azoto presente nel suolo ogni 30-70 anni.

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La conversione dell’azoto organico a ione ammonio è conosciuta appunto come mineralizzazione.

Nitrificazione

L’ammonio può essere utilizzato direttamente dalle piante, ma la maggior parte è rapidamente convertito tramite due passaggi dai batteri in ione nitrato.

NH

4 +

→ NO

2

→ NO

3 -

Nel primo passaggio i batteri nitrificanti che lo realizzano fanno parte della classe Nitrosomonas, mentre la seconda fase è a carico di un’altra classe di batteri nitrificanti ovvero i Nitrobacter. Il processo avviene tramite due consecutive reazioni di ossidazione.

Denitrificazione

In questa fase il nitrato viene ridotto, tramite l’intermedio ossido di di-azoto, a azoto atmosferico (N2).

NO

3

→ N

2

O (↑) → N

2

(↑)

La mineralizzazione aumenta la quantità (pool) di azoto disponibile per le piante (ammonio e nitrato), mentre al contrario i microrganismi consumano azoto minerale, sia sotto forma di ammonio che di nitrato.

Questa fase, o reazione, in cui alcune popolazioni di microrganismi fissano l’azoto minerale dalle soluzioni presenti nel suolo alla materia organica si chiama

immobilizzazione o fissaggio dell’azoto, in quanto l’azoto una volta che si lega

alla materia organica diventa “immobile”, cioè non è più libero di andare in soluzione divenendo in tal modo non più disponibile per l’assimilazione da parte delle piante.

Se il rapporto carbonio:azoto (C:N) nel suolo è più alto di 20:1 questa immobilizzazione è favorita, cosicché l’azoto minerale viene trasformato in azoto

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organico. Se invece il rapporto è inferiore a 15:1 la mineralizzazione prevale e come diretta conseguenza si ha la formazione di ammonio e nitrato e la sua successiva ossidazione a nitrato. Sia il prodotto intermedio che quello finale sono presenti allo stato gassoso (↑) che ne permette l’entrata nel comparto Atmosfera. A causa dell’humus, la materia organica nel suolo a lungo termine, ha un rapporto C:N abbastanza costante che vale 10:1, mentre nella maggior parte delle terre coltivate in Europa questo rapporto assume un valore di 8:1. l’ammonio ed il nitrato provenienti da fertilizzanti azotati sono soggetti agli stessi processi finora descritti. Il contenuto di materia organica di un suolo e il rapporto C:N sono specifici per un sito e per l’uso che si fa di quel sito, essi difatti dipendono da fattori climatici, dal regime delle acque e soprattutto dal tipo di suolo presente e dalla vegetazione presente su questo.

3.3.2 – La Produzione dei Fertilizzanti

L’uso di fertilizzanti, in special modo quelli azotati, è in rapida crescita nel panorama mondiale. Come la figura ben evidenzia i fertilizzanti che trovano un maggior impiego sono quelli a base di azoto, che dal 1964 ai primi anni ‘80 circa, hanno avuto un incremento netto e molto forte, raggiungendo i valore massimo delle 12 milioni di tonnellate consumate nel 1980.

Figura 11 - Consumo mondiale di fertilizzanti espresso in milioni di tonnellate (Fonte: ERS/USDA).

Milioni di tonnellate

Azoto

Potassio

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Contemporaneamente si può notare che i consumi di potassio e fosforo si sono mantenuti pressoché costanti, raggiungendo valori massimi molto minori (circa 6 milioni di tonnellate) rispetto a quelli dei composti azotati.

L’azoto, nella produzione di fertilizzanti, può essere sia applicato da solo che insieme ad altri elementi (P e K), che sono presenti con un’abbondanza che varia di prodotto in prodotto.

Per comodità potremo chiameremo i fertilizzanti solamente con azoto fertilizzanti azotati, mentre quelli dove oltre all’azoto ci sono fosforo e/o potassio fertilizzanti azotati composti. Comunque sia a livello mondiale che a quello europeo i fertilizzanti azotati semplici costituiscono circa il 78-80 % del totale di tutti i fertilizzanti azotati (semplici + composti) utilizzati.

I fertilizzanti vengono prodotti in degli impianti dedicati tramite una serie di passaggi chimici abbastanza complessi.

Il diagramma a blocchi sottostante mostra i tre passaggi principali che vengono realizzati nei veri impianti di produzione.

Gas Naturale Ammoniaca Urea Acido Nitrico Acido Fosforico Acido Solforico Minerali Grezzi di P Solfuro AN CN KN MAP DAP TSP SSP AS MATERIE PRIME PRODOTTI INTERMEDI PRODOTTI FINALI

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Le materie prime sono appunto dei materiali che si trovano in natura più o meno facilmente: dai minerali di fosforo che vengono estratti appositamente in delle miniere, al metano che viene preso daglI impianti di depurazione come prodotto finale della respirazione anaerobica che permette la degradazione e quindi lo smaltimento della materia organica. Oltre ai minerali di fosforo ed al metano l’altra materia prima necessaria è lo zolfo.

Dalle materie prime tramite si ottengono i prodotti intermedi, che successivamente vengono opportunamente miscelati ad altri reagenti per ottenere il prodotto fertilizzante finale. Come prodotti intermedi si utilizzano:

 ammoniaca;  acido nitrico;  acido fosforico;  acido solforico.

Nei paragrafi che seguono si introdurranno gli strumenti necessari per quantificare l’energia necessaria alla produzione dei fertilizzanti, seguendo lo schema riassunto nella figura precedente. Si stimerà per prima l’energia per il passaggio delle risorse prime a prodotti intermedi, e poi quella per la trasformazione dei prodotti intermedi nei prodotti finali. A tutto ciò verrà aggiunto anche il costo energetico legato alle materie prime, e sommando poi in conclusione tutti i vari contributi si arriverà ad una stima abbastanza precisa dell’energia per la produzione dei fertilizzanti esaminati.

I Prodotti Intermedi

I dati energetici per la trasformazione delle materie prime in prodotti intermedi che vengono discussi in queste sezione, ed approfonditi nell’Appendice III, sono stati ottenuti utilizzando come tecnologia produttiva la BAT, acronimo di Best Available Technology, cioè letteralmente la migliore tecnologia disponibile. Questa tecnologia si basa sull’ipotesi che i rendimenti dei processi produttivi siano molto alti e che quindi gli sprechi energetici siano ridotti al minimo.

