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Uno di questi si avvale del Percoll, una sospensione di silicio colloidale che consente di separare le cellule secondo la loro densità (Repnik et al., 2003)

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5. RISULTATI

5.1 PROVE PER L’ARRICCHIMENTO DEI MONOCITI DAI PBMC DI GATTO: GRADIENTE SU PERCOLL.

Come descritto nel capitolo 3.4, esistono diversi metodi per l’isolamento dei monociti da sangue periferico. Uno di questi si avvale del Percoll, una sospensione di silicio colloidale che consente di separare le cellule secondo la loro densità (Repnik et al., 2003).

In questo studio, sono state effettuate diverse prove di arricchimento dei monociti mediante gradiente su Percoll:

a) Nella prima prova, su 3 ml di Percoll 100% in cui erano sospesi 50 × 106 PBL, posti sul fondo di una provetta da 50 ml, sono stati stratificati 2 ml di frazioni a diversa percentuale di Percoll: 60%, 50%, 42.5%, 35%. La provetta è stata centrifugata a 20.000 rpm per 30 min; venivano ottenuti cinque anelli all’interfaccia delle varie frazioni che rappresentavano la separazione delle diverse cellule secondo la loro densità; le varie frazioni venivano raccolte, lavate e risospese in terreno.

b) In una seconda prova, è stato provato solo un gradiente con Percoll al 50% e 40%, inoltre è stata cambiata la velocità e il tempo di centrifugazione: 15000 rpm per 15 min.

c) Alla terza prova, non riuscendo ad ottenere un sufficiente numero di monociti, abbiamo provato altre due diverse concentrazioni di Percoll: 40% e

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30%. Sono state diminuite ulteriormente la velocità e il tempo di centrifugazione: 10.000 rpm per 15 min.

d) Come quarto e ultimo tentativo, sono state fatte di nuovo 4 concentrazioni diverse di Percoll: 60%, 55%, 50%, 45%. Le preparazioni erano poi centrifugate a 2000 rpm per 30 min.

Come può essere visto in Figura 5, oltre ad ottenere sempre un arricchimento scarso, anche il numero assoluto di monociti CD14+ era sempre talmente basso da non permetterne la coltura. Per questo motivo, tale metodo è stato abbandonato, e sono state provate vie diverse per ottenere monociti.

5.2 PROVE DI ARRICCHIMENTO DEI MONOCITI DA PBMC DI GATTO:

PURIFICAZIONE DEI MONOCITI TRAMITE MaCS.

Un altra metodologia descritta in letteratura per la purificazione dei monociti CD14+ è la tecnica del MaCS. Tale tecnica prevede la separazione dei monociti CD14+ mediante l’utilizzo di anticorpo α-CD14 umano legato a ferro colloidale che lega i monociti permettendo di separarli dalle restanti cellule quando sono fatti passare per un campo magnetico (colonnina di lana di ferro posta in un magnete).

Il sangue di gatto veniva separato su un gradiente di Ficoll (vedi Materiali e Metodi) e i PBMC ottenuti erano incubati con anticorpo α-CD14 umano legato a ferro colloidale. Tale sospensione veniva fatta passare attraverso una colonnina contenente lana di ferro, posta su un magnete; in tale modo, i

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monociti legati all’anticorpo rimanevano adesi alla colonnina facendo passare invece tutte le altre cellule. La colonnina veniva poi tolta dal magnete e lavata in PBS per staccare i monociti. Da 20 × 106 PBMC erano ottenuti mediamente 1-3 × 106 monociti CD14+ con una purezza del 70-80%.

Come si può osservare anche dalla Figura 6, oltre ad ottenere una buona purezza dei monociti, si otteneva anche un numero più alto di cellule rispetto al Percoll. Tuttavia, quando i monociti CD14+ erano messi in coltura in 3% di plasma autologo di gatto, essi morivano dopo pochi giorni di coltivazione. Essi non sopravvivevano neanche quando venivano incubati in plasma autologo di gatto inattivato a 56°C per 30 min. Al contrario, essi crescevano e si differenziavano quando venivano fatti crescere in terreno al 10% FCS.

Poichè lo scopo era quello di coltivare DC feline in assenza di proteine xenogeniche, questo metodo per ottenere i monociti è stato scartato.

