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Nella crisi d’impresa si contrappongono sempre interessi confliggenti:

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Academic year: 2021

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Introduzione

Come è stato rilevato da autorevole dottrina, il diritto fallimentare è un settore in cui «bisogna soprattutto evitare che ad un’economia di impresa, basata sull’assunzione da parte dell’imprenditore del rischio economico sottostante ad una certa operazione, si sostituisca un’economia burocratizzata in cui le scelte debbano essere prese obtorto collo sulla base del minor rischio penale»

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Questa osservazione di Federico Stella dovrebbe essere considerata la chiave di lettura del tema che ci accingiamo ad affrontare. Il diritto penale e la realtà dell’impresa, necessitano di un punto di equilibrio, caratterizzato dai connotati tipici della vita economica. Ove ciò non accada, la sanzione si rivela una risposta irrimediabilmente, disancorata dal dato reale, tesa a punire un rischio lecito: quello che ogni imprenditore si assume nell’esercizio di un’attività aziendale.

Nella crisi d’impresa si contrappongono sempre interessi confliggenti:

da una parte, l’interesse del debitore a mantenere in vita la propria attività economica; dall’altra, l’interesse dei creditori a vedere soddisfatte le proprie esigenze creditorie. Trovare un punto d’equilibrio nella tutela di tali interessi in gioco non è cosa semplice, ma certamente necessaria.

Sotto questo punto di vista, per vero, è dato riscontrare un significativo incremento di attenzione da parte del nostro legislatore, chiamato a gestire la grave crisi economica che ha investito il mondo imprenditoriale del nostro paese, soprattutto negli ultimi anni. La

1STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pag. 306. Come riportato da L.TROYER, Concorso dell’istituto di credito nei fatti di bancarotta, tra libertà l’iniziativa economica e controllo del giudice penale, problemi ancora aperti e occasioni mancate, in L’indice penale, 2014.

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modernizzazione della legge fallimentare del 1942 rispetto alla realtà economica attuale è stata attuata attraverso vari progetti di riforma che si sono affastellati a partire dal 2005 e che hanno profondamente mutato l’impostazione originaria dell’R.D. 267/ 1942. Infatti, negli ultimi anni, per incentivare maggiormente l’utilizzo dei modelli concordatari finalizzati al superamento della crisi d’impresa, il legislatore ha operato un profondo ripensamento dell’intero sistema fallimentare. Tuttavia, a ciò, non ha fatto seguito un contestuale intervento di coordinamento dei rinnovati istituti civilistici con le tradizionali disposizioni penalistiche. Questo ha comportato un’evidente sfasatura tra gli istituti in questione. È venuto meno quel parallelismo che aveva contraddistinto la nascita della legge fallimentare del 1942, nella quale venivano punite le condotte fraudolente poste in essere nell’utilizzo degli strumenti fallimentari o concordatari, previsti dal relativo comparto civilistico.

Il mancato coordinamento sistematico tra i due settori della legge fallimentare, ha minato le ambizioni di successo della riforma civilistica, attuata con la l. n. 80/2005. Infatti, il diritto penale d’impresa è definito diritto “artificiale”, in quanto trova concretezza in elementi normativi e snodi procedimentali plasmati, cristallizzati aliunde. Da ciò consegue che ogni modifica della parte civilistica si riverbera sulla parte penalistica, perché ne «muta silenziosamente gli elementi costitutivi»

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Secondo la dottrina «questo quindi il terreno lasciato all’interprete del diritto penale che voglia cimentarsi nella ricostruzione di questo settore. Un terreno -lo si afferma convintamente- difficile, perché a dover essere ricomposti sono pezzi che non sono congruenti tra loro, norme che riflettono filosofie differenti, che esprimono due modi diversi di concepire il problema della crisi d’impresa. Uno di loro è

2A. ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni, op., pag.112.

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stato attualizzato; l’altro che si poggia sul primo, invece è rimasto come era, ed appare inattuale, polveroso, ingombrante»

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Questa tesi di laurea è volta a verificare se vi sia un rischio penale nella gestione della crisi d’impresa, analizzando i rapporti tra le tradizionali fattispecie penali previste nel Regio Decreto n. 267/1942 e le nuove soluzioni alternative al fallimento, introdotte con le ultime riforme della parte civilistica della legge fallimentare; in particolare, il concordato preventivo (art 160 ss l.f.), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art 182- bis ss. l.f) e il piano di risanamento (art. 67, comma 3 lett d) l.f). Esiste un rischio penale per l’imprenditore che decide di intraprendere operazioni volte al risanamento della propria attività?

A tale interrogativo cercheremo di rispondere tenendo conto sia della disciplina penalistica, sia della disciplina extra penale.

L’ indagine si svilupperà sotto molteplici angoli prospettici.

Anzitutto, sembra doveroso, nel capitolo I, inquadrare il percorso evolutivo che ha intrapreso la legge fallimentare dal 1942 ad oggi e tracciare le caratteristiche fondamentali degli istituti diretti a regolare il momento della crisi d’impresa. In particolare, analizzeremo il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il piano attestato di risanamento.

