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CAPITOLO 4 UN’ANALISI EMPIRICA PER IL CASO ITALIANO

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CAPITOLO 4

UN’ANALISI EMPIRICA PER IL CASO ITALIANO

4.1 LE FONTI STATISTICHE E I DATI UTILIZZATI

In Italia, come per altri paesi, uno dei principali ostacoli che si incontra nello studio della distribuzione del reddito e della sua evoluzione nel tempo è costituito dalla scarsità delle statistiche esistenti. Nel secondo dopoguerra, Luigi Einaudi rilevò l’importanza di misurare il reddito dei cittadini italiani. L’invito venne accolto da Pier Paolo Luzzato Fegiz che propose allo stesso Einaudi e ai ministri delle Finanze e del Tesoro di eseguire un’indagine campionaria con lo scopo di accertare la forma della curva dei redditi. La proposta venne accettata e si ebbe la prima indagine campionaria sui redditi familiari realizzata in Italia; fu condotta dall’Istituto Doxa fra il 1948 e il 1949 (N. Rossi, 1992-93).

Questa iniziativa trovò largo consenso in un’Italia appena uscita dal fascismo e dalla guerra, dove forte era l’esigenza conoscitiva per la ricostruzione, ma ad essa non seguì la nascita di un’ organizzazione preposta per la raccolta statistica dei dati.

Nel 1980 l’ISTAT ha iniziato a rilevare e pubblicare regolarmente dati sui redditi familiari italiani.

La fonte statistica principale sulla distribuzione dei redditi in Italia è rappresentata dall’indagine campionaria che la Banca d’Italia ha condotto annualmente dal 1966 al 1987 (escluso il 1985) e ogni due anni da allora. Utilizzando questi dati sarebbe quindi possibile effettuare un’analisi sull’evoluzione della disuguaglianza dei redditi familiari in Italia lungo un arco di tempo di quasi quarant’anni. Purtroppo ciò non è possibile a causa delle continue variazioni apportate all’organizzazione dell’indagine, al campionamento, alle modalità di elaborazione dei dati.

Per questa ragione negli ultimi anni, il servizio studi della BdI ha costruito un archivio storico che contiene, dopo averle uniformate e rese coerenti, tutte le principali variabili raccolte continuativamente dal 1977.

Nell’archivio storico sono riportati i dati individuali per ciascun nucleo familiare, la standardizzazione ha riguardato la denominazione comune delle variabili rilevate. In accordo con il piano di campionamento, a ciascuna famiglia è stato attribuito un peso che rappresenta l’importanza che essa ha all’interno del campione, ogni membro della stessa famiglia possiede poi il medesimo peso. Il campione viene determinato attraverso

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un processo a due stadi: nel primo stadio vengono selezionati, mediante criteri di casualità, 300 comuni italiani, adottando una stratificazione per regione e ampiezza demografica del comune; nel secondo stadio si provvede ad estrarre dalle liste anagrafiche dei comuni, selezionati in precedenza, i nominativi delle famiglie che saranno oggetto di rilevazione.

A partire dall’indagine del 1989 la metodologia dell’indagine cambia, una parte del campione è infatti costituita da famiglie cha già hanno partecipato a precedenti rilevazioni (famiglie panel). In questo modo è possibile studiare l’andamento di fenomeni, come ad esempio la mobilità delle famiglie tra classi di reddito o di ricchezza (Banca d’Italia 2004).

Le variabili utilizzate nella presente analisi, per gli ultimi venti anni, riguardano: il reddito familiare disponibile netto,successivamente modificato attraverso la scala di equivalenza, i coefficienti di ponderazione per il complesso delle famiglie intervistate (ovvero i pesi campionari delle indagini annuali), lo status occupazionale e i caratteri anagrafici dei singoli individui (in particolare il numero di percettori, il numero dei componenti del nucleo familiare, il titolo di studio ed infine l’area di residenza). Sono state poi create, per ciascuna famiglia, altre variabili, quali: il totale degli adulti e dei bambini, al fine di studiare la variazione della disuguaglianza e della povertà tra i diversi nuclei familiari.

4.2 LE FASI DELL’ANALISI

Le analisi che saranno effettuate si basano sul database dell’Indagine svolta dalla Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane dal 1987 al 2004, concernente dei campioni casuali di circa 8000 nuclei familiari.

In questo lavoro si farà riferimento alla definizione di reddito più ampia possibile, compatibilmente con le informazioni disponibili; il reddito totale è calcolato al netto del prelievo tributario e contributivo e di eventuali imposte patrimoniali, ed è pari alla somma dei redditi da lavoro dipendente e autonomo, di quelli da capitale finanziario e reale, delle pensioni e degli altri trasferimenti pubblici, ed include gli affitti imputati37sulle abitazioni di residenza.

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Il valore dell’affitto imputato è una stima, effettuata dal proprietario della casa, ed è pari al prezzo che egli ritiene si dovrebbe pagare per vivere in affitto nella sua abitazione.

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Sulla base dei dati sono stati calcolate le misure di disuguaglianza quali: il coefficiente

di variazione, il rapporto interdecilico, l’indice di Gini e l’indice di Atkinson, il valore

medio e mediano dei redditi netti familiari equivalenti (? = 0.5) e la loro distribuzione tra i quintili della popolazione. Abbiamo scelto di definire una linea della povertà relativa, ovvero un valore in grado di distinguere chi è povero da chi non lo è, ed abbiamo posto tale linea pari al 60% del valore mediano della distribuzione del reddito disponibile netto reso equivalente (? = 0.5); la povertà è valutata a livello familiare attribuendole il reddito equivalente della famiglia di appartenenza.

La disuguaglianza, complessivamente misurata per la distribuzione dei redditi familiari, è stata scomposta in disuguaglianza fra gruppi omogenei di famiglie (identificati sulla base di alcune caratteristiche demografiche, sociali o economiche ritenute rilevanti) e in una disuguaglianza all’interno di ciascun gruppo, ovvero fra le diverse famiglie che ne fanno parte.

Questa scomposizione può risultare utile per individuare le possibili cause della disuguaglianza e verrà trattata con particolare attenzione proprio per trarre delle indicazioni circa il suo comportamento.

Per la descrizione della povertà si sono utilizzati un indice di diffusione (head count) e due indici che misurano l’intensità della povertà (income gap ratio e FGT), la popolazione è stata poi suddivisa in gruppi, sulla base del numero di percettori, del numero di bambini e dell’area di residenza, così da poter studiare la variazione dell’indice di diffusione della povertà fra i diversi gruppi.

Le elaborazioni sono state eseguite utilizzando il pacchetto statistico-econometrico STATA 9.

4.3 L’ANDAMENTO DELLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO (1987-2004)

Per esaminare se e come si è modificata la distribuzione del reddito negli anni recenti abbiamo confrontato i dati relativi agli ultimi venti anni. L’arco temporale è stato scelto anche con lo scopo di evidenziare l’influenza del ciclo economico sull’andamento della distribuzione del reddito: nella seconda metà degli anni ’80 il ciclo economico è nettamente in ripresa, si avvia infatti una fase espansiva, caratterizzata più dalla propria stabilità e durata che dal livello raggiunto dai tassi di crescita (Geri - Pennacchi, 1993). Negli anni ’90 è invece evidente l’esaurimento di tale fase espansiva (nel 1992-93 si è avuta la più grave recessione del secondo dopoguerra). Il periodo di crisi economica

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registratosi nei principali paesi industrializzati, tra cui l’Italia, agli inizi degli anni ’90 ha determinato una serie di cambiamenti di tipo permanente i cui effetti ancora oggi si fanno sentire. In Italia si sono avuti profondi cambiamenti nel mercato del lavoro, nel luglio del 1992, ad esempio, la scala mobile è stata definitivamente soppressa con la firma del protocollo triangolare di intesa tra il Governo Amato e le parti sociali. Si è assistito, inoltre, all’avvio della concertazione che ha avuto come principale effetto la moderazione salariale. Questi effetti sono il chiaro sintomo del brusco cambiamento strutturale avvenuto negli anni ’90 e che, in parte, è dipeso dal riassesto dei conti pubblici per il raggiungimento degli obiettivi imposti dal trattato di Maastricht.