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Ammoniaca - NH3

Viene prodotta utilizzando un procedimento abbastanza complesso che si basa sul riformarsi del gas naturale (metano - CH4) con vapore e aria. Rispetto ad altri

procedimenti produttivi (oli pesanti e carbone) questo è sicuramente il più efficiente e il più economico. Il processo totale di conversione, considerando il metano e l’azoto atmosferico, come risorse prime, può essere riassunto con la seguente stechiometria:

0.88CH4 + 1.26 Aria + 1.24 H2O → 0.88 CO2 + N2 + 3H2

N2 + 3H2 → 2NH3

Il gas naturale ha una duplice funzione nella fase di produzione dell’ammoniaca: è sia risorsa prima (circa l’82% del gas totale) che input energetico necessario per favorire termodinamicamente le reazioni chimiche. Il bilancio energetico per un impianto che produce ammoniaca è di circa 34.5 GJ/t N (vedi Appendice III – Tabella A 3). In Europa il consumo energetico è più alto (39 GJ/t N) poiché questa tecnologia produttiva non è ancora stata perfezionata ed affinata.

Acido Nitrico - HNO3

Questo acido molto forte si ottiene facendo reagire l’ammoniaca utilizzando come catalizzatore una lega di platino/rodio. La stechiometria del processo è la seguente:

4NH3 + 5O2 → 4NO + 6H2O

2NO + O2 → 2NO2

3NO2 + H2O → 2HNO3 + NO

La reazione totale diventa perciò così:

4NH3 + NO + 602 → 2HNO3 + 3NO + 5H2O

La reazione finale che ci permette di ottenere l’acido nitrico è esotermica, ovvero libera una ben determinata quantità di calore, che è funzione del tipo di reagenti e prodotti presenti.

Un moderno impianto di produzione di acido nitrico è in grado di avere un’efficienza di circa - 11GJ/t HNO3-N. Il valore numerico è negativo in quanto

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energetici che verranno fatti in seguito deve essere considerata come una quantità da sottrarre alla spesa energetica totale. In Europa il valore medio è invece di - 7

GJ/t N.

Acido Solforico - H2SO4

E’ necessario per la formazione dell’acido fosforico. La risorsa prima è lo zolfo, sia estratto dalle miniere che ottenuto da gas naturali e/o oli carburanti. La reazione esotermica ci permette di ottenere un rendimento dell’ordine di - 6.0

GJ/t H2SO4. Per gli impianti di produzione europei il valore si attesta intorno ai -

3.0 GJ/t H2SO4.

Acido Fosforico - H3PO4

Le rocce fosfatiche e l’acido solforico sono gli input necessari per la produzione dell’acido fosforico. I minerali grezzi a base di fosforo vengono estratti dalle miniere e poi trattati per ottenere una roccia fosfatica secca (32 % P205, 50 % CaO)

commerciabile, ovvero che possa essere utilizzata nella fase di lavorazione e realizzazione dell’acido. La richiesta energetica totale per la produzione della roccia fosfatica è dell’ordine di 0.3 GJ/t P205 (0.1 GJ/t prodotto) per i minerali

grezzi di fosforo più facilmente estraibili dalle miniere. Nel caso si volesse usare come minerale fosforico di partenza l’apatite le richieste energetiche sono più alte, in quanto tale minerale è più difficilmente estraibile, e sono all’incirca 2.8 GJ/t P2O5 (0.9 GJ/t prodotto).

I processi per la produzione di acido fosforico sono vari, ma i più utilizzati sono principalmente due:



il processo emiidratato: in cui le risorsa prima è la sola roccia fosfatica. Permette di ottenere un prodotto con circa il 48 % di P205. Non è

esotermico perciò richiede circa 1.5 GJ/t P205. In realtà poiché il

rendimento del processo non è del 100 % l’acido che si ottiene è al 42 %, per portarlo ad un grado di purezza del 48% serve un input energetico extra di 1.0 GJ/t P205, cosicché l’energia totale ammonta a 2.5 GJ/t P205.



Il processo diidrato: si differenzia dal primo perché è necessario anche l’acido solforico come chemicals di partenza oltre alla roccia fosfatica. Il

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prodotto che si ottiene è meno puro del precedente (28 % P205), ma

sfruttando la reazione esotermica della produzione dell’acido solforico, la reazione finale rimane sempre esotermica rendendolo per questo motivo più vantaggioso del precedente. Per questo processo la richiesta energetica è di 6.5 GJ/t P2O5.

La richiesta di acido solforico è di 2.76 t H2SO4 per ogni t P2O5. Le richieste

energetiche in dettaglio sono riassunte nell’Appendice III (Tabella A 4).

I Prodotti Finali

Per ciascun tipo di fertilizzante, al fine di ottenere una stima precisa della richiesta energetica necessaria per la sua produzione, si deve conoscere sia la composizione chimica, ovvero l’ingrediente o gli ingredienti attivi principali presenti e la loro abbondanza. La tabella sottostante riassume quanto appena detto.

Tabella 10 - Principali fertilizzanti (semplici e composti) e abbondanza degl’elementi nutrienti (Fonte: Kongshaug, G., Energy Consumption And Gas Emission In Fertilizer Production, 20 Luglio 1998 , Hydro Agri Europe, Norvegia).

Abbondanza Fertilizzante N P2O5 K2O SO3 Ca % in peso Ammoniaca 82 Urea 46

Nitrato d’Ammonio (AN) 35

Nitrato di Calcio (CN) 16 19

Nitrato di Potassio (KN) 14 44

Solfato d’Ammonio (AS) 21 59

Fosfato d’Ammonio (AP) 11 49

Fosfato di Mono-Ammonio (MAP) 11 52 1-2 Fosfato di Di-Ammonio (DAP) 18 46 1-3 Nitro AP 8 52

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Urea - CO(NH2)2

E’ il più concentrato fertilizzante azotato solido (circa 46%). Si ottiene a partire da ammoniaca liquida e anidride carbonica, che reagendo formano il carbammato di ammonio, il quale è successivamente deidrato per formare appunto l’urea secondo la seguente stechiometria:

2NH3 + CO2 → CO(NH2)2 + H2O

In determinate situazioni, come estati particolarmente fredde, l’urea tende a trasformarsi in ammonio che poi a sua volta si trasformerà in nitrato. Questa serie di reazioni chimiche, che trasforma urea in nitrato, è fortemente influenzata dalla temperatura.

