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Teoria KAM e Teoria di Hamilton-Jacobi

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Academic year: 2022

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(1)

Teoria KAM e Teoria di Hamilton-Jacobi

OLGA BERNARDI

Dipartimento di Matematica Pura ed Applicata Via Belzoni 7 - 35131 Padova, Italy

e-mail: obern@math.unipd.it

Sommario

Si introducono le idee principali della teoria KAM classica e i nuovi metodi –sviluppati negli ultimi anni principalmente da J. Mather S. Aubry e A. Fathi–

della teoria KAM debole. Si interpreta il risultato del teorema KAM debole in termini di soluzioni di viscosit`a per equazioni di Hamilton-Jacobi stazionarie.

Indice

1 Teoria classica 3

1.1 Il punto di vista Lagrangiano . . . 3

1.2 Il punto di vista Hamiltoniano . . . 5

1.3 Trasformazioni canoniche, funzioni generatrici . . . 6

1.3.1 Trasformazioni canoniche di tipo F2 . . . 6

1.4 Integrabilit`a, equazione di Hamilton-Jacobi . . . 8

2 Teoria KAM classica 9 2.1 Linearizzazione . . . 10

2.2 Sviluppo di Fourier . . . 11

2.3 Piccoli divisori . . . 11

2.4 Teorema KAM classico: enunciato . . . 12

3 Teoria KAM debole 14 3.1 Il semigruppo di Lax-Oleinik . . . 14

3.2 Il teorema KAM debole . . . 15

3.3 Equazione di Hamilton-Jacobi . . . 18

(2)

3.4 Introduzione della dipendenza dalle P . . . 20 3.5 Caratterizzazione della costante c . . . 21 3.6 Propriet`a di regolarit`a . . . 22

(3)

1 Teoria classica

Iniziamo con alcuni classici risultati in dinamica Lagrangiana e Hamiltoniana e con una breve esposizione della teoria delle trasformazioni canoniche.

1.1 Il punto di vista Lagrangiano

Denotiamo con Tn := [0, 2π]nil cubo di lato 2π in Rn, con le facce opposte identi- ficate: Tn= Rn/2πZn.

Consideriamo una Lagrangiana L : Tn× Rn → R, (x, v) 7→ L(x, v). Per tale Lagrangiana L supporremo soddisfatte le seguenti ipotesi:

• L `e di classe Cr, con r ≥ 2,

• per ogni (x, v) ∈ Tn× Rn fissati, ∂v2L2(x, v) `e definita positiva come forma quadratica (stretta convessit`a),

• L `e superlineare in ogni fibra del fibrato tangente π : T Tn≡ Tn× Rn → Rn, cio`e

v→∞lim

L(x, v)

|v| = +∞ (1)

(superlinearit`a in ogni fibra).

Osservazione Utilizzando la definizione di limite, la superlinearit`a in ogni fibra si pu`o equivalentemente caratterizzare nel modo seguente: per ogni K < +∞, esiste un C(K) > −∞ tale che

L(x, v) ≥ K|v| + C(K) per ogni v ∈ Rn.

Per Lagrangiane L strettamente convesse e superlineari in ogni fibra, la trasformata di Legendre risulta un diffeomorfismo di classe C1 tra Rn e (Rn), vale infatti il seguente

Teorema 1.1 Sia L : Tn× Rn → R di classe C2e x ∈ Tnfissato. La trasformata di Legendre L : Rn → (Rn), v 7→ DvL(x, v) := L(x, v) `e un diffeomorfismo di classe C1 se e solo se L `e superlineare e ∂v2L2(x, v) `e definita positiva come forma quadratica nella fibra {x} × Rn.

La dimostrazione del precedente teorema si articola come segue: si prova che la trasformata di Legendre L risulta iniettiva se e solo se L `e strettamente convessa e

(4)

che risulta propria se e solo se L `e superlineare; si dimostra infine che se la trasfor- mata di Legendre L `e propria allora `e anche suriettiva —cfr. [6] paragrafo 1.4.

Osservazione In letteratura le due condizioni di stretta convessit`a e di superlineari- t`a in ogni fibra vengono talvolta sostituite dalla seguente –pi`u forte– condizione di uniforme stretta convessit`a: esistono delle costanti 0 < γ ≤ Γ tali che

γ|ξ|2

n

X

i,j=1

2L

∂vi∂vj

(x, v)ξiξj ≤ Γ|ξ|2 (2) per ogni (x, v) ∈ Tn× Rne ξ ∈ Rn.

Fissato quindi un x ∈ Rn, come consequenza del precedente teorema, l’equazione

p = DvL(x, v) (3)

ammette un’unica soluzione v = v(x, p). Tale propriet`a ci permette di spostare lo studio del nostro sistema dinamico in ambito Hamiltoniano:

R R

L ↑ ↑ H

T Tn −→ TTn

(x, v) 7−→ (x, p = DvL(x, v)) Definizione 1.2 L’azione di una curva x : [0, T ] → Tn `e

AT[x(·)] :=

Z T 0

L(x(t), ˙x(t))dt, (4)

dove·= dtd.

Teorema 1.3 (Equazione di Euler-Lagrange) Dati x0, xT ∈ Tn, definiamo la seguente classe di curve ammissibili:

A := {y(·) ∈ C2([0, T ], Tn)| y(0) = x0, y(T ) = xT}.