Il reddito medio38 delle famiglie italiane ha quindi avuto un andamento altalenante: nel 1987 ha assunto un valore pari a 15506 euro (circa 1300 euro al mese), nel 1989 è aumentato fino a 17529 (circa 1400 euro al mese), mentre agli inizi degli anni ‘90 il reddito medio è iniziato a diminuire, è infatti sceso del 5 %, raggiungendo nel 1995 un valore pari a 16659 euro (circa 1388 euro al mese); tale riduzione è legata al periodo di crisi in cui versava l’economia italiana. Nei primi anni del nuovo secolo il reddito medio è tornato invece a crescere raggiungendo nel 2004 i 19544 euro (1600 euro al mese circa). Considerando, oltre alla media, anche il valore mediano del reddito, risulta che il 50% delle famiglie, nel 1987, ha percepito 13056 euro, nel 1989 ne ha percepiti 15009 euro, mentre ne l 1993 ne ha percepiti 14049, subendo quindi una riduzione del 6.3 %. Nel 2004 anche il valore mediano del reddito è tornato ad aumentare assumendo un valore pari a 16517 euro (vedi fig 4). Ad un primo esame si nota che il reddito medio e mediano hanno avuto la stesso andamento.

I risultati dell’indagine confermano l’esistenza di un profondo divario territoriale: la differenza fra il reddito familiare medio del Nord e quello del Sud39 risulta di 5820 euro nel 1987, di 8188 euro nel 1998 e di 9140 euro nel 2004.

Calcolando, ad esempio, il rapporto tra i redditi percepiti al Nord e quelli percepiti al Sud si nota che il divario tra di essi tende ad aumentare negli anni, in particolare tra il 1993 e il 1998 (vedi fig 5).

Le ragioni di questo divario sono da attribuire ai diversi livelli tecnologici, ad una diversa struttura produttiva e ai differenti profili occupazionali.

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Per effettuare un confronto fra i redditi medi dei vari anni, essi sono stati rivalutati usando l’indice dei prezzi del 2005.

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Fig 4 Reddito familiare equivalente - Anni 1987-2004 (media e mediana in euro)

12000 13500 15000 16500 18000 19500 1987 1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002 2004 Media Mediana

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Fig 5 Rapporto tra i redditi medi del Nord e quelli del Sud (Anni 1987, 1993, 1998, 2004) 1,33 1,38 1,43 1,48 1,53 1,58 1,63 1,68 1,73 1987 1993 1998 2004

rapporto tra i redditi percepiti al Nord e quelli percepiti alSud

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

È ormai noto che le regioni del Nord sono caratterizzate da industrie con una struttura professionale in cui è relativamente più consistente la quota di lavoro specializzato, e da un terziario avanzato (servizi alle imprese). Al Sud invece si assiste al permanere di una struttura produttiva tradizionale che dà maggior peso al settore agricolo, ed al terziario tradizionale (servizi alle persone). Tale struttura, unita all’elevato grado di disoccupazione, finisce con il determinare elevati livelli di disuguaglianza e redditi più bassi. L’evidenza empirica disponibile evidenzia un fenomeno che nella realtà potrebbe

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essere ancora molto rilevante, e cioè la consistente presenza al Sud di percettori di redditi molto bassi, spesso inferiori a quello minimo di sussistenza.

E’, infine, interessante notare che, fino al 2002, i redditi medi percepiti al Nord sono maggiori di quelli percepiti al Centro, mentre nel 2004 sono i redditi medi delle regioni Centrali ad essere superiori a quelli del Nord, si è quindi avuta un’inversione di tendenza.

Altri elementi che contribuiscono a determinare differenze nella distribuzione dei redditi, sono costituiti dalle differenze nella composizione familiare (vedi tab 4.1). L’evidenza empirica mostra che, per le coppie o i nuclei formati da tre individui, il reddito medio familiare40 è più alto, quando invece i membri sono più di quattro, l’andamento del reddito ha un’inversione: ad esempio nel 2004 un nucleo composto da tre soggetti ha un reddito medio pari a 20161 euro, mentre uno composto da cinque o più individui ne percepisce uno pari a 14932, si assiste quindi ad un sostanziale divario tra i redditi dei due tipi di famiglie, tale divario si riscontra in tutti gli anni esaminati anche se con diversa intensità.

Le altre variabili che concorrono a determinare differenze tra i redditi medi familiari sono rappresentate, in maniera prevedibile, dal numero totale di percettori presenti

nella famiglia e dall’attività principale del capofamiglia41.

Nell’ultimo ventennio le famiglie con uno o due percettori hanno guadagnato in media 16937 euro rispetto ai 23591 euro guadagnati dalle famiglie con tre o più percettori . A titolo descrittivo si noti che secondo uno studio dell’O ECD, nel periodo compreso tra la metà degli anni ’80 e ’90, in Italia, analogamente a quanto accaduto in altri paesi europei, si è verificato un lieve aumento del peso delle famiglie con due percettori, ed un conseguente aumento del loro reddito42 (Targetti Lenti, 2001).

Le famiglie in cui il lavoro autonomo costituisce il reddito principale del capofamiglia possono contare, in media, su un reddito maggiore rispetto alle altre. Facendo riferimento esclusivamente al 2004 si osserva che queste famiglie hanno guadagnato 28245 euro (2354 euro al mese) rispetto ai 20175 (1681 mensili) delle famiglie in cui il reddito principale deriva da lavoro dipendente43. Se il reddito prevalente è una

40 Si ricordi che il reddito medio familiare è normalizzato rispetto al numero degli individui tramite la

scala di equivalenza scelta.

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Occorre ricordare, tuttavia, che la nozione di “capofamiglia” è abbastanza evanescente dal momento che il ruolo di capofamiglia ha un significato più anagrafico-formale che socio-economico.

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Si veda Foster, Pellizzari (2000).

43

Fra i redditi autonomi, come è noto, figurano anche i redditi derivanti da attività di collaborazioni coordinate e continuative.

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pensione o il capofamiglia è disoccupato, il reddito netto medio è invece pari 17060 (1422 mensili). Queste differenze sono evidenti anche per gli altri anni analizzati: alla fine degli anni ’80 le famiglie, il cui capofamiglia aveva un reddito da lavoratore autonomo, potevano disporre di un reddito medio pari a 19051 euro (1588 mensili) mentre, quelle in cui il reddito principale derivava da lavoro dipendente, usufruivano di un reddito medio di 16419 euro (1368 al mese). Negli anni ’90 il divario tra i redditi percepiti da un lavoratore autonomo e quelli di un dipendente aumenta. Dalla figura 6 si evince infatti che tra il 1993 e il 1998 si è avuto un significativo aumento del divario tra i redditi da lavoro autonomo e quelli da lavoro dipendente, tale divario continua ad aumentare anche tra il 1998 e il 2004.

