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MISURE DI STABILITA’ DI GUADAGNO, IN RELAZIONE A VARIAZIONI DELLA TEMPERATURA, DI COLLEGAMENTI ANALOGICI IN FIBRA OTTICA PER USO RADIO ASTRONOMICO

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(1)

FACOLTA’ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni

Sistemi a portante ottica L-A

MISURE DI STABILITA’ DI GUADAGNO, IN

RELAZIONE A VARIAZIONI DELLA

TEMPERATURA, DI COLLEGAMENTI

ANALOGICI IN FIBRA OTTICA PER USO

RADIO ASTRONOMICO

Tesi di Laurea di: Relatore:

ALICE MASINI Prof. Ing. GIOVANNI TARTARINI

Correlatori:

Chiar.mo Prof. PAOLO BASSI Dott. Ing. FEDERICO PERINI Dott. Ing. MICHELE BOSCHI

Sessione II

Anno Accademico 2005/2006

(2)

A mia nipote

(3)

Grazie davvero a tutti i ragazzi del Radio telescopio di Medicina, che mi hanno fatto sorridere durante tutto il periodo che ho trascorso con loro, in particolare Federico e Michele che mi hanno aiutato a realizzare questo lavoro; grazie a Calù e Giovanni, grazie ad Ilaria, con cui ho condiviso gioie e dolori di questi 3 anni universitari; grazie a mia mamma, che è sempre stata dalla mia parte, e a mio padre (hai visto adesso puoi dirmi davvero ‘Sei propri o un ingegnere!’), grazie anche alle mie sorelle, che se no poi si arrabbiano se non le metto nei ringraziamenti, e ai nonni, grazie a tutti i miei amici più cari, e infine, ma non per questo meno importante, grazie ad Alessandro, senza il quale adesso non sarei quello che sono.

(4)

PAROLE CHIAVE

COLLEGAMENTO OTTICO

TEMPERATURA

GUADAGNO

OSCILLAZIONE

RADIO ASTRONOMIA

(5)

INTRODUZIONE………pag.I

CAPITOLO 1: La stazione radio astronomica di Medicina……pag. 1

1.1 La parabola………pag. 1

1.2 La “Croce del Nord”………...pag. 3

1.2.1 Configurazione attuale della Croce del Nord

...pag. 7

1.3 Parametri caratteristici di un radio telescopio………..pag. 11

1.3.1 Sensibilità

………...pag. 11

1.3.2 Potere risolutore

………...pag. 13

CAPITOLO 2: Progetto SKA e ammodernamento

della Croce del Nord……….pag. 15

2.1 Up-grade della Croce del Nord………..pag. 19

2.1.1 Attuale collegamento di discesa d’antenna……….

pag. 21

2.1.2 Collegamento di discesa d’antenna realizzato mediante fibra ottica…..

pag. 21

CAPITOLO 3: Caratteristiche della sorgente ottica………pag. 27

3.1 Il fenomeno alla base del funzionamento di un laser:

l’emissione stimolata………..pag. 29

3.2 Il laser a semiconduttore……….pag. 33

3.3 Caratteristica elettro-ottica del laser………..pag. 38

3.4 Circuito di pilotaggio e controllo di un laser………..pag. 41

3.5 Le fonti di rumore………..pag. 44

3.6 La modulazione……….pag. 48

(6)

ottici analogici ...pag. 51

4.1 Il link di discesa d’antenna………..pag. 51

4.2 Il guadagno RF del link e suo legame con la temperatura……...pag. 54

CAPITOLO 5: Campagna di misure……….pag. 63

5.1 Descrizione del banco di misura……….pag. 63

5.2 Ottimizzazione della sensibilità del banco………...pag. 65

5.3 Misure dell’instabilità di guadagno durante transitori di temperatura

e caratterizzazione dell’oscillazione……….pag. 67

5.4 Verifica del legame tra OMI e oscillazione……….pag. 83

5.4.1 Modifica del livello di potenza RF in ingresso ai link………..

pag. 84

5.4.2 Innalzamento dellivello di potenza RF in ingresso al trasmettitore

Ottico IRA e modifica della corrente di polarizzazione………...

pag. 89

5.5 Prove con trasmettitore termostabilizzato………...pag. 94

5.6 Problematiche riscontrate durante le misure………..pag. 98

CONCLUSIONI………pag.100

APPENDICE 1………...pag. a APPENDICE 2………...pag. c

BIBLIOGRAFIA……….

(7)

Negli ultimi anni la ricerca radio astronomica mondiale ha raggiunto, grazie agli sviluppi dell’ingegneri a, livelli sempre più avanzati; al momento sono in via di sviluppo nuovi progetti, riguardanti strumenti che rappresentano un elemento di rottura con le architetture tradizionali. Non si punta più solo su antenne paraboliche di grandi dimensioni, utilizzate per osservazioni a frequenze sempre maggiori, ma si pensa maggiormente ad una moltitudine di antenne più piccole ed economiche, ottimizzate per range di frequenza piuttosto ampi e dotate di sistemi di trasporto ed elaborazione dei segnali estremamente potenti, finalizzati allo studio di enormi quantità di dati.

Tra questi progetti figura S.K.A. (Square Kilometre Array), che dovrà essere una tra le più innovative strutture di osservazione radio astronomica, assolutamente superiore a qualsiasi altro strumento visto prima.

Tra le tecnologie prese in considerazione per la realizzazione di SKA figurano i collegamenti RoF (“radio over fiber”) ; per “radio over fiber” si intende un sistema del tutto trasparente al tipo di modulazione del segnale che trasporta il segnale a radio frequenza attraverso fibra ottica.

La caratterizzazione di un l ink ottico, in particolar modo analogico, per applicazioni radio astronomiche è molto più complessa di quella necessaria per un collegamento ottico per applicazioni commerciali, a causa delle specifiche molto stringenti.

Per questo motivo è nata una stretta collaborazione tra la

“Andrew wireless systems” e il radio telescopio di Medicina, finalizzata alla realizzazione di collegamenti ottici per uso radio astronomico, “ottimizzando” per questo scopo link di tipo commerciale.

All’interno dell’istituto è stato inoltre realizzato un intero collegamento ottico, progettato proprio per soddisfare le specifiche radio astronomiche.

(8)

radioastronomia, in particolare caratterizzando la stabilità di guadagno dei dispositivi forniti da Andrew e dell’unico trasmettitore realizzato all’interno del radio telescopio.

(9)

LA STAZIONE RADIO ASTRONOMICA DI

MEDICINA

F i g . 1 . 1 V e d u t a a e rea della stazione radio astronomica

L’osservatorio radio astronomico di Medicina comprende due grandi strutture: l’array di antenne Croce del Nord, che costituisce il più grande i nterferometro esistente nell’emisfero boreale, e una parabola di 32 m di di ametro.

1.1 La parabola

Costruita nel 1983 per partecipare alla rete VLBI (Very Long Baseline Interferometry), la parabola è stata progettata per essere puntata in qualunque direzione; per questo motivo può inseguire qualunque sorgente radio astronomica,

compensandone il suo moto apparente dovuto alla rotazione terrestre.

(10)

Lo specchio, di 32 m di diametro è costituito da una superficie continua, realizzata mediante pannelli di alluminio, e si discosta dal modello ideale a causa di diversi fattori, tra cui deformazioni dipendenti dalla forza di gravità dalle

condizioni climatiche.

Fig.1.2 Antenna parabolica

Il sistema ottico è di tipo Cassegrain e prevede la presenza di un ulteriore punto di focal izzazione, oltre al fuoco principale; la convergenza della radiazione in questo secondo fuoco è ottenuta mediante uno specchio secondario, o subriflettore, di forma iperbolica, di 3,2 m di diametro.

Principalmente, la parabola è coinvolta, insieme ad una parabola gemella ubicata a Noto in Sicilia, in osservazioni VLBI all’interno della rete europea omonima comprendente

(11)

istituti dislocati sul territorio di tutto il continente; è inoltre utilizzata per osservazioni a singola antenna in studi di carattere geodinamico, misure spettroscopiche e di polarizzazione della radiazione incidente.