Sia x(·) in A tale che

AT[x(·)] = min

y∈AAT[y(·)].

Allora la curva x(·) risolve le equazioni di Euler-Lagrange

−d

dt(DvL(x, ˙x)) + DxL(x, ˙x) = 0, (5) per t ∈ [0, T ].

(5)

1.2 Il punto di vista Hamiltoniano

L’Hamiltoniana associata alla Lagrangiana L `e data da H(x, p) = sup

v∈Rn

(p · v − L(x, v)). (6)

Si osserva subito che

• H(x, 0) = supv∈Rn(−L(x, v)) = − infv∈RnL(x, v),

• H(x, p) ≥ p · v − L(x, v), per ogni (x, v) ∈ T Tne p ∈ Rn; in particolare H(x, p) ≥ −L(x, 0), per ogni (x, p) ∈ TTn,

• essendo la Lagrangiana L superlineare, esiste un C(|p|) > −∞ tale che L(x, v) ≥ |p||v| + C(|p|),

per ogni v ∈ Rn, ovvero

p · v − L(x, v) ≤ |p||v| − |p||v| − C(|p|) = −C(|p|) < +∞.

Di conseguenza, l’Hamiltoniana H assume un valore finito per ogni (x, p) ∈ TTn:

sup

v∈Rn

(p · v − L(x, v)) = max

v∈Rn(p · v − L(x, v)).

Infine, nelle ipotesi di superlinearit`a e di stretta convessit`a di L, il seguente teorema ci assicura che il massimo `e realizzato dall’unica soluzione v = v(x, p) di (3).

Teorema 1.4 Sia L : Tn× Rn → R di classe C2, strettamente convessa e superli- neare in ogni fibra. Allora per ogni x ∈ Tnfissato,

H(x, p) + L(x, v) ≥ p · v e l’uguaglianza `e soddisfatta se e solo se p = DvL(x, v).

Teorema 1.5 (Equazioni di Hamilton) Supponiamo che la curva x(·) risolva le equazioni di Euler-Lagrange (5). Definiamo il momento coniugato

p(t) := DvL(x(t), ˙x(t)).

Allora la coppia (x(·), p(·)) risolve le equazioni di Hamilton (˙x = DpH(x, p)

˙p = −DxH(x, p). (7)

InoltredtdH(x, p) = 0 ovvero, per Lagrangiane L indipendenti dal tempo, la funzione Hamiltoniana corrispondente `e sempre un integrale primo.

(6)

1.3 Trasformazioni canoniche, funzioni generatrici

Il sistema Hamiltoniano (7) eccezionalmente `e “algoritmicamente” risolubile cio`e il flusso ad esso associato `e esplicitamente calcolabile a meno di operazioni analitiche elementari: inversione di funzioni e calcolo di primitive di integrali. Lo scopo pri- mario della teoria delle trasformazioni canoniche `e quello di stabilire dei diffeomor- fismi (le trasformazioni canoniche appunto) che coniughino1il sistema Hamiltonia- no di partenza in un nuovo sistema Hamiltoniano, ora risolubile nel senso sopra descritto.

Definizione 1.6 Un diffeomorfismo Ψ : Tn× Rn→ Tn× Rn, (x, p) 7−→ Ψ(x, p) = (X, P )

`e una trasformazione canonica se vale una delle seguenti propriet`a (tra loro equiva- lenti):

• (DΨ)TEDΨ = E, dove E denota la matrice simplettica 2n × 2n:

E = 0 I

−I 0



e DΨ lo Jacobiano della trasformazione.

• ΨdΘ = dΘ, dove Θ :=Pn

i=1pidqidenota la 1-forma di Liouville su Tn×Rn e la stellail pull-back.

Le due relazioni della precedente definizione si leggono dicendo che una trasfor- mazione canonica preserva la struttura Hamiltoniana.

Vediamo nella prossima sezione come la seconda condizione conduca allo studio delle funzioni generatrici, strumenti fondamentali per la costruzione delle trasfor- mazioni canoniche: analizzeremo in particolare le funzioni generatrici del tipo co- munemente noto come F2, che si riveleranno molto utili nel seguito.

1.3.1 Trasformazioni canoniche di tipo F2

Dato che il pull-back commuta con il differenziale esterno, la condizione ΨdΘ = dΘ si pu`o riscrivere come d(Θ − ΨΘ) = 0 ovvero la 1-forma Θ − ΨΘ `e chiusa e quindi localmente esatta: esiste una funzione generatrice ˆF (x, p) tale che il suo differenziale genera Θ − ΨΘ:

1cio`e che trasformino tutte le soluzioni del sistema iniziale in tutte e sole le soluzioni del sistema trasformato finale

(7)

pdx − Ψ(P dX) = d ˆF (x, p).

Ovvero, in rappresentazione di variabili miste (x, X) (condizione di Sophus&Lie)2:

pdx − P dX = dF (x, X). (8)

La condizione (8) si pu`o anche scrivere utilizzando funzioni generatrici nelle coor- dinate (x, P ) –dette di tipo F2– occorre solamente far emergere nella condizione di Sophus&Lie dx e dP .