Per quanta riguarda la spesa energetica è dell’ordine di 7.2 GJ/t N (3.3 GJ/t urea). In Europa la richiesta sarebbe invece di 9 GJ/t N.

Nitrato d’ammonio - NH4NO3 (AN)

E’ un’altra fonte di azoto concentrato, e viene ottenuto tramite la reazione di neutralizzazione dell’acido nitrico con ammoniaca anidra (HNO3 + NH3 →

NH4NO3). Questa reazione rilascia una certa quantità di energia che viene

utilizzata per rimuovere l’acqua presente in eccesso. Il risultato è una soluzione di nitrato d’ammonio all’80-90 %, che risulta essere uno fertilizzante tra i più utilizzati (21%). Da un punto di vista energetico in un impianto moderno si consumano circa 0.43 GJ/t N (0.15 GJ/t AN), mentre mediamente a livello europeo si consumano più o meno 2.0 GJ/t N (0.7 GJ/ t AN).

Nitrato ci calcio (CN)

Oggi la maggior parte del nitrato di calcio è prodotto da un’acidificazione, tramite acido nitrico, di rocce fosfatiche. Questo processo richiede un input energetico di

5.2 GJ/t N (0.8 GJ/t prodotto). Nel mercato europeo le richieste energetiche sono

nell’ordine di 6.5 GJ/t N.

Nitrato di potassio (KN)

Il nitrato di potassio viene prodotto tramite un processo di scambio ionico tra acido nitrico e muriato di potassio. L’energia totale per questa reazione di

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scambio è dell’ordine di 43 GJ/t N (6GJ/t KNO3). Solfato d’ammonio (AS)

E’ solitamente prodotto attraverso la reazione dell’ammoniaca con acido solforico, richiede una spesa energetica di circa - 20.7 GJ/t N (vedi Appendice III – Tabella A 5).

Soluzioni UAN

Questo tipo di fertilizzante è ottenuto mescolando urea (U) con nitrato d’ammonio (AN), da qui il termine UAN. La miscelazione, il raffreddamento e lo stoccaggio delle UAN richiedono all’incirca 0.4 GJ/t N.

Fosfati d’ammonio (MAP-DAP)

La produzione di fosfati d’ammonio, utilizzando acido fosforico al 48 % e ammoniaca, richiede circa 0.7 GJ/t P2O5 (0.35 GJ/T prodotto). In Europa a livello

di produzione le spese energetiche sono di circa 0.9 GJ/t P2O5.

Nell’Appendice III (Tabelle A 6 e A 7) è riassunta la situazione per i composti azotati nel suo complesso, ovvero è stata riportata sia l’energia per passare dalle materie prime ai prodotti finali (energia di trasformazione), che l’energia totale, cioè la somma tra l’energia di trasformazione e l’energia che viene consumata in altri processi aggiuntivi come la granulazione ed il prilling.

Lo stesso è stato fatto (vedi Appendice III – Tabelle A 8 e A 9) per la classe dei composti fosforici.

La tabella seguente riassume schematicamente la complessa fase della produzione dei fertilizzanti finora descritta, riportando per tutti i fertilizzanti citati l’energia totale necessaria alla loro produzione ed il relativo consumo mondiale.

Oltre a questi due parametri viene quantificata anche l’Energia Mondiale, ovvero l’energia totale spesa in tutta il mondo per la produzione del fertilizzante in esame. Questo parametro viene calcolato moltiplicando tra di loro il consumo mondiale e l’energia totale:

Energia Mondiale (milioni GJ/anno) = Consumo Mondiale (Mt/anno) × Energia Totale (GJ/t)

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Nelle colonne “Energia Totale” ed “Energia Mondiale” vengono riportate due serie di dati che differiscono abbastanza sensibilmente tra di loro: Mondo e BAT.

Tabella 11 – Consumi ed Energia Totale nella produzione di fertilizzanti a livello mondiale (Fonte: Kongshaug, G., Energy Consumption And Gas Emission In Fertilizer Production, 20 Luglio 1998, Hydro Agri Europe, Norvegia).

Fertilizzante Consumo Mondiale Energia Totale Mondo BAT Energia Mondiale Mondo BAT

Mt N/anno GJ/t N milioni GJ/anno

NH3 + NH4 12.6 44.5 34.5 563 436 Urea 38.1 54.0 41.7 2056 1588 AN 14.2 46.6 34.9 662 433 AS 37.6 13.9 22.5 225 83 CN 0.6 59.9 31.6 34 18 KN 0.04 90.8 68.7 4 3 MAP/DAP/AP 7.0 44.5 34.5 313 243 Soluzioni UAN 4.1 50.3 36.5 206 148 N Totale 82.7 49.2 35.7 4065 2953 Mt P2O5 GJ/t P2O5 milioni GJ/anno Roccia 0.3 1.9 0.3 1 0 MAP/DAP/AP 17.2 4.3 - 14.1 74 - 242 Nitro 2.0 8.4 4.9 17 10 TSP 4.5 7.0 - 6.1 32 - 28 SSP 7.0 3.2 - 3.8 22 - 27 P2O5 Totale 31.0 4.7 - 9.2 145 - 286 Mt K2O GJ/t K2O milioni GJ/anno MOP 18.8 9.8 4.2 184 79 SOP 2.0 3.4 - 1.3 7 - 3 K2O Totale 20.8 9.2 3.6 191 76 N+P2O5+K2O 134 32.2 20.3 4400 2743

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Per BAT, come già spiegato in precedenza, si considera l’energia totale necessaria alla produzione del fertilizzante in esame se si disponesse della migliore tecnologia esistente; ovvero di una serie di processi che minimizzino gli sprechi ottimizzando al massimo il rendimento di ciascuna fase produttiva. In realtà a causa di tecniche di produzione non ancora perfezionate caratterizzate da bassi rendimenti, la quantità di energia che viene dissipata da un passaggio all’altro è ancora alta. Nella parte Mondo sono appunto riportate le reali energie totali di produzione che risultano maggiori rispetto alle altre per i motivi appena esposti. La tabella inoltre ci mostra come sul totale dei fertilizzanti prodotti (134 Mt) il 61,7 % sono fertilizzanti azotati (82,7 Mt), il 23,1 % sono fosforici (31.0 Mt) e il 15,2 % sono potassici (20.8 Mt).