Fig 6 Rapporto tra i redditi medi da lavoro autonomo e quelli da lavoro dipendente (Anni 1987, 1993, 1998, 2004) 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 1987 1993 1998 2004

rapporto tra i redditi percepiti al Nord e quelli percepiti alSud da lavoro autonomo e quelli da lavoro dipendente

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Tab 4.1 Reddito net to medio familiare per ripartizione territoriale e caratteristiche della famiglia - Anni 1987-2004 (media espressa in euro)

1987 1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002 2004 Area di resid. Italia settentrionale 17603 19812 19350 18791 19238 20726 21880 21910 22468 Italia centrale 16514 18309 18315 18334 17959 20223 18837 19471 22474 Italia meridionale 11783 13332 13306 12337 12151 12538 13131 12897 13328 Dimensione Uno 12396 16058 16191 13688 13996 16516 16534 15906 19311 Due 15423 17700 17180 17135 17397 19291 19626 19561 20593 Tre 17212 19297 18607 18389 18522 19056 19692 21006 20161 Quattro 16257 17493 17102 17216 16562 17382 17858 18024 19237 Cinque o più 14257 15351 15661 14756 15254 15450 15960 15230 14932 N. percettori Uno 12339 13937 13824 12882 12725 14673 14825 14596 16562 Due 17765 19739 18913 19234 18873 19956 20946 21340 21741 Tre 21496 22731 22555 20927 21550 24122 23533 24316 25047 Quattro o più 24697 25370 24179 24765 26448 27306 26629 26150 27756

Attiv ità del capofamiglia Lavoratore dipendente 16419 18152 17616 18252 18131 18597 19466 19156 20175 Lavoratore autonomo 19051 22163 22156 20422 20289 24363 22880 24286 28245 Non lavoratore 12484 14434 14742 14122 14567 15639 16514 16480 17060 Totale 15506 17529 17172 16642 16659 17937 18349 18403 19544 Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

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4.4 LA DISUGUAGLIANZA

Al fine di confrontare le quote di reddito percepite dalle famiglie italiane e il grado di disuguaglianza riferito al periodo considerato, le ordiniamo partendo da quella con il reddito più basso a quella con il reddito più alto e le dividiamo in cinque gruppi (quinti o quintili). Il primo quinto comprende il 20 per cento delle famiglie con i redditi equivale nti più bassi, mentre l’ultimo quinto risulta composto dal 20 per cento di famiglie con i redditi più alti.

La distribuzione del reddito totale nei quintili ci fornisce una prima misura sintetica della disuguaglianza (vedi fig 7). In una situazione ipotetica di perfetta eguaglianza, ogni quinto avrebbe una quota di reddito totale pari al 20 per cento.

Soffermandoci sulla distribuzione dei redditi, relativa al 2004 (vedi fig 8), si nota che le famiglie con i redditi più bassi (primo quintile) percepiscono soltanto l’8 % del reddito totale; mentre la quota dell’ultimo quintile, quello più ricco, risulta cinque volte maggiore (40 %).

Anche nel 1987 si nota lo squilibrio nella distribuzione complessiva dei redditi, così come lo è durante gli anni ’90: il 20 per cento delle famiglie con i redditi più bassi gode di una quota distributiva pari al 6 %, mentre l’ultimo quinto gode di una quota pari al 40 %. In que l decennio, l’aumento del reddito percepito dalle famiglie più ricche è stato accompagnato da una diminuzione della quota percepita dalle famiglie più povere (vedi fig 7).

Fig 7 Ripartizione del reddito familiare netto per quinti

Anno 1987 8% 13% 17% 23% 39%

Primo quintile Secondo quintile Terzo quintile Quarto quintile Quinto quintile

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Anno 1998 6,71 12,28 16,82 22,58 41,59

Primo quintile Secondo quintile Terzo quintile Quarto quintile Quinto quintile

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Fig 8 Ripartizione del reddito familiare netto per quinti – Anno 2004 (in percentuale del reddito totale)

8%

13%

17%

22% 40%

Primo quintile Secondo quintile Terzo quintile Quarto quintile Quinto quintile

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Passiamo ora ad introdurre i principali risultati riguardanti alcune delle più importanti misure di disuguaglianza.

Tali indici, calcolati per la distribuzione del reddito espresso in termini equivalenti (il parametro ? è posto uguale a 0.5) ed attribuendo a ciascun nucleo familiare un peso campionario, sono riportati nella tabella 4.2.

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Tab 4.2 Misure di disuguaglianza - Anni (1987-2004)

ANNO CV P90/P10 I. GINI A(0.5) A(1) A(2) I.THEIL GE(3) 1987 0.66 4.24 0.32 (0.00414) 0.081 (0.00210) 0.16 (0.00380) 0.30 (0.01016) 0.1720 (0.00488) 0.3374 (0.0232) 1989 0.68 3.74 0.30 (0.00545) 0.075 (0.00376) 0.14 (0.00533) 0.33 (0.03841) 0.1633 (0.01162) 0.5714 (0.2154) 1991 0.63 3.67 0.29 (0.00510) 0.071 (0.00313) 0.14 (0.00475) 0.26 (0.00809) 0.1522 (0.00887) 0.3784 (0.0961) 1993 0.70 4.52 0.332 (0.004010) 0.091 (0.00228) 0.18 (0.00481) 0.64 (0.07608) 0.1902 (0.00544) 0.4161 (0.0472) 1995 0.72 4.45 0.330 (0.004349) 0.091 (0.00255) 0.18 (0.00438) 0.44 (0.04936) 0.1930 (0.00664) 0.5176 (0.0800) 1998 0.85 4.65 0.34 (0.006417) 0.103 (0.00446) 0.20 (0.00715) 0.55 (0.05150) 0.2259 (0.01317) 1.140 (0.3343) 2000 0.77 4.29 0.33 (0.00515) 0.092 (0.0034) 0.179 (0.0059) 0.645 (0.1069) 0.197 (0.0099) 0.791 (0.1878) 2002 0.71 4.24 0.32 (0.004440) 0.086 (0.00263) 0.17 (0.00489) 0.66 (0.08688) 0.1827 (0.00700) 0.5357 (0.1036) 2004 0.85 4.14 0.32 (0.005720) 0.091 (0.00405) 0.17 (0.00579) 0.50 (0.1218) 0.2055 (0.01268) 1.567 (0.6314)

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia (i valori tra parentesi corrispondono agli standard error calcolati per gli indici di disuguaglianza).

Per quanto concerne le definizioni di reddito alternative, sia quello familiare

complessivo (? = 0), sia quello pro capite (? = 1) portano a stimare una disuguaglianza

maggiore di quella che si ottiene usando i redditi equivalenti (tab 4.3 e 4.4).

Il cambiamento della scala di equivalenza comporta solamente una variazione dei valori degli indic i ma non ha alcun effetto sull’andamento temporale degli indici stessi; per questo motivo nel prosieguo si farà riferimento ai redditi equivalenti (? = 0.5) ponderati per unità familiare .