A questo proposito, osservando che P dX = d(X · P ) − XdP e supponendo di poter esprimere le X e le p in funzione di (x, P ):

(X = X(x, P ) p = p(x, P ), la (8) pu`o essere riscritta come:

pdx − d(X · P ) + XdP = dF (x, X), ovvero:

pdx = −XdP + d(X · P + F (x, X)). (9)

Ponendo F2(x, P ) := X(x, P ) · P + F (x, X(x, P )), la condizione (9) diventa:

pdx = −X(x, P )dP + dF2(x, P ).

Una funzione di tipo F2(x, P ) genera quindi la trasformazione canonica:

(p = ∂F∂x2(x, P )

X = ∂F∂P2(x, P ) (10)

che definisce implicitamente un cambio di variabili (x, p) 7→ (X(x, p), P (x, p)) non appena sia soddisfatta la condizione di invertibilit`a globale:

Sym ∂2F2

∂P ∂x(x, P )



definita positiva

per ogni (x, P ) ∈ Rn× Rn. Infatti, in questa ipotesi si pu`o invertire la prima delle (10) ottenedo P = P (x, p) e poi, per sostituzione nella seconda, X = X(x, p).

Osservazione La funzione generatrice (di tipo F2) F (x, P ) = x · P rappresenta la trasformazione identit`a.

2F (x, X) := ˆF (x, p(x, X)), supponendo di poter esprimere le p e le P in funzione di (x, X)

(8)

1.4 Integrabilit`a, equazione di Hamilton-Jacobi

Sia u(x, P ) una funzione generatrice di tipo F2che soddisfi la precedente condizione di invertibilit`a. Possiamo quindi studiare la dinamica Hamiltoniana (7) nelle nuove variabili (X, P ).

Teorema 1.7 Supponiamo che (x(·), p(·)) risolva le equazioni di Hamilton (7). Al- lora

(X(t), P(t)) := (X(x(t), p(t)), P(x(t), p(t))), risolve le equazioni di Hamilton:

( ˙X = DPK(X, P)

P = −D˙ XK(X, P) (11)

per la nuova Hamiltoniana:

K(X, P ) := H ◦ Ψ−1(X, P ) = H(x(X, P ), p(X, P )).

Supponiamo ora che la nostra funzione generatrice u(x, P ) soddisfi anche l’equazione di Hamilton-Jacobi stazionaria

H(x, Dxu) = ¯H(P ), (12)

per qualche funzione ¯H(P ), dipendente solamente dalle variabili P . Allora K(X, P ) = H(x, p) = H(x, Dxu) = ¯H(P ),

e quindi le nuove equazioni di Hamilton (11) diventano semplicemente ( ˙X = DPH(P)¯

P = 0.˙ (13)

La dinamica espressa da (13) `e banale. In altre parole, se riusciamo a cambiare canonicamente le variabili (x, p) 7→ (X, P ) usando una funzione generatrice u(x, P ) risolvente un’equazione di Hamilton-Jacobi della forma (12), possiamo facilmente risolvere la dinamica Hamiltoniana nelle nuove variabili. I sistemi Hamiltoniani che ammettono una tale trasformazione canonica vengono detti integrabili:

(9)

Definizione 1.8 L’Hamiltoniana H `e integrabile se esistono una trasformazione cano- nica

Φ : Tn× Rn→ Tn× Rn, (X, P ) 7→ Φ(X, P ) = (x, p) e una Hamiltoniana ¯H dipendente solo dalle P ,

H : T¯ n× Rn→ R, (X, P ) 7→ ¯H(P ), tali che

(H ◦ Φ)(X, P ) = ¯H(P ).

2 Teoria KAM classica

Un risultato fondamentale nello studio dei sistemi integrabili `e il teorema di Liouville- Arnol’d: se l’Hamiltoniana H : Tn×Rn→ R ammette n integrali primi {F1, . . . , Fn} funzionalmente indipendenti, cio`e

rk∂(F1, . . . , Fn)

∂(x1, . . . , xn) = max = n e a due a due in involuzione:

{Fi, Fj} = 0, ∀i, j,

(qui {·, ·} sono le parentesi di Poisson), allora esiste una trasformazione canonica che coniuga H ad una Hamiltoniana ¯H dipendente solo3dalle P .

La grande intuizione di Kolmogorov (1954), completata dai lavori di Arnold e Moser (teoria KAM) si pu`o cos´ı riassumere: piccole -perturbazioni di una Hamiltoniana dipendente solo dalle p (dunque integrabile) sono, con probabilit`a vicina a 1 (sul dato iniziale), integrabili.

Per essere pi`u precisi, supponiamo che la nostra Hamiltoniana H(x, p) sia della forma

H(x, p) = H0(p) + K0(x, p), (14) dove il termine K0(x, p) `e una piccola perturbazione dell’Hamiltoniana integrabile H0(p), K0 = O().

3Non sono molti i sistemi (non banali) a cui si pu`o applicare il teorema di Liouville-Arnol’d. Tra di essi tuttavia sono compresi sistemi fisicamente molto rilevanti: tutti i sistemi Hamiltoniani ad un grado di libert`a, tutti i sistemi lineari, il corpo rigido di Euler, il problema di Kepler, per citarne alcuni.