Per quanta riguarda invece i tipi di fertilizzanti maggiormente utilizzati a livello mondiale l’urea è il più consumato con le sue 38.1 Mt prodotte che costituisce circa il 28,4 % di tutti i fertilizzanti prodotti.

Insieme all’urea l’altro fertilizzante azotato di grande utilizzo è il solfato d’ammonio (AS) che con circa 37,6 Mt costituisce il 28 % del mercato mondiale. Questi soli due fertilizzanti insieme costituiscono più della metà dell’intera produzione mondiale.

Altri dati direttamente estrapolabili dalla tabella evidenziano come i fertilizzanti azotati siano i prodotti che richiedono una spesa energetica di gran lunga superiore a quella necessaria per le altre due classi di composti.

Si nota infatti come circa il 92,5 % (4065 Milioni GJ/t anno) di tutta l’energia spesa ogni anno (440 Milioni GJ/t) per la produzione di tutti i composti fertilizzanti sia necessaria solo per i prodotti azotati, a differenza di quelli fosforici potassici che necessitano di input energetici sicuramente più modesti, rispettivamente 145 Milioni GJ/t anno (3%) e 191 Milioni GJ/t anno (4,5 %).

Lo stesso tipo di analisi esposta nella tabella precedente è stata effettuata anche per la produzione di fertilizzanti nel panorama europeo, basandosi su dati provenienti dall’IFA 15 e dall’EFMA.16

15 International Fertilizer industry Association (htpp://www.fertilizer.org/ifa/). 16 European Fertilizer Manufacture Association (htpp://www.efma.org/).

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Tabella 12 – Consumi ed Energia Totale nella produzione di fertilizzanti a livello europeo (Fonte: Kongshaug, G.). Ingrediente Attivo Consumo Europeo Energia Totale Europa BAT Energia in Europa Europa BAT

Mt GJ/t Ingrediente Attivo milioni GJ/anno

N Totale 10.7 40.3 32.2 431 344

P2O5 Totale 2.7 3.4 - 8.9 9 - 24

K2O Totale 5.4 7.3 3.2 40 17

Poiché determinare gli input nella produzione di fertilizzanti è una pratica controversa è possibile trovare in letteratura valori anche abbastanza diversi tra di loro.

Tabella 13 - Energia Specifica e valori reali d’applicazione per le principali classi di fertilizzanti.

Ingrediente Attivo

Energia Specifica Quantità Applicata Fonte MJ/kg Kg/ha N 63.43 148.0 P2O5 17.44 53.0 K2O 13.77 57.05 Pimentel, 2003 N 53.43 148.8 P2O5 6.80 62.5 K2O 6.80 93.5 Patzek, 2004 N 43.00 140.o P2O5 4.76 54.0 K2O 8.71 85.0 Shapouri et al., 2002 N 49.06 153.0 P2O5 11.40 56.0 K2O 5.30 66.0 Wang et al., 1997 N 53.43 150.0 P2O5 6.80 55.0 K2O 6.80 85.0 Berthiaume et al., 2001

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In questa tabella vengono riportate le specifiche richieste energetiche per ciascuna delle tre classi di fertilizzanti secondo fonti diverse.

Viene inoltre riportato, sempre secondo le stesse fonti, la quantità di fertilizzante distribuita per ogni ettaro di terreno.

Le fonti citate coprono un intervallo temporale di circa sei anni (dal 1997 al 2003) in modo tale da avere una situazione più dettagliata e precisa.

Per i fertilizzanti azotati si è assunto come unico fertilizzante il nitrato d’ammonio (AN), per quelli fosforici il SSP e per quelli potassici il MOP.

La situazione che è stata riassunta nelle tre tabelle precedenti, è visibile anche nel grafico a colonne sottostante, dal quale si può visualizzare immediatamente le diverse richieste energetiche di produzione, per le fonti finora analizzate, tra fertilizzanti dello stesso tipo.

Figura 12 - Consumi energetici previsti dai vari autori nella produzione dei tre tipi principali di fertilizzanti (nella Legenda alla voce fosforo si intende in realtà P2O5, mentre per il potassio K2O).

0,00 20,00 40,00 60,00 Pimentel, 2003 Patzek, 2004 Shapouri et al., 2002 Wang et al., 1997 Berthiaume et al., 2001 Kongshaug, 1998 GJ/t fertilizzante N P K

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3.3.3 – La Distribuzione dei Fertilizzanti

Le piante di mais sviluppandosi crescono e accumulano peso secco (dry weight). Queste piante richiedono N, P e K prima della germinazione per avere l’energia necessaria alla crescita dei gambi, foglie e delle spighe. Questi nutrienti devono essere distribuiti secondo principi ben precisi altrimenti possono causare danni se collocati in dosi, e in posizioni sbagliate (es. troppo vicino o lontano dalle piantine germinanti).

La disponibilità dei fertilizzanti nella prima parte della stagione dipende dal collocamento degli stessi, ovvero dalle modalità di distribuzione nel suolo. La germinazione e il primo sviluppo delle piante avviene in 6

-

10 giorni in presenza di temperature e umidità ragionevoli, quindi durante le prime sei settimane successive alla semina, i nutrienti devono essere inseriti in delle fasce

(band-placed) vicine alle radici delle piante per rendere più semplice e immediata

l’assunzione di nutrienti, rispetto alla modalità in cui la stessa quantità di nutrienti venga distribuita (semina a spaglio) su tutta la superficie trattata. Quindi una scarsa disponibilità soprattutto di azoto nelle prime 2 delle 6 settimane, successive alla semina, porta ad un rendimento minore del terreno.

L’azoto distribuito direttamente sulla superficie del suolo è soggetto a molte reazioni, viste già in precedenza, che ne possono modificare l’abbondanza e quindi la disponibilità nel suolo. Tra queste reazioni che modificano la disponibilità di N nel suolo ci sono ad esempio forme di urea che sono soggette a perdite per volatilizzazione se la conversione dell’urea ad ammonio avviene quando il fertilizzante è ancora presente sulla superficie del suolo. Le perdite di N in questo caso possono anche ammontare al 30 % del N totale applicato se le temperature sono calde e la pioggia provoca lo spostamento dell’urea nel suolo, nei 3 ai 4 giorni successivi all’applicazione iniziale. Inoltre i fertilizzanti, in particolar modo quelli azotati, quando vengono applicati sulla superficie sono soggetti a lisciviazione da parte piogge che possono cadere poco dopo la loro distribuzione. Il collocamento di N lungo bande sotto la superficie del suolo minimizza le perdite sia per volatilizzazione che per lisciviazione. Al contrario un’eccessiva attenzione nel collocamento dei fertilizzanti vicino alla pianta germinante può causare dei danni.