Parallelamente al normale sistema di elaborazione dati è infine operativo un sistema di ricezione di eventuali segnali i ntelligenti denominato Serendip, facente capo al progetto S.E.T.I. (Search of Extra Terrestrial Intelligence).

1.2 La “Croce del Nord”

L’antenna interferometrica “Croce del Nord”, operativa dal 1964, è stata progettata per ricevere radiazioni elettromagnetiche comprese in una banda larga 2.7 MHz centrata alla frequenza di 408 MHz, pari ad una lunghezza d’onda λ = 73,5 cm.

Essa è stata concepita come strumento di transito per l’esplorazione sistematica del cielo (Sky Survey), ossia per essere in grado di ricevere le onde radio emesse da una radiosorgente, quando questa, per effetto della rotazione terrestre, transita sul meridiano celeste del luogo di osservazione. Il sistema di movimento elettromeccanico dell’antenna consente quindi solo il puntamento in declinazione.

E’ costituito da 2 serie di antenne, disposte a forma di T, orientate una in direzione Est-Ovest (ramo EO) e l’altra in direzione Nord-Sud (ramo NS). Il ramo EO, come mostrato in Figura 1.2.1, é un’unica antenna avente uno specchio di forma cilindrico-parabolica lungo 564m e largo 35m, orientabile, in declinazione in coordinate equatoriali, da -30° a 90°.

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Fig. 1.2.1 Ramo EST-OVEST

Lungo l’asse focale dell’antenna, che è parallelo a quello di rotazione e dista da esso circa 20m, sono distribuiti 1536 dipoli a mezz’onda (equamente spaziati da una distanza pari circa a λ\2=36cm) che hanno il compito di convertire le onde radio incidenti in tensioni elettriche misurabili.

Il ramo NS (Figura 1.2.2) è invece composto da 64 antenne, di forma sempre cilindrico-parabolica, lunghe 23.5m e larghe 7.5m, disposte parallelamente a 10m l’una dall’altra.

Figura 1.2.2 – Le antenne cilindrico-paraboliche del ramo N-S

(13)

Sull’asse focale di ognuna di queste 64 antenne, posizionato a 1,84m dal vertice dello specchio, sono collocati 64 dipoli a mezz’onda per un totale quindi di 64x64 = 4096 dipoli lungo tutta la schiera.

La scelta, comune ad entrambi i rami del radiotelescopio, di utilizzare uno specchio di forma cilindro-parabolica, offre diversi vantaggi, alcuni derivanti dalle proprietà fisiche e matematiche della parabola:

1) capacità di convergere sul fuoco tutte le radiazioni provenienti da una direzione parallela all’asse della parabola;

2) possibilità di ottenere che tutti i punti di una superficie d’onda (punti in fase) provenienti da una direzione parallela all’asse della parabola si trovino ancora in fase nel fuoco;

3) semplicità costruttiva di una struttura cilindrica, indispensabile viste le grandi dimensioni delle antenne.

La precisione geometrica dello strumento non è assoluta, ma è legata alla precisione con cui è stato realizzato il profilo parabolico, da ideale e continuo ad una serie di segmenti lineari che formano una curva spezzata. Lo specchio è stato realizzato non completamente pieno, ma con fili d’acciaio paralleli alla linea focale e distanziati fra loro di circa 2 cm (vedi Figura 1.2.3).

(14)

Figura 1.2.3 – Cavi di acciaio costituenti gli specchi

Questo è stato possibile in quanto, teoricamente, se la forma geometrica dello specchio differisce da quella di una parabola ideale per meno di λ\16 (anche in relazione a variazioni che può subire la struttura a causa di deformazioni meccaniche ed agenti atmosferici), il rendimento di riflessione cala di una quantità trascurabile (meno dell’1%).

Un tale accorgimento ha portato ad una notevole semplificazione nella costruzione e nelle operazioni di manutenzione delle antenne. Inoltre, il fatto di avere uno specchio non completamente pieno, garantisce una maggiore immunità alle sollecitazioni dovute ad agenti esterni , quali vento, neve, acqua, variazioni di temperatura, ecc. che sono causa di deformazioni meccaniche dell’antenna e che, perciò, portano ad una riduzione di alcuni parametri fondamentali, tra cui il guadagno.

D’altra parte però, a fronte dei vantaggi appena illustrati, l’utilizzo di una rete metallica in sostituzione di uno specchio completamente pieno implica che la potenza ricevuta dal sensore sia mediamente soltanto la metà di quella reale, in

(15)

quanto il dipolo, operando in questo modo, riceve soltanto una delle direzioni di polarizzazione possibili dell’onda incidente, ossia quella parallela alla linea focale.

Le caratteristiche geometriche dell’antenna sono la base da cui ricavare il potere risolutore del radiotelescopio , cioè la capacità di vedere distinti due oggetti angolarmente vicini, che nel caso della Croce del Nord, è di 4’ sia in direzione N-S sia in direzi one E-O.

Tali valori sono molto bassi se confrontati con quelli tipici di un telescopio ottico; notevolmente più grande è invece la quantità di energia captata da tale strumento, in quanto essa è proporzionale alla superficie di raccolta della radiazione elettro-magnetica incidente (circa 30.000m2).

Questa grande superficie collettiva permette di individuare segnali emessi da sorgenti estremamente deboli, come quelli associati a radio sorgenti molto lontane nello spazio, e perciò rende la Croce del Nord particolarmente adatta all’osservazione a frequenze radio di sorgenti extragalattiche.

1.2.1 Configurazione attuale della Croce del Nord

I dispositivi alla base del sistema di ricezione dello strumento sono i dipoli a mezz’onda necessari, come detto, a convertire la radiazione incidente in un segnale elettrico misurabile.

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Figura 1.2.1.1 Particolare di un tratto di linea focale con dipoli a mezz’onda

Essi non sono altro che delle antenne risonanti di lunghezza opportuna, costituiti da un conduttore filiforme, il cui collegamento e la successiva elaborazione del segnale devono essere tali da:

- limitare il più possibile l’attenuazione del segnale rispetto al rumore e cioè massimizzare il rapporto segnale rumore

- assicurare che i punti in fase appartenenti alla superficie d’onda incidente si mantengano tali anche dopo la conversione della radiazione in segnale elettrico.

I 1536 dipoli della linea focale del braccio E-O sono raggruppati in 6 sezioni da 256 dipoli ciascuna. All’interno di ogni sezione si opera una somma progressiva dei segnali raccolti, con un metodo detto ad “albero di natale”, che permette di passare da 256 segnali elementari ad uno unico, detto canale, mantenendo immutate le caratteristiche dei segnali ricevuti. (vedi Figura 1.2.1.2).

(17)

Figura 1.2.1.2 Struttura ad albero di natale del ramo E-O

Il segnale radio, di banda 2.7MHz centrato su una frequenza portante di 408MHz, viene convertito ad una frequenza intermedia IF

di 30MHz in cabine poste alla base dell’antenna; i 6 canali ottenuti vengono sommati con le opportune fasi, ottenendo 3 fasci d’antenna, beam, denominati A, B, C, che vengono poi inviati tramite coassiale alla sala dei ricevitori, dove avviene infine l’estrazione e l’elaborazione del contenuto informativo.

La conversione a 30 MHz è stata effettuata con lo scopo di ridurre le perdite dovute al tratto di collegamento in cavo coassiale presente tra le cabine stesse e la sala dei ricevitori.

Il trasporto su cavo coassiale infatti, come noto, comporta una perdita per “effetto pelle” consistente e soprattutto crescente con la frequenza, perdita questa che ne rende possibile l’impiego, nel campo delle radi ofrequenze, solo per tratti di breve lunghezza. Tali cavi inoltre, al fine di minimizzarne la sensibilità alle variazioni di temperatura (sia intese come escursioni termiche fra giorno e notte sia come escursioni climatiche stagionali), sono interrati ad una profondità di 1.20m, cosa questa che ne garantisce la protezione da indesiderati agenti atmosferici (neve, pioggia, ecc.).