5.3 COLTURE DI DC PER ADERENZA

Poichè lo scopo del lavoro era quello di mettere a punto un metodo di coltivazione delle DC feline, per uso clinico, è stato evitato l’utilizzo di FCS e si è optato per l’utilizzo di citochine ricombinanti feline (Romani et al., 1989).

Come fonte di siero, è stato provato il plasma autologo di gatto invece del siero fetale, per evitare che ci fosse una risposta immunitaria contro proteine bovine, da parte dei gatti, al momento del reinoculo.

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I PBMC felini ottenuti, come descritto nel cap.4.4, erano in media 2-6 × 106 PBMC/ ml di sangue. Di questi, solo il 4-8% erano CD14+, capaci di aderire alla plastica. Le colture di DC vennero quindi prodotte a partire da monociti ottenuti per aderenza su piastra dopo 24 h di incubazione a 37°C in 5% CO2 e differenziati con l’aggiunta nel terreno di coltura di 10 ng/ml IL-4 e 50 ng/ml GM-CSF per 5 giorni sono stati testati anche vari tempi di adesione. L’adesione dei monociti è stata testata per i seguenti tempi: 3, 6, 12 e 24 ore. E’ stato scelto il tempo di 24 ore per l’adesione, perchè era il tempo a cui si aveva il maggior numero di cellule adese. Dopo 24 ore alle cellule aderenti si aggiungevano 10 ng/ml IL-4 felina e 50 ng/ml di GM-CFS , e le colture erano incubate per 5 giorni.

In alcuni esperimenti, è stato visto che nelle colture cellulari dove non venivano aggiunte citochine, dopo 24 h di aderenza, i monociti non si differenziavano in DC.

Questi risultati mostrano che una omogenea popolazione di cellule con morfologia tipica delle DC si differenziava dai monociti ottenuti per aderenza su piastra per 24 ore di PBMC e coltivati in terreno al 3% di plasma autologo in presenza di GM-CSF e IL4.

La procedura è riassunta nella Figura 7.

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5.4 SUPPLEMENTO DI SIERO

Sono state testate diverse forme di supplementi a base di siero: i PBMC sono stati cresciuti in presenza di FCS al 10%, di plasma da sangue eparinizzato autologo, al 3%, 5% e 10% e tale plasma era ottenuto (e non in EDTA, questo perché fu osservato che il plasma in EDTA era tossico per le cellule) o al 3%, 5% e 10% di siero di gatto inattivato. I migliori risultati in termini di morfologia e numero di DC sono stati ottenuti con il plasma autologo al 3%

(dati non mostrati).

La tipica morfologia delle DC osservata al microscopio veniva mantenuta per almeno 7 giorni e al profilo FSC × SSC apparivano molto più grandi dei MΦ e molto più granulose (Fig 8).

Anche se la purezza delle colture di DC non poteva essere specificatamente determinata a causa della mancanza di marker specifici per le DC feline, la contaminazione da parte delle cellule T variava dal 6 al 14%.

5.5 MATURAZIONE DELLE DC FELINE

La maturazione è un processo indotto da varie sostanze (Citochine, prodotti microbici) in cui le DC perdono in parte la capacità di captare gli antigeni ma acquistano la capacità di migrare ai linfonodi e esprimere molecole costimolatorie.

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Per quanto riguarda la maturazione delle DC feline in Letteratura non sono state trovate informazioni, poiché lo studio delle DC feline è molto recente.

Perciò, per poter valutare se le DC derivavate dai monociti potessero andare incontro a maturazione, come descritto per le DC dei primati e murine (Quing et al., 2001; Hoover et al., 2005), sono stati provati vari stimoli:

1) L’LPS, che interagisce con il suo recettore CD14 come potente stimolo maturativo (Sallusto et al., 1995).

2) Il Poly (I:C), che agisce legandosi al recettore Toll-like 3 ed è un noto stimolo maturativo per le DC umane (Verdijk et al., 1999);

3) Piastrine feline attivate. Nell’uomo, le piastrine attivate esprimono CD40L e inducono la maturazione delle DC interagendo con il recettore CD40 (Gatti et al., 2000). Inoltre polarizzano le DC plasmacitoidi umane ad indurre una

risposta immunitaria di tipo Th-1 (Cella et al., 2000).

Non essendo disponibili gli analoghi felini, sono stati valutati nel gatto, gli effetti dei seguenti reagenti largamente utilizzati nello studio delle DC umane:

4) CD40L umano (espresso su cellule trasfettate) che agisce per la stessa via delle piastrine.