Non si poteva prescindere, nel capitolo II, dall’analisi del sistema penale fallimentare delineato dalla legge n. 267/1942. In particolare, ci occuperemo dei principali problemi collegati ai reati di bancarotta fraudolenta ex artt. 216 e 217 l.f. Dopo aver descritto a grandi linee il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ex art 216 1 co. l.f., ci occuperemo più approfonditamente dei reati di bancarotta preferenziale di cui all’art 216, 3°co l.f. e di bancarotta semplice, ex art 217 l.f. Infatti, il rischio penale dell’imprenditore in crisi, in relazione

3 N. GIANESINI, Il rischio penale nella gestione della crisi d’impresa, Giappichelli, Torino, 2016, pag. 2.

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ai percorsi di risanamento intrapresi, assume essenzialmente i volti della bancarotta preferenziale e della bancarotta semplice.

Infine, nel capitolo III, analizzeremo il primo intervento in ambito penal-fallimentare da parte del legislatore italiano. Faremo riferimento alla l. n. 122/ 2010 di conversione del d.l. 8/2010, con la quale è stato introdotto, nell’ambito dei reati fallimentari, l’art. 217-bis rubricato

“Esenzione dai reati di bancarotta”.

La disposizione costituisce la risposta del legislatore alle pressioni pervenute dalla dottrina

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e, in particolare, dal mondo imprenditoriale.

Evidentemente, la norma è nata col fine di assicurare, anche sotto il profilo penalistico, la protezione dell’imprenditore che ponga in essere ad esempio pagamenti preferenziali nei confronti di alcuni dei creditori, in esecuzione di uno strumento di risoluzione negoziata della crisi. Vedremo, però, che tale norma sconta una serie di problematiche, riguardanti la relativa collocazione dogmatica, l’effettiva portata applicativa e la principale relativa all’estensione che debba essere riconosciuta ai poteri del giudice penale nel merito della valutazione di fattibilità del progetto di risanamento. Quest’ultima questione sarà affrontata distinguendo i diversi strumenti di risoluzione della crisi, in precedenza analizzati, e giungendo ad una conclusione diversa a seconda dello strumento preso in considerazione. Inoltre, si darà conto delle successive modifiche apportate dal legislatore al testo dell’art 217-bis l.f., attraverso il c.d. decreto sviluppo ( d.lgs. n. 83/ 2012) e decreto sviluppo bis (d.lgs. n. 179/ 2012). Il legislatore attraverso tali interventi ha inteso estendere l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art 217 bis l.f. anche ad altri e nuovi meccanismi di risoluzione della crisi aziendale; primo fra tutti la procedura di composizione della crisi per sovra-indebitamento.

4ALESSANDRI, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi d'impresa, in Riv. It. Dir. Pro. Pen.

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Nell’ultima sezione, si dedicherà attenzione ad una nuova fattispecie penale, introdotta dalla l. 83/2012: l’art 236-bis l.f. rubricato «falso in attestazioni e relazioni» e riguardante la responsabilità del professionista attestatore. Questa nuova figura, presente sotto varie forme in tutti e tre i nuovi istituti concordatari, introduce una significativa novità, atteso il ruolo peculiare che è chiamato a svolgere in questa fase delicatissima di risoluzione della crisi d’impresa.

In estrema sintesi, il legislatore ha devoluto a tale professionista il giudizio circa la fattibilità e veridicità del piano, predisposto unilateralmente dall’imprenditore o comunque in accordo con i creditori. Questa verifica tradizionalmente era affidata al tribunale fallimentare -per gli evidenti interessi sottesi a tale accertamento- oggi è stato affidato a una figura privata, incaricata dallo stesso imprenditore; in modo da consentire una più rapida e efficace risoluzione della crisi. Vedremo come la nuova fattispecie ex art 236- bis l.f. appaia insoddisfacente dal punto di vista del principio di determinatezza e tassatività, e sollevi diversi problemi interpretativi, con il rischio di un’applicazione discrezionale da parte del giudice penale.

All’esito della risoluzione di questi ed ulteriori problemi ermeneutici,

si delineano nuovi equilibri, presenti fra le due parti della legge

fallimentare. Il settore civilistico, profondamente innovato, moderno, e

teso sempre più ad incentivare la continuazione dell’attività d’impresa

e non la sua liquidazione, denota una significativa compressione del

tradizionale principio della par condicio creditorum, a favore

dell’esigenza di proteggere il bene impresa. Il settore penalistico,

nonostante i tentati interventi di raccordo sistematico da parte del

legislatore, si presenta ancora ingombrante e rischioso per un

imprenditore che voglia salvare e non dismettere la propria realtà

aziendale. Infatti, sia nella formulazione dell’art 217-bis l.f., sia nella

previsione del nuovo reato di cui all’art 236-bis l.f., il legislatore ha

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utilizzato un cannone, quando sarebbe stata sufficiente un’arma di

precisione, aumentando dubbi, incertezze e rendendo forse ancora più

oscuro il raccordo tra i due settori della legge fallimentare.

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