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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.07 (1880) n.344, 5 dicembre

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L’ECONOMISTA

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Z Z E T 'l'A S E T T I M A N A L E

SCIENZA ECONOMICA. FINANZA, COMMERCIO. BANCHI. FERRO VIE. IN TERESSI

Anno VII - Voi. XI

Domenica 5 Dicembre 1880

N. 844

II credito fondiario in Italia

Nel corrente mese, salvo il caso di ulteriori pro­ roghe, avrà luogo presso il Ministero di agricol­ tura e commercio la riunione dei delegati degli otto Istituti che oggi esercitano in Italia il Credito Fon­ diario, riunione già indetta da parecchi mesi e che varie cagioni hanno ritardata. Delle deliberazioni che verranno prese, o meglio dei voti che verranno espressi, giacché il Credito Fondiario è regolato da una legge e quindi le riforme non possono effet­ tuarsi fuorché per opera del Parlamento, non man­ cheremo di tenere informali i nostri lettori. Frat­ tanto crediamo utile esaminare brevemente come abbia proceduto nel nostro paese l’ istituzione del Credito Fondiario, come si sia svolta e come abbia fin qui corrisposto al fine che il legislatore italiano si prefisse nel darle vita.

Lo scopo principale del Credito Fondiario è quello di ridurre a forma meuo gravosa il debito ipotecario che opprime la proprietà immobiliare e specialmente i terreni; altro scopo è quello di fornire anco alla terra non oppressa da debiti il mezzo di accrescere la propria produttività mediante lavori di ogni ma­ niera a ciò diretti. Il carattere sostanziale della sud­ detta trasformazione del debito ipotecario consiste nel sostituire alla estinzione integrale e a breve ter­ mine di un debito, una estinzione rateale e a lungo termine, ossia da effettuarsi per mezzo di annualità eguali distribuite in un lungo periodo di anni. Sif­ fatta forma di mutuo difficilmente potrebbe venir posta in essere da privati, oltreché non lo sarebbe mai su abbastanza larga scala ; lo può invece da grandi e solidi Istituti i quali abbiano esistenza per­ manente, dispongano d; ingenti capitali e sieno in grado di conoscere e soddisfare i bisogni delia pro­ prietà immobiliare su tutto intero il territorio di un paese. Abbiamo detto dispongano, non già possie­ d a n o ; ed infatti per quanto ingenti possano essere i capitali raccolti da un Istituto per porre in essere operazioni di credito della specie sopraindicata, essi non sarebbero mai tali da corrispondere a tutte le domande, da soddisfare a tutti i bisogni, da prov­ vedere al conseguimento del fine desiderato. Pertanto il vero compito degli Istituti di Credito Fondiario non è di largire del proprio somme di denaro ai mutuatarii, bensì di procurarlo ai medesimi servendo di in term ed ia ra tra questi ed i capitalisti che vo­ gliono impiegarlo in modo sicuro e ad un conve­ niente interesse. Tale scopo si raggiunge mediante l’ emissione di cartelle il cui ammontare complessivo sia in perfetta equivalenza con quello dei mutui che si stipulano. Coteste cartelle fruttano al portatore un

interesse eguale a quello che il mutuatario paga ogni anno all’ Istituto mutuante sulla somma tolta a pre­ stito. Il mutuo è ipotecario; l'ipoteca serve a ga­ rantire la restituzione della somma in rate periodiche eguali comprensive dell’ interesse suddetto, di una quota d’ ammortamento del capitale e di una quota percentuale di compenso a favore dell’ Istituto. A mano a mano che la restituzione ha luogo, l’ Istituto ritira dalla circolazione ed estingue, per via di sor­ teggio e rimborsandone i possessori, tante cartelle quante ce ne vogliono per formare un importo eguale a quello della restituzione stessa. In tal guisa non una sola cartella fondiaria circola sul mercato finan­ ziario o giace nei portafogli dei privati, la quale non rappresenti un credito validamente garantito da ipo­ teca. L’ Istituto può negoziare esso stesso le cartelle che emette e consegnare al richiedente, a titolo di mutuo, il contante che ritrae dalla loro vendita ; e può invece effettuare direttamente il mutuo in car­ telle anziché in denaro, lasciando al mutuatario la cura di venderle per conto proprio. Ma qualunque metodo segua, per certo esso non è mai fuorché un interm ediario tra coloro che hanno bisogno di pren­ dere danaro in prestito e coloro che hanno bisogno di impiegare capitali inoperosi.

Tale è, abbozzato rozzamente e a grandi linee, lo scheletro, a dir cosi, di ogni sistema di credito fon- diario.’ Ma la differenza tra i vari sistemi possibili si manifesta, prima ancora che nelle disposizioni sta­ tutarie interne degli istituti, nella diversa natura organica che gli istituti possono avere. Cosi vediamo per esempio, che quelli esistenti in Germania sono di fondazione privata, numerosi, indipendenti uno dall’ altro, retti da norme alquanto diverse ; mentre vediamo al contrario in Francia il credito fondiario essere esercitato da una potentissima società unica e privilegiata, la quale gode di larghi favori da parte dei governo, ma nello stesso tempo soggiace a una ingerenza governativa delle più rigorose ed estese. Vediamo poi in Italia I’ esercizio del credito fon­ diario essere affidato ad otto istituti, non creati ap­ posta, bensì già esistenti con altre funzioni e scopi ben determinati, cui quello in discorso viene ad ag­ giungersi senza confondersi coi primi. E vediamo cotesti istituti essere parecchi sì, ma retti da una legge sola ; e viceversa godere gli stessi privilegi, stare sottoposti alla stessa vigilanza governativa, tro­ vare un freno alla libertà delle proprie operazioni in eguali norme restrittive, ma trovarsi poi in con­ dizioni di fatto diseguali, stante la diseguale esten­ sione territoriale della zona in cui ciascuno di essi è destinato a operare.

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confronto sono troppo dissimili fra loro. Bisogne­ rebbe poter valutare la prova fatta successivamente da sistemi diversi in un medesimo paese, oppure in più paesi in cui fossero abbastanza simili le con­ dizioni di estensione, di ordinamento della proprietà immobiliare, di mezzi di comunicazione, d’abbondanza di capitali, d’ abitudine degli affari, ecc. ; e si po­ trebbero aggiungere quelle sociali e politiche. (Jaal maraviglia infatti che in Francia, ove tutto è accen­ trato, esista una sola società di credito fondiario nella i capitale dello Stato, mentre in Germania, dove l’unità ! politica è tuttora da compiersi, funzionano regolar- \ mente molte e molte di esse anche nei centri mi­ nori ? E chi dalla maggior somma di operazioni fon- (iiurio compiute dagli istituti tedeschi in confronto I del C rédit F o n d e r , concludesse senz’altro in favore dei sistemi germanici, non commetterebbe il grave orrore di dimenticare che in Germania l’ istituzione del credito fondiario è meglio che tre quarti di se­ colo più antica che in Francia?

Sarà dunque utile piuttosto il ricercare le ragioni per le quali il legislatore italiano fu indotto a dare al credito fondiario I’ ordinamento e la forma che \ ha anco al presente. — Innanzi tutto bisogna ricor­ dare che al governo e al Parlamento italiano venne

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fatta da società finanziarie estere la proposta di as­ sumere l’ esercizio del credito fondiario e che la pro­ posta fu respinta per una ragione, tra le altre, di massima ; quella cioè di far sì che alla nuova isti­ tuzione^ servissero di base e di mezzo capitali ita­ liani. Fu abbandonato parimente il concetto di af­ fidarne I’ esercizio a società finanziarie nazionali bensì, ma private. (Jueste infatti essendo formale da azionisti ed operando per loro natura a scopo di lucro, fu ritenuto non potessero dare sufficiente gua­ rentigie di prudenza e cautela nelle loro operazioni; e venne data la preferenza ad istituti i quali es­ sendo già fondati a scopi di pubblica utilità, potes- ; sero assumere, senz’ altro fine appunto fuorché la utilità pubblica, la nuova funzione che venisse loro affidata. Non basta : fu ritenuto necessario scegliere ; istituti cotali anche perchè essendo i medesimi da ; lunghi anni ben noti e molto accreditati presso il 'pub­ blico, vennero riputati i più idonei ad emettere quelle cartelle fondiarie nelle quali è indispensabile che il pubblico abbia piena e inalterata fiducia di posse­ dere un titolo solido e poco soggetto ad oscillazioni di valore, affinchè il loro prezzo non invilisca mai di soverchio e i mutuatari, accettandoli volentieri in luogo di danaro contante, ricorrano numerosi al credito fondiario e questo raggiunga il fine pel quale è creato.

