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Capitolo 4 - Conclusioni

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Academic year: 2021

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Capitolo 4 - Conclusioni

Gli antagonisti dei recettori A2A sono ritenuti dei promettenti farmaci da usare nel trattamento del Parkinson. La loro potenza è largamente rappresentata con la marcata efficacia nell’alleviare i sintomi motori Parkinsoniani, insieme alla loro abilità nel prevenire la progressione della malattia e nel migliorare il declinio cognitivo. Grazie agli studi effettuti su animali, queste molecole risultano ben tollerate e questo ci permette di prospettare un futuro particolarmente interessante per il trattamento di malattie debilitanti come il Parkinson.

4.1 – Prospettive future e nuovi approcci terapeutici.

Nel corso degli anni oltre a migliorare sempre più la terapia farmacologia valutando nuove molecole, come ad esempio gli antagonisti A2A, si è cercato anche di migliorare le forme farmaceutiche dei farmaci già in commercio. Per esempio è stata creata una nuova formulazione, Duodopa®, per uso intraduodenale, da usare in per pazienti con Parkinson in fase avanzata.

Questo consiste in una sospensione acquosa di L-Dopa (20mg/ml) e carbidopa (5mg/ml) dispersa in gel viscoso (carbossimetilcellulosa), formulazione che presenta il vantaggio, rispetto alle sospensioni di L-Dopa utilizzate in passato per via infusionale, di ridurre di circa dieci volte il volume della preparazione, consentendo quindi la somministrazione mediante un sistema portatile, ed eliminando la necessità dell’assunzione orale della carbidopa. Questo trattamento infusionale è riservato ad un sottogruppo ristretto di pazienti agli stadi avanzati della malattia e complicati da fluttuazioni motorie. La Duodopa® deve essere somministrata mediante Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG), metodica che consente di infondere la formulazione direttamente all’interno della cavità duodenale attraverso una stomia, ossia un’apertura artificiale.(3,4,5)

Un ulteriore passo avanti è stato fatto per la prima volta in Italia, quando all’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, è stato impiantato un pace-maker

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eseguito su un paziente Parkinsoniano. Il beneficio di questa tecnica è una durata complessiva di circa 10 anni, tripla rispetto ai neurostimolatori utilizzati finora, ed inoltre viene evitata la necessità di frequenti sostituzioni. Il nuovo dispositivo, inoltre, ha dimensioni sensibilmente ridotte rispetto ai precedenti, con risultati nettamente migliori in termini di mininvasività e di efficacia. Il pace-maker viene posizionato nella regione sub-claveare collegandolo mediante due piccoli cavi elastici, tramite un tunnel sottocutaneo, a due elettrodi nei nuclei subtalamici (strutture cerebrali profonde) del paziente. Questa procedura permette di ridurre di molto il grave disturbo motorio e la massiccia terapia farmacologica alla quale il paziente era sottoposto quotidianamente.

Importante è anche sottolineare che l’inetrvento è completamente rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale. Il nuovo pace-maker è indicato per pazienti giovani e collaboranti permettendo di eliminare gli inestetismi legati alle maggiori dimensioni dei dispositivi precedenti. Inoltre la più sofisticata programmazione permette una maggiore adattabilità del sistema alle esigenze del paziente.(6)

Un’ulteriore approccio terapeutico è stato eseguito da ricercatori del Medical Center di Los Angeles e della Celmed BioSciences. Questi hanno effettuato un trapianto di cellule staminali nel cervello per eliminare i tremori causati dal Parkinson. I ricercatori, dopo aver selezionato da 50 a 100 cellule staminali dal cervello, sono riusciti a differenziarle in neuroni, coltivandole in vitro per mesi, per poi ritrapiantarle nel cervello del paziente. Il risultato è stata la quasi totale scomparsa dei tremori, grazie alla dopamina, aumentata del 58%, che le cellule riuscivano a produrre. Quindi per molti ricercatori forse la strada vincente per combattere malattie come il parkinson è quella biologica. Infatti il malato utilizza cellule che già gli appartengono anche se esistono numerosi dubbi sull’applicazione alla malattia di Parkinson che è molto variabile, con sviluppi diversi da persona a persona, per cui non è detto che il successo in un caso, provi un’efficacia generale. Comunqe tra i vantaggi di questa nuova tecnica c’è il mancato rigetto delle cellule trapiantate.(7)