(26)

Il collocamento standard in starter

-

band è 2 pollici al lato e 2 pollici sotto il seme (collocamento 2×2). Questa banda in cui deve essere poi distribuito il fertilizzante è importante quando si devono trattare grandi quantità iniziale di fertilizzanti.

L’azoto è il nutriente più limitante tra tutti per lo sviluppo delle colture, quindi la sua gestione (collocamento, quantità e tempistica) devono essere ottimale per favorire lo sviluppo delle piante nel periodo di massima crescita in particolare. La quantità totale di azoto da applicare dipende dal potenziale rendimento del suolo presente.

I suoli che rendono possibile lo sviluppo radicale in profondità ed hanno un’elevata capacità nel trattenere l’acqua produrranno grandi raccolti di mais sono migliori rispetto a suoli con caratteristiche fisiche che limitano lo sviluppo delle radici o hanno una tessitura in grado di intrappolare inefficacemente l’acqua. Quindi in definitiva il mais e gran parte dei cereali cresce bene su suoli ad alto rendimento (sviluppo radicale profondo, trattenimento acqua) che permettono di utilizzare notevoli quantità iniziali di fertilizzanti azotati rispetto al mais che cresce in suoli a baso rendimento.

I valori di applicazione ottimali per le tre classi principali di fertilizzanti sono riportate nella tabella a seguire.

Tabella 14 – Valori d’applicazione dei principali fertilizzanti nella coltivazione del mais Tad W. Patzek, Thermodynamics of the Corn-Ethanol Biofuel Cycle, Critical Reviews in Plant Sciences, 23 (6) pag. 519-567, 2004).

Ingrediente Attivo

Valore Applicato Rendimento dell’Applicazione Valore Effettivo kg/ha kg/ha N 148.8 0.96 142.8 P2O5 62.5 0.79 49.4 K2O 93.5 0.65 60.8

In questa tabella il valore effettivo, cioè le reale quantità di fertilizzante che viene distribuita per acro, è ottenuto moltiplicando il valore applicato per il rendimento dell’applicazione. Il rendimento ci dà una stima diretta ed immediata

(27)

della quantità di fertilizzante che viene sprecata per ogni ettaro a causa di una tecnologia e una metodica di applicazione non perfetta.

Nel caso dell’azoto il fatto che il rendimento (al massimo può raggiungere il valore unitario) è molto alto sta a significare l’alta efficienza della metodica di applicazione. Nel caso di fosforo e potassio invece il rendimento è molto più basso e di conseguenza la quantità di fertilizzante persa è considerevole.

La quantità ottimale di azoto da applicare è evidenziata nella figura seguente, dove si attesta intorno ad un valore di circa 170 kg/ha.

Figura 13 - Relazione tra il valore ottimale di azoto distribuito e la relativa quantità di mais raccolta (Fonte: Adattato da Küsters e Lammel, 1999).

Questo valore è quello ottimale perché anche se volessimo aggiungere altre quantità di azoto il valore del mais raccolto non crescerebbe ulteriormente, indicando che per ogni situazione (che dipende dal tipo del suolo, coltura, clima, etc.) c’è una massima quantità di fertilizzante economicamente sostenibile. Non avrebbe alcun senso per un agricoltore spendere ulteriori soldi nella fertilizzazione se non può incrementare il raccolto. In realtà i valori fertilizzazione reali (Tabella

14), almeno per quanta riguarda l’azoto, sono leggermente più bassi intorno ai 150

kg/ha, in quanto sono quantità che permettono di ottenere comunque un raccolto abbondante ottimizzando i costi di produzione.

Azoto Applicato (kg/ha) Granella Prodotta (t/ha)

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3.3.4 – L’Ossido di Calcio

L’ossido di calcio (CaO) viene aggiunto al suolo per aumentarne il pH reso acido dall’aggiunta dei composti azotati. Il pH ideale del suolo, per la coltivazione del mais, deve essere circa 6.6.

Questo tipo di ossido è ottenuto da rocce calcaree e dolomitiche attraverso un processo che genera una mole di CO2 ogni mole di CaO.

Nella tabella seguente sono riportati i consumi energetici per la sua produzione e le relative quote d’applicazione, sempre secondo le fonti già citate in precedenza.

Tabella 15 - Consumi energetici e quote d’applicazione per l’ossido di calcio (Fonte: Tad W. Patzek, Thermodynamics of the Corn-Ethanol Biofuel Cycle, Critical Reviews in Plant Sciences, 23 (6) pag. 519-567, 2004).

3.3.5 – Gli Erbicidi ed Insetticidi

Gli erbicidi sono sostanze utilizzate per il controllo delle malerbe o piante infestanti. Gli erbicidi più comuni sono composti chimici di sintesi, spesso xenobiotici ossia chimicamente estranei ai composti naturalmente presenti negli esseri viventi. È in questi termini che si pone il problema dell'impatto ambientale dell'utilizzo di erbicidi in agricoltura, ma non solo: erbicidi sono impiegati per uso civile, e addirittura se ne può citare l'uso militare (Agente Arancio).

Gli erbicidi possono essere classificati secondo la chimica dei principi attivi (esistono numerose famiglie chimiche di erbicidi) oppure a seconda delle specie

Energia Specifica Valore Applicato Fonte

MJ/kg kg/ha 1.33 699.0 Pimentel, 2003 1.75 333.0 Patzek, 2004 1.70 276.0 Shapouri et al., 2002 1.70 276.0 Wang et al., 1997 1.75 270.0 Berthiaume et al., 2001

(29)

vegetali obiettivo.

Analogamente gli insetticidi proteggono le piante dall’attacco da parte di insetti parassitari. Come tutti i composti finora decritti richiedono input energetici per la loro produzione, riassunti nelle tabelle che seguono.