Rimaneva da stabilirsi se un solo o parecchi do vesserò essere gli Istituti e fu dal legislatore pre­ ferito quest’ ultimo sistema per una ragione analoga a quella testé esposta : ossia perchè parvegli che in un paese come il nostro, dove in genere le popo- polazioni sono poco avvezze a servirsi del credito, fosse necessario avvicinare ad esse gli organi della' nuova istituzione, decentrandola coll’ affidarne lo esercizio ad enti già noti e stimati ciascuno nella propria regione. E per evitare possibili difficoltà, volle anco impedire che tra questi sorgesse per avventura la concorrenza, ed assegnò ad ogni Isti­ tuto una zona di territorio fuori della quale'non oli fosse lecito operare.

La legge che organizza il Credilo Fondiario porta la data del 14 giugno 1866. Con essa venne ap­

provata una convenzione passata tra il Governo e cinque Istituti, per I’ esercizio del Credito Fondiario, i quali sono:

Il B an co d i N apoli, per 16 provincie meridio­ nali dell’ Italia continentale.

Il Monte de’ Paschi d i Siena, per 9 provincie della Toscana e dell’ Umbria.

La C assa d i R isp arm io d i M ilano, per 8 prò vincie di Lombardia.

Le Opere P ie d i S. Paolo, per 8 provincie di Piemonte e Liguria.

La C assa d i R isp arm io d i Bologna, per 10 pro­ vincie dell’ Emilia, della Romagna e delle Marche. L’ incarico non venne assunto dal B anco d i S i­ cilia per le provincie dell’ isola fuorché nel 1870, nè dalla C assa d i R isp a r m io di Cagliari prima del 1872. La provincia di Roma, quantunque an­ nessa al regno d’ Italia molto dopo le provincie ve­ nete e di Mantova, le precedette nell’ attuazione del Credito Fondiario. I! B an co d i S. S p irito infatti ne assunse l’ esercizio nel 1873, mentre solo dopo molto incertezze nel 1875 alla zona della Cassa di Risparmio di Milano venne aggregata la provincia di Mantova, nel 1877 quelle di Rovigo, Verona e Vicenza e nel 1879 quelle di Padova, Udine, Bel­ luno e Venezia.

Vediamo adesso a quale cifra ammontino le ope­ razioni degli Istituti sunnominati. AI 31 dicem­ bre 1879 esse presentavano il quadro seguente:

Cassa di Risparmio di Bologna. L. 19,917,807.84 » » Cagliari. » 5,817,970.88 » » Milano . » 75,284,556.12 Banco di Napoli... » 86,219,720.31 » Sicilia ...» 12,774,910.68 » S. Spirito di Roma . » 10,176,802,65 Monte de’ Paschi di Siena . . » 12,118,778.44 Opera Pia di S. Paolo in Torino. » 30,515,747.20 Totale L. 252,826,294.12 Di fronte a questi numeri sarebbe bene poter presentare quelli rappresentanti complessivamente il debito ipotecario che in Italia pesa sulla possi denza. Ma come e d’ onde si può dedurli esatta­ mente? Se si esaminano i prospetti pubblicati dal Ministero delle Finanze, se ne rileva la cifra spa­ ventosa di circa 12 miliardi. Se non che, come bene osserva l’ Allocchio nel suo libro pubblicato nel corrente anno sulla materia, ') per poco meno della metà cotesta somma rappresenta un debito ipotecario in fru ttifero ed iscrizioni dello Stato, delle Ferrovie, dei Comuni, ecc., spesso affatto no­ minali.

Il citato autore avverte poi che dalla restante somma, rappresentante il debito fru ttifero, debbono inoltre detrarsi le ipoteche iscritte in più d’ un uf­ ficio di conservazione, quelle per debiti già estinti e non ancora cancellate e finalmente le ipoteche legali. Va dunque fatta una detrazione considere vole. Per altro ciò non toglie che il debito frutti­ fero in realtà esistente, se non può venire precisato debba ritenersi in ogni modo assai ragguardevole. Di fronte ad esso l’ ammontare dei mutui con am­ mortamento fatti finora dal Credito Fondiario non è certo gran cosa. Vero è eh’ esso fu organizzato

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soli 14 anni fa; che non tutti gli Istituti incomin­ ciarono ad operare nello stesso tempo, anzi, come notavamo sopra, alcuni tra loro in data abbastanza recente; che per molte provincie d’ Italia l’ istitu­ zione era affatto nuova e quindi deve avere sten­

tato alquanto ad entrare nelle abitudini del pubblico. Nulladimeno è certo che una parte degli ostacoli, i quali impediscono che il Credito Fondiario eser­ citi una azione più larga e più efficace a benefizio della possidenza, risiede nelle imperfezioni della legge del 1866 che gli dette vita. L' esperienza le ha poste in chiaro e il Congresso de’rappresentanti degli otto Istituti è convocato col fine di suggerirne le correzioni. In un altro articolo ce ne occuperemo particolarmente.

L i BIFOfiMÀ DELLE TiSSE MARITTIME

La G azzetta di Genova nel suo numero del 10 novembre scorso faceva alcuni appunti su quanto noi avevamo detto nel nostro numero 340. La sin­ cera stima che abbiamo per uno dei più autorevoli organi del commercio italiano e la forma cortese colla quale si combattevano le nostre opinioni, ci avrebbero fino d’ allora indotti a replicare qualche parola alla nostra consorella, e ppr farlo attende­ vamo un secondo articolo clic ci si prometteva, ma che non è altrimenti comparso. Oggi che la Gaz­ zetta riproduce uno scritto comunicatole dalla Com­ missione per gli interessi marittimi, eletta dal Con­ gresso degli armatori italiani tenutosi a Camogli, e che abbiamo sottocchio il disegno di legge, presen tato nella tornata del 15 novembre alla Camera dei Deputati dall’ onor. ministro delie finanze, allo scopo di riformare le tasse marittime, stimiamo opportuno di toglierne occasione a chiarire i nostri concetti sulla grave questione.

Noi non abbiamo detto che il voto degli armatori non sia degno di molta considerazione, e lo prova il fatto che lo prendemmo subito in accurato esame. Conveniamo pure che troppo spesso nei Congressi di varia specie è entrata gente che non aveva nes­ suna pratica degli argomenti che dovevano trattar- visi, il che fa perdere inutilmente il tempo. Ma est modus in rebus, e dallo escludere gli incompetenti all’ escludere chiunque non sia armatore ci corre un buon tratto. La nostra consorella ci consentirà che il problema della marina mercantile è un problema molto complesso, i.i cui sono impegnati i più vitali interessi del paese, e che non si può quindi risol­ vere unicamente coi criterii di una classe comunque rispettabilissima di produttori. E troppo facile che questi in buona fede siano tratti a invocare l’azione dello Stato, e lo Stato deve certo preoccuparsi di migliorare per quanto è in lui le condizioni di una industria così importante e di concederle tutte quelle agevolezze che senza offesa alla equità sieno atte a favorirne lo sviluppo ; ma esso ha lo stretto obbligo di esaminare il problema da un punto di vista più elevato, di considerarlo ne’ suoi rapporti colla intera economia nazionale, di guardare non solo all’ oggi, ma anche al domani.

