++++ Le minacce che Biagi riceveva (e che lo sollecitavano a chiedere ostinatamente il ripristino di quella protezione che gli era stata tolta) furono a suo tempo la “questione politica” dell’inchiesta, dopo la pubblicazione del carteggio elettronico tra Biagi e i suoi interlocutori. Anni dopo, si scoprì un tabulato, fino a quel momento ritenuto inesistente, da cui risultava che Biagi diceva la verità sulle minacce che riceveva. Invece, qualcuno, tra i responsabili tenuti a provvedere alla sicurezza del professore, lasciava intendere che, forse, quelle segnalazioni inquietanti erano addirittura inventate. ++++ C’è una lettera molto significativa ad amici in cui Marco dava conto dell’emarginazione che incontrava, nel suo ambiente, per aver accettato di collaborare col Governo di centro destra. Del Libro bianco del 2001, di cui ora tutti tessono le lodi, furono scritti apprezzamenti insultanti. Il professore – caduto a Bologna, in via Valdonica, tredici anni or sono – trascorse gli ultimi mesi di vita confinato in una sorta di morte civile, nell’accademia e tra i colleghi. Spesso anche tra gli amici più cari. Gli toccò di andare su e giù per l’Italia a difendere, ovunque lo chiamassero, il progetto di legge a cui aveva lavorato e che, approvato dopo la sua morte, porta ancora il suo nome. Persino la Pastorale del Lavoro lo invitò ad un incontro e lo trattò con freddezza. Ci sarà mai qualcuno chiamato a rispondere di un isolamento che trasformò Biagi in un simbolo e che ne precostituì la morte annunciata?
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