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Tab 4.3 Misure di disuguaglianza- Anni (1987-2004) reddito familiare

ANNO CV P90/P10 I. GINI A(0.5) A(1) A(2)

1987 0.72 5.404 0.35 0.09 0.19 0.36 1989 0.67 4.667 0.32 0.08 0.16 0.41 1991 0.64 4.667 0.32 0.08 0.16 0.32 1993 0.74 6.032 0.36 0.10 0.21 0.63 1995 0.79 5.775 0.36 0.10 0.21 0.47 1998 0.85 5.777 0.37 0.11 0.22 0.59 2000 0.79 5.363 0.36 0.11 0.20 0.71 2002 0.76 5.226 0.35 0.10 0.20 0.68 2004 0.86 5.024 0.35 0.10 0.19 0.57

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Tab 4.4 Misure di disuguaglianza- Anni (1987-2004) reddito pro capite

ANNO CV P90/P10 I. GINI A(0.5) A(1) A(2)

1987 0.69 4.57 0.327 0.08 0.17 0.33 1989 0.86 4.29 0.327 0.09 0.16 0.34 1991 0.78 4.20 0.323 0.08 0.16 0.31 1993 0.75 5.00 0.345 0.10 0.19 0.68 1995 0.76 5.00 0.346 0.10 0.19 0.48 1998 0.96 5.19 0.368 0.11 0.22 0.58 2000 0.86 4.93 0.351 0.10 0.20 0.62 2002 0.75 4.92 0.339 0.09 0.19 0.69 2004 0.97 5.10 0.359 0.11 0.20 0.50

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Concentrandosi quindi sulla prima tabella, e prendendo come indice di riferimento l’indice di Gini, si osserva che, rispetto agli ultimi anni ‘80, nel decennio successivo si è avuto un consistente aumento della disuguaglianza, incremento che tende ad attenuarsi nei primi anni del 2000 quando l’indice di Gini torna ad avere i valori assunti negli ultimi anni ‘80. Solo in due casi, tuttavia, la distribuzione di un anno (1993, 1998) “domina” quella dell’anno precedente (1991, 1995) secondo il criterio della dominanza in senso di Lorenz.

(13)

La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi familiari equivalenti mostra tendenze di medio lungo periodo contrastanti ed alcune oscillazioni cicliche. Gli ultimi anni ‘80 (e più precisamente il periodo ’87 – ’91) sono stati caratterizzati da una sostanziale “ripresa egualitaria”, c’è stata una riduzione della disuguaglianza rispetto ai primi anni ’80 (Pennacchi - Geri, 1993). Proprio in questi anni sembra possibile individuare un legame tra disuguaglianza e ciclo, in linea con l’esperienza di altri paesi, ed in relazione alle conseguenze delle politiche economiche che influenzano sia la dinamica dell’occupazione che le quo te distributive (Targetti Lenti - Bottiroli Civardi, 2001). La disuguaglianza tende a decrescere quando l’economia ristagna o è in recessione (per esempio fra il 1973 e il 1975, fra il 1980 e il 1983)e cresce quando il prodotto interno lordo mostra significative tendenze all’incremento (fra il 1976 e il 1979 e fra il 1984 e il 1989) (Paci, 1993).

A partire dall’inizio degli anni ‘90, tuttavia, sembra essersi attenuato questo legame tra ciclo e disuguaglianza e si è manifestato un processo di crescita sistematica di quest’ultima, dal 1991 al 1993 si è avuto infatti un forte aumento dell’indice di Gini. La tendenza alla crescita ha caratterizzato tutto il periodo successivo al 1993 fino al 1998. Nei primi anni del 2000, invece si è avuta una nuova inversione di tendenza caratterizzata da una diminuzione della disuguaglianza.

L’indice di Gini calcolato sulla distribuzione dei redditi familiari equivalenti passa da un valore pari a 0.29 nel 1991 a 0.34 nel 1998, mentre nel 2004 torna ad avere un valore pari a 0.32. Come si osserva nella tabella 4.2, sono stati calcolati gli standard

error.

Lo standard error viene inteso come una stima della variabilità dell’indice, ovvero una misura della sua imprecisione. Esso costituisce il primo passo per verificare l’accuratezza di una misura ma ha anche lo svantaggio che, per la maggior parte delle stime statistiche, non esistono formule semplici e di immediata applicazione44. Nel caso dell’indice di Gini, gli standard error sono molto piccoli e ciò conferma le nostre stime, permettendoci quindi di affermare che tra il 1989 ed il 1998 si è avuto un forte aumento della concentrazione dei redditi e, dopo una prima diminuzione avvenuta tra il ’98 ed il 2002, dal 2002 al 2004 si assiste ad un andamento pressoché stabile. La fig 9 mostra l’andamento nel tempo del coefficiente di concentrazione all’interno del suo intervallo di confidenza.

44

(14)

Se calcoliamo l’indice di concentrazione anche all’interno dei vari quintili (vedi fig 10) ed in particolare nel primo e nell’ultimo, si osserva che tra il 1987 e il 1991 tale l’indice, per entrambe i quintili, diminuisce. Dal 1991 al 1998 si assiste ad un forte aumento della concentrazione per i due quintili, mentre dal 1998 al 2004, l’indice di Gini diminuisce, ma per le famiglie con i redditi più alti tale riduzione è lieve, per quelle con i redditi più bassi invece la diminuzione è molto più marcata ed evidente.

Fig 9 Disuguaglianza dei redditi disponibili equivalenti,1987-2004 (indice di Gini, valori percentuali)

0,2 0,22 0,24 0,26 0,28 0,3 0,32 0,34 0,36 0,38 0,4 1987 1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002 2004 Limite superiore Indice di Gini Limite inferiore

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Fig 10 Indice di Gini calcolato nel primo e nel quinto quintile (Anni 1987, 1991, 1998, 2004) 0,1 0,13 0,16 0,19 0,22 0,25 0,28 1987 1991 1998 2004

Indice di Gini nel 1° quintile Indice di Gini nel 5° quintile Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

(15)

Se facciamo riferimento, per quanto riguarda lo standard error, agli indici di Atkinson e di Entropia Generalizzata, si osserva che all’aumentare del valore del parametro, indicato rispettivamente da e e a, il valore dello standard error aumenta indicando così un peggioramento della precisione degli indici stessi.

La crescita nella disuguaglianza appare ancora più evidente se si calcolano il coefficiente di variazione ed il rapporto interdecilico: nel primo caso si passa da 0.63 nel 1991 a 0.85 nel 1998, nel secondo caso invece si passa da 3.67 nel 1991 a 4.65 nel 1998. L’incremento dell’indice di Gini è attribuibile essenzialmente all’aumento della

quota di reddito percepita dall’ultimo decimo, a scapito di tutti gli altri45. Tra il 1991 e il 1998 questa quota passa da 23.1 % a 26.2 %, nello stesso periodo la quota del 1° decimo passa da 3.4 % a 2.37 % quella del 2° decimo passa da 4.9 a 4.4. Anche i decimi intermedi perdono quote di reddito46. L’Italia è quindi il paese in cui più sensibile è la crescita della quota di reddito percepita dall’ultimo decimo e contemporaneamente è più accentuata la diminuzione della quota percepita dai primi due. Nel precedente capitolo si è parlato di un altro importante indice di disuguaglianza: l’indice di Atkinson. È stato descritto come un indicatore di “inefficienza distributiva”, nel senso che misura la perdita di benessere indotta da una distribuzione diseguale. Il valore assunto dall’indice varia al variare del para metro di avversione alla disuguaglianza, (e),: più questo parametro è positivo e più l’indice è sensibile alle differenze di reddito nella parte bassa della distribuzione. Considerando, ad esempio, il 1987, se e = 0.5 l’indice da Atkinson è pari a 0.081, se e = 1 allora l’indice è uguale a 0.16 e, infine, se e = 2 esso risulta pari a 0.30. Si ha un incremento del grado di disuguaglianza e quindi della perdita causata da una distribuzione disuguale (vedi tab 4.2). L’andamento temporale dell’indice non varia, al variare di e l’indice assume valori differenti.