(18)

Analogamente a quanto già visto, anche i segnali provenienti dai 4096 dipoli del braccio N-S vengono suddivisi in sezioni e ogni sezione raggruppa 8 antenne, per un totale di 64x8=512 dipoli, i cui contributi vengono sommati con un metodo detto ad “albero di natale parziale”, meno rigoroso di quello utilizzato nel ramo E-O, ma costruttivamente più semplice.

All’interno di ogni gruppo di 8 antenne è presente un sistema di rifasamento realizzato tramite dielettrico liquido (kerosene), necessario a riportare in fase i segnali provenienti dalle singole antenne prima di sommarli. Tale differenza di fase, dipendente dalla direzione di puntamento della schiera, è dovuto ai diversi percorsi con cui il fronte d’onda incide sulle singole antenne della sezione (vedi Figura 1.2.1.3).

Figura 1.2.1.3 Distribuzione dei punti equifase sulle a n t e n n e di una generica sezione del ramo N-S, al variare dell’angolo di

p u n t a m e n t o

(19)

Una volta sommati opportunamente questi 8 canali si ottengono 5 fasci su cui, analogamente a quanto visto per il ramo E-O, viene operata una conversione a frequenza intermedia (sempre di 30MHz) e la trasmissione dei segnali alla sala dei ricevitori.

Complessivamente quindi la Croce del Nord fornisce 14 segnali, 6 dal ramo E-O e 8 dal ramo N-S con una banda di lavoro di 2.7MHz centrata attorno ai 408MHz. Tale banda, unicamente per quanto riguarda il ramo E-O, può essere inoltre estesa a 5MHz, tramite l’utilizzo di un apposito back- end per l’osservazione delle pulsar.

A seconda dell’utilizzo dei vari fasci è possibile far lavorare lo strumento in differenti modalità, riconducibili a due tecniche di indagine radioastronomica: la total power e l ’interferometrica.

In particolare nella prima, servendosi dei 3 fasci del ramo E-O e dei 5 del ramo N-S, si effettua una somma dei vari segnali in modo da realizzare un’unica antenna equivalente, la cui area di raccolta è pari alla somma delle superfici di raccolta delle singole antenne.

Svolgendo invece un’operazione di correlazione, consistente in una moltiplicazione ed una successiva integrazione, si può far lavorare lo strumento come interferometro a correlazione. I segnali correlati possono essere sia quelli degli 8 fasci di antenna, nella modalità cosiddetta “multifascio”, sia quelli di ogni singola sezione dei due rami, nella modalità a “interferometri sciolti”.

(20)

1.3 Parametri caratteristici di un radio telescopio

I parametri fondamentali che caratterizzano il buon funzionamento di un radio telescopio sono la sensibilità e i l suo potere risolutore.

1.3.1 Sensibilità

La sensibilità di un radio telescopio è la minima intensità di segnale captabile e rappresenta la capacità di ricevere segnali radio sempre più deboli, provenienti, quindi, da sorgenti sempre più deboli nel lo spazio.

A livello pratico la sensibilità è la minima variazione di potenza o, analogamente, di flusso per unità di banda rilevabile dallo strumento ed è tanto più grande quanto maggiore è l’area di raccolta della radiazione elettromagnetica.

La sensibi lità dipende dalla temperatura equivalente di sistema Ts y s, data dalla relazione:

Ts y s = Ta + Tr (1.3.1)

Dove:

- Ta è la temperatura di rumore dell’antenna ed è a sua volta data da

Ta=

k a Sme

(1.3.2)

con Sm= flusso di potenza per unità di banda [W/Hz m2], che si accoppia effettivamente all’antenna, ae= area efficace di raccolta delle onde radio [m2], che rappresenta una superficie

(21)

fittizia, non coincidente con l’area fisica dell’apertura dell’antenna, che tiene conto di quanta radiazione viene assorbita alla frequenza di lavoro e nella particolare direzione di puntamento dell’antenna, e k= costante di Boltzman:

10-23

1.38⋅ J/K

Contribuiscono ad aumentare la temperatura fattori come:

§ La radiazione di fondo cosmico ( che incrementa la Ts y s di circa 3 K)

§ Le riflessioni causate dall’atmosfera

§ Interferenze di segnali terrestri

§ Segnali indesiderati raccolti dai lobi secondari del diagramma di radiazione, secondo il fenomeno dello spillover

- Tr è la temperatura di rumore del ricevitore posto a valle dell’antenna, generata dal rumore introdotto dall’elettronica impiegata e dai cavi di collegamento.

La grandezza che lega tra loro le grandezze precedentemente elencate è la sensibilità del radio telescopio, che non è altro che la minima variazione di temperatura (∆Tm i n) apprezzabile dallo strumento e distinguibile dal rumore.

Affinché una radiosorgente sia rilevabile, la

radiazione ad essa associata deve generare una variazione di temperatura ∆Ta che risulti essere maggiore o uguale alla

∆Tm i n.

∆Tmin =

n B

T ks sys

⋅ τ

(1.3.3)

(22)

Dove:

ks = costante compresa tra 0.6 e 2 che tiene conto del tipo di ricevitore usato

B = larghezza di banda del ricevi tore

• τ= tempo di integrazione

n = numero di osservazioni

Un’espressione alternativa con cui spesso viene indicata la sensibilità in radioastronomia fa riferimento al concetto di sensibilità intesa come minima densità di flusso rilevabile che è legata alla ∆Tm i n dalla relazione:

∆Smin =

eff min

A T k 2⋅ ⋅∆

(1.3.4)

dove Ae f f è l’area efficace dell’antenna e k è la costante di Boltzmann. Questa espressione è molto utile in quanto sottolinea come la sensibilità dipenda dall’area collettrice dell’antenna ed in particolare come lo strumento risulti tanto p i ù s e n s i b i l e (∆Smin più piccolo possibile) quanto più grande è Ae f f.

Infine la sensibilità può anche essere espressa in funzione del guadagno del collegamento:

2 2

min

1 



 + ∆



 

 + ∆

=

Sys Sys Sys

s T

T G

G T B

k

T τ (1.3.5)

dove ∆G è la variazione del guadagno e le altre notazioni sono le stesse delle relazioni precedenti.

(23)

Questa espressione mostra come, per avere buona sensibilità sia necessario avere variazioni di guadagno piccole, così come devono essere piccole le variazioni di temperatura equivalente di sistema, e grande larghezza di banda.

1.3.2 Potere risolutore

La risoluzione, o potere risolutore, rappresenta la minima distanza angolare che deve intercorrere tra due radiosorgenti affinchè lo strumento le possa distinguere e non le percepisca come una unica.

Il potere risolutore è strettamente legato alla direttività dell’antenna: infatti un’antenna che presenta, nel diagramma di radiazione, un lobo principale angolarmante molto stretto e lobi secondari sufficientemente ridotti, presenta un buon grado di risoluzione.

Figura 1.3.2. 1 Diagramma di radiazione normalizzato (in dB)

(24)

L’ampiezza del fascio (lobo principale) detta BWFN (Beam Width between First Null) rappresenta la distanza angolare tra i due zeri ad esso adiacenti e ci permette di ottenere la definizione analitica di risolu zione:

HPBW ≅ 2

BWFN (1.3.6)

dove HPBW (Half Power Beam Width) rappresenta

l’ampiezza, a metà potenza, del lobo principale e si ottiene da

HPBW = ki

D

⋅ λ (1.3.7)

dove:

ki è un fattore relativo alla funzione di illuminamento

λ è la lunghezza d’onda alla frequenza di lavoro

D è il diametro dello specchio

Pertanto per avere un buon potere risolutore è necessario minimizzare la relazione (1.3.6); siccome però ki e λ sono parametri di

progetto, è possibile intervenire soltanto sulle dimensioni fisiche (D) dell’antenna.

