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Quello che l’uomo definisce “dissesto idrogeologico” per la

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Academic year: 2021

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Quello che l’uomo definisce “dissesto idrogeologico” per la

natura è un nuovo assetto che si verifica quando il

territorio non è più in equilibrio e, attraverso l’evento

erosivo e deposizionale, si assesta in una nuova

condizione di equilibrio.

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Già Leonardo Da Vinci correttamente diceva

“l'acqua disfa li monti e riempie le valli e vorrebbe

ridurre la Terra in perfetta sfericità, s'ella potesse”

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IL PIANO STRALCIO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO

La pianificazione di bacino relativa all’assetto idrogeologico è stata definita nel dettaglio dal D.L. 180/98 e s.m.i. ed è attualmente regolamentata dalla parte terza del D.Lgs. 152/06 e da normative a carattere Regionale che, per il Lazio, è la L.R. n. 53 del 11/12/1998: Organizzazione regionale della difesa del suolo in applicazione della L. 18 maggio 1989, n. 183.

Il Piano stralcio di bacino per l’Assetto idrogeologico (PAI) contiene, in particolare:

•  La perimetrazione delle aree a diverso grado di pericolosità e di rischio, da alluvione, da frana e da valanga;

•  La definizione delle misure di salvaguardia e vincoli all’uso del suolo, atti a non incrementare il rischio nelle zone in cui esiste già un pericolo;

•  L’individuazione degli interventi di difesa (strutturali, non strutturali, di manutenzione, ecc.) atti a ridurre il rischio idrogeologico nelle aree riconosciute a rischio e a non incrementarlo nelle aree critiche.

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Il PAI è uno strumento dinamico, in continua

evoluzione, che prevede un aggiornamento continuo delle problematiche e delle soluzioni.

Il PAI è un piano territoriale, che la legge pone in una posizione sovraordinata nei confronti degli strumenti

di pianificazione di settore, ponendosi come vincolo anche rispetto alla pianificazione urbanistica.

Una volta che il Piano è elaborato e adottato, gli strumenti di pianificazione settoriale e territoriale

dovranno essere adeguati ad esso.

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Finalità del Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico

  la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-

pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico;

  la difesa ed il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonché la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto;

  la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua;

  la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi d’invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti;

  la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e la conservazione dei beni;

  la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la determinazione dei criteri per la salvaguardia e la conservazione delle aree demaniali, e la costituzione di parchi fluviali e lacuali e di aree protette;

  l’attività di prevenzione e di allerta svolta dagli enti periferici operanti sul

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Il DL 180/98 è stato il primo dispositivo normativo ad esplicitare il concetto di “rischio” nella difesa del suolo quale combinazione tra

la pericolosità di un fenomeno con il valore e la vulnerabilità del bene coinvolto.

R = P x E x V

Obiettivo principale del Decreto era quello di censire in breve tempo le situazioni di rischio idrogeologico presenti sul territorio nazionale al fine di salvaguardare le persone e i beni, impedire un

aggravio delle condizioni critiche e intervenire rapidamente per la riduzione del rischio.

Con il DPCM 29/09/1998 sono stati indicati i criteri con cui individuare e perimetrare le aree a rischio idraulico, da frana e da

valanga.

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IL PIANO STRALCIO PER L’ASSETTO IDROGEOLOGICO

La metodologia per individuare e perimetrare le aree a rischio idrogeologico e per attribuirgli una classe di rischio, è indicata nel D.P.C.M. 29/09/1998 Atto di indirizzo e coordinamento per l'individuazione dei criteri relativi agli adempimenti di cui all'art. 1,

commi 1 e 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, di attuazione del “Decreto Sarno”, che presenta ancora una sua validità, non essendo stato emanato un atto che indichi nuovi criteri per effettuare tale attività, tuttora prevista dalla normativa vigente. Il DPCM, prevede, tra l’altro, che per realizzare la perimetrazione delle aree

a rischio si possa assumere, quale elemento essenziale per la individuazione del livello di pericolosità, la localizzazione e la caratterizzazione di eventi avvenuti nel

passato riconoscibili o dei quali si ha al momento presente cognizione.

Infatti, un dato fenomeno di instabilità avviene con maggiore frequenza laddove si è verificato in passato, per cui il rilevamento di dettaglio delle forme e dei processi che sono stati attivi sul territorio (Carta inventario dei fenomeni franosi), nonché

l’indicazione del loro grado di attività, può consentire una previsione in termini qualitativi della ricorrenza dei fenomeni, altrimenti molto difficile da stabilire.

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Progetto IFFI

Il Progetto IFFI elaborato dall’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome, censisce 485.000 frane, che

interessano un’area di 20.721 kmq, pari al 6,9% del territorio nazionale.

il progetto individua, al 2006, più di 223.000 fenomeni franosi attivi, riattivati o sospesi, e quindi passibili di riattivazione (il 46% delle frane censite), circa 189.000 come

quiescenti (il 39%) e 19.400 stabilizzati o relitti (il 4%).

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Gino