(10)

2.1 Linearizzazione

Ci proponiamo di cercare una funzione generatrice (di tipo F2) u(x, P ), vicina alla trasformazione canonica generante l’identit`a:

u(x, P ) = x · P + v(x, P ),

dove il termine v `e piccolo con  e periodico in x. In accordo con la (10), le variabili vengono cambiate tramite le seguenti formule implicite:

(p = Dxu(x, P ) = P + Dxv(x, P )

X = DPu(x, P ) = x + DPv(x, P ). (15) Dobbiamo di consequenza costruire la funzione v(x, P ) in modo che

H(x, Dxu) = ¯H(P ), (16)

dove la ricerca della nuova Hamiltoniana ¯H(P ) `e parte integrante del problema.

In accordo con (14), (15) e (16), si ottiene

H0(P + Dxv) + K0(x, P + Dxv) = ¯H(P ). (17) Facciamo ora la seguente ipotesi:

• Le funzioni H0, K0sono analitiche reali,

• K0, v e le loro derivate sono O() per  → 0.

Allora, dato che |Dxv| e |DPK0| sono O(), si ottiene:

H0(P ) + DH0(P ) · Dxv + K0(x, P ) = ¯H(P ) + O(2). (18) Definiamo le frequenze:

ω(P ) := D ¯H0(P ) e trascuriamo i termini O(2) di (18), ottenendo:

ω(P ) · Dxv + K0(x, P ) = ¯H(P ) − H0(P ), (19) che risulta la linearizzazione dell’equazione non lineare (17).

(11)

2.2 Sviluppo di Fourier

In questa sezione utilizziamo lo sviluppo in serie di Fourier di K0 per cercare di costruire una soluzione v(x, P ) di (19). Possiamo infatti scrivere il termine di pertur- bazione

K0(x, P ) = X

k∈Zn

ˆk(P, k)eik·x

per i coefficienti di Fourier

k(P, k) :=ˆ 1 (2π)n

Z

Tn

K0(x, P )e−ik·xdx.

Cerchiamo inoltre una soluzione v(x, P ) di (19) avente la forma v(x, P ) = X

k∈Zn

ˆ

v(P, k)eik·x, (20)

i coefficienti di Fourier ˆv(P, k) da determinare. Mettendo (20) in (19), si ottiene:

i X

k∈Zn

(ω(P ) · k)ˆv(P, k)eik·x+ X

k∈Zn

ˆk(P, k)eik·x= ¯H(P ) − H0(P ).

I due menbri dell’ultima espressione coincidono se definiamo:

H(P ) := H¯ 0(P ) + ˆk(P, 0),

ˆ

v(P, k) := iˆk(P, k)

ω(P ) · k (k 6= 0).

Abbiamo quindi ricavato l’espressione della soluzione approssimata v(x, P ):

v(x, P ) = iX

k6=0

k(P, k)ˆ

ω(P ) · keik·x (21)

2.3 Piccoli divisori

Per permettere l’uso efficace dei precedenti calcoli, dobbiamo assicurarci non solo che

ω(P ) · k 6= 0

(12)

per ogni k ∈ Zn, k 6= 0 (condizione di non risonanza), ma anche che la serie (21) converga.

A questo proposito introduciamo la seguente definizione di propriet`a “diofantea”

delle frequenze ω:

Definizione 2.1 Un vettore ω ∈ Rn`e di tipo (L, γ) se:

|k · ω| ≥ L

|k|γ per ogni k ∈ Zn, k 6= 0. (22) Possiamo interpretare (22) come una condizione di forte non risonanza. Accettiamo ora il seguente risultato, conseguenza dell’analiticit`a di H0.

Teorema 2.2 Se γ > n − 1, la misura (di Lebesgue) dell’insieme:

n

ω ∈ B(0, R) tali che |k · ω| < L

|k|γ per qualche k ∈ Zn\ {0}o

→ 0 per L → 0.

2.4 Teorema KAM classico: enunciato

In quest’ultima sezione poniamo esplicitamente K0(x, p) = K0(x, p).

Diamo due versioni del teorema KAM classico. La prima, riportata da Evans in [5], in cui la teoria perturbativa si mette in opera “toro per toro”; naturalmente, si intende che ogni pcostante corrisponde ad un toro. La seconda, pi`u recente, dovuta a Lazutkin, a Chiechia e Gallavotti e a P¨oschel (cfr. [8], [2], [10] e [1]). Le dimostrazioni sono una complessa applicazione iterativa del precedente procedimento di linearizzazione (passo perturbativo).

Teorema 2.3 (KAM) Sia H : Tn× Rn→ R,

(x, p) 7→ H(x, p) = H0(p) + K0(x, p) per cui:

• K0 ∈ O(1),

• ∃p ∈ Rntale che ω:= DH0(p) sia di tipo (L, γ) per qualche L, γ > 0,

(13)

• D2H0(p) `e invertibile,

• H0, K0sono analitiche.

Per ogni  tale che || ≤ 0(piccolo), esistono un P(vicino a p) e una mappa C

-vicina all’identit`a

Φ(P, ·) : Tn−→ Tn× Rn tale che per ogni x0∈ Tn

Φ(x0+ tω, P) =: (x(t), p(t)) risolve la dinamica per l’Hamiltoniana H.