Il fatto che il potere risolutore dipenda dal rapporto tra la lunghezza d’onda di lavoro e le dimensioni fisiche dell’antenna spiega perchè i telescopi ottici, che lavorano a lunghezze d’onda piccolissime (dell’ordine di alcune centinaia di nm), possano avere grande potere risolutore con specchi tutto sommato ridotti, a differenza di un radio telescopio, che necessita, invece, di strutture di grandi dimensioni per

(25)

ottenere una discreta risoluzione, in quanto lavora a lunghezze d’onda dell’ordine di alcune decine di cm.

Dalla volontà di aumentare il potere risolutore e la sensibilità del radio telescopio nasce l’idea di costruire i grandi telescopi che sono oggetto dei progetti LOFAR e SKA, che verranno brevemente descritti nel capitolo seguente.

(26)

PROGETTO SKA E AMMODERNAMENTO

DELLA CROCE DEL NORD

Negli ultimi due paragrafi del capitolo precedente è stato detto che le prestazioni di un radio telescopio dipendono principalmente da due grandezze: sensibilità e risoluzione; entrambe queste grandezze dipendono dal diametro D dello specchio e in particolar modo migliorano all’aumentare delle dimensioni dell’antenna.

Purtroppo, però, esistono dei limiti strutturali che impediscono la realizzazione di antenne di grandi dimensioni, dati dalla complessità della struttura reggente, che deve sostenere lo specchio, e dall’elettronica necessaria per comandare i movimenti di rotazione e bilanciamento delle deforma zioni dello specchio stesso.

Per ovviare a questi problemi è nata l’idea del VLBI (vedi Cap.1, Par.1), che realizza un radio telescopio “virtuale”, in grado di raggiungere le prestazioni di un’antenna di dimensioni enormi, sfruttando però strutture, per lo più già esistenti, più piccole e disposte in luoghi geograficamente distinti. In questo caso infatti il potere risolutore non dipende più dal diametro dello specchio della singola antenna, bensì dalla distanza massima che intercorre tra le singole antenne.

Questo netto miglioramento del potere risolutore non è però accompagnato da un altrettanto netto miglioramento della sensibilità, che non è legata alla distanza tra le strutture, ma è data dalla media pesata delle singole sensibilità di ciascuna antenna coinvolta.

Per ottenere prestazioni d’avanguardia anche nell’ambito della sensibilità è quindi necessario creare enormi strutture, caratterizzate da aree di raccolta di dimensioni impensabili fino a qualche anno fa.

(27)

Per questo scopo, da qualche anno è stato attivato SKA (Square Kilometer Array), progetto estremamente ambizioso che si propone di creare un radio telescopio con un’area collettrice di 1 milione di metri quadrat i, in modo tale da ottenere un potere risolutore pari a quello del VLBI e una sensibilità molto maggiore rispetto a quella ottenuta dal radio telescopio EVLA (Expanded Very Large Array).

Il progetto di costruzione di un radio telescopio di dimensioni così grandi e di prest azioni così elevate non può essere affrontato da una singola nazione; per questo è stato creato un consorzio internazionale che coinvolge moltissimi paesi, tra cui Stati Uniti, Australia, Paesi Bassi, Gran Bretagna, I t alia, Canada, Sud Africa, India, Cina…. .

Ciascuno di questi Stati dà il suo contributo in merito alla ricerca sulle tecnologie da implementare, sulla scelta del tipo di antenna da utilizzare e alla decisione del luogo ideale per la costruzione di questo immenso radio telescopio.

Due sono le più probabili sedi possibili di costruzione di SKA, Australia e Sud Africa; l’Australia sarebbe un’ottima candidata, per via dei suoi sterminati deserti, all’interno dei quali, per legge, esistono zone “no radio”, ossia zone in cui addirittura non è consent ito trasmettere in banda radio.

D’altra parte, però, sta prendendo piede l’ipotesi di dislocare la struttura in Sud Africa, territorio non troppo densamente popolato, e quindi con uno spettro radio abba stanza sgombro da interferenze, più accessibile, rispetto all’Australia, da parte dei ricercatori provenie nti da tutte le parti del mondo e soprattutto già d o t a t o di infrastrutture adibite alla viabilità e al trasporto dell’elettricità.

La scelta del tipo di antenna da utilizzare è vincolata alla banda di frequenze su cui lavora il sistema, che è compresa tra 0,1 GHz e 25 GHz; poiché si tratta di una banda molto estesa è stat o deciso di suddividerla in due sottobande, una tra 0,1 e 0,5 GHz e

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l’altra tra 0,5 GHz e 25 GHz. Diverse sono le possibilità che si possono avere, ma sembra ormai deciso che per la banda di frequenze più bassa si utilizzeranno array di antenne ad apertura planare, mentre per la banda più alta sembrano più adatte delle pic cole parabole.

Fig. 2.1 Possibili antenne paraboliche destinate alla banda 0,5-25 GHz

Fig.2.2 Array di antenne ad apertura planare destinato alla banda 0 , 1-0 , 5 GHz

(29)

Fig.2.3 Reference design di SKA

Per quanto riguarda i tempi di realizzazione dell’intera struttura, ci vorranno ancora diversi anni per vedere in opera SKA;

fino al 2008 è ancora aperta la strada della ricerca sulle tecnologie ottimali da applicare al progetto, dopodichè, nel 2012, dovrebbero iniziare i lavori di costruzione. Nel 2015 si dovrebbe dare il via alle osservazioni e nel 2020 SKA dovrebbe raggiungere la piena operatività.

2.1 Up-grade della Croce del Nord

Come detto nel paragrafo precedente, anche l’Italia partecipa attivamente al progetto SKA, con la volontà di utilizzare proprio la Croce del Nord come dimostratore, ossia come “struttura-test” per sperimentare le tecnologie che potrebbero in futuro essere applicate alla realizzazione del progetto.

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La Croce, infatti, mostra tutte le caratteristiche giuste per poter essere utilizzata con questo scopo: è un array di antenne di notevoli dimensioni: si parla di un’area collettrice di circa 30000 m2, addirittura più grande di quella prevista per una singola stazione SKA (10000 m2 ) e presenta un numero elevato di dipoli (circa 6000), che garantirebbero la sperimentazione delle nuove tecniche di interferometria su un notevole numero di ricevitori.

Per poter utilizzare la Croce come dimostratore si è resa necessaria un’opera di ammodernamento dell’intera struttura, che ha dato origine al progetto BEST (Basic Element for Ska Training), per il quale collabora il personale scientifico del radio telescopio di Medicina, con l’obiettivo di sviluppare nuove e più moderne tecnologie, tra cui:

• nuovi front -end a bassa rumorosità

• ricevitori digitali a larga banda ad elevata dinamica

• vector modulator/mixer

• collegamenti ottici dig itali e link analogici a basso costo, questi ultimi utilizzati nella tecnologia “radio over fiber”

• banco di filtri polifase

• metodologie di mitigazione delle interferenze

• algoritmi per beamforming , multibeaming e post - processing

Per avere maggior controllo sullo sviluppo del progetto, sia in termini sperimentali, sia in termini economici, BEST è stato suddiviso in 3 fasi:

BEST 1: prevede la re-ingegnerizzazione di un solo cilindro parabolico del ramo N-S della Croce del Nord, attraverso l’installazione di quattro Front End sulla linea focale (1 ogni 16

(31)

dipoli) collegati mediante link ottici analogici alla sala di elaborazione dati, dove il segnale viene convertito ad una frequenza di 30 MHz, digitalizzato e filtrato tramite un poly-phase filter bank implementato grazie a una FPGA. L’elaborazione dei dati così ottenuti avverrà in un cluster di PC. In questo modo sarà possibile testare tecniche di beamforming e mitigazione delle interferenze. La parte analogica di questa fase è già stata installata ed è funzionante (anche se, come già specificato nell’introduzione, con diversi problemi per quanto riguarda la stabilità di guadagno), mentre la parte digitale è ancora in fase di studio.