L’evoluzione nel tempo della disugua glianza nella distribuzione dei redditi può essere facilmente studiata mediante la rappresentazione grafica di quest’ultima. A questo proposito uno strumento, largamente diffuso tra gli studiosi della materia, è la curva di Lorenz. Non si tratta di un indice sintetico bensì di una misura relativa della

disuguaglianza che individua la quota del reddito totale posseduta da frazioni cumulate

45

Si giunge alla medesima conclusione anche nel caso in cui la popolazione venga divisa in quintili.

46

Per un confronto dei mutamenti nelle quote di reddito percepite dai decimi di popolazione nei diversi paesi europei si rimanda a Foster M.F., Pellizzari M. (2000).

(16)

della popolazione. Quanto più la curva si avvicina alla retta a 45° (distribuzione uniforme) tanto più si può affermare che la distribuzione è vicina all’equivalente della “perfetta uguaglianza ”; quanto più se ne allontana tanto più si verifica disuguaglianza. Il confronto viene fatto tra la distribuzione dei redditi del 1998 e quella del 2004 (vedi fig 11). Date le due distribuzioni, la curva che rappresenta la distribuzione del 2004 giace sempre al di sopra della curva del 1998, questo significa che la prima domina la seconda secondo Lo renz , cioè la distribuzione del 2004 è meno disuguale di quella del 1998. La curva non dice, però, nulla circa il reddito medio delle due popolazioni. Utilizzando la curva di Lorenz si arriva alla stessa conclusione cui si era giunti usando gli indici sintetici: gli anni ‘90 sono stati caratterizzati da una maggior disuguaglianza rispetto ai primi anni del 2000.

Fig 11 Curva di Lorenz del reddito familiare disponibile equivalente

0 .2 .4 .6 .8 1 0 .2 .4 .6 .8 1

Lorenz ordinate (income)

0 .2 .4 .6 .8 1

Cumulative population share, p

1998 2004

Equality

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Sulla base dell’evidenza illustrata possiamo concludere che, sebbene si sia avuta una fase di ripresa dell’ economia italiana, essa non ha prodotto un riequilibrio nella distribuzione del reddito familiare. Le misure di disuguaglianza non hanno subito nel tempo, ad eccezione del periodo tra il 1991 e il 1993, notevoli cambiamenti.

Le variabili che influenzano la distribuzione del reddito familiare sono molteplici; non è quindi possibile nell’ambito del presente lavoro analizzarle con completezza. Si è però identificato e osservato con maggior dettaglio quelle che apparivano più rilevanti:

(17)

la posizione professionale del capofamiglia; la ripartizione territoriale di residenza, il titolo di studio del capofamiglia e la dimensione del nucleo familiare.

4.4.1 CARATTERISTICHE SOCIO -DEMOGRAFICHE E DISUGUAGLIANZA

Gli elementi che posso contribuire a spiegare le differenze nella distribuzione dei redditi sono molti. Le disuguaglianze di reddito possono infatti essere la conseguenza di diverse scelte individuali circa l’area di residenza, l’attività lavorativa o il titolo di studio. Per tale motivo abbiamo deciso di dividere la popolazione in vari gruppi sulla base di alcune caratteristiche e si è calcolato l’indice di concentrazione per ogni gruppo al fine di mettere in evidenza i diversi livelli di disuguaglianza che vi si generano all’interno.

Questa analisi è stata svolta unicamente per gli anni 1987, 1998 e 2004 per motivi di semplicità e chiarezza ed i risultati sono riportati nella tabella 4.5.

Il primo fattore che andremo ad analizzare è la ripartizione territoriale, ovvero si studierà l’effetto che la separazione tra Nord, Centro e Sud ha sulla distribuzione dei redditi familiari equivalenti e sul conseguente livello di disuguaglianza.

Suddividendo le famiglie italiane in base alla residenza in una delle tre grandi circoscrizioni del paese, si osserva, ad esempio, che dal 1987 al 1998 c’è stato un aumento nel grado di concentrazione dei redditi in particolare per le famiglie del Sud (si passa da un valore pari a 0.318 nel 1987 a 0.336 nel 1998); nel 2004 invece si osserva una riduzione dell’indice di Gini che torna ad avere un valore pari 0.31. L’andamento dell’indice, all’interno delle tre aree, rispecchia il suo andamento a livello nazionale. Confrontando i valori assunti dalle misure di disuguaglianze emerge comunque una differenza tra quelli assunti al Centro/Nord e quelli assunti al Sud; in quest’ultima area si riscontra un grado di concentrazione dei redditi più alto rispetto alle altre due : nel 1987 l’indice di Gini al Sud è pari a 0.318 mentre al Centro è pari a 0.28, nel 1998 invece sale a 0.336 nel Mezzogiorno e a 0.329 al Centro. In generale si può affermare che la zona caratterizzata da una minor disuguaglianza nella distribuzione dei redditi è il l’Italia centrale.

Si ritiene che le differenze nella distribuzione dei redditi trovino una giustificazione nelle “marcate disparità tra i gruppi d’individui che competono nel mercato del lavoro” (Civardi Bottiroli - Targetti Lenti, 2001). Al Sud, nel corso degli anni ‘90 è aumentata la disoccupazione soprattutto tra i giovani ed è incrementato il lavoro irregolare. Al Nord,

(18)

a causa anche dell’accelerazione dei cambiamenti tecnologici, i fattori all’origine della disuguaglianza hanno agito in direzioni contrastanti. All’interno del settore industriale, il passaggio da una organizzazione gerarchica ad una a “rete” ed il maggior ricorso ai lavoratori qualificati hanno finito con l’appiattire le retribuzioni. Allo stesso tempo si è ampliato il ventaglio delle retribuzioni tra settori; è anche aumentato il numero di lavoratori indipendenti e quello degli occupati a basso reddito, grazie al ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative (Civardi Bottiroli - Targetti Lenti, 2001). Per tali motivi la disuguaglianza al Nord è minore rispetto a quella del Sud. La disuguaglianza, registrata al Centro, pur essendo minore rispetto a quella osservata nelle altre due zone, ha subito, nel corso degli anni, forti oscillazioni: è aumentata di 4 punti nel 1998 e nel 2004 è diminuita nella stessa misura.

Il secondo fattore da prendere in esame è la condizione professionale del

capofamiglia.

Per evidenziare le relazioni tra struttura produttiva e distribuzione dei redditi, è opportuno distinguere le famiglie con capofamiglia “lavoratore dipe ndente” da quelle con capofamiglia “lavoratore autonomo ” e “non lavoratore ” (fanno parte di que sto settore anche i pensionati).