Ora noi crediamo di non fare offesa agli arma­ tori italiani, ripetendo che nel Congresso di

Camo-gli si manifestarono delle tendenze protezioniste, e troviamo ciò molto naturale, e pensiamo che su per giù avverrebbe lo stesso in ogni congresso com­ posto di soli industriali. Lo scritto della Commis­ sione pubblicato dalla Gazzetta non è tale che possa farci mutare opinione. La Commissione ha perfetta­ mente ragione di dire che si faccia presto, si mo­ stra equanime e dichiara che non solleverà mai un antagonismo fra la vela e il vapore, ma trova che tutto quello che dovrebbe apparire dalla progettata inchiesta è stato nel miglior modo possibile risoluto dal Congresso degli armatori. Ed è precisamente quello che ci permettiamo di mettere in dubbio.

Si dice che non è la protezione che si chiede, ma la difesa di fronte ai provvedimenti adottati dalla Francia. Prima di tutto non crediamo che se un paese si mette sulla via della protezione sia questo un motivo sufficiente per lare altrettanto, e ciò per tutte quelle ragioni che i seguaci delle dot­ trine liberali, fra i quali ci pregiano di essere ascritti, hanno sempre dette e ripetute. Ma questo a parte, ed ammettendo per ipotesi che si dovesse opporre premii ai premìi e protezione a protezione, è egli esatto l’affermare che secondo le domande del Congresso si chiedesse solamente di porre la nostra marina mercantile nelle stesse condizioni di quella francese ? Nel nostro articolo sopracitato esponemmo le ragioni per le quali ci sembrava che si chiedesse di più. Dicemmo allora che si erano fatte alcune proposte buone, e su ([ueste torneremo fra breve. Ma aggiungevamo che dato e non con­ cesso che i premii si avessero a stabilire, questi, rappresentando un nuovo sacrifizio pei contribuenti — ed è quello che i produttori dimenticano troppo spesso, come dimenticano che il peso delle imposte è ormai soverchio da rompere il coperchio — questi premii, diciamo, dovrebbero andare veramente a promuovere la nostra marina mercantile, a pre­ parare un lieto avvenire al nostro paese in lontani paraggi. E per questo vuoisi tenere conto dei pro­ gressi della navigazione e non perpetuare artificial­

mente i vecchi sistemi, che a lungo non ci dareb­ bero modo di faro agli altri una concorrenza seria. È vero sì che il mare è immenso e che e’ è posto per il vapore e per la vela; ma è anche vero che è vano dissimularsi la potenza del vapore, e la ne­ cessità di costruire velieri in ferro. Ora avere una preferenza per le piccole navi a vela, non restrin­ gere con progressiva diminuzione il premio alla na­ vigazione a lungo corso, e cioè ai iegni più grossi finché non siano divenuti inservibili, sarebbe un fare precisamente a rovescio della Francia, promuo­ vendo un aumento non naturale dei legni a vela.

Abbiamo detto che nelle proposte del Congresso ve ne erano alcune buone, e precisamente ciò che riguardava i diritti consolari, e un più equo trat­ tamento pei legni a vela, e alcune modificazioni ri­ guardo a ciò che tocca alla disparità di trattamento pel pagamento della tassa di ricchezza mobile.

Il progetto ministeriale tende appunto a riformare le tasse marittime. Esaminiamolo brevemente.

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L’ ECONOMISTA

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nellaggio universale in confronto della quantità di materia trasportabile. La trasformazione della nostra marina è una necessità, e noi pure lo abbiamo j detto, ma incontra anche difficoltà gravissime, per-

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oliò occorrono ingenti capitali per compierla, e questi rifuggono oggi e non a torto dalla industria navale; occorre inoltre cambiare il sistema e le abitudini del nostro commercio e particolarmente I’ industria dell' armatore, e questa rinnovazione non può essere i che I’ opera del tempo. Il Governo studia se vi sia modo e quale di promuovere questa evoluzione, e noi crediamo che fino a un certo punto potrebbe j aiutarla, sebbene la maggiore influenza non possa essere esercitata che dallo svilupparsi della prospe­ rità economica del paese, ritardata da un sistema finanziario, frutto più di espedienti che di principii razionali; intanto però bisognava soccorrere ai mali \ presenti, e noi lodiamo sinceramente l’ onorevole Ministro delle Finanze di avere d’accordo coi suoi colleglli della Marina e degli Affari Esteri rivolta

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a ciò la propria attenzione compatibilmente coll' esi­ genze dell’ erario.

La relazione ricorda che già Parlamento e G o- j verno operarono non poche cose a favore della ma­ rina nazionale, e cioè la unificatone degli ufizii di porto e di quelli di sanità marittima, effettuata colla j legge del di 9 luglio 1876, n. 5228, la riforma del Codice per la marina mercantile sancita colla legge 24 maggio 1877, che procacciò all’ industria navale : importanti vantaggi, fra i quali l'abolizione dell’ ob­ bligo di depositare le paghe dei disertori e le spese di rimpatrio dei naufraghi poste a carico dello Stato, il regolamento per l’ esecuzione del Codice testò j mentovato, che diminuì quanto era possibile le for­ malità, sopprimendo atti e documenti dispendiosi.

Riguardo all’ imposta sui redditi di ricchezza mo­ bile, della quale specialmente si lagnano gli arma­ tori liguri, la relazione osserva che l’ imposta me­ desima fu da essi pagata sino a tutto il 1877 in ragione del 6 per cento per i bastimenti costruiti da 10 anni al più, e del 5 per cento per tutti gli altri: laddove, pel biennio 1880-81 fu stabilito che l’ accertamento del reddito si faccia in ragione del 5 per cento sui bastimenti costruiti da sei anni, del 2 per cento per quelli costruiii da 6 a 12 anni, o dell’ 1 per cento per tutti gli altri. Questo però ci pare che non risponda alla osservazione fatta in­ torno alla disparità di trattamento fra le diverse provincie, sulla quale manifestammo il parer nostro.

Ma vi sono altre tasse che gravano sulla nostra marina : la tassa d’ ancoraggio e i diritti marittimi imposti colla legge 11 agosto 1870, n. 5784, alle­ gato I : la tassa di sanità marittima, stabilita colla legge medesima, allegato H : i diritti consolari san­ citi dalla tariffa approvata con legge 16 giugno 1871, allegato E .

Quanto alle tasse di ancoraggio e di sanità era innanzi tutto da por mente che, per la maggior parte delle provenienze, esse importano un tratta­ mento differenziale a danno della vela e a vantag­ gio del vapore, infatti, laddove per tali provenienze j ascendono a carico delle navi a vela a centesimi 80

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la tonnellata, i piroscafi non pagano per tonnellata I che 62 centesimi.

Vuoisi poi considerare che le tasse d’ancoraggio i e di sanità marittima sono pagate, tanto dalla ban­ diera nazionale, quanto dalla straniera: e che al contrario i diritti marittimi (eccettuato quello d’ in- |

grosso nelle darsene) e i diritti consolari pesano esclusivamente sui legni nazionali.

Il Governo ha riconosciuta la convenienza di pa­ reggiare la condizione delle navi a vela a quella delle navi a vapore, e di fondere la tassa sanitaria colla tassa d’ ancoraggio.

La maggior tassa imposta dalla legge sanitaria alle provenienze dal Levante e dalle Americhe fu stabilita nel 1832, allorché il Congresso sanitario di Parigi, abolendo ie contumacie permanenti nei porti, pose il principio d’ una tassa compensatine delle spese per il servizio sanitario che colpisse le provenien­ ze da luoghi ohe si trovavano allora in condizioni tali da consigliare agli Stati europei precauzioni particolari. Oggi però da un lato le condizioni sanitarie, in ¡spe­ cie del Levante, sono mutate, e dall’altro il principio della tassa differenziale a carico delle indicate pro­ venienze non regge, perchè le malattie contagiose scoppiano in ogni parte del mondo e obbligano gli Stati ad un permanente servizio sanitario e quaran­ tenario, per cui nessun governo europeo seguì lo esempio di stabilire una speciale lassa sanitaria. E s­ sendo poi questa tassa cagione di frequenti conte- stazioni, e di varii inconvenienti, nonché cagione di doppia molestia alla navigazione c di doppio lavoro agli ufizi di porto e a quelli doganali, si propone di unirla con quella di ancoraggio.