BEST 2: prevede l’estensione del progetto a 8 cilindri parabolici del ramo N-S per un totale di 32 ricevitori installati.

BEST 3: prevede l’installazione di 4 ricevitori su 14 cilindri del ramo N-S e di 4 ricevitori su 6 segmenti del ramo Est/Ovest, per u n t o t ale di 4x14 + 6x4 = 80 ricevitori.

La trattazione di tutte le problematiche relative alla modernizzazione della Croce del Nord sarebbe troppo lunga e complessa ed esulerebbe dagli obiettivi prefissati per questa tesi;

pertanto la nostra attenzione si focalizzerà soltanto sul progetto di discesa d’antenna, ossia sul collegamento tra le linee focali della Croce e la sala di elaborazione dati.

2.1.1 Attuale collegamento di discesa d’antenna

Attualmente il collegamento di discesa d’antenna del ramo N-S è effettuato completamente attraverso cavi coassiali ed è caratterizzato da una banda di lavoro larga 2,7 MHz; i segnali vengono rifasati e inviati, a gruppi di 8 dalla linea focale alle

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cabine dove vengono amplificati da un LNA e filtrati mediante un filtro passa banda centrato alla frequenza di 408 MHz e poi convertiti in segnali a bassa frequenza, in una banda centrata sui 30 MHz. A questo punto il segnale proveniente da ogni cabina viene co ntemporaneamente inviato ed allineato temporalmente agli altri, e, sempre attraverso cavi coassiali, giunge fino alla sala di elaborazione, dove avviene il signal-processing.

2.1.2 Collegamento di discesa d’antenna realizzato mediante fibra ottica

Il progetto di ammodernamento della struttura prevede la completa sostituzione del collegamento in coassiale, in favore di un link ottico analogico, che collegherebbe direttamente linea focale e sala di controllo, eliminando la necessità di una elaborazione del segnale nelle cabine.

L’idea di utilizzare la fibra ottica nasce dalla consapevolezza dei notevoli vantaggi che questa introduce, rispetto alla soluzione in coassiale, in molti parametri estremamente importanti per la realizzazione del progetto:

§ AMPIEZZA DI BANDA: l’elevata banda modulante resa disponibile dalle fibre ottiche è legata all’aumento della frequenza portante a cui avviene la trasmissione del segnale. In un collegamento ottico questa frequenza si trova in un intervallo compreso tra 101 3 e 101 6 Hz; quindi la banda di trasmissione risulta di gran lunga superiore rispetto a quella ottenibile in sistemi di trasmissione su cavi metallici, come i coassiali, o in sistemi di trasmissione radio che utilizzano onde millimetriche (dell’ordine del GHz).

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§ LIVELLO di ATTENUAZIONE: lo sviluppo della tecnologia nella produzione di fibre ottiche, grazie ad un sempre più alto grado di purezza nei materiali utilizzati, ha permesso di raggiungere livelli di attenuazione del segnale e di perdite di trasmissione molto bassi, fino anche a 0.2 dB/Km. Tale attenuazione, infatti, nel caso delle fibre ottiche risulta indipendente dalla frequenza del segnale modulante trasmesso, come invece avviene nei cavi coassiali dove, a causa dell’effetto pelle, l’attenuazione risulta proporzionale alla f . Proprio per questo nei sistemi in fibra ottica è possibile lavorare con bande ad elevata frequenza

§ IMMUNITA’ alle INTERFERENZE: le fibre ottiche sono delle vere e proprie guide dielettriche per il segnale che trasportano al loro interno; il campo elettromagnetico è perciò confinato entro la struttura cilindrica che costituisce il cuore della fibra. Grazie a questa proprietà il valore dell’isolament o tra il flusso interno e quello esterno, ossia la schermatura rispetto all’azione di campi elettromagnetici esterni, risulta enormemente elevato. Inoltre, diversamente da quanto accade utilizzando dei conduttori metallici, viene altamente limitata l’interferenza fra differenti fibre ottiche e perciò la diafonia (crosstalk) tra i vari canali costituenti una linea trasmissiva diviene trascurabile, anche quando centinaia o migliaia di fibre sono cablate assieme.

§ ISOLAMENTO ELETTRICO: le fibre ottiche sono co stituite di fibre in vetro (silicio e ossidi di silicio) o

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a volte vengono anche realizzate con polimeri plastici.

Questi materiali sono a tutti gli effetti degli isolanti, perciò a differenza dei cavi metallici non sono soggetti a problemi di messa a terra.

§ ROBUSTEZZA e FLESSIBILITA’: grazie ai rivestimenti protettivi, le fibre ottiche offrono una grande resistenza alla trazione, possono essere curvate formando degli angoli relativamente piccoli e possono anche essere intrecciate tra loro senza causare rotture o danni in genere. In aggiunta, dalla combinazione di singole fibre o nastri di fibre all’interno di un unico cavo di protezione e rivestimento, si ottengono delle strutture altamente compatte, flessibili e robuste.

§ PESO e DIMENSIONE: le fibre ottiche, essendo caratterizzate da un diametro molto piccolo, anche quando sono rivestite di una guaina protettiva (protective coating o jacket), hanno una dimensione ed un peso di gran lunga inferiore rispetto ai corrispondenti cavi in rame.

Il miglioramento della struttura prevede anche l’allargamento della banda di lavoro, che passa da 2,7 MHz a 16 MHz, sempre centrata a 408 MHz, con l’auspicio di poterla ulteriormente estendere a 400 MHz ( tra 300 e 700MHz).

Di conseguenza si è reso necessario riprogettare tutti gli elementi della catena, così da renderli in grado di elaborare il segnale senza deteriorarlo, migliorando anzi le prestazioni dell’attuale sistema.

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Fig. 2.1.2.1 Link di discesa d’antenna con cabine

“trasparenti”

Seguendo lo schema di figura 2.1.2.1, si può osservare che il segnale RF proveniente dalla radio sorgente, dopo essere stato amplificato da un LNA tri-stadio e filtrato, mediante un filtro passa banda centrato alla frequenza di 408 MHz, viene convertito da elettrico ad ottico direttamente sull’antenna ed inviato, mediante fibra ottica, alla sala di elaborazione, dove viene rivelato, rifa sato agli altri segnali provenienti da altri ricevitori e digitalizzato per effettuare il signal-processing.

Dalla nuova configurazione si possono ottenere differenti vantaggi: innanzitutto il trasferimento di gran parte dell’elettronica da un ambiente est erno, caratterizzato da sbalzi di temperatura e umidità e soggetto ad eventi atmosferici (pioggia, vento, neve, scariche elettriche), ad una sala controllata in temperatura migliora

(36)

notevolmente la qualità delle elaborazioni sul segnale, così come aumenta il tempo di vita degli strumenti, che subiscono un deterioramento più lento; inoltre in caso di guasto risulta molto più semplice la sostituzione dell’elemento compromesso, con relativi cost i di manutenzione inferiori.

Inoltre la scelta di un link ottico analogico elimina la necessità di trasportare fin sulla linea focale tutti i segnali di controllo, sincronismo e oscillatore locale, vantaggio che si traduce in un notevole risparmio economic o, dal momento che diviene minore il numero di collegamenti necessari per la trasmissione dei segnali e che risulta meno complessa l’elettronica di Back End.

Sicuramente la scelta di un link ottico digitale per la discesa d’antenna avrebbe permesso di effe ttuare una prima elaborazione dati già sulla linea focale (favorendo, ad esempio il beamforming in tempo reale), ma un’attenta indagine di mercato ha appurato che al momento le tecnologie necessarie per creare un link ottico digitale con prestazioni di tipo radio astronomico sono ancora troppo costose e i vantaggi che se ne ricavano non possono giustificare una così elevata differenza di prezzo [Ref. 6].

In figura 2.1.2.2 è riportata la schematizzazione delle principali linee di trasmissione interessate al trasporto dei diversi segnali della catena di ricezione, assumendo come riferimento la situazione relativa ad 8 cilindri del ramo N-S.