Tabella 16 - Consumi energetici e valori d’applicazione per gli Erbicidi (Fonte: Patzek, Tad W.,

Thermodynamics of the Corn-Ethanol Biofuel Cycle, Critical Reviews in Plant Sciences, 23 (6)

pag. 519-567, 2004).

Tabella 17- Richieste energetiche per gli Insetticidi (Fonte: Patzek, Tad W., Thermodynamics of

the Corn-Ethanol Biofuel Cycle, Critical Reviews in Plant Sciences, 23 (6) pag. 519-567, 2004).

Da queste tabelle si può ben notare che tra tutti i chemicals necessari nella coltivazione del mais erbicidi ed insetticidi hanno le richieste energetiche più alte. Se andiamo difatti a paragonarle a quelle dei fertilizzanti (da un minimo di 4.76 MJ/kg ad un massimo di 63.43 MJ/kg) risulta abbastanza evidente la netta

Energia Specifica Valore Applicato Fonte

MJ/kg kg/ha

422.00 2.10 Pimentel, 2003

261.00 2.54 Patzek, 2004

261.00 4.73 Shapouri et al., 2002

237.30 3.07 Wang et al., 1997

Energia Specifica Valore Applicato Fonte

MJ/kg kg/ha

422.00 0.15 Pimentel, 2003

268.40 1.08 Patzek, 2004

268.40 0.22 Shapouri et al., 2002

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differenza in termini di costo energetico. Va detto comunque che le quantità di erbicidi e pesticidi che vengono utilizzate per ettaro di terreno sono nettamente inferiori a quelle dei principali fertilizzanti (da un minimo di 53 kg/ha ad un massimo di 153 kg/ha), che fa si che la richiesta energetica per unità di terreno (MJ/ha) sia decisamente inferiore. I grafici seguenti riassumono le quantità di fertilizzanti, pesticidi ed insetticidi secondo le fonti analizzate, da distribuire sul terreno per ottimizzare la produzione del mais.

0,00 1,00 2,00 3,00 4,00 5,00 6,00 Pimentel, 2003 Patzek, 2004 Shapouri et al., 2002 Wang et al., 1997 kg/ha Erbicidi Insetticidi 0,00 50,00 100,00 150,00 200,00 250,00 300,00 350,00 Pimentel, 2003 Patzek, 2004 Berthiaume et al., 2001 Shapouri et al., 2002 Wang et al., 1997 kg/ha N P K

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3.4 – La Corn Farming

In questa fase del ciclo produttivo del bioetanolo, che letteralmente significa “agricoltura del mais”, vengono analizzati tutti quegli input energetici necessari per coltivare nel miglior modo possibile il mais. Gli aspetti energetici da considerare sono molteplici:

 tecnica di coltivazione adottata;  costruzione dei macchinari agricoli;

 raccolta e stoccaggio delle risorse prime (feedstocks);  consumi di combustibili fossili ed energia elettrica.

3.4.1 – Le Tecniche di Coltivazione

Nella comuni tecniche agricole i residui delle varie colture (stover) vengono appositamente lasciati sopra la superficie del suolo per:

 migliorare il ciclo dei nutrienti,

 ottimizzare la qualità del suolo e aumentarne la produttività.

Attraverso quindi adeguate pratiche di conservazione che comprendono: la gestione bilanciata dei residui colturali, la gestione della fertilità del suolo, la qualità ambientale può essere significativamente potenziata.

Mantenendo gli stover sul terreno si rafforza inoltre la capacità del suolo di trattenere il carbonio organico (Soil Organic Carbon - SOC), e inoltre si crea una specie di copertura più o meno spessa in grado di:

 proteggere il suolo dall’erosione eolica e idrica,  diminuire il runoff 17 superficiale ,

 ridurre la perdita di sedimento e di nutrienti (N, P e K).

Al contrario una rimozione sconsiderata degli stover porterebbe a una serie di effetti negativi che possono determinati e quantificati sia nel breve che nel

17 Il Runoff è un termine che viene utilizzato per descrivere il flusso d’acqua, creato in seguito alle

precipitazioni atmosferiche, che scorre sopra la superficie del suolo. Le caratteristiche di questo flusso (dimensioni e velocità) sono influenzate: dalla pendenza del suolo, dalla densità della copertura vegetale presente sul suolo, dal tipo di suolo (porosità e permeabilità) e dall’intensità e frequenza delle precipitazioni atmosferiche.

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lungo termine.

Nel breve termine si avrebbero essenzialmente perdite di natura economica in quanto ai vari costi che un agricoltore deve sostenere nella gestione di una coltura si sommerebbe una spesa aggiuntiva legata alla quantità extra di chemicals e fertilizzanti che devono essere nuovamente distribuiti sul terreno per sostituire la porzione che è stata rimossa dal suolo con la raccolta degli stover.

Nel medio-lungo termine le perdite sono di maggior entità poiché una rimozione continua e sistematica di tali residui avrebbe come risultato una lenta e graduale diminuzione della qualità del suolo e dell’acqua ma anche un’agricoltura difficilmente sostenibile da un punto di vista economico causa le moltissime spese extra da sostenere per poter mantenere ad un livello soddisfacente la produttività e la resa del terreno.

Figura 14 - Fase di raccolta della granella.

Bisogna quindi trovare il giusto compromesso tra stover rimossi e stover non-rimossi in modo che tale da un alto le proprietà del suolo siano mantenute intatte e dall’altro sia possibile utilizzare questa materia prima per la produzione di bioetanolo. Si tratta in definitiva di sfruttare sostenibilmente questa “risorsa” senza compromettere la produttività futura del suolo.

(33)

Riassumendo si ha che le perdite di nutrienti associate alla rimozione degli stover dipendono da:

 tipo di nutriente;  tipo di residui colturali;

 quantità di residui lasciati sul suolo;  tipo di suolo;

 clima e precipitazioni;

 materia organica presente nel suolo;  tasso di decomposizione dei residui;  tecnica di coltivazione.

La perdita di nutrienti è strettamente legata alla parte del residuo che viene raccolto, poiché azoto, fosforo e potassio sono diversamente concentrati nelle parti di uno stesso residuo.

Risulta evidente che a seconda delle parti che raccogliamo sarà diversa la porzione di nutrienti che viene rimossa dal suolo. Per Un’analisi più completa e dettagliata si rimanda all’Appendice III (Tabella A 2).