« Rispetto a quest’ultima, che diverrebbe l’unica tassa marittima da pagarsi nei porti italiani, il Go­ verno, dice la relazione, il quale doveva, e voleva beneficare per quanto è possibile la propria marina, ha proceduto in quel modo che solo era lecito ad uno Stato obbligatosi con formali convenzioni, a trattare tutte, o quasi tutte le bandiere del mondo, alla pari della bandiera nazionale.

« Quindi la cessazione dei diritti sugli atti e do­ cumenti prescritti per la navigazione nazionale nello Stato ed all’estero, e la diminuzione dei diritti con solari : e per contro, l’aumento della tassa di anco­ raggio, pagabile dalla nostra, come da tutte le altre bandiere.

« Il quale aumento è per altro tenue: perocché sommando le due tasse vigenti di ancoraggio e di sanità marittima, si vede che già si trovano assog­ gettate alla tassa di una lira per tonnellata, quale ora si propone, tutte le provenienze dall’Asia, dal­ l’Affrica (tolti pochi scali) e dall’America.

« Questa tassa é pur sempre mite al paragone delle tasse e dei diritti consimili imposti in molti dei porti esteri, e d’altronde i nostri armatori stessi hanno proposto al Governo di aumentarla, per dar­ gli modo di compensarsi della diminuzione di altre gravezze, chiesta da loro. »

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vedersi efficacemente che diminuendo i diritti con­ solari. 1 diritti stabiliti dalla tariffa del 1871 a ca­ rico dei bastimenti nazionali, quelli specialmente proporzionati alla portata dei bastimenti, erano più gravi dei diritti imposti nei casi identici ai basti­ menti degli altri principali Stati marittimi. E perciò Í il Governo propone di ridurre a metà il diritto pro- I porzionale di tonnellaggio, non clic un’altra ragguar­ devole diminuzione a favore dei piroscafi in servizio regolare periodico. Abbiamo notate le disposizioni in massima, risparmiandoci la lunga enumerazione | delle cilre, die i lettori potranno, volendo, riscon­ trare nella relazione e nel disegno di legge. Osser­ veremo piuttosto die tutte queste diminuzioni della tariffa consolare procureranno alla marina nazionale i una minore spesa presunta di circa L. 411,130. Ciò cagionerebbe una perdita pei consolati all’ estero, elle sono come assuntori del servizio. Non si po­ trebbe improvvisare una riforma radicale, e quindi resta la necessità di compensare in qualche modo gli ufiziali consolari ili prima e di seconda categoria dei danni die ad essi cagionerà la proposta riforma della tariffa, ma non potendosi precisare con esat­ tezza il danno, il compenso potrà per ora consistere in una più larga partecipazione ai proventi, e a I questo proposito il progetto contiene alcune dispo­ sizioni, che ci asteniamo di riferire come estranee al nostro scopo. Lasciamo pure da parte la illustra­ zione degli articoli relativi alle tasse marittime, di cui alcuni non sono che l’applicazione dei principii suesposti ed altri introducono alcune innovazioni alle leggi vigenti, innovazioni che in generale ci sembrano degne di approvazione, contenti di avere { esposta, per quanto lo spazio ce lo permetteva, la parte so-tanziale del progetto.

Quanto alle conseguenze finanziarie del medesimo, ! ecco come le valuta complessivamente la relazione. I Secondo le scritture ufficiali furono riscosse nel 1878 per tasse d’ ancoraggio e di sanità e per diritti di­ versi L. 2 ,6 1 2 ,8 5 4 .8 5 (esclusa la tassa di bollo sulle j bollette, L. 18,497 e la tassa di navigazione sul Te­ vere, L. 4,125).

Quanto alla tariffa consolare, la media annuale ! dei diritti pagati nel triennio 1 8 7 6 -7 7 - 7 8 , per atti d'ogni specie negli uffizi consolari, fu di 1,420,000 lire.

Da questa somma però si hanno a sottrarre lire 584,890 per quote di partecipazione spettanti agli uffiziali consolari di I a e 2a categoria, conforme­ mente all’articolo 3 della legge 16 giugno 187-1 ; onde il provento netto erariale si residua a lire 835,110.

Totale prodotto medio annuale delle tasse marit­ time e sanitarie, e dei diritti diversi e consolari lire 3,447,964 85.

Secondo i computi più accurati, eseguiti sui dati statistici della navigazione, la tassa d’ ancoraggio I stabilita da questo schema di legge, produrrebbe j annue L. 2,808,000 ; i diritti marittimi L. 2 0 2 ,0 0 0 ; ! totale L. 3,010,000.

L’ annuo frutto presunto di tutti i diritti conso­ lari, in seguito allo proposta riforma della tariffa, j sarebbe di lire 1 .0 0 8 ,8 7 0 : dalle quali sottraendo | lire 504,568 per quote di partecipazione degli uffi- zinli consolari, come vengono stabilite dall’ articolo 28 del presente schema di legge, si avrebbe l’an­ nuo provento netto a favore dell’ erario di lire I 504,302.

Totale prodotto annuale della tassa d’ ancoraggio, diritti marittimi e consolari lire 3,514,302.

Differenza a favore delle finanze tra i prodotti delle tasse e diritti attuali, e quelli della tassa e diritti proposti con questo schema di legge lire 66,337 15, dalla qual somma devonsi però detrarre alcune migliaia di lire pel diritto di bollo sulle bol­ lette, il cui numero viene ad essere diminuito per la lusione in una delle due tasse di ancoraggio e di sanità.

Naturalmente ci mancano gli elementi per valu­ tare l’esattezza di queste previsioni, ma prese nel complesso non crediamo che debbano audar lungi dal vero e che gl’interessi dell’erario possano cosi accordarsi con quelli della marina. E cosi si fosse sempre pensato a non cercare il vantaggio effimero del tesoro pubblico gravando irragionevolmente e uccidendo industrie promettenti. Certo la proposta ministeriale non rimedierà a tutti i mali, ma farà qualcosa di bene, e di altri provvedimenti sarà ap­ portatrice la inchiesta. La quale, se fatta a dovere, potrà illuminare Governo e Paese intorno ai veri inali e ai veri rimedii ; diciamo se fatta a dovere, perchè se non fosse cosi, gioverebbe meglio rispar­ miare tempo e fatica.

LA RELAZIONE MINISTERIALE

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All’ ultimo momento ci giunge la relazione lun­ gamente aspettata, destinata ad esprimere i concetti del Ministero nello iniziare e portare ad effetto la grande impresa della cessazione del corso forzoso. Questa relazione è opera di troppo gran mole e di troppa importanza, perchè noi possiamo, cosi su due piedi, formularne un esatto apprezzamento e nemmeno dar corpo ad un ragionato criterio; converrà frat­ tanto che su di essa uoi gettiamo uno sguardo ge­ nerale il quale servirà a porre in evidenza alcuni punti su cui è opportuno che si fermi I’ attenzione dei nostri lettori.

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1 6 .9 5 ; nel 1875 fra 8 .1 5 e 1 0 .8 0 ; nel 1876 fra 7 .2 5 e 9 .6 5 ; nel 1877 fra 7 .6 5 e 1 3 .7 5 ; nel 1878 fra 7 .9 0 e 1 1 ; nel 1879 fra 9 e 1 4 .8 0 ; nel 1880 (a tutto il settembre) fra 8 .7 6 e 1 3 .6 5 .