5) Il TNFα ricombinante umano, spesso è stato utilizzato in associazione con altre citochine (IL-1β, IL-6, PGE) che inducono la maturazione delle DC umane in vitro (Lu et al., 2003; Nair et al., 2003).

6) IFNα ricombinante umano, che agisce attraverso i recettori dell’IFN di tipo I, inducendo le DC umane a maturare (Santini et al., 2000).

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Non conoscendo la concentrazione ottimale di ciascuna sostanza, e è stato testato a diverse concentrazioni, più alte di quelle riportate in Letteratura per l’uomo.

I diversi stimoli maturativi sono stati comparati: 20 o 30 µg/ml poly (I:C), 5 × 106 piastrine feline attivate/ml, 50, 100 o 200 ng/ml TNFα , 100 o 1000 U/ml IFNα, o 50 ng/ml di LPS che sono stati aggiunti alle iDC in coltura al quinto giorno e, due giorni dopo, le DC sono state analizzate per: 1) l’espressione di CD14, CD1a, MHC di classe II e B7.1; 2) per la fagocitosi del FITC-DX dopo 45 min d’incubazione a 37°C; 3) per la risposta allogenica primaria da parte di cellule T vergini.

La scelta dei marcatori si è basata su quanto descritto in Letteratura per le DC umane, dove tali marker avevano un espressione talmente diversa prima e dopo la maturazione delle DC da permettere la distinzione fra iDC e mDC (Sallusto et al., 1995). Per tale motivo abbiamo provato a vedere se anche per le DC

feline avveniva la stessa variazione.

In generale si osservava che per quanto riguarda i marker come il CD14 e il CD1a nel gatto l’espressione era molto diversa che nell’uomo (Bienzle et al., 2003). Infatti, mentre l’espressione del CD14 calava durante la differenziazione dei monociti a iDC, esso tendeva poi a riaumentare dopo la maturazione con LPS (Fig. 9), diversamente da quanto avviene nell’uomo. Per quanto riguarda il CD1a nel gatto, si poteva osservare che la sua espressione aumentava durante la differenziazione da monociti a iDC, per poi rimanere espresso agli stessi livelli anche dopo la maturazione non permettendo una distinzione fra iDC e mDC, diversamente da quanto si osserva nell’uomo, dove le mDC esprimono

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alti livelli di CD1a, che le distinguono dalle iDC. Per questo, come marker di maturazione sono stati presi in considerazione solo l’MHC di classe II e il B7.1, perché erano quelli la cui espressione aumentava dopo la maturazione, permettendo una distinzione fra iDC e mDC (Fig. 9). Le DC trattate con TNFα o IFNα umano, anche ad alte concentrazioni, non differivano nell’aspetto dalle iDC. Questi fattori non sembravano avere alcun effetto sulle iDC feline, forse perché, essendo citochine specifiche per le cellule umane, non cross-reagivano con le DC feline (dati non mostrati).

L’aggiunta di LPS alle iDC causava nelle cellule un elevata vescicolarizzazione e al FACS apparivano molto più granulose e grandi (Fig 8). Sono state fatte diverse prove per riuscire a quantificare la dose ottimale per indurre la maturazione senza effetti tossici; questa è stata individuata nella dose di 50 ng/ml di LPS che veniva aggiunto alle iDC, 2 giorni prima dell’analisi. Le DC maturate con questo stimolo, come già detto, presentavano elevati livelli d’espressione sia dell’MHC di classe II sia del B7.1 che non potevano essere paragonati ai livelli di espressione indotti da altri stimoli. Proprio per questo si concluse che l’LPS è il più potente stimolo maturativo, fra quelli testati, e l’unico stimolo trovato che è in grado d’indurre le iDC feline a maturare pienamente, come verrà mostrato nel cap. 5.8.

Anche le cellule trattate con il poly (I:C) erano molto differenti dalle iDC;

infatti erano molto più aderenti alla plastica e molto granulose, presentavano larghi vacuoli intracellulari e generalmente erano molto più grandi delle cellule trattate con LPS (dati non mostrati). In cinque diverse prove, il poly (I:C) è stato comparato all’LPS nell’induzione della maturazione delle DC e i risultati

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ottenuti mostravano che il poly (I:C) aumentava considerevolmente l’espressione dell’MHC di classe II. In alcuni esperimenti addirittura superava l’azione dell’LPS (dati non mostrati). Anche il B7.1 era espresso a livelli alti e ciò dimostra che le molecole stimolatrici venivano espresse sulla superficie delle cellule trattate con poly (I:C). Tuttavia, quando si andava ad analizzare la MLR indotta dalle mDC, le DC trattate con poly (I:C) non erano più potenti delle iDC mentre le cellule trattate con LPS erano 10 volte più efficaci delle iDC nell’indurre la proliferazione da parte dei linfociti T, come mostrato sia in Figura 12.