Tabella 18 – Abbondanza degli ingredienti attivi nelle pannocchie e nei corn stover (Fonti:

United States-Canadian Tables of Feed Consumption (NRC); Feeds and Feeding, abridged, Morrison). Parte della Pianta N P2O5 K2O Fonte libbre/t 10.2 1.8 2.4 U.S. - Canada

7.4 1.8 2.2 Feeds and Feeding

Pannocchie

8.8 1.8 2.3 Media

21.12 4.6 34.8 U.S. - Canada

18.8 4.1 35.8 Feeds and Feeding

Corn Stover

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Ora analizziamo le relazioni esistenti tra: tipo di pratica agricola utilizzata (modalità di raccolta degli stover), erosione, runoff superficiale e perdita di nutrienti dal suolo.

La parte del residuo che viene lasciata sul terreno dipende dalla modalità con cui questa viene tagliata, poiché l’altezza a cui la pianta di mais viene tagliata determina di conseguenza lo spessore dei residui che rimangono a coprire il suolo. Questo spessore a sua volta regolerà, in funzione della sua altezza, l’incidenza dell’erosione eolica e del runoff superficiale sul suolo.

In linea di massima è stato verificato che maggiore è lo spessore dello strato di residui è minore sarà l’entità de fenomeni erosivi, con conseguente diminuzione della quantità di nutrienti persi.

Il tipo di nutriente che viene dilavato dal suolo, in seguito al verificarsi di fenomeni erosivi (eolici e/o idrici) di intensità variabile, dipende dalla sua natura chimica e dal suo comportamento come soluto nelle soluzioni acquose. In queste condizioni, ad esempio, la perdita di nutrienti a causa del runoff superficiale sarà più netta per i composti potassici rispetto a quelli fosforici, in quanto il potassio è molto più solubile del fosforo.

E’ utile valutare come la tecnica di raccolta utilizzata influisca sulla quantità di nutrienti che vengono rimossi ogni volta che si procede a raccogliere i residui colturali. Per questo motivo sono stati individuati quattro scenari di raccolta differenti tra di loro per il tipo di residui che venivano rimossi e lasciati sul suolo. La diversificazione dei residui che possono essere lasciati su un campo viene realizzata variando l’altezza a cu si realizza il taglio delle piante e decidendo poi di raccogliere lasciare la porzione appena tagliata. In tal modo, poiché la concentrazione dei nutrienti in una pianta di mais non è omogenea, ma ci saranno delle parti, come già accennato precedentemente, dove un nutriente è più abbondante di un altro e così via, sarà variabile la quantità di nutrienti rimossa nella fase di raccolta.

E’ possibile quindi scegliere lo scenario migliore per ciascuna situazione, in modo tale che la raccolta delle parti della pianta di mais che hanno un valore sul mercato non alteri il complesso equilibrio nutritivo del suolo.

(35)

suolo dopo la fase di raccolta del mais, in modo tale che i pool dei principali nutrienti non vengano eccessivamente consumati, con il pericolo di peggiorare sensibilmente la produttività del terreno nel breve-medio termine.

Figura 15 - Differenze tra lo scenario Low Cut (LC) e il Normal Cut (NC).

1° scenario (High Cut Top - HCT)

Le piante di mais vengono tagliate appena sotto la spadice (infiorescenza femminile) ad un’altezza di circa 30 in dal suolo (circa 76.2 cm).

La porzione della pianta recisa, ovvero quella superiore, viene rimossa dal campo cosicché da lasciare a protezione del suolo uno strato residuale di circa 30 in.

2° scenario (High Cut Bottom - HCB)

La raccolta avviene in due momenti ben distinti. Nel primo, in cui il taglio è realizzato allo stesso livello del primo scenario (cioè all’altezza dell’High Cut Line), la parte della pianta tagliata non viene raccolta ma lasciata sul terreno. Nella seconda fase, quando ormai sul terreno rimane solo una porzione alta 30 in, viene realizzato un altro taglio ad un’altezza di circa 4 pollici da suolo (seconda linea tratteggiata nella figura che segue - Low Cut Line).

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suolo quindi solamente uno spessore di 4 in, insieme ai residui del primo taglio (tutta la parte della pianta che va dai 30 in fino all’infiorescenza maschile sommitale).

3° scenario (Low Cut - LC)

Viene realizzato un unico taglio all’altezza della Low Cut Line, e poi si procede alla rimozione tutte le parti recise. In tale modo sul suolo rimane un spessore sottile di appena 4 in.

E’ lo scenario sicuramente più estremo per la stabilità del suolo in quanto lo strato che rimane non è in grado di fornire una difesa dall’erosione molto efficace.

4° scenario (Normal Cut - NC)

Il taglio è effettuato ad un’altezza intermedia tra le linee High Cut e Low Cut, precisamente a 15 in dal suolo (Normal Cut Line). La parte tagliata viene rimossa dal terreno.

I quattro scenari di riferimento appena descritti sono riassunti graficamente nella figura seguente.

Figura 16 – Scenari di riferimento nella fase di rimozione degli stover.

30 in (76.2 cm)

4 in (10.16 cm)

High Cut Line

Low Cut Line

15 in (38.1 cm)

(37)

La tabella sotto riportata riassume appunto l’incidenza della tecnica di raccolta sulla quantità di nutrienti rimossi dal suolo.

Tabella 19 - Valori delle quantità di nutrienti rimossi e ridistribuiti nei quattro scenari di raccolta degli stover (Fonte: Hoskinson et al., 2006).

Nella tabella oltre alle quantità rimosse dei vari nutrienti viene anche indicata la quantità necessaria degli stessi nutrienti che deve essere ridistribuita, successivamente alla raccolta degli stover, per riequilibrare il contenuto nutritivo nel suolo, onde evitare problemi (bassa fertilità e produttività) sia nel breve che nel lungo termine. Come risulta evidente le tecniche che rimuovono una maggior parte della pianta dal terreno sono quelle a cu corrisponde una maggior perdita di nutrienti, in special modo di azoto e potassio. La HCB che difatti rimuove solo la porzione del culmo tra i 4 e i 30 in è quelle caratterizzata da una minor deficit nutritivo.

Un altro aspetto importante da analizzare è determinare la quantità di nutrienti che viene persa a causa dell’erosione in funzione sia del tipo di coltivazione, che della quantità di residui lasciati sul terreno.