Teorema 2.4 (KAM) Denotiamo con B una palla (aperta) in Rn. Sia H : Tn×B → R,

(x, p) 7→ H(x, p) = H0(p) + K0(x, p) per cui:

• H0, K0sono analitiche in un intorno di Tn× B,

• D2H0(p) `e invertibile ∀p ∈ B.

Per ogni  tale che || ≤ 0(piccolo), esistono

• una trasformazione canonica -vicina all’identit`a Φ da un intorno di Tn× B in un intorno di Tn× B, Φ di classe C,

• una Hamiltoniana integrabile ¯H definita in B, ¯H di classe C,

• un sottoinsieme4B ⊂ B,

Vol(B \ B) ≤ cost

,

tale che la nuova Hamiltoniana H(X, P ) := (H ◦ Φ)(X, P ) coincide5con H(P ) per P ∈ B¯ :

H(X, P )B= ¯H(P ).

4B \ B= {P ∈ Rn: |k · ω(P )| < |k|Lγ

 per qualche k ∈ Zn\ {0}}.

5Il simboloB= indica che l’uguaglianza vale anche per le derivate: (DXH(X, P ) = 0

DPH(X, P ) = D ¯H(P )

∀(X, P ) ∈ Tn× B.

(14)

Osservazione I tori Tn× P (P ∈ B) risultano invarianti per il flusso Lagrangiano φtH

e il moto su tali tori risulta quasi periodico con frequenze diofantee. Si dice allora che i “tori diofantei” non vengono distrutti da una perturbazione sufficientemente piccola, ma solo deformati.

3 Teoria KAM debole

Lo scopo di questa sezione `e quello di richiamare una estensione debole della teoria KAM classica in una versione non perturbativa. La risultante teoria KAM debole –elaborata da J. Mather, S. Aubry e A. Fathi– ha lo scopo di cercare “strutture inte- grabili” in sistemi dinamici Hamiltoniani generici (ovvero non necessariamente vici- ni a sistemi dinamici integrabili). Gli strumenti usati provengono dal Calcolo delle Variazioni e dai metodi PDE. I principali riferimenti bibliografici sono [6] e [7].

3.1 Il semigruppo di Lax-Oleinik

Introduciamo il semigruppo di Lax-Oleinik di operatori non lineari (Tt)t≥0da C0(Tn, R) in s`e:

Tt : C0(Tn, R) −→ C0(Tn, R) u(·) 7−→ Ttu(x) := inf{u(γ(0)) +

Z t 0

L(γ(s), ˙γ(s))ds| γ(t) = x}, dove l’inf `e preso su tutte le curve assolutamente continue γ : [0, t] → Tntali che γ(t) = x.

Con i seguenti lemmi 3.1 e 3.2 si dimostrano due propriet`a di (Tt)t≥0–cfr. lemma 4.4.1 e lemma 4.4.2 in [6] per le dimostrazioni dettagliate.

Lemma 3.1 Siano t > 0, u ∈ C0(Tn, R) e x ∈ Tndati. Esiste una curva estremale6 γ : [0, t] → Tntale che γ(t) = x e

Ttu(x) := u(γ(0)) + Z t

0

L(γ(s), ˙γ(s))ds.

La teoria di Tonelli –le cui linee principali sono riassunte nel teorema 3.7.2 in [6]–

ci garantisce che le curve estremali hanno la stessa regolarit`a della Lagrangiana: `e quindi possibile, nella definizione del semigruppo (Tt)t≥0, prendere l’inf soltanto sulle curve di classe Cr–dove Cr `e la regolarit`a della Lagrangiana– senza cambiare il valore di Ttu(x).

6Una curva estremale per la Lagrangiana L `e una curva C1a tratti γ : [0, t] → Tntale chedsdAt[γ + 1]s=0, per ogni curva Cγ1: [0, t] → Rncon γ1= 0 in un intorno di 0 e t.

(15)

Lemma 3.2 For ogni t > 0, esiste una costante Kt > 0 tale che, per ogni u ∈ C0(Tn, R), Ttu : Tn→ R `e Kt-Lipschitziana.

Elenchiamo ora le principali propriet`a del semigruppo di Lax-Oleinik operante sullo spazio C0(Tn, R) con la norma del sup || · ||.

Corollario 3.3 (Propriet`a del semigruppo di Lax-Oleinik)

1. Ogni Ttmappa C0(Tn, R) in s`e.

2. (Propriet`a di semigruppo) Vale che

Tt+¯t= Tt◦ T¯t, per ogni t, ¯t > 0.

3. (Monotonia) Per ogni u, v ∈ C0(Tn, R) e ogni t > 0, abbiamo che u ≤ v =⇒ Ttu ≤ Ttv.

4. Se c `e una costante e u ∈ C0(N, R), vale che Tt(c + u) = c + Ttu.

5. Le mappe Ttsono non-espansive: ∀u, v ∈ C0(N, R), ∀t ≥ 0

||Ttu − Ttv||≤ ||u − v||.

Dimostrazione La propriet`a 1. `e una conseguenza del precedente lemma 3.2. Le propriet`a 2., 3. e 4. seguono direttamente dalla definizione di Tt. Per provare 5., notiamo che −||u − v||+ v ≤ u ≤ ||u − v||+ v e applichiamo 3. e 4.  3.2 Il teorema KAM debole

Premettiamo ora alcuni risultati tecnici preparatori al KAM debole, il cui enunciato

`e dato dal teorema 3.5.