Questa distinzione è in Italia assai più rilevante che nei principali paesi occidentali. Dal punto di vista dell’evoluzione nel tempo, negli anni ‘90 e nei primi anni del 2000 si è assistito ad aumento delle famiglie con capofamiglia non lavoratore : la loro quota è passata dal 30.6 per cento del 1987 al 47.2 per cento del 1998 fino ad arrivare al 56 per cento nel 2004. Per quanto riguarda, invece, il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente, si è avuta una flessione nel tempo : nel primo caso nel 1987 le famiglie con capofamiglia lavoratore autonomo erano il 22.5 per cento del totale, mentre, nel 2004, la percentuale è scesa al 10.7; nel secondo caso si è passati dal 46.8 per cento del 1987 al 33.3 per cento del 2004. Al di là delle cause di questi mutamenti, è probabile che tali fenomeni abbiano influenzato il profilo temporale della distribuzione dei redditi: il grado di disuguaglianza all’interno di ciascuna tipologia familiare è diverso. La

posizione professionale che determina la maggior concentrazione dei redditi è, prevedibilmente, il libero professionista: in questo settore si osserva un valore

dell’indice di Gini maggiore rispetto a quello assunto negli altri due settori per tutti gli anni considerati: nel 1987 è pari a 0.38, nel 1998 è pari a 0.40 e nel 2004 a 0.41. Per quanto riguarda le famiglie con capofamiglia non lavoratore, si osserva che questa categoria è quella in cui il livello di disuguaglianza ha subito oscillazioni maggiori,

(19)

rimanendo comunque inferiore al livello registrato nella categoria dei lavoratori autonomi.

Tab 4.5 Indice di Gini - Anni 1987, ’98, 2004

1987 1998 2004

Italia settentrionale 0.300 0.319 0.302

Italia centrale 0.280 0.329 0.292

Italia meridionale 0.318 0.336 0.311

Attività principale del capofamiglia

Lavoratore dipendente 0.284 0.287 0.283

Lavoratore autonomo 0.380 0.402 0.408

Non lavoratore 0.283 0.347 0.312

Totale della popolazione 0.32 0.34 0.32

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

4.4.2 LE RELAZIONI TRA LIVELLO D’ISTRUZIONE E DISUGUAGLIANZA

In un’economia capitalistica le regole di mercato non solo consentono differenze di reddito, ma ne favoriscono la trasmissione intergenerazionale mediante eredità di varia natura. La mobilità sociale è spesso ostacolata da logiche di appartenenza familiare e/o di ceto. L’adesione ad esse limita fortemente la possibilità di ogni generazione futura di acquisire posizioni diverse da quelle occupate dai genitori47. Molti sono i fattori che determinano una dispersione dei redditi personali, tipica in questo senso è l’influenza delle abilità innate e/o acquisite mediante l’istruzione. In un sistema in cui i redditi si determinano sul mercato, un’ineguale distribuzione delle abilità e della formazione tenderà a produrre una distribuzione ineguale dei redditi. La distribuzione delle abilità finisce con l’accentuare l’importanza di altri fattori anti-egualitari come quelli legati al “caso”48.

47

Per un’analisi della mobilità intergenerazionale nella distribuzione del reddito si rimanda a Checchi (1996,1997).

48

“Spesso non è per abilità, bensì per fortuna, che un imprenditore anticipa una improvvisa svolta della domanda, o che un lavoratore investe in una specializzazione che domani sarà molto richiesta e molto remunerata. Questi elementi di imprevedibilità e di azzardo solo in piccola parte possono essere temperati da strategie assicurative: per un singolo, gli eventi sfavorevoli raramente si compensano con quelli

(20)

Il livello d’istruzione è da considerarsi uno dei fattori più significativi nello spiegare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi49. Esso d’altra parte risulta strettamente legato ad altri fattori riguardanti le caratteristiche della famiglia d’origine ed a quelle dell’individuo stesso nonché alla struttura del sistema scolastico50.

Gli investimenti in capitale umano sono considerati una delle variabili cruciali che limitano la mobilità e permettono il mantenimento delle disuguaglianza. La scelta

occupazionale e la conseguente collocazione sociale dipendono non solo dal livello di scolarità ma anche dal background familiare e dal prestigio paterno. Ciò avviene solo al di sopra di una certa soglia, e la sua intensità è massima nei ceti medio-alti. I ceti medi userebbero l’istruzione come investimento sui figli che innalza le barriere d’accesso mentre per le elites l’istruzione appare come uno status symbol necessario.

Le distribuzioni dei redditi da lavoro o da pensione, al netto delle imposte dirette, in relazione all’età ed al titolo di studio dei percettori ricavate dall’Indagine della Banca d’Italia, mostrano che l’andamento dei profili retributivi, al crescere dell’esperienza lavorativa, tende ad assumere un andamento ad U rovesciata, con un massimo collocabile tra i 50 e i 60 anni (corrispondenti ai 25-30 anni di esperienza lavorativa) in cui viene raggiunta la massima capacità di guadagno, da questo momento in poi comincerà invece a stabilizzarsi per poi diminuire per effetto dell’obsolescenza (Livraghi, 1997).

Nel nostro studio, invece, si sono calcolati i redditi medi familiari, aventi lo stesso potere d’acquisto, sulla base del titolo di studio del capofamiglia. Il motivo di questa scelta è semplice, si intende mettere in evidenza come un diverso percorso scolastico determini differenti capacità retributive e quindi diversi livelli di benessere. Anche in questo caso sono stati scelti solo tre anni: il 1987, il 1998 e il 2004 per mostrare l’incidenza di tale fattore nel tempo (vedi fig 12).

Dalla figura 12 si evince che, al crescere del titolo di studio del capofamiglia, il reddito medio familiare aumenta.

Nel 1998 le famiglie il cui capofamiglia è in possesso di una laurea o di una specializzazione post-laurea, presentano il reddito medio più alto pari a 33572 euro

favorevoli, generando, nel tempo, un reddito medio prevedibile. A volte la possibilità di ritentare la sorte può non esserci proprio, o può esserci da posizioni compromesse” Si veda Salvati (1989).

49

Le due teorie più note sono probabilmente quella chiamata dello screening , che interpreta i titoli di studio più elevati come indicatori di una maggior dotazione di abilità, e quella del capitale umano, che invece vede nella formazione scolastica il mezzo per dotare gli individui di conoscenza che aumentano la propria produttività che per questo verrà remunerata maggiormente.

50

(21)

(2798 euro al mese), mentre le famiglie con capofamiglia privo di qualsiasi titolo di studio percepiscono un reddito medio pari a 10834 euro (903 euro mensili), circa 3 volte meno rispetto alla prime. Anche nel 2004 il divario tra le famiglie in cui il capofamiglia non ha alcun titolo di studio e quelle in cui invece ha una laurea o una specializzazione post- laurea continua ad esistere. Le maggiori differenze tra i vari tipi di famiglie si registrano nel 1998 e questo a conferma di quanto affermato nei paragrafi precedenti.

Fig 12 Redditi medi familiari in base al titolo di studio del capofamiglia Anni 1987, ’98, 2004 8000 13000 18000 23000 28000 33000 38000 1987 1998 2004

Nessuno Licenza elementare

Licenza media inferiore Diploma media superiore Laurea e specializzazione post-laurea

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

La tab 4.6 mostra i valori dell’indice di Gini calcolati per ogni titolo di studio. Indicano livelli di concentrazione non eccessivamente elevati, ma significativi: il titolo che determina il maggior grado di concentrazione dei redditi, nel 1987 è il diploma di media superiore con Ig pari a 0,289, mentre nel 1998 e nel 2004, è la laurea a

determinare la disuguaglianza più alta con Ig rispettivamente pari a 0.344 e a 0.320. Si

noti che le famiglie con capofamiglia laureato, o in possesso della specializzazione post-laurea, costituiscono, in tutti e tre gli anni, una percentuale molto bassa (circa il 9%) del totale delle famiglie.

È importante osservare come le famiglie classificate per livello d’istruzione del capofamiglia presentino profili reddituali differenziati a seconda dell’area geografica di residenza. Al Nord si osserva “uno spostamento verso l’alto dei livelli di reddito dei percettori con i più elevati livelli d’istruzione (laurea o titoli più elevati)”. Al Sud l’incremento della densità della coda inferiore della distribuzione complessiva è

(22)

attribuibile allo spostamento verso sinistra delle distribuzioni relative ai capofamiglia con licenza di scuola media e secondaria (D’Ambrosio, 2000).