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Fig. 2.1.2.2 – Schematizzazione delle linee trasmissive relative ad 8 cilindri del ramo N-S

Come si può vedere, gli unici collegamenti esterni sono quelli adibiti al trasporto dell’informazione ricevuta, realizzati in fibra ottica monomodale, e i diversi cavi indispensabili per alimentare i dispositivi presenti sulle linee focali, che giungono alle varie antenne attraverso le cabine poste alla loro base. Per quello che concerne i percorsi in fibra ottica, il loro passaggio attraverso le cabine è funzionale unicamente alla realizzazione della cablatura di più fibre all’interno di cavi più robusti da 32 fibre ciascuno (più un eventuale scorta di fibre in caso di possibili danneggiamenti ad uno dei percorsi) necessari per rendere più compatto il collegame nto verso l’edificio principale.

(38)

CARATTERISTICHE DELLA SORGENTE

OTTICA

Una sorgente ottica è un dispositivo in grado di convertire un segnale elettrico (tipicamente una corrente) in una radiazione elettro -magnetica avente una frequenza compresa nello spettro del visibile, nell’immediato infrarosso o nel vicino ultravioletto e caratterizzata da un determinato livello di potenza emessa (potenza ottica). Le proprietà possedute da una sorgente ottica di qualità sono:

1) capacità di emettere la radiazione luminosa alla lunghezza d’onda di interesse;

2) caratteristica spettrale il più possibile coerente, che consiste nel presentare una minima variazione di lunghezza d’onda ∆λ di emissione, attorno ad una λ0 nominale stabile nel tempo;

3) alta affidabilità di funzionamento, sia nel tempo, sia in relazione alle condizioni ambientali in cui opera (soprattutto in relazione alle variazioni di temperatura);

4) buona efficienza di accoppiamento in potenza alla fibra ottica;

5) alta efficienza nel processo di conversione del segnale elettrico in ottico;

6) caratteristica di conversione elettro -ottica lineare per un ampio range di valori di corrente in ingresso;

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7) bassa rumorosità nel processo di conversione elettro -ottica e di emissione;

8) costo compatibile con le particolari esigenze applicative.

A seconda del tipo di fenomeno che sta alla base dell’emissione del fascio ottico e delle caratteristiche che questo presenta si distinguono 2 principali categorie di sorgenti ottiche:

LED (Light Emitting Diodes): sono sorgenti caratterizzate da un processo di emissione della luce di tipo spontaneo e danno luogo ad una radiazione monocromatica di tipo incoerente

LASER (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation): sono sorgenti in grado di emettere, per emissione stimolata”, un fascio di radiazioni elettro -magnetiche monocromatiche e coerenti.

LED LASER

Semplicità costruttiva e strutturale

Maggiori livelli di P ottica accoppiabile in fibra

Economicità Possibilità di avere uno

spettro in uscita monomodale Affidabilità legata alla

degradazione lenta

Maggiore banda intesa come massima f del segnale modulante

Stabilità durante le variazioni di temperatura

Minore rumorosità legata al processo di emissione

Miglior dinamica d’ampiezza

Fig. 3.1 Tabella riassuntiva delle caratteristiche delle due fonti ottiche

(40)

Come si può facilmente intuire dalla tabella di figura 3.1, la sorgente ottica più idonea alle specifiche radio astronomiche è quella di tipo laser.

3.1 Il fenomeno alla base del funzionamento di un laser:

l’emissione stimolata.

L’energia posseduta da una partic ella all’interno di un materiale, come è noto dalla meccanica quantistica, è quantizzata, ossia può presentare solo valori particolari appartenenti a ben specifici insiemi discreti o ad un insieme di intervalli in relazione al tipo di materiale considerato; nel primo caso si parla di livelli energetici, mentre nel secondo di bande di energia permesse.

Ogni possibile livello di energia Ei è caratterizzato da una certa probabilità P(Ei) di occupazione, dalla quale dipende la consistenza della popolazione di particelle che lo popolano. Se indichiamo con <Ni> il valor medio della popolazione del livello i- esimo abbiamo che, dalla distribuzione di Boltzmann, vale:

<Ni> = ae-Ei/kT (3.1)

Dove:

a coefficiente di proporzionalità,

k=1.3810-23J/K costante di Boltzmann

T temperatura del sistema.

Tale relazione mostra che quanto più è alta l’energia del livello considerato, tanto minore sarà la consistenza della sua popolazione.

Ciò è in linea con quanto comunemente noto a proposito della tendenza di un qualunque sistema in natura ad evolvere spontaneamente verso stati ad energia minima.

(41)

In condizioni di equilibrio quindi si avrà che un livello ad energia maggiore E2 risulterà meno popolato di uno ad energia minore E1. Tra le popolazioni dei due livelli in particolare è presente la relazione:

1 2

N

N = e-(E2E1)/kT (3.2)

A partire da queste considerazioni descriveremo i principali fenomeni che si originano in seguito all’interazione della materia con una radiazione esterna o a fronte della variazione del livello energetico posseduto dal sist ema: assorbimento, emissione spontanea ed emissione stimolata.

Per semplicità ci porremo nella condizione in cui vengono considerati solo due livelli energetici E2 e E1 , con E2>E1.

Si supponga inizialmente che un elettrone si trovi nel livello energetic o inferiore E1. In assenza di una qualsiasi perturbazione esterna esso tenderà a rimanere in tale livello, poiché è quello ad energia minore e quindi più stabile. Se ora l’elettrone viene colpito da una radiazione elettromagnetica monocromatica di frequenz a f tale che:

hf = E2 – E1 (3.3)

con h=6,6262⋅1034 [J·sec] costante di Plank,

si verifica il cosiddetto fenomeno dell’assorbimento e cioè la transizione della particella dal livello E1 al livello superiore E2 (vedi Figura 3.1.1).

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Fig. 3.1.1 Fenomeno dell’assorbimento

Siccome lo scambio energetico in un qualsiasi materiale può avvenire solo per quanti di energia finiti la cui unità fondamentale è il fotone , al quale è associata una energia E=hf , quello che si è verificato non è altro che l’assorbimento dell’energia trasportata dal fotone con conseguente salto del livello energetico. Questo fenomeno è alla base del funzionamento di un rivelatore ottico e si verifica ogni volta che l’energia associata alla radiazione incidente è pari al gap esistente tra i due livelli energetici in questione.

L’effetto contrario si ottiene se si ipotizza che l’elettrone si trovi inizialmente nel livello energetico superiore E2; in tale situazione sono possibili però due diversi comportamenti.

Nel caso di assenza di una qualsiasi perturbazione esterna l’elettrone, trovandosi ad un livello di energia superiore, è da considerarsi instabile e dopo un intervallo di tempo aleatorio, tenderà a riportarsi al livello di energia più basso. Tale decadimento avviene attraverso un’emissione di energia di intensità pari al gap esistente tra i due livelli e può manifestarsi sotto forma di fotone (emissione radiativa), o anche in maniera non radiativa, sotto forma di vibrazione della struttura (fonone), in relazione al tipo di materiale considerato.

Si parla in questo caso di emissione spontanea, in quanto la generazione della radiazione, a seguito del salto energetico, avviene

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in modo naturale, al fine di riportarsi in una situazione di equilibrio (vedi Figura 3.1.2).

Fig. 3.1.2 Processo di emissione spontanea

La radiazione così generata è assolutamente incoerente in quanto particelle diverse compiranno salti energetici differenti e del tutto scorrelati fra loro, dal momento che gli istanti di emissione e le caratteristiche dei fotoni generati (fase iniziale, polarizzazione, direzione, ecc.) possono essere considerate casuali.

Diverso è il caso in cui il decadimento da un livello superiore ad uno inferiore avviene a seguito di una radiazione elettromagnetica di frequenza tale che hf = E2 – E1.

Infatti, qui è il quanto energetico associato alla radiazione esterna a consentire il decadimento e la conseguente emissione che, per questo motivo, prende il nome di emissione stimolata (vedi Figura 3.1.3).