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Oggi si tende anche ad utilizzare la “neuroprotezione”, termine che sta ad indicare una serie di interventi, specie farmacologici, in grado di rallentare o impedire la progressiva degenerazione cellulare di sistemi cerebrali che sta alla base di gravi patologie neuridegenerative, come la malattia del Parkinson. Attualmente le terapie antiparkinsoniane sono esclusivamente sintomatiche e non sono in grado di rallentare il decorso della sintomatologia. La ricerca di possibili agenti neuroprotettivi per questa malattia è molto sviluppata ed è complicata dall’eziologia probabilmente multifattoriale e ancora poco chiara del morbo di Parkinson.

Negli ultimi anni sono stati prodotti molti lavori su modelli di Parkinson che suggeriscono le possibili proprietà neuroprotettive di una serie molto disparata di composti ma pochissimi hanno dimostrato una possibile neuroprotezione. Uno degli studi pubblicati, prende in esame 59 farmaci di cui solo 12 sono stati candidati per studi clinici di neuroprotezione tuttora in fase II o III. I supposti meccanismi d’azione di queste sostanze selezionate sono molteplici, e riflettono alcune delle ipotesi eziopatogenetiche attualmente più accreditate, dallo stress ossidativo, alla disfunzione mitocondriale, fino all’infiammazione e all’attivazione gliale all’apoptosi. Anche se molto limitato questo lavoro svolto offre una sintesi utile per conoscere in quale direzione siano al momento prevalentemente rivolte le ricerche di agenti neuroprotettivi per il Parkinson.(1)

Un’ulteriore studio, che si basa sulla scoperta di un nuovo gene per il morbo di Parkinson, ha causato delle importanti ricadute sulla comprensione dei meccanismi che provocanoquesta malattia, con la possibilità di individuare nuovi approcci terapeutici e neuroprotettivi mirati. Come ridurre lo stress ossidativo e ripristinare la corretta funzionalità mitocondriale. Questo studio, effettuato dall’Istituto CSS Mendel di Roma, ha permesso la scoperta di un nuovo gene responsabile di una forma di Parkinson ad esordio giovanile e trasmissione recessiva (PARK6). Il gene responsabile della malattia (denominato PINK1) è localizzato sul cromosoma 1 e codifica per una proteina dei mitocondri che sono le centrali energetiche della cellula responsabili di

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cellulare. L’identificazione di questo gene rappresenta una tappa molto importante per la ricerca delle cause del Parkinson. Infatti la dimostrazione di un legame tra una proteina mitocondriale e la malattia, fa rivolgere l’attenzione su un possibile meccanismo che porta alla neuroprotezione. Il PINK1 potrebbe svolgere un ruolo rilevante nel mantenere una corretta funzione mitocondriale e nel proteggere i neuroni da condizioni di stress. Mutazioni in questo gene, rendono i neuroni dopaminergici (quelli colpiti dal parkinson) più vulnerabili a condizioni di stress, con conseguente neurodegenerazione e sviluppo della malatia.(2)

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4.2 - Bibliografia

(1) D.Nyholm et al.Duodenal levodopa infusion monotherapy vs oral polypharmacy in advanced Parkinson disease.Neurology 2005;64:216-23.

(2) Neuro…pillole numero 55 Bologna,27 ottobre 2005.

(3) M.Mouradin.Should levodopa be infused into the duodenum?Neurology 2005;64:182-3.

(4) www.Italiasalute.it :Per il parkinson pace-maker cerebrale autoricaricabile.

(5) www.Italiasalute.it :Neurologia Parkinson:Staminali eliminano il tremore.

(6) Neuro…pillole numero 36 Bologna,22 gennaio 2004

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