Un tentativo di stima del rendimento di un anno aggiuntivo di istruzione e/o esperienza lavorativa è stato effettuato da Cannari e D’Alessio (1995). I risultati delle loro stime portano a concludere che per due individui con caratteristiche identiche (di uguale età,

sesso, luogo di residenza e così via) che hanno iniziato a lavorare appena conclusa la scuola e che differiscono solo per avere il primo una licenza media inferiore ed il secondo un diploma di scuola superiore le differenze retributive tra i due soggetti sarebbero dell’ordine del 20-25 %51.

In base a questi risultati sembrerebbe quindi che l’investimento in capitale umano, pur mediato dalle diverse abilità innate, sia un fattore determinante nello spiegare la disuguaglianza tra le capacità di guadagno degli individui. Se dunque questi valori, pur con una certa sovrastima, non sono lontani dalla realtà per quali ragioni tale investimento non è effettuato da tutti? La realtà, in effetti, è molto più articolata.

Senza dubbio esistono molti fattori sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta che condizionano in maniera significativa la capacità di guadagno degli individui. La misura del contributo relativo dei vari tipi di fattori è purtroppo fortemente ostacolata dalla mancanza di banche dati.

Tab 4.6 Indice di Gini - Anni 1987, 1998, 2004

1987 1998 2004

Nessuno 0.253 0.274 0.237

Licenza elementare 0.281 0.301 0.274

Licenza media inferiore 0.280 0.292 0.299

Diploma media superiore 0.289 0.318 0.292

Laurea o Specializzazione post-laurea 0.278 0.344 0.320

Totale della popolazione 0.32 0.34 0.32

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

51

Si osservi che una delle possibili cause di distorsione di queste ultime stime è rappresentata dalla effettiva non interdipendenza tra livello d’istruzione e possibilità di guadagno. È indubbio infatti che gli individui più dotati di capacità naturali sono spesso anche i migliori a scuola e sul lavoro; ciò aumenta le loro capacità di guadagno così che il rendimento dell’istruzione fornito dal modello risulta sovrastimato.

(23)

4.4.3 GRUPPI SOCIALI ED EVOLUZIONE DELLA DISUGUAGLIANZA

Un indice I si definisce scomponibile per gruppi (identificati sulla base di alcune caratteristiche socio-demografiche) se può essere espresso come la somma ponderata dei valori che l’indice assume in ciascun sottogruppo (siano tali valori Ig) più un

termine, IB, che misura la disuguaglianza tra i gruppi.

La disuguaglianza complessivamente misurata per la distribuzione dei redditi familiari può quindi essere scomposta in una scomposizione fra gruppi omogenei di famiglie e in una disuguaglianza all’interno di ciascun gruppo. Questa scomposizione può contribuire all’individuazione delle origini della disuguaglianza.

Sulla scomposizione delle misure di disuguaglianza esiste una vasta letteratura, alla base della quale si trova l’impossibilità di giungere ad una scomposizione esatta di molti indici ed in particolare dell’indice di Gini52.

Per superare gli inconvenienti posti dall’esistenza di un residuo, si possono usare misure alternative che rispettano l’assioma di scomponibilità53, fra le quali l’indice di Atkinson:

( )

ε µ ( ) ( )εε = −               − =

1 1 1 1 1 1 N i i y N A

Nella tab. 4.7 sono riportati i risultati della scomposizione per tre anni chiave (1987, 1998, 2004) applicata ai diversi gruppi individuati54 sulla base dell’area geografica di residenza, del titolo di studio del capofamiglia, del numero di componenti della famiglia e dell’attività principale del capofamiglia. Dalla scomposizione si ricava che la quota dominante della disuguaglianza del reddito disponibile equivalente deriva

dalla disuguaglianza interna ai gruppi, mentre è piuttosto piccola la quota della

52

La separazione di questo indice in una componente che misura la concentrazione nei gruppi

(within-groups) e in una che coglie la differenza fra gruppi (between-(within-groups) genera un residuo, il cui valore

dipende dal grado di sovrapposizione (over-lapping) dei gruppi rispetto alla variabile esaminata. Mookherjee e Shorrocks (1982) e Cowell (1988) hanno presentato esempi in cui il residuo della decomposizione dell’indice di Gini ha “effetti perversi”, come quello di generare un aumento della disuguaglianza in tutti i gruppi considerati. Per l’interpretazione del residuo si veda Pyatt (1976), Silber (1989), Lambert e Aronson (1993).

53

Già nel 1967, Theil aveva proposto di usare alcune misure basate sulla nozione di entropia per analizzare la distribuzione dei redditi.

54

Per non ridurre eccessivamente la dimensione campionaria di ciascun gruppo considerato, non si è proceduto ad incrociare fra loro le diverse chiavi di classificazione.

(24)

disuguaglianza totale derivante da quella che si genera tra i gruppi. Tale risultato è in

linea con quanto ottenuto in altre analisi (vedi a titolo di esempio N. Rossi, 1992-93). Malgrado il nostro paese sia caratterizzato da profondi squilibri regionali, la disuguaglianza nei redditi familiari55 tra Nord, Centro e Sud spiega solo l’1.6 per cento contro il 14 per cento spiegato dalla disuguaglianza che si registra all’interno di ciascun gruppo.

Tale differenza si riscontra anche per quanto riguarda le altre variabili, seppur con una “intensità” diversa. Più rilevanti sono le differenze nei livelli di benessere fra gruppi distinti per attività lavorativa del capofamiglia, che spiegano tra il 15 e il 19 per cento della disuguaglianza complessiva.

L’andamento ad U della disuguaglianza between-groups sembra implicare un aumento, dell’importanza del divario territoriale, del premio d’istruzione e dell’attività del capofamiglia dalla fine degli anni ’80 in poi.

Tab 4.7 Scomposizione per gruppi dell’indice di Atkinson (e=1) Anni (1987, 1998, 2004)

CRITERIO DI DEFINIZIONE DEI GRUPPI 1987 1998 2004

Area geografica di residenza

Disuguaglianza within Disuguaglianza between 0.14 0.016 0.17 0.026 0.147 0.028

Titolo di studio del capofamiglia

Disuguaglianza within Disuguaglianza between 0.12 0.035 0.171 0.035 0.143 0.033 Numero di componenti Disuguaglianza within Disuguaglianza between 0.15 0.006 0.197 0.003 0.168 0.003

Attività professionale del capofamiglia

Disuguaglianza within Disuguaglianza between 0.148 0.008 0.19 0.011 0.16 0.009 Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

55

Il confronto riguarda i redditi monetari equivalenti delle tre aree e trascura quindi le differenze geografiche presenti nei livelli dei prezzi.

(25)

4.5 UN CONFRONTO TRA BANCA D’ITALIA ED ISTAT

In uno studio condotto dall’ISTAT circa il “Reddito e le condizioni economiche in Italia” pubblicato nel 2006 viene descritta la distribuzione dei redditi delle famiglie italiane nel 2004.