Per quanto concerne le piastrine feline attivate, esse venivano aggiunte al quinto giorno di coltura nella concentrazione di 5 × 106/ml, poiché si era visto che a concentrazione maggiori di 107 erano tossiche per le DC feline, alle iDC che, dopo la loro aggiunta, al microscopio apparivano morfologicamente piccole, tonde e granulose, mostravano una bassa regolazione dei marker e in più erano incapaci d’indurre alloreattività (dati non mostrati).

Il CD40L è conosciuto, nell’uomo, come induttore della maturazione delle DC umane, agendo similmente alle piastrine attivate (Cella et al., 2000); per questo motivo, poiché non esisteva un suo analogo felino, è stato utilizzato nell’indurre la maturazione delle DC feline. Esso era presente sulla superficie dei fibroblasti umani trasfettati con il CD40L e lasciati in coltura per settimane al 3% di plasma (capitolo 4.1), venivano lavati e raccolti per essere contati.

Dopodiché venivano congelati e riscongelati per due volte e successivamente aggiunti come stimoli alle DC feline, al quinto giorno, nella dose di 25.000 cellule per pozzetto. Quando dopo 48 ore si andavano ad analizzare l’MFI per i

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marker di espressione, si osservò che le DC a cui era stato aggiunto il CD40L, presentavano una bassa espressione di tale marker, che era tipica delle iDC e non delle mDC.

5.6 ANALISI AL FACS DELLE iDC E DELLE mDC FELINE

Basandoci su quanto descritto in Letteratura sulle differenze fenotipiche di superficie fra MΦ, iDC e mDC nell’uomo, sono state analizzate tali caratteristiche anche sulle DC feline, mediante l’analisi di marker molecolari di superficie, scelti in base ai criteri descritti nel capitolo precedente e alla disponibilità nel modello felino.

Per il monitoraggio della maturazione delle DC, sono stati valutati i cambiamenti nell’espressione dell’MHC di classe II, CD1a, B7.1 e CD14 (Figura 9).

Quando il confronto veniva effettuato per l’espressione del CD1a, si osservava che le DC generalmente esprimevano alti livelli di questo marker sulla loro superficie: infatti, la fluorescenza media (MFI) delle iDC era circa 5 volte più alta per il CD1a di quella dei MΦ anche se l’espressione del CD1a sui MΦ è comunque bassa, come riportato in letteratura (Bienzle et al., 2003)., non vi è alcuna differenza nell’espressione del CD1a tra iDC e mDC, permettendo di asserire che la maturazione indotta non sembra avere effetti sull’espressione del CD1a.

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Per quanto riguarda l’espressione dell’MHC di classe II e del B7.1 (Fig. 9). si riscontravano importanti differenze fra iDC e mDC: andando ad analizzare l’MFI per l’espressione dell’MHC di classe II, al FACS, risultava essere circa cento volte maggiore sulle mDC rispetto alle iDC; analizzando l’MFI per il B7.1, i livelli di espressione riscontrati erano circa duecento volte più alti sulle mDC che sulle iDC. Su queste ultime, l’espressione di tale marker era di poco superiore al suo controllo negativo.

Sulla base di tali dati abbiamo potuto concludere che l’MHC di classe II e il B7.1 erano i migliori correlati della maturazione delle DC feline.

5.7 ANALISI DELLA FAGOCITOSI DA PARTE DELLE iDC E DELLE mDC FELINE

Le DC mostrano l’abilità di concentrare l’Ag nel compartimento dell’MHC di classe II (Inaba et al., 1998), mediante due meccanismi: a) la pinocitosi, una endocitosi in fase fluida che assume sostanze in soluzione non mediata da recettori (Inaba et al., 1993); b) la captazione mediata dall’MMR, una fagocitosi mediata da recettore specifici (Sallusto et al., 1995). Quest’ultima capacità è tipicamente marcata nelle iDC, mentre è ridotta dopo la maturazione.