Con il termine tillage (in italiano “dissodamento”) si intende in agricoltura la preparazione del suolo per la successiva fase di semina. Esistono due fasi nel processo di tillage:

Primary tillage: con la quale si ammorbidisce il suolo e si mescolano i principali

fertilizzanti ottenendo come risultato un suolo dalla tessitura grossolana.

Secondary tillage: nella quale il suolo viene trattato in modo tale da ottenere via

via tessiture sempre più fini tramite l’utilizzo di mezzi meccanici (aratro, erpice,

N P K

Scenario

rimosso ridistribuito rimosso ridistribuito rimosso ridistribuito libbre/acro

HCT 30.69 34.02 3.39 3.80 30.51 34.33

HCB 12.31 13.81 0.89 1.00 29.88 33.62

LC 42.02 47.13 3.65 4.09 38.89 43.73

(38)

etc.). Inoltre il suolo viene modellato in file, per la semina delle piante, e in canali per favorire l’irrigazione.

Le moderne tecniche in agricoltura hanno progressivamente ridotto l’uso della tillage, tramite il passaggio all’utilizzo di erbicidi, per il controllo delle piante infestanti e delle malattie, e l’impiego di colture geneticamente modificate in grado di crescere in condizioni climatiche più estreme rispetto alle colture tradizionali.

La diminuzione del tilling è legata la fatto che diversi studi hanno evidenziato degli effetti negativi non sottovalutabili nella coltivazione delle coltura quali:

 compattazione del suolo, con conseguente riduzione nel potenziale accrescimento dell’apparato radicale delle piante;

 perdita di materia organica;  distruzione dei microbi del suolo;

 erosione del suolo, sia da parte del vento che dell’acqua, dove lo strato superficiale del suolo non è più presente.

Inoltre la diminuzione dell’utilizzo della tillage, che ha portato al passaggio dalla pratica conventional tillage alle pratiche reduced tillage e conservation tillage (o zero tillage), ha come conseguenze la riduzione in maniera significativa dei costi di produzione e delle problematiche ambientali grazie proprio alla riduzione dell’erosione del suolo e dell’utilizzo dei combustibili fossili come carburanti.

Le principali tecniche di tillage sono le seguenti:

Conventional Tillage: consiste nella tillage tradizionale suddivisa nelle due fasi

precedentemente citate nella quale il suolo viene disturbato in maniera significativa prima della semina, utilizzando spesso mezzi meccanici quali l’aratro. Trattare il suolo con l’aratro ha dei vantaggi: aumento della porosità, miglior ricircolo dell’aria, sviluppo radicale, infiltrazioni dell’acqua soprattutto quando le precipitazioni sono sopra la media. La gestione dei residui colturali è eseguita lasciandone sul suolo meno del 15 %, o meno di 500 libbre/acro di residui equivalenti di piccole granaglie, durante il periodo critico di erosione. Molto spesso viene utilizzata la tecnica dell’aratura combinata ad altre tecniche.

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Reduced Tillage: le fasi della tillage vengono ridotte, mentre la quantità di residui

lasciati sul terreno è compresa tra il 15 e il 30 % o tra le 500 e le 1000 libbre/acro.

Conservation Tillage (zero tillage): consiste in un modo di coltivare lasciando il

suolo completamente indisturbato, prediligendo l’idea che questa tecnica è la più naturale. Per la gestione dei residui si tende a lasciarne più del 30 % della superficie del suolo o non meno di 1000 libbre/acro. In questo caso ci sono due fattori chiave che influenzano i residui colturali: 1) il tipo di coltura, che stabilisce la quantità iniziale di residui da utilizzare e 2) il tipo di operazioni di coltivazione fino e durante il periodo della semina.

Le tecniche di coltivazione di conservazione sono essenzialmente tre:

No-till: il suolo è lasciato indisturbato dal raccolto fino alla semina eccetto per

l’aggiunta di sostanze nutritizie. In questo caso i residui colturali non vengono rimossi dal suolo ma lasciati interamente sullo stesso. Due fattori influenzano le pratiche no-till: 1) il drenaggio del suolo, poiché in questo modo aumentano le possibilità che il suolo sia asciutto permettendo la semina delle colture per un tempo più lungo; 2) la rotazione delle colture visto che strette rotazioni dove la stessa coltura appare con un’alta frequenza non si prestano alla pratica no-till. Rotazioni adeguate, comprendenti un più ampio range di colture (legumi, foraggio), migliorano la struttura del suolo rendendo le pratiche no-till o reduced-tillage quelle migliori.

Ridge-till: le piante vengono seminate in dei ridges rialzati e come nella pratica

no-till il suolo è lasciato indisturbato dal raccolto fino alla semina successiva eccetto che per l’aggiunta di sostanze nutritizie.

Mulch-till: il suolo viene disturbato prima della semina. Uno degli utilizzi

principali è quello di creare dei solchi per i flussi d’acqua nelle produzioni di mais in terreni non irrigati.

Nel nostro caso le tecniche di riferimento sono la Reduced-Tillage e la No-Till. Per ognuna delle due pratiche è stata valutata la perdita dei nutrienti a seguito: della rimozione dei residui, della raccolta della granella (grain), dell’erosione e dell’runoff, variando di volta in volta la quantità di stover lasciati sul suolo, variando ogni volta l’ammontare degli stover lasciati sul terreno.

Figura

Figura  10  -  Ciclo  globale  dell’azoto  (Fonte:  EFMA,  Understanding  Nitrogen  And  Its  Use  In
Figura  11  -  Consumo  mondiale  di  fertilizzanti  espresso  in  milioni  di  tonnellate  (Fonte: ERS/USDA).
Tabella  10  -  Principali  fertilizzanti  (semplici  e  composti)  e  abbondanza  degl’elementi  nutrienti  (Fonte:  Kongshaug,  G.,  Energy  Consumption  And  Gas  Emission  In  Fertilizer  Production,  20  Luglio 1998 , Hydro Agri Europe, Norvegia)
Tabella 11 – Consumi ed Energia Totale nella produzione di fertilizzanti a livello mondiale (Fonte:  Kongshaug, G., Energy Consumption And Gas Emission In Fertilizer Production, 20 Luglio 1998,  Hydro Agri Europe, Norvegia)
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