Questa mutabilità ha una influenza eminentemente nociva sul credito; chi stipula un futuro pagamento sa quello che ha dato in correspettivo, ma ignora ciò che riceverà alla scadenza e fa pagare al debi­ tore il premio dei rischi che corre. Il saggio dello sconto delle banche di emissioni nei paesi a corso forzoso è sempre più elevalo di quello delle banche nei paesi a circolazione libera.

Tutte le statistiche sono concordi nel dimostrarlo, ma non crediamo che appaghi molto la ragione che ne dà la relazione, che cioè « il regime artificiale del corso forzoso impedendo alle Banche di allar­ gare la loro circolazione le alletta a trarre il mag­ gior possibile profitto degli sconti. » Più esalto sa­ rebbe stato il dire che rinchiudendo in una fitta barriera il mercato in cui operano toglie ad esse l’acu­ leo di ogni benefica concorrenza. Il saggio dello sconto più elevato rimane altresì ben è vero per le stesse ragioni più immobile. La Banca d’ Inghilterra ebbe 131 variazione nello sconto, la Banca del Bel­ gio 83 e la Banca di Francia 22 nel periodo in cui la Banca Nazionale italiana non ne ebbe che 4 e ciò perchè naturalmente i paesi a eorso forzoso sono esclusi dal commercio internazionale dei metalli pre­ ziosi che è la causa determinante delle variazioni dello sconto. Quindi il mercato perde ogni sensibi­ lità ed il credito e la produzione non hanno più l’ela­ sticità necessaria per allargarsi e restringersi a se­ conda dei bisogni e preparano più intense e più durevoli le crisi commerciali.

Ognuno intende come il corso forzoso avvizzisca il credito internazionale. Il saggio maggiormente ele­ vato dello sconto non basta più per allettare i capi­ talisti esteri a tenere nel loro portafoglio le cam­ biali pagabili in carta monetata, poiché il benefìzio può essere convertito in perdita dalle Illutazioni del­ l’aggio, e lo stesso avviene per gli altri titoli di credito. Quando il corso forzoso fu introdotto, gran parte dei titoli italiani che si trovavano all’estero ci furono rimandati, ed i mercati esteri sono può dirsi chiusi alla maggior parte dei nostri valori. Oppresso il credito e reso malagevole il pagamento a termine nelle compre e vendite, s’ intende facilmente quale influenza ne risentano i traffici pei quali il credito è alimento vitale. La vantata protezione che il corso forzoso dicesi arrecare all’ industria ognuno sa a che cosa si riduca. 1 prezzi dei prodotti dell’ industria estera aumentano per effetto dell’ aggio, mentre re­ stano per qualche tempo invariate molte delle spese della produzione nazionale come i salari, i fitti, gli interessi dei mutui già stipulati, le spese di tra­ sporto, e via dicendo. Il guadagno dell’ intraprendi- tore è in gran parte dovuto alla perdita dell’operaio; questo fenomeno è per altro transitorio perchè pre sto il livello dei salari, dei fitti, dei mutui, ecc. tende a livellarsi, e d’altronde quando l’aggio ribassa dopo un lungo periodo di elevatezza succede il fenomeno inverso, che cioè il prezzo dei prodotti esteri ribassa celeremente, mentre rimane più lungamente invariato il costo della produzione nazionale.

Un’altra specie di protezione si asserisce derivare dal corso forzoso perchè desso stimola i negozianti nazionali a provvedersi di merci presso i produttori indigeni, anziché presso i forestieri, affine di non

do-vere, valendosi del credito, accrescere i rischi del­ l’operazione per l’eventuale aumento dell’aggio al momento del pagamento. Al tempo stesso i nego­ zianti nazionali trovano difficoltà ad indurre i pro­ duttori esteri a far loro credito col mezzo di tratte sulle piazze in cui ha corso forzoso la carta. Di tutto ciò è indubitato che sa trarre profitto l’ indu­ stria paesana, ma con detrimento corrispondente del commercio, e con detrimento pure delle industrie che mandano all’estero i loro prodotti.

Anco l’agricoltura trova un elemento sfavorevo­ lissimo in u i ambiente di corso forzoso che dis­ suade i capitali dagli impieghi a lunga scadenza di cui essa ha principalmente bisogno.

In generale anco quando si nota un beneficio at­ tualo dalla esistenza della circolazione coattiva può facilmente riscontrarsi che dietro ad esso sta la mi­ naccia di un danno futuro, laonde solo risultato de­ finitivo rimane la incessante incertezza che costitui­ sce ostacolo gravissimo al miglioramento della pro­ duzione.

Vengono quindi i danni recati dal corso forzoso alla pubblica finanza. Le spese che il Tesoro na­ zionale ha dovuto sopportare durante il triennio 1877-79, sui pagamenti da farsi all’estero e su quelli che per convenzione si è obbligato a fare all’ in­ terno in oro, ascendono annualmente in media a 12 milioni di lire, a cui aggiungendo l’annualità di pagarsi agli Istituti del Consorzio per la sommini­ strazione della carta si hanno circa 15 milioni e mezzo di lire. Il Governo è inoltre costretto a for­ nire più laute sovvenzioni alle società ferroviarie, a quelle di navigazione, per compensare i rischi che corrono nell’acquisto delle loro provviste ; così pure esso paga più caro tutte le sue forniture, perchè i fornitori debbono mettere in conto una specie di premio di assicurazione contro i danni delle fluttua­ zioni dell’aggio.

Il corso lorzoso non ha alleviato allo Stato la spesa degli stipendi degli impiegati, perchè la loro posizione resa più triste ha dovuto essere miglio­ rata; na bensì alleviato l’onere derivante dagli im­ prestiti anteriori al 1866, ma a questo beneficio si contrappongono le condizioni tanto più onerose a cui ha dovuto contrarre gli imprestiti successivi i quali essendo stipulati in carta dovranno essere pagati in oro.

E inoltre da tener conto del disordine che l’ in­ stabilità del valore dello strumento degli scambi reca nell’ amministrazione finanziaria, perchè introduce un elemento di incertezza che può sconvolgere le meglio assestate previsioni ; e danni della stessa na­ tura, tranne in generale quelli relativi al pagamento in oro, sono pure risentiti dalle amministrazioni co­ munali e provinciali. Tralasciamo di far menzione dell’ imbarazzo di cui può esser causa nei rapporti politici, giacché il timore di provocare una crisi violenta con i forti sbalzi dell’ aggio è naturalmente un torte inciampo al Governo per una condotta ri­ soluta intesa a mantenere alto il decoro e l’interesse nazionale.

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o dicembre 1880 L’ E C O N O M I S T A 1607

decrescente disavanzo e le condizioni del credito pubblico non lo permettevano.

Prima condizione per dar opera efficace a far cessare il corso forzoso è che il bilancio dello Staio non soltanto sia pareggiato, ma presenti un avanzo. I resultati accertati della finanza italiana sono ormai da questo lato affatto rassicuranti. Per compiere l’ operazione, il Governo non vuol fare nessun asse­ gnamento sugli avanzi die si possono attendere dal nostro bilancio nelle sue presenti condizioni, ma di nuove risorse che deriveranno per 15 milioni dal risparmio certo e numericamente determinato che il tesoro farà mercè la cessazione del corso forzoso e per 19 milioni da un’ operazione che il Governo ha lungamente maturata intorno al debito vitalizio.