Proposizione 3.4 (Risultati di punto fisso)

1. Sia E uno spazio normato e K ⊂ E un sottoinsieme convesso e compatto.

Supponiamo che la mappa φ : K → K sia non-espansiva7. Allora φ ha almeno un punto fisso.

7la sua costante di Lipschitz `e ≤ 1

(16)

2. Sia E uno spazio di Banach e C ⊂ E un sottospazio compatto. Allora l’inviluppo chiuso convesso di C in E `e a sua volta compatto.

3. Sia E uno spazio di Banach. Se φ : E → E `e non-espansiva e φ(E) ha immagine relativamente compatta8in E, la mappa φ ammette almeno un punto fisso.

4. Sia E uno spazio di Banach e φt : E → E una famiglia di mappe definite per t ∈ [0, ∞[. Supponiamo che le seguenti condizioni siano soddisfatte:

• Per ogni t, ¯t ∈ [0, ∞[, abbiamo φt+¯t= φt◦ φ¯t.

• Per ogni t ∈ [0, ∞[, la mappa φt`e non-espansiva.

• Per ogni t > 0, l’immagine φt(E) `e relativamente compatta in E.

• Per ogni x ∈ E, la mappa t 7→ φt(x) `e continua su [0, ∞[.

Allora le mappe φthanno un comune punto fisso.

Dimostrazione

1. Possiamo sempre assumere che 0 ∈ K. Consideriamo un parametro λ ∈ (0, 1).

Allora la mappa

K 3 x 7→ λφ(x) ∈ K

`e una contrazione: ammette un unico punto fisso xλ ∈ K (xλ = λφ(xλ)). Sia (λn)n∈N ∈ (0, 1) una successione convergente a 1. Allora per ogni n ∈ N esiste xn∈ K tale che

xn= λnφ(xn).

Per la compattezza di K, la successione (xn)n∈N ammette una sottosuccessione convergente (xnj)j∈N → ¯x ∈ K e quindi

¯ x = lim

j xnj = lim

j λnjφ(xnj) = φ(¯x).

2. Definiamo la seguente mappa continua

f : C × C × [0, 1] → E (x, y, t) 7→ tx + (1 − t)y.

L’insieme C × C × [0, 1] `e compatto, quindi f (C × C × [0, 1]), coincidente con l’inviluppo chiuso convesso di C, `e compatto.

8cio`e la φ(E) `e compatta in E

(17)

3. Definiamo K l’inviluppo chiuso convesso di φ(E), che risulta, per il punto prece- dente, un compatto. Di conseguenza la mappa φ|K : K → K, dal convesso e com- patto K in s`e, ammette un punto fisso (cfr. punto 1.).

4. Osserviamo innanzitutto che, se t > 0, h > 0, allora

φt+h(E) = φth(E)) ⊂ φt(E). (23) Inoltre, se x `e un punto fisso della mappa φt, allora x `e un punto fisso di ogni φnt, n ∈ N, infatti

φnt(x) = φt◦ φt◦ . . . ◦ φt(x) (n volte) = x. (24) Per ogni n ∈ N, sia xnun punto fisso di φ 1

2n: φ 1

2n(xn) = xn. Per (24), otteniamo che

φ 1 2kn

(xn) = xn ∀k ∈ N. (25)

In particolare –cfr. (23)– (xn)n∈N ⊂ φ1

2(E). Come conseguenza della compattezza di φ1

2(E), esiste una sottosuccessione (xni)i∈Ndi (xn)n∈N convergente al valore ¯x.

Quindi

φ1

2n(¯x) = lim

i→+∞φ1

2n(xni) = lim

i→+∞xni = ¯x ∀n ∈ N, i.e. ¯x `e un comune punto fisso per ogni φ 1

2n. Ora `e facile dimostrare che ¯x `e un punto fisso per φP

ncn 1

2n, cn∈ N.

Il risultato `e infine ottenuto usando la continuit`a di t 7→ φt(¯x) e la densit`a dell’in- sieme {P

ncn21n : cn∈ N} in [0, +∞[. 

Teorema 3.5 (KAM debole) Esistono una funzione Lipschitziana u : Tn → R e una costante c tali che

Ttu+ ct = u, per ogni t ∈ [0, ∞[.

Dimostrazione Denotiamo con 1 la funzione costantemente uguale a 1 su Tne con- sideriamo il quoziente E = C0(Tn, R)/R·1. Questo spazio quoziente E `e uno spazio di Banach per la norma quoziente9

||[u]|| = infa∈R||u + a·1||, dove [u] `e la classe in E di u ∈ C0(Tn, R).

Poich`e Tt(u + a·1) = Ttu + a·1, a ∈ R, le mappe Ttdefiniscono sulla spazio quoziente E il semigruppo Tt : E → E consistente di mappe con costante di

9Notiamo che vale ||[u]|| = 12(sup |u| − inf |u|)

(18)

Lipschitz ≤ 1. Applichiamo ora il teorema di Ascoli alla famiglia equi-Lipschitziana di mappe Tt (qui t > 0 `e fissato) concludendo che l’immagine di Tt `e relativamente compatta in E.