Fig. 3.1.3 Processo di emissione stimolata

(44)

Importante è sottolineare che ora però il fotone secondario, generato a seguito del salto energetico, ha la stessa fase e frequenza di quello primario.

Sotto opportune condizioni al contorno e attraverso l’utilizzo di particolari materiali, ad esempio alcuni tipi di semiconduttori, questo processo può essere utilizzato per ottenere il fenomeno dell’amplificazione stimolata della luce, che sta alla base del funzionamento dei dispositivi laser.

3.2 Il laser a semiconduttore

Il laser è un oscillatore ottico in grado di assolvere due compiti fondamentali:

l’amplificazione della luce, mediante un mezzo attivo e un sistema di pompaggio in grado di consentire lo sviluppo del fenomeno dell’emissione stimolata; la retroazione della luce stessa tramite un risonatore ottico, generalmente realizzato mediante due specchi riflettenti.

Nel corso di questo paragrafo si prenderanno in considerazione, per descriverne il funzionamento e le principali caratteristiche, i laser a semiconduttore in quanto sono quelli oggi più comunemente impiegati.

Il cuore di un laser a semiconduttore é una giunzione tra materiali con diverso drogaggio, p ed n come mostrato in Figura 3.2.1.

(45)

Figura 3.2.1 Struttura fondamentale di un Laser a semiconduttore

In un materiale semiconduttore i livelli di energia sono in realtà delle bande energetiche, separate da intervalli di energia proibiti (band gap). La probabilità di occupazione della banda é definita dalla statistica di Fermi-Dirak e dipende da un livello di energia di riferimento detto livello di Fermi.

In un semiconduttore intrinseco il livello di Fermi si trova a metà del band gap esistente tra la Banda di Valenza (BV) e la Banda di Conduzione (BC) e sia la concentrazione di elettroni in BC, sia quella di lacune in BV é estremamente bassa. Drogando il semiconduttore con impurità di tipo n o p il livello di Fermi si sposta rispettivamente verso la BC o verso la BV. Nel primo caso si incrementa la concentrazione di elettroni in banda di conduzione e si riduce la concentrazione di lacune in banda di valenza, nel secondo caso avviene l’opposto.

(46)

Fig. 2.3.2 Statistica di Fermi

L’o biettivo é di realizzare una regione in cui tali portatori (le coppie elettrone -lacuna) possano ricombinarsi al fine di favorire il processo di emissione stimolata; tale regione è ottenuta mediante la formazione di una giunzione p-n che ora, per semplicit à, consideriamo formata a partire dallo stesso materiale (omogiunzione).

Affinchè tale fenomeno si origini e, soprattutto, si mantenga é necessario però un apporto energetico esterno che provveda, nella fase iniziale, a portare i portatori di carica ad un livello energetico superiore e successivamente a far si che il loro numero non diminuisca nel tempo. Ciò lo si ottiene attraverso un processo fisico, denominato pompaggio, realizzato grazie alla polarizzazione diretta della giunzione. Quando la tensione esterna é sufficientemente elevata vengono iniettati nel dispositivo un numero di portatori tali da raggiungere la cosiddetta inversione di popolazione e cioè una condizione in cui la concentrazione di elettroni in banda di conduzione e di lacune in banda di valenza é molto grande e quindi

(47)

elevato sarà anche il numero di coppie elettrone -lacune disponibili per la ricombinazione.

La corrente corrispondente alla tensione di polarizzazione per cui si verifica l’inversione viene detta corrente di soglia e rappresenta un parametro importante del laser, in quanto determina il valore minimo di corrente in ingresso necessario per instaurare nel dispositivo il processo di conversione elettro -ottica.

In un mezzo in cui è in atto l’inversione di popolazione, scelto opportunamente in modo da presentare un decadimento di tipo radiativo, tale ricombinazione provoca il decadimento spontaneo dell’elettrone ad un livello energetico inferiore. Questo porta alla conseguente emissione di un fotone avente una lunghezza d’onda ben definita e, come visto nel paragrafo precedente, legata all’entità del gap energetico esistente fra le bande di conduzione e di valenza.

Il fotone così originato attraversa il materiale e funge come stimolo per la creazione di altri fotoni identici (stessa fase, frequenza, direzione) come visto a proposito dell’emissione stimolata, instaurando un meccanismo di generazione a catena. Tali flussi di particelle derivanti da differenti stimoli spontanei iniziali sono però fra loro reciprocamente incoerenti in quanto originati a seguito di diversi decadimenti atomici (caratterizzati da diversi gap energetici) e perciò non idonei ad instaurare una radiazione in risonanza; per superare questo problema l’intera struttura viene confinata all’interno di un risonatore ottico.

Il risonatore ottico, o cavità risonante, nella sua configurazione più semplice, é costituito da una coppia di specchi posti agli estremi del mezzo attivo, in grado di selezionare in frequenz a le oscillazioni che si vengono a creare al suo interno.

Solitamente, uno degli specchi é realizzato con una riflettività prossima al 100% (in corrispondenza della lunghezza d’onda operativa del laser), mentre l’altro, lo specchio di uscita, ha una

(48)

trasmettività non nulla in modo tale che la luce possa essere trasmessa all’esterno della cavità per fornire il fascio laser.

La sua funzione é quella di riflettere ed amplificare quei fotoni contraddistinti da una frequenza corrispondente a quella di selettività del risonatore e di abbattere tutti gli altri, permettendo cosi, a seguito delle varie riflessioni agli specchi, il mantenimento e l’amplificazione di una radiazione di tipo coerente.

In una omogiunz ione, come quella fino ad ora esaminata, lo spessore della zona attiva in cui avviene la ricombinazione é molto piccola e non si hanno meccanismi di confinamento delle cariche al suo interno. Per ovviare a questo, le semplici giunzioni p-n sono state sostituite dalle eterogiunzioni, dove un materiale a piccola band-gap viene confinato tra due strati di materiale a gap maggiore e drogati differentemente (doppia eterogiunzione).

In una doppia eterogiunzione, i portatori di carica iniettati vengono confinati nello strato centrale, detto strato attivo, grazie alle barriere di potenziale che si formano sia per il differente drogaggio, sia per il suo minor gap rispetto a quello dei materiali adiacenti (vedi Figura 3.2.2).

Figura 3.2.2 Doppia eterogiunzione

Allargando la regione attiva perciò, vengono consentiti anche valori di corrente di soglia più bassi.

(49)

Un’importante estensione delle eterostrutture si ottiene quando, per effetto di un’opportuna riduzione dello spessore della regione attiva, si riesce a rendere quantizzati i livelli di energia dei portatori all’interno delle barriere di potenziale definite dall’eterostruttura (vedi Figura 3.2.3). Si parla per questo di strutture quantum wells o multiple quantum wells (MQW).

Figura 3.2.3 Struttura Multimple Quantum Wells

I laser di questo tipo presentano guadagni maggiori e correnti di soglia minori rispetto ai laser convenzionali e, ad oggi, sono i dispositivi più utilizzati per realizzare laser a semiconduttore.

3.3 Caratteristica elettro -ottica del laser

La caratteristica che più di ogni altra é in grado di identificare il comportamento in termini qualitativi di un laser è la curva che lega la potenza ottica emessa dal laser alla corrente di iniezione fornita in ingresso.

Tale curva viene detta curva caratteristica del laser ed un esempio di un suo tipico andamento é riportato in Figura 3.3.1:

(50)

Figura 3.3.1 Tipica caratteristica elettro-ottica di un laser

Da questa curva, il cui andamento é sostanzialmente uguale per i diversi tipi di laser, é possibile risalire a due parametri indispensabili per caratterizzare il comportamento del dispositivo:

la corrente di soglia e l’efficienza di conversione.