Come dovranno adoperarsi questi avanzi? Due vie si presentano, quella dell’ ammor amento graduale della carta in circolazione, e quella di un’ operazione di credito agl’ interessi della quale questi avanzi sopperirebbero e che sarebbe destinata a riscattare questa carta. La prima via richiederebbe un lungo periodo di tempo, durante il quale l’ aggio dell'oro scemerebbe bensì poco a poco ; ma verosimilmente non scomparirebbe del tutto che ad ammortamento alquanto progredito. Bisognerebbe rassegnarsi a sof­ frire ancora per lungo tempo dei danni del corso forzoso, e forse l’ avanzo su cui adesso possiamo coniare potrebbe anche essere compromesso dalla mutabilità degli indirizzi che dominano un Governo parlamentare; con la seconda via il Governo ritiene di poter conseguire la cessazione del corso forzato in un termine breve, non più lungo di due anni, ridueendo il carico annuale del bilancio per il nuovo imprestilo da emettersi a meno di 50 milioni, e senza perturbacele condizioni economiche del paese. La Francia potè adottare utilmente il sistema del- l’ ammortamento graduale, perchè i 1470 milioni che lo Stato aveva mutuato dalla Banca, potevano essere rimborsati a rate molto cospicue, mercè i larghissimi avanzi del bilancio ed in parte peraltro anco mercè alcuni avanzi sopra gli imprestiti devo­ luti al cosidetto conto d i liquidazione. Ivi I’ aggio dell’ oro non si era mai alzato oltre il 3 per cento ed era intieramente cessato nel 187o, laonde fino da quell’ epoca I’ oro riprese a circolare insieme con i biglietti, nè fu d’ uopo aspettare per vedere cessati i danni del corso forzoso ohe la Banca riprendesse effettivamente nel 1° gennaio 1878 il cambio me­ tallico dei suoi biglietti. A raffermare la nostra pa­ zienza nel corso forzoso si citano gli esempi della Russia e dell’ Austria, che sembrano di essersi quasi abituate a quel regime, nè pensano di uscirne, ma ben si capisce che la prima con un enorme con­ tingente di carta moneta (4 miliardi e mezzo di no­ stre lire), la seconda con un disavanzo notevole nei due bilanci, ungherese ed austriaco, ed entrambe poi col tipo monetario unico d’argento, che esporrebbe i loro cambi a forti oscillazioni anco col ristabili­ mento della circolazione metallica, non possono por mente ad una operazione come la nostra.

Il Governo italiano stima di potersi procacciare le somme occorrenti al saggio netto del 5 per cento, è questo a un dipresso il saggio corrispondente al corso attuale della nostra rendita alla Borsa di P a ­ rigi, mentre i corsi delle Rorse italiane rappresen­ tano un saggio di capitalizzazione alquanto inferiore. Ristabiliti i pagamenti in metallo i due corsi do­ vranno necessariamente livellarsi, ed è da ritenersi

che il nuovo unico prezzo tenderà a stabilirsi piut­ tosto secondo i corsi presenli delle Borse italiane che giusta i prezzi di Parigi. Infatti dei 360 milioni circa di rendita italiana solo il settimo o poco più si trova all’ estero e le statistiche facimente dimostrano che se i mercati esteri, e quello di Parigi in particolare, sono quelli dove si opera più agevolmente il primo collocamento dei titoli di nuova emissione, è in Italia che essi trovano in grati parte il loro collocamento definitivo.

I possessori italiani che apprezzano adesso un titolo che dà loro un’ interesse assai al di sotto del 5 0|0 non lo apprezzeranno meno, ma anzi lo terranno più caro quando l’ interesse ne sarà pagato in oro ed essi che si sono acconciati ad avere per 94 lire una rendita di 4 lire e 34 centesimi si affretterebbero quando il prezzo di questa rendita ribassasse, a farne acquisto, e ne ricondurrebbero con le loro richieste il prezzo alla ragione ormai normale.

Quanto ai capitalisti ed agli speculatori esteri, ag­ giunge la relazione, si potrebbe dire senz’ altro che i meno saranno tirati dai più, ma ancora più ra­ gionevole è il ritenere che essi apprezzeranno mag­ giormente la rendita, italiana quando cessi per essa quel difetto intrinseco assai grave che cioè i suoi interessi vengano pagati in carta là dove esiste la sua clientela più estesa e più solida, quella a cui dovrebbero far capo il giorno in cui volessero ad ogni costo disfarsene.

A queste osservazioni potrebbero l’arsi alcuni ob­ bietti che riserveremo ad altro tempo; frattanto ag­ giungiamo che la relazione ritiene che nemmeno l’ emissione di nuovo consolidato per 644 milioni varrà a deprimere il prezzo della rendita più che non valga ad elevarlo la nuova circostanza del pa­ gamento della cedola in oro anco in Italia, e che alla prima depressione derivante dall’ annunzio dell’ ope­ razione sia fatta larga parte calcolando il prezzo della nuova emissione al saggio dei corsi attuali ili Parigi anziché a quello delle Borse italiane.

La relazione viene quindi ad esaminare la seconda condizione necessaria per dare opera alla cessazione del corso forzoso, cioè la corrente favorevole degli scambi ed a questo punto importantissimo tmlasce- remo per riprenderne il filo nel prossimo numero.

(Continua)

IL LIGNITE Di CASTELNU0V0

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1608 L’ E C O N O M I S T A 5 dicembre 1880

S. Giovanni; ivi avvertimmo come la sua esistenza dipenda da un giacimento di lignite che possiede, senza del quale essa non esisterebbe. « Il calorico didatti - osserva il Garnier — è in siderurgia un agente talmente capitale, che dal progresso del primo soltanto possonsi ripetere i serii avanzamenti della seconda, con i mezzi cioè di riscaldamento. Così è che, considerandola molto da vicino, si scorgerà facilmente che l’ istoria siderurgica non è che quella dei perfezionamenti nei metodi di combustione » locchè deve intendersi ancora dell’ incremento della produzione e della ricerca dei combustibili nel caso che essi esistano sotto la superficie del suolo. Sono anzi questi ultimi che hanno cagionato l’enorme produzione siderurgica del nostro secolo con un pro­ gresso di fabbricazione che ci ha fatti passare dal ferraccio al ferro, ed ora da questo a quella sua varietà che sta per sostituirlo ognor più, cioè al- I’ acciaio. Se domani si arrivasse a produrre l’allu­ minio a buon mercato, la superiorità industriale della siderurgia sarebbe distrutta, perchè l’alluminio, con altrettanta forza del ferro, ha peso molto minore e si trova dappertutto alla superficie del globo; e questa scoperta, cangiando in meglio la sorte delle stirpi umane, verrebbe segnalata dagli storici, dagli j economisti, dagli antropoìogi col nome di origine \ dell’ età dell’ allum inio. Disgraziatamente l’ alluminio costa attualmente, a peso, quanto l'argento.

Il combustibile tratto dalla superficie o dalle vi­ scere del suolo non è in sostanza che forza solare. I La differenza fra queste due provenienze consiste in ciò che la prima di esse rappresenta il sole moderno e la seconda il sole antico. Ora in E u­ ropa v’ ha ciò di singolare che quei paesi che posseggono una gran forza solare, i quali sono i meridionali, difettano quasi totalmente della pos­ sanza del sole antico. I grandi depositi di carbon fossile si trovano didatti quasi tutti al nord-ovest dell’ Europa, non esistendone al sud fuorché nelle j Asturie. Se ora si riflette che tutto il combustibile di una foresta che vive da un secolo equivale a soli 15 a 16 millimetri di grossezza di carbon fos­ sile sulla stessa sua superficie e che i giacimenti di j questa materia hanno talvolta decine di metri di spessore, con estensioni superficiali rilevantissime, se j ne dedurrà che taluni freddi e nebbiosi climi del set- ! tentrione hanno molto più sole che non ne abbiamo noi. Vero che se l’ Italia non ha la potenza solare, sotto forma di combustibile, che in mediocre anzi in piccola proporzione, ha poi la stessa forza in quantità strabocchevole sotto un’ altra forma, che è la pos- j

sanza idraulica. Ma questa non si trasporta a grandi distanze, fino ad ora, come si fa dell’ altra forza ; I bisogna dunque prenderla dove si manifesta, ed è j ciò un grave inconveniente. Quanto all’utilizzare di­ rettamente il calorico che il sole piove su di noi, è questo un problema che preoccupa da lungo tempo il celebre ingegnere Ericcson, ma di cui non si ha finora soddisfacente soluzione.