Per valutare l’abilità fagocitaria delle DC feline, le iDC, i MΦ e le mDC feline, al giorno 7 della coltura, erano incubate con 200 µg/ml di FITC-DX (Sallusto et al., 1995), una sostanza captata dall’MMR, oppure con 100 µg/ml di Alexa Fluor 488, una sostanza fluorescente solubile utilizzata come marcatore in fase fluida per la pinocitosi (Bienzle et al., 2003) o a 37°C o, per controllo negativo

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a 0°C in ghiaccio. A tempi diversi, come indicato in Fig 10 la captazione della sostanza era bloccata fissando le cellule, che sono state poi analizzate al FACS (vedi Materiali e Metodi). I risultati ottenuti per un esperimento rappresentativo, su un totale di tre effettuati, mostravano che, come è stato già visto per altre specie, le iDC riuscivano a captare una grande quantità di FITC-DX nei primi minuti d’incubazione, per poi rallentare successivamente, fino alla saturazione del MMR. Al profilo FSC × SSC al FACS, si osservava che, dopo 120 minuti d’incubazione a 37°C, per le iDC l’MFI era 80 volte maggiore rispetto ad un’incubazione per lo stesso tempo a 0°C. Al contrario, le mDC trattate con LPS sembravano efficienti quanto i MΦ nel captare il FITC-DX: entrambe le cellule, infatti, accumulavano FITC-DX linearmente entro le 2 ore seguenti (Fig 11). Dopo 2 ore d’incubazione a 37°C, MΦ e mDC presentavano una MFI che era 7 volte più alta.

Per quanto riguarda l’accumulo di Alexa Fluor 488, non si osservava alcuna differenza significativa nella sua captazione da parte delle tre popolazioni, anche se le iDC risultavano leggermente più efficienti (Fig. 11).

In conclusione, la cattura del FITC-DX permette una buona distinzione tra le iDC e le mDC/MΦ. Questo suggerisce che le mDC feline, similmente a quelle delle altre specie, con la maturazione riducono la capacità di captazione dell’Ag.

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5.8 ANALISI DELLA CAPACITA’ DELLE iDC E DELLE mDC FELINE DI INDURRE REATTIVITA’ ALLOSPECIFICA

Le DC sono conosciute per essere le migliori APC e, da mature, sono le uniche a riuscire ad indurre cellule T vergini ad attivarsi (Steinman, 2001). Per confermare che l’LPS induceva la maturazione delle DC feline in termini di capacità stimolatoria su linfociti vergini, si è confrontata l’abilità di MΦ, iDC e mDC nell’indurre la proliferazione di PBMC alloreattivi. MΦ, iDC o mDC erano incubati per 5 giorni con 105 PBMC di gatti diversi da quelli da cui erano ottenute le DC (allogenici) a 3 diversi rapporti fra cellule stimolatrici e rispondenti (S:R), vale a dire 1:10, 1:33 e 1:100.

Come mostrato in Fig. 12 le mDC erano considerevolmente più potenti nell’indurre la proliferazione dei PBMC allogenici che non le iDC e tanto meno i MΦ. Si può osservare che i MΦ così come le iDC, come riportato anche in altre specie animali (Paillot et al., 2001), non sono buoni induttori per le cellule T.

I dati raccolti dimostrano che l’LPS è in grado d’indurre le iDC feline a maturare in cellule che inducono i linfociti T vergini a proliferare, così come dimostrato per altre specie animali (De Smedt et al., 1996; Paillot et al., 2001).

Prima di definire l’LPS come l’unico stimolo maturativo per le DC feline, è stato confrontato con un altro stimolo: il Poly (I:C). Il Poly (I:C), che si era dimostrato in grado di far maturare le iDC feline in termini di aumento dell’espressione di MHC II, B7.1 e FITC-DX (Fig. 12). Per questo è stato

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valutato se fosse anche in grado d’indurre le iDC a completa maturazione, effettuando un confronto fra mDC maturate in vitro con Poly (I:C) e con l’LPS.

La Fig. 12 mostrano che il Poly (I:C) non era uno stimolo maturativo idoneo per le DC feline. Infatti, le DC maturate con tale stimolo non erano in grado d’indurre alloreattività, sebbene esprimessero un aumento dei marker di superficie come l’MHC II e il B7.1.

In conclusione, possiamo asserire che l’unico stimolo a indurre le DC feline a maturare completamente e a indurre la proliferazione dei PBMC allogenici è l’LPS.

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