L’unità di riferimento è la famiglia intesa in senso ampio, come un gruppo di individui uniti da legami di sangue, dal matrimonio o da altri tipi di relazione. Il campione utilizzato comprende famiglie formate da almeno due persone, a differenza di quanto avviene nel campione usato dalla Banca d’Italia, dove sono considerati anche i single. La definizione di reddito adottata dall’Istat segue quella armonizzata Eurostat56: il reddito netto familiare totale è pari alla somma dei redditi da lavoro dipendente e autonomo, di quelli da capitale reale e finanziario, delle pensioni e degli altri trasferimenti pubblici e privati ricevuti dalle famiglie, al netto del prelievo tributario e contributivo e di eventuali imposte patrimoniali.

La medesima definizione viene usata nelle analisi condotte dalla Banca d’Italia. Nel calcolo del reddito netto, sia la BdI che l’Istat57, considerano i fitti imputati il cui valore viene stimato dal proprietario stesso in base al prezzo che ritiene si dovrebbe pagare per vivere in affitto nella sua abitazione.

Mettendo a confronto i risultati ottenuti nella nostra analisi e quelli riportati nel documento Istat sopramenzionato, risultano evidenti delle differenze che vengono mostrate nella tab 4.8.

Tab 4.8 Reddito netto familiare e I. di Gini – Anno 2004

ISTAT* SHIW

Reddito netto familiare 33396 29606

Indice di Gini 0.313 0.326

[*] Dati provvisori

Fonti: SHIW: Banca d’Italia

Innanzitutto è importante dire che i due Istituti adottano una definizione differente di forza lavoro, ad esempio nel caso delle casalinghe, quest’ultime vengono considerate

56

I risultati dell’analisi condotta dall’Eurostat sono riportati nell’European Community Household Panel Survey (ECHP).

57

L’Istat produce due serie di redditi, una che tiene conto dei fitti imputati e una che invece non ne tiene conto. Nel nostro confro nto con i redditi della BdI utilizziamo quella che considera i fitti.

(26)

come pensionate nelle indagini della Banca d’Italia mentre come casalinghe, e quindi non percettori di reddito, dall’Istat.

Una composizione diversa del mercato del lavoro determina necessariamente delle differenze nelle stime dei redditi e delle misure di disuguaglianza.

L’Istat è inoltre molto più preciso, rispetto alla Banca d’Italia, nel riportare i benefici monetari ricevuti dalle famiglie, ma, per quanto riguarda i guadagni degli occupati, il reddito di proprietà e il reddito da capitale, i dati sono molto meno dettagliati. Per tali ragioni, la discrepanza, nelle stime dei redditi, effettuate dai due istituti, tende ad oscillare tra il 10 e il 14 %. I dati dell’Istat presentano anche un altro problema, ovvero le persone più ricche mostrano una maggior propensione a lasciare il campione rispetto a quelle più povere determinando così una sottostima della disuguaglianza (Brandolini, 1999).

Negli anni i dati SHIW hanno subito delle modifiche e sono stati ri-pesati in linea con la struttura socio-demografica della popolazione descritta nelle statistiche ufficiali. D’Alessio (1997) rilevò che le variazioni, derivanti da tali aggiustamenti, riguardavano sia il reddito degli autonomi che dei lavoratori dipendenti: i primi dovevano essere rivisti “verso l’alto” mentre i secondi “verso il basso”. Gli effetti di tali modifiche si ripercuotono sull’indice di Gini che risulterà essere di conseguenza più alto.

Le analisi condotte dalla BdI incontrano anche un secondo problema, ovvero quello di riuscire a rilevare, per ciascun individuo, l’eventuale secondo lavoro svolto. Una sottostima delle seconde attività lavorative comporta infatti degli effetti sui valori medi dei redditi delle famiglie (Brandolini, 1999). Il reddito netto familiare (non equivalente) calcolato dall’ISTAT è, in effetti, più alto rispetto a quello calcolato nel nostro studio.

Una causa del diverso grado di concentrazione dei redditi nelle due analisi può essere rappresentata dal fatto che l’indice di Gini, nello studio Istat, è stato calcolato attribuendo ad ogni individuo il reddito (familiare) equivalente della famiglia di appartenenza e considerando come unità statistiche gli individui. La scala mediante la quale sono stati resi equivalenti i redditi è quella raccomandata dall’Ocse: il parametro (?) usato per calcolare il reddito equivalente è pari alla somma di più coefficienti individuali (1 per il primo adulto, 0.5 per ogni altro adulto e 0.3 per ogni minore di 14 anni). Questa scala di equivalenza è attualmente impiegata da Eurostat per il calcolo degli indicatori di disuguaglianza compresi nelle statistiche ufficiali dell’Unione Europea.

(27)

Nel presente lavoro, invece, l’indice di Gini è stato calcolato attribuendo a ciascuna famiglia il proprio reddito netto reso equivalente attraverso la radice quadrata del numero di componenti (? = 0.5).

L’uso di una diversa scala di equivalenza comporta quindi un risultato differente per gli indici di disuguaglianza e qui in particolare dell’indice di Gini. La tab 4.8 mostra un indice maggiore nel caso dei dati SHIW, pari a 0.326, rispetto a quello ottenuto sulla base dei dati Istat, pari a 0.313; ciò indica un livello di concentrazione dei redditi più elevato nel primo caso rispetto al secondo. In effetti la scelta del parametro influenza il profilo della disuguaglianza: essa è alta per livelli bassi di ? mentre tende a diminuire al crescere del valore del parametro per poi aumentare nuovamente per valori di ? prossimi ad uno.

Se i redditi, rilevati dalla BdI, fossero stati resi equivalenti mediante la scala d’equivalenza raccomandata dall’Ocse, ovvero quella usata dall’Istat, la differenza tra i livelli di concentrazione continuerebbe ed esistere. L’indice di Gini calcolato con questi nuovi redditi equivalenti sale ed è uguale a 0.3278; pertanto il divario con l’indice di Gini calcolato dall’Istat continua ad esistere.

4.6 LA POVERTA’

Dopo aver analizzato l’evoluzione della disuguaglianza, esaminiamo ora il quadro evolutivo della povertà, usando anche in questo caso i microdati sul reddito rilevati dalla Banca d’Italia.

La tab 4.9 e la figura 13 mostrano l’evoluzione della diffusione e dell’intensità della povertà relativa, qui calcolata sui redditi familiari equivalenti. Le soglie di povertà (SP) nazionali, calcolate per ciascun anno e a parità di potere d’acquisto, corrispondono al 60% del valore mediano del reddito familiare equivalente. Come si osserva nella tabella 4.9, la soglia di povertà aumenta negli ultimi anni ’80, diminuisce nel decennio successivo ed aumenta nuovamente nei primi del 2000. Questo andamento era prevedibile dato che la soglia di povertà deriva dal reddito che, come abbiamo osservato, in questi anni presenta queste oscillazioni.

Nell’arco temporale considerato, l’indice di diffusione (FGT con a = 0), insieme agli altri due indici, mostra un andamento simile a quello osservato per gli indici di disuguaglianza: decrescente negli ultimi anni ’80, crescente a partire dal 1991 fino al ’98 e di nuovo decrescente nei primi anni del 2000.

(28)

Nella tab 4.9 sono riportati gli standard error relativi alla proporzione di famiglie povere presenti in Italia negli ultimi venti anni. Anche in questo caso i valori sono molto piccoli e ciò conferisce validità ai nostri risultati.

Per comprendere meglio quale sia la soglia al di sotto della quale una famiglia viene ritenuta povera, abbiamo deciso di calcolarla nuovamente, ad esempio per il 2004, usando il reddito effettivo e non più quello equivalente. I risultati sono riportati nella tabella 4.10.

Da essa si evince che, un single viene considerato povero se ha un reddito effettivo mensile