La nostra produzione di combustibile fossile è ben meschina, perchè si riduce a 400,000 tonnellate estratte annualmente, le quali corrispondono a 250,000 tonnellate di buon litantrace, a causa della supe­ riorità di questo materiale sul nostro. Noi abbiamo però fin d’ora 5 milioni d’ettari di terreno a boschi i quali producono annualmente circa 10 milioni di metri cubi di legna da ardere, senza contare quella j per gli altri usi. Questi 10 milioni, dopo carboniz- )

zati, forniscono 1 milione e 800,000 tonnellate di carbone. È chiaro però che, in massima parte, sif­ fatto combustibile non è rivolto ad usi industriali molto occorrendone pei domestici. A ciò si oppone altresì il difetto di buone comunicazioni. Siccome però queste vanno migliorando, così aggiungendo ai combustibili fossili una frazione del carbon ve­ getale che si produce fin d’ ora, è chiaro che noi potremo avere tutto il combustibile che ci abbi­ sogna per le nostre industrie, che è di 700,000 ton­ nellate all’anno; ma siccome è il prezzo che, in com­ mercio, determina l’ acquisto della merce piuttosto dell’ una che dell’ altra provenienza, così, per quanto si faccia in seguito, noi prevediamo che, nelle nostre regioni littoranee, proseguiremo ad essere tributarli dei paesi esteri, tranne il caso che il prezzo del carbon fossde venga a crescere stabilmente in misura molto rilevante.

Il lignite di Gastelnuovo, posto a ragguardevole distanza dal mare e per ciò reso capace di lottare col combustibile estero, nou si adopra soltanto a prò delle officine di S. Giovanni in Val d’Arno. Le fer­ rovie Romane ne usano in quantità rilevante e molto più se ne varranno quando sia venduto a minor prezzo, come in breve accadrà. Anche F i­ renze comincia a consumarne, benché si trovi posta a quasi 60 chilometri dalla cava; il lignite in que­ stione ha didatti un raggio d’esportazione che giunge ad 80 chilometri. Daremo ora alcuni ragguagli su quest’ industria estrattiva, quali abbiamo potuto ri­ levare da una breve corsa che vi abbiamo fatta.

Il bacino lignitifero di Castelnuovo non è intie­ ramente di proprietà della Società delle ferriere di S. Giovanni. Oltre l’area concessa a quest’ impresa v’ hanno altre località prossime da cui il lignite viene estratto, però in quantità poco rilevanti. Del resto non è il deposito che menzioniamo il solo che esi­ sta nella provincia di Firenze. La lignite fibrosa che lo compone si trova ancora nei comuni di Figline, Caviglia, ecc., mentre in quello di Barberino di Mugello si rinvengono delle ligniti brune. Il totale di questi bacini lignitiferi ha da 7 ad 8 mila ettari d’estensione. La concessione appartenente alle fer­ riere di S. Giovanni non possiede che 140 ettari. La cava è dunque circoscritta ad un’area assai pie-» cola in confronto della quantità complessità dei li­ gniti della sola provincia di Firenze. La massa di

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5 dicembre 4880 L’ E C O N O M I S T A 4609

perchè ha mediamente lo m. di profondità. In que­ sti strati si penetra sotterraneamente con delle gal­ lerie le quali, benché assai larghe ed alte tutta la grossezza che ha lo strato attaccato, non abbisognano di puntellamene, a cagione della molta compattezza del lignite. Yt si fanno due ordini di gallerie paral­ lele, ciascun ordine essendo disposto perpendicolare all’altro. Da ciò risultano dei massicci di base qua­ drata con 15 m. di lato. Questi poi si attraversano con altre gallerie più piccole, cosicché si estrae quasi lutto il combustibile, non rimanendo sotterra che dei piccoli pilastri a sostegno del tetto dello scavo.

Non è da credere che tutto ciò che si estrae dalla cava sia materia combustibile. Il lignite che si ottiene ha in sé -40 per cento d’acqua ; e quando anche sia stato prosciugato, dentro dei capannoni nei quali circola una corrente d’aria calda, ne con­ tiene tuttavia 10 a 12 per cento del proprio peso. Oltre a questa perdita ve n’ ha un’ altra, a cagione di una enorme quantità che si riduce in polvere e che non è utilizzabile, benché siansi tentati, senza pro­ fitto, degli espedienti per ottenere degli agglomerati simili a quelli che si traggono dai minuzzoli del carbon fossile. A ciò aggiungasi che, nel maggio ultimo, la cava ha preso fuoco. Le estrazioni di lignite dif- fatti, a somiglianza di quelle di li tran trace, svol­ gono il carburo d’idrogene che, a contatto dell’aria e spontaneamente, può accendersi. V’ hanno anzi delle ligniti che non possono venire a contatto del- 1’ aria senza abbruciare, come sono quelle di Bilia in Boemia le quali si estraggono appunto per trarne delle ceneri che si adoprano per ingrassare il ter­ reno. 11 direttore della miniera di Castelnuovo, ac­ cortosi dell’incendio, operò la diversione d’ un rivolo posto a prossimità ed inondò la parte della cava che si era accesa. Ciò non ostante è palese che l’incendio non è spento, perché noi stessi abbiamo veduto dei fumaioli che attraversano lo strato di acqua e si svolgono nell’aria. Questa combustione può del resto proseguire per degli anni ininterrot­ tamente. Cosi una cava carbonifera posta in Austria bruciava ancora, secondo il Tondi, dopo otto anni, e Daubuisson racconta che un’altra, presso PIanitz in Sassonia, trecento anni dopo aver preso fuoco mandava ancora vapori attorno ad un pozzo non ben turato. È sperabile che questi straordinarii feno­ meni non si avverino nella cava di Castelnuovo. Quivi l’incendio si propaga assai lentamente e non ha finora consumato che poche migliaia di metri cubi. In attesa che si spenga, i lavori continuano negli affioramenti del combustibile e se ne ha per parecchi anni.

Gli uomini 'che lavorano nello cava sono ora 260. Inoltre sono in azione 22 cavalli i quali servono a trasportare fino a S. Giovanni il materiale estratto. Oltre a queste forze animate, v’ha una piccola mac­ china a vapore di 8 cavalli. Il lignite, prosciugato o no, si trasporta a S. Giovanni con una piccola ferrovia che ha lo scartamento di 70 centimetri. Su di essa corrono dei vagonetti che contengono ciascuno 4400 kilogr. di lignite. Un cavallo ne tira tre, ma non è d’uopo che li rimorchi per tutti i 7 kilom. della piccola ferrovia; difatti i primi trekilom., essendo posti in discesa di circa 8 per mille, i vagoni li percorrono da sé soli. Gli stessi cavalli rimontano poi i vagoni vuoti da S. Giovanni alla cava. Ora però si sta introducendo un’ utile modi­

ficazione che sarà in breve effettuata, Il piccolo bi­ nario si sta rimpiazzando con un altro a scartamento identico a quello della ferrovia Firenze-Arezzo; del pari i piccoli vagoni saranno rimpiazzati da quelli di ordinaria grandezza che trasporteranno o e più tonnellate di lignite ciascuno. Si formeranno così dei convogli che, mossi da una locomotiva, potranno accrescere in grande proporzione il trasporto dei prodotti della cava. Il lignite che vale ora 11 lire la tonnellata alla stazione di San Giovanni, potrà vendersi con un ribasso di 2 a 3 lire, con rile­ vante vantaggio dei consumatori attuali e col dila­ tamento del raggio d’azione della cava.

E desiderabile che il nostro eombustibite fossile sia meglio utilizzato che al presente. L’ Italia cen­ trale ha, nelle provincie di Parma e Firenze, degli ampii depositi combustibili che sono in minima arte utilizzati. Il bacino di Borgo Taro ha circa 100 ilom. quadrati d’estensione. Esso è forse il mag­ giore dell’Italia e pretendesi che contenga vero li­ tantrace. Nonostante il gran bisogno che abbiamo di combustibile di questa specie non ò desso utilizzato. Un risveglio però gli sarà impresso quando sia ese­ guita la ferrovia Parma-Spezia alla quale potrà esser rannodato. E intanto dovere degli economisti di ri­ chiamare l’attenzione del Governo e dei capitalisti su di tali problemi, perché è in essi in parte ri­ posto il risorgimento della pubblica prosperità.