Utilizzando la parte 4. della Proposizione 3.4, troviamo un comune punto fisso per le Tt (indipendenza del punto fisso da t). Deduciamo allora che esiste una mappa u ∈ C0(Tn, R) tale che Ttu= u+ ct, dove ct `e una costante. Per la propriet`a di semigruppo, ct+¯t = ct+ c¯t; poich`e t 7→ Ttu `e continua, otteniamo allora che ct= −tc con c = −c1, ovvero Ttu+ ct = u.

3.3 Equazione di Hamilton-Jacobi

In questa sezione interpretiamo il precedente risultato del teorema KAM debole in termini di soluzioni di viscosit`a dell’equazione di Hamilton-Jacobi per H, l’Hamil- toniana canonicamente associata alla Lagrangiana L.

Definizione 3.6 (Funzione dominata) Sia u : Tn → R una funzione continua. Per c ∈ R fissato, diciamo che u `e dominata da L + c e scriviamo u ≺ L + c, se per ogni curva continua Lipschitziana γ : [a, b] → Tnabbiamo

u(γ(b)) − u(γ(a)) ≤ Z b

a

L(γ(s), ˙γ(s))ds + c(b − a). (26)

Notiamo che se u ≺ L + c, la mappa u risulta Lipschitziana con costante di Lipschitz

≤ A + c, dove A = sup{L(x, v)| (x, v) ∈ T Tn, ||v||x= 1}. Quindi, per il teorema di Rademacher, una funzione continua u : Tn → R tale che u ≺ L + c `e quasi ovunque differenziabile.

Il lemma segue immediatamente dalle definizioni:

Lemma 3.7 Sia u : Tn→ R. Si ha u ≺ L + c se e solo se u ≤ ct + Ttu, per ogni t ≥ 0.

Il prossimo teorema reinterpreta la funzione u–risultante dal teorema KAM debole–

come una soluzione dell’equazione di Hamilton-Jacobi associata a H(x, p) := max

v∈Tn(p · v − L(x, v)).

Teorema 3.8

1. Se u ≺ L + c e il gradiente Du(x) esiste in un punto x ∈ Tn, allora H(x, Du(x)) ≤ c.

(19)

2. Se u `e continua Lipschitziana e H(x, Du(x)) ≤ c q.o., allora u ≺ L + c.

3. Per la funzione udata dal teorema KAM debole, si ha H(x, Du(x)) = c q.o.

Dimostrazione

1. Selezioniamo una curva γ con γ(0) = x e ˙γ(0) = v. Allora u(γ(t)) − u(x)

t ≤ 1

t Z t

0

L( ˙γ, γ)ds + c.

Per t → 0

Du(x) · v ≤ L(x, v) + c, e quindi

H(x, Du(x)) = max

v∈TxN(Du(x) · v − L(x, v)) ≤ c.

2. Proviamo il risultato quando u `e liscia. Rimandiamo a Fathi [6] per il caso in cui u sia solamente Lipschitziana. Se u `e liscia, possiamo calcolare

u(γ(b)) − u(γ(a)) = Z b

a

d

dtu(γ(t))ds

= Z b

a

Du(γ) · ˙γdt

≤ Z b

a

L(γ, ˙γ) + H(γ, Du(γ))dt

≤ Z b

a

L(γ, ˙γ)dt + c(b − a).

3. Il teorema KAM debole ci assicura l’esistenza di una curva estremale γ : [0, +∞) → Tntale che γ(t) = x e

u(x) = u(γ(0)) + Z t

0

L(γ, ˙γ)dτ + ct.

Se u `e differenziabile in x = γ(t), deduciamo come prima che d

ds[u(γ(t + s)) − u(γ(0))]|s=0 =

(20)

d ds[

Z s+t 0

L(γ, ˙γ)dτ + c(t + s)]|s=0, cio`e che

Du(x) · ˙γ(t) = L(x, ˙γ(t)) + c,

e ci`o implica H(x, Du(x)) ≥ c. Ma abbiamo visto in 1. che vale sempre H(x, Du(x)) ≤ c, quindi H(x, Du(x)) = c q.o. 

Si pu`o in realt`a dimostrare, seguendo le linee principali del Capitolo 10 in [3], che la funzione u`e una soluzione di viscosit`a per

H(x, Du(x)) = c.

3.4 Introduzione della dipendenza dalle P

Motivati dalla discussione fatta nella prima parte sulla teoria classica delle trasfor- mazioni canoniche nelle variabili (x, P ), aggiungiamo ora esplicitamente alla La- grangiana L la dipendenza da un vettore P .

Fissiamo P ∈ Rne definiamo la Lagrangiana shiftata

L(x, v) := L(x, v) − P · v.ˆ (27) La corrispondente Hamiltoniana `e

H(x, p) = maxˆ

v∈Rn(p · v − ˆL(x, v)) = max

v∈Rn((p + P ) · v − L(x, v)), e quindi

H(x, p) = H(x, p + P ).ˆ (28)

Per l’ultima osservazione della sezione precedente –ora applicata alla Hamiltoni- ana ˆH(x, p)– si trovano una costante c(P ) e una funzione Lipschitziana u(x, P ), u(·, P ) : Tn→ R, tali che

H(x, Duˆ (x, P )) = H(x, P + Du(x, P )) = c(P ) (29) nel senso delle soluzioni di viscosit`a.