A differenza di un LED, dove la generazione della radiazione ottica avviene per emissione spontanea di fotoni e quindi la potenza ottica in uscita incrementa progressivamente al crescere della corrente in ingresso sin da un livello prossimo allo zero, il LASER necessita di un valore minimo della corrente di iniezione affinchè si possa realizzare l’inversione di popolazione e successivamente far nascere il processo di emissione stimolata; tale valore corrisponde alla corrente di soglia. La corrente di soglia nei dispositivi attualmente in commercio può assumere un valore che va dalle frazioni di mA sino a diverse decine di mA e generalmente è in relazione con il livello di potenza ottica operativo del dispositivo.

L’e f f icienza di conversione elettro-ottica ηS (slope efficiency) é invece definita come la variazione di potenza ottica in uscita dal dispositivo rispetto ad una variazione della corrente di iniezione in

(51)

ingresso. Essa, che normalmente viene espressa in W/A o mW/mA, viene valutata relativamente alla regione lineare di funzionamento del dispositivo, regione in cui la dipendenza dal particolare punto della caratteristica considerato è molto limitata.

La sua espressione è legata a quella della potenza in ingresso [Ref.4]:

d

(

I Ith

)

q

P= hνη ⋅ −

(3.4)

S d

q h dI Efficiency dP

Slope ν η

η : = = ⋅ ⋅ (3.5)

dove:

-

int

: int

α α η α

η = ⋅ +

mir mir d Efficienzaquantica differenziale

-

nr rr

rr

R R interna R quantica

Efficienza

= +

int : η

− αm i r: perdita legata alla riflettività degli specchi

− αi n t: perdita interna alla struttura

- Rr r: ritmo di ricombinazione radiativa - Rn r: ritmo di ricombinazione non radiativa

Valori tipici di ηS variano dai 0.03 W/A ai 0.4 W/A, a seconda della partic olare struttura laser considerata.

E’ molto importante notare, ai fini di un utilizzo pratico di tali componenti, come i due parametri sopradescritti siano fortemente dipendenti dalla temperatura. Una variazione della temperatura di giunzione del laser, infatti, provoca un cambiamento nella naturale distribuzione della popolazione di cariche nei vari livelli energetici, che in generale modifica le condizioni necessarie a realizzare l’inversione di popolazione e il successivo processo di emissione.

(52)

In particolare, all’aumentare della temperatura, il valore della corrente di soglia aumenta e quello dell’efficienza di conversione, che altro non è che la pendenza della curva caratteristica del laser, diminuisce, facendo sì che, pur mantenendo costante il livello di corrente in ingresso, il corrispondente livello di potenza emessa diminuisca (vedi Figura 3.3.1).

La dipendenza dalla temperatura della corrente di soglia It h può essere approssimata da una relazione del tipo [Ref.5]:

It h =

 

⋅  −

0

exp 1

T T

K T (3.6)

Dove:

K è una costante

T1 è la temperatura di riferimento

T0 è una costante dipendente dal materiale e dalla struttura del laser e che solitamente vale 120÷165 °C per i laser GaAlAs e 50÷70 °C per i laser InP/InGaAsP.

Queste problematiche rendono molto critico l’impiego di tali componenti in un ambiente soggetto a forti variazioni termiche, e ha reso necessario lo sviluppo di appositi sistemi di controllo in retroazione per garantirne la stabilità delle prestazioni.

3.4 Circuito di pilotaggio e controllo di un laser

Il circuito di pilotaggio o driver di un laser, di complessità variabile in relazione alla particolare applicazione considerata, è un sistema, comprendente tutta l’elettronica esterna al dispositivo ottico, preposto ad alimentare, pilotare e proteggere il laser e, molto spesso, incaricato anche di stabilizzare, tramite vari tipi di controllo, la potenza ottica emessa.

(53)

Nella sua più semplice configurazione, esso prevede un circuito adibito alla polarizzazione diretta della giunzione del dispositivo e un generatore di corrente costante necessario per fissarne il punto di lavoro. Questo generatore, dovendo provvedere all’erogazione della corrente di iniezione in ingresso alla sorgente ottica, dovrà essere poco rumoroso e presentare un’elevata stabilità, in modo tale da non deteriorare le caratteristiche di emissione del laser.

Generalmente per poter realizzare un circuito di controllo per la stabilità di emissione del dispositivo e per compensare le variazioni delle caratteristiche elettro -ottiche del laser al variare della temperatura, viene integrato all’interno dello stesso package, in corrispondenza della faccia posteriore del laser, anche un fotodiodo di monitor, utilizzabile per un controllo in retroazione del dispositivo. Tramite la corrente fornita dal fotodiodo, proporzionale alla potenza ottica incidente su di esso, e quindi proporzionale alla potenza trasmessa dal laser, é possibile controllare il livello di corrente di polarizzazione del laser in modo da farla variare in direzione opposta rispetto al cambiamento e mantenere pertanto il sistema in una situazione di stabilità di emissione.

Il circuito di polarizzazione di un laser può essere di 2 tipi, dipendentemente dal fatto che si decida di farlo lavorare a potenza o corrente costante:

§ APC (Automatic Power Control): circuito di polarizzazione basato sull’impiego in retroazione di un fotodiodo che funge da monitor per la potenza ottica emessa dal laser e provvede, tramite un apposito circuito, a fornire un segnale di controllo che serve a mantenere il laser ad un livello di potenza ottica in uscita costante;

(54)

§ ACC (Automatic Current Control o Costant Current):

circuito di polarizzazione che opera senza un fotodiodo di retroazione: il diodo laser é semplicemente pilotato da una corrente costante. La potenza ottica fluttuerà al variare della temperatura di funzionamento del dispositivo.

I laser devono sempre essere pilotati da un circuito APC o ACC e generalmente è impiegato il primo tipo, specialmente se la temperatura dell’ambiente in cui si deve trovare a lavorare il laser é soggetta a variazioni.

Un circuito di driver deve anche includere una parte elettronica che assicura la protezione del laser durante la fase di accensione e spegnimento (slow start/decay circuit), eliminando o riducendo la possibilità che si manifestino picchi e sbalzi di corrente o altri fenomeni transitori tipici di questa fase.

In certi casi, quando si lavora in condizioni operative critiche, è anche previsto un circuito di allarme, basato sul monitoraggio del livello di potenza ottica emessa, col compito di segnalare quando questa supera un livello ritenuto pericoloso; in tal caso il dispositivo interviene, interrompendo, ad esempio, l’erogazione di corrente al laser.

Indipendentemente dal tipo di circuito usato la corrente di polarizzazione non deve mai superare il massimo valore riportato nel data sheet, in quanto questo darebbe origine ad una potenza ottica troppo elevata che, eccedendo il limite massimo, anche solo per tempi dell’ordine del nanosecondo, danneggerebbe irrimediabilmente i rivestimenti delle superfici riflettenti del diodo laser.

(55)

3.5 Le fonti di rumore

In un laser a semiconduttore le sorgenti di rumore che possono deteriorare in qualche modo il segnale sono molteplici e contrib uiscono in differenti modi a determinare la rumorosità nel processo di emissione, a seconda che la sorgente ottica presenti uno spettro di tipo multimodale o monomodale (vedi Figura 3.5.1).

Figura 3.5.1 Spettro di un: (a) Laser FP; (b) Laser DBR; (c) Laser DFB

Tipici laser dallo spettro multimodale sono quelli di tipo Fabry-Perot (FP), dove il fascio laser è generato all’interno di una cavità strutturalmente molto semplice, in quanto costituita solo di due specchi, che sostiene solo quei modi che presentano una delle frequenza di risonanza della struttura.

Le principali cause di rumorosità nei laser multimodali sono rappresentate dai fenomeni del mode hopping e del mode partition noise che invece sono assenti o comunque trascurabili in quelli monomodali.

Si parla di mode hopping quando si verifica un salto spettrale da un modo longitudinale ad uno successivo a causa di variazioni di temperatura nello strato attivo. Un aumento della temperatura, infatti, riduce il gap energetico, favorendo l’eccitazione di un modo a lunghezza d’onda maggiore. Tale spostamento di lunghezza d’onda è generalmente accompagnato da un breve transitorio cui è associata la nascita di un rumore a bassa frequenza.

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