LA M E Z Z E R I A

Coll’aver preso la mezzeria a soggetto di questo artìcolo non è nostro intendimento di investigare minutamente quali fossero le cause per cui ebbe origine, e perchè più in alcune che in altre regioni prendesse sviluppo, ma di dirne solo quel tanto che basti a rispondere sì a quelli, che la considerano come la panacea per tutti i mali degli agricoltori e dell’ agricoltura, come a quelli che la ritengono di inciampo ad ogni sviluppo e progresso agricolo.

E indubitato che la mezzeria è una vera e pro­ pria Società fra proprietario e coltivatore, ossia tra socio capitalista e socio d’ industria, che tal forma di Società prese maggiore incremento dove mag­ giore e più rigogliosa fu la vita dei Comuni, che grandemente contribuì al progresso civile, che di po­ tente impulso dev’essere al certo stata ai servi della gleba questa nuova forma di contratto sociale, che affratellava due classi tra loro tanto disparate in un tempo in cui era fresco il ricordo della vile oppres­ sione sofferta ed in cui era tanto necessaria la forza bruta: — si trattava di rendere sicure e produttive estese e squallide contrade dove da secoli si erano succedute invasioni di barbari, stragi di uomini, prepotenze di signori. Qual miglior modo di quello di disseminare case per le campagne dove gli abi­ tatori avessero tutti i comodi e per sé e per i be­ stiami e per i loro prodotti per trasformarli il meglio ed il più ohe fosse possibile ?

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1610 L’ E C O N O M I S T A 5 dicembre 1880

dove forse nacque e dove spera anco di morire e che per lunga consuetudine considera e lavora come fossero proprie, che tutto ciò è al certo un grande argine all’emigrazione, che con la mezzeria è meno sensibile la differenza di classi e più coltivato l’ a­ more della famiglia ; ma di fronte a tanti vantaggi stanno ancora inconvenienti non lievi e sono effie l’agricoltura colla mezzeria è troppo affidata alla ba­ lia dei coltivatori, i quali ripongono ogni fiducia nella provvidenza e poca nella previdenza, che credono troppo all’ influenza lunare e poco alla quantità di azoto costituente il valore dei concimi e che riiug gono da ogni innovazione.

P er questi ed altri motivi ne consegue che l’agri coltura la colla mezzeria progressi meschinissimi, e non produce, non reggendo la concorrenza, a quel buon mercati) con cui posson produrre quelli che coltivano secondo i dettati della scienza.

Riassumendoci diremo esser noi d’opinione che la mezzeria sia stata in [lassato un vero e grande pro­ gresso agricolo e che tuttora possa essere utilissima e non deliba abolirsi, quando invece di rimanere come rimase liti qui stazionaria, si trasformi adat­ tandosi ai bisogni dei nuovi tempi.

E per ottenere questo ci sembra esser necessa­ rio che si insegni ai coloni non il solo leggere e j scrivere, ma altresì le buone regole agricole e ciò per mezzo di conferenze, di esposizioni e con scuole j diurne, domenicali e serali tanto per i giovanetti j che per gli adulti, le quali tutte abbiano, come in l ' rancia, un annesso podere modello.

Che la spartizione dei raccolti non sia fatta ugual­ mente (a perfetta meta) tanto nel pingue che nel magro podere come si è praticato fin qui, ma a se­ conda della feracità e produttività dei terreni, in modo tale cioè da compensare equamente le fati­ che di tutti sicché non accada come avviene in j oggi che si tratti con uguale misura tanto il colti­ vatore di terre che riproducono venti volte e più la sementa, quanto quello le cui terre non la riprodu­ cono che sole tre o quattro volte, il quale se non muore di fame è costretto di certo a morir di pel­ lagra.

Che si accordi ¡1 frutto legale su tutte le somme che costituiscono un credito del colono verso il prò- I prietario e di questi verso quello, nonché su tutte le somme che il proprietario anticipa per migliora­ menti, ammendamenti, concimi ecc., e così da una parte si alletterebbero e stimolerebbero vieppiù i coloni al risparmio e al rilascio presso i propri pa­ droni di tutti i loro averi, e dall’ altra i proprietari a rivolgere i loro capitali con maggior coraggio al- P agricoltura.

Che si faccia all’ atto della consegna del podere uno stato di consistenza esattissimo (non limitato alle sole stime vive e morte, come si pratica attual­ mente) di tutti i fabbricati, piantamenti, dissoda­ menti, della feracità della terra, ecc., con diritto nella riconsegna a congruo compenso: con tal si­ stema il contadino prenderebbe cura anco di quelle cose che non sono per dargli un utile diretto ed immediato ma che son però indispensabili ad un podere e di un certo e buon prodotto avvenire, come la cura dei fabbricali, degli argini, delle piante d’alto ! lusto e dei frutti, non che del rilevamento di nuove.

Che si adottino, anco con la mezzeria, le mac- | chine utilizzando il tempo che con esse si rispar- j

mia od in bonificamenti ai fondi od in piccole in­ dustrie.

Che si incitino i coloni alla cooperazione, alla previdenza, al risparmio, favorendo con ogni modo l’ istituzione di latterie sociali, di società mutue per assicurarsi contro la mortalità del bestiame, i danni della grandine o del fuoco, come per far provvi­ ste di concimi, zolfi, od opere di difesa, di viabi­ lità, e più di tutto alla costituzione di una vera Banca Agricola che sovvenisse a tutti quanti i bi­ sogni dei lavoratori della terra formata da tante azioni nominali da L . 23 e da L. 250 al portatore ciascuna.

Quando si fosse fatto tutto questo allora la mez­ zeria potrebbe davvero redimere la società, libe­ randola da un gran cataclisma che la sovrasta, e che, non provvedendo in tempo, dovrà pur troppo avvenire; allora con vantaggio dei consumatori e di tutti (meno gli incettatori) si produrrebbe a più buon mercato perchè si produrrebbe di più, allora i buoni coltivatori troverebbero equo compenso alle loro fatiche anco in sterili poderi e non sarebbero condannati a soffrire e morire per la pellagra, al­ lora si accrescerebbero più sollecitamente i capitali ed aumenterebbero i proprietari che insieme ai comproprietari mezzaiuoli, farebbero argine alle idee socialistiche del giorno. Potremo noi indurre nel lettore la persuasione e convinzione profonda che noi abbiamo deli’ utilità delle varie innovazioni pro­ poste? — Speriamolo. Ferruccio Stefani.

LE FERROVIE BELGHE NEL 1819

Togliamo dal M onitore delle S trad e F err a te i dati seguenti intorno alle operazioni effettuate nel 1879 dalle Ferrovie Be’ghe appartenenti allo Stato ed a Compagnie private.

Al 31 deceinbre 1879 la rete dello Stato aveva una lunghezza effettiva di 2,586 chilometri, comprese le linee costruite dallo Stato, quelle costruite da Com­ pagnie e riscattate dallo Stato, o da questo esercitate mediante rivalse o porzione dei prodotti. La parte a doppio binario si estendeva per 1,249 cliil., e quella a binario semplice era di chilometri 1,337.

Le rotaie di ferro, di diversi tipi, poste sulle linee, rappresentavano una lunghezza totale di 5,392,187 me­ tri, e le rotaie di acciaio una lunghezza di 4,567,106 metri, cioè in totale metri 9,959,293. Il numero delle rotaie di acciaio, in rapporto alla quantità totale delle rotaie in servizio, è del 45,87 per 0,0. Il prezzo medio delle rotaie d’ acciaio nel 1880 fu di fran­ chi 144.12 la tonnellata.

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