Per fare il precedente ragionamento con P ∈ Rnvariabile, definiamo H(P ) := c(P ),¯ v(x, P ) := P · x + u(x, P ).

Per come `e definita (cfr. (29)), la funzione v(x, P ) risulta soluzione di viscosit`a di

(21)

H(x, Dxv) = ¯H(P ). (30) Abbiamo quindi trovato –con un metodo globale e non perturbativo– una funzione generatrice v(x, P ) che risolve debolmente (i.e. nel senso delle soluzioni di vis- cosit`a) l’equazione di Hamilton-Jacobi (12). Questo risultato era stato ottenuto da Lions, Papanicolaou e Varadhan in [9] tramite una tecnica alternativa, puramente PDE.

3.5 Caratterizzazione della costante c

In questa sezione richiamiamo un’elegante interpretazione della costante c, che `e stata introdotta nel teorema KAM debole 3.5, in termini di misure invarianti rispetto al flusso Lagrangiano.

Consideriamo il seguente problema di Cauchy associato ad un’equazione di Euler- Lagrange:

(−dtd(DvL(x, ˙x)) + Dx(x, ˙x) = 0 x(0) = x, ˙x(0) = v

e il flusso Lagrangiano {φt}t∈R: T Tn→ T Tnad esso associato:

φt(x, v) := (x(t), v(t)), dove v(t) = ˙x(t).

Definizione 3.9 Una misura di probabilit`a µ sul fibrato tangente T Tnsi dice invari- ante rispetto al flusso Lagrangiano se

Z

T (Tn)

Φ(φt(x, v))dµ = Z

T (Tn)

Φ(x, v)dµ

per ogni funzione continua e limitata Φ.

Teorema 3.10 (caratterizzazione della costante c) La costante c introdotta nel teo- rema KAM debole 3.5 `e data dalla seguente formula:

−c = inf{

Z

T (Tn)

L(x, v)dµ} (31)

dove l’inf `e preso sulle misure di probabilit`a µ invarianti rispetto al flusso Lagrangiano.

(22)

Dimostrazione Cfr. [6] Corollario 4.4.9.

Osservazione Le misure di probabilit`a µ invarianti rispetto al flusso Lagrangiano che realizzano il minimo:

−c = Z

T (Tn)

L(x, v)dµ vengono dette misure di Mather.

3.6 Propriet`a di regolarit`a

In quest’ultima sezione µ denota una misura di Mather su T Tn. Definiamo la misura ν il push-forward di µ sullo spazio cotangente TTn rispetto al cambio di variabili p = DvL(x, v) e la misura σ il push-forward di ν su Tnrispetto alla proiezione.

Il seguente teorema, cfr. [4], mette in relazione la soluzione di viscosit`a v(x, P ) = P · x + u(x, P )

per l’equazione di Hamilton-Jacobi

H(x, Dxv) = ¯H(P ) con le misure ν e σ.

Teorema 3.11 (Propriet`a di regolarit`a)

1. La funzione v`e differenziabile per σ q.o. punto x ∈ Tn. 2. Vale la seguente identit`a

p = Dxv ν q.o.

3. Inoltre,

H(P ) =¯ Z

T(Tn)

H(x, p)dν.

Dimostrazione Cfr. [4], Teorema 4.1.

(23)

Riferimenti bibliografici

[1] G. Benettin, The elements of Hamiltonian perturbation theory. Lectures at the Porquerolles school 2001 Hamiltonian systems and Fourier analy- sis, D. Benest, C. Froeschl`e e E. Lega editori, Cambridge Scientific (UK), (2004).

[2] L. Chierchia, G. Gallavotti, Smooth prime integrals for quasi-integrable Hamiltonian systems. Nuovo Cimento B (11) 67, no. 2, 277-295 (1982).

[3] L. C. Evans, Partial differential equations. Graduate Studies in Mathemat- ics. 19. Providence, RI: American Mathematical Society (AMS). xvii, 662 p. (1998).

[4] L. C. Evans, D. Gomes, Effective Hamiltonians and everaging for Hamil- tonians dynamics I. Archive Rational Mech. and Analysis 157, 1-33, (2001).

[5] L. C. Evans, Weak KAM theory and partial differential equations. Notes of the CIME conference on “Calculus of variations and nonlinear partial differential equations, Cetraro, (2005).

[6] A. Fathi, Weak KAM Theorem in Lagrangian Dynamics. Seventh Preliminary Version, (17 April 2004).

[7] V. Kaloshin, Mather theory, weak KAM and viscosity solutions of Hamilton-Jacobi PDE. Preprint, (2005).

[8] V. F. Lazutkin, The existence of caustics for a billiard problem in a convex domain. Math. USSR, Izv. 7 (1973), 185-214 (1974).

[9] P. L. Lions, G. Papanicolaou, S. R. S. Varadhan, Homogenizations of Hamilton-Jacobi equations. Unpublished, (1988 circa).

[10] J. P¨oschel, Integrability of Hamiltonian systems on Cantor sets. Comm.

Pure Appl. Math. 35, no. 5, 653-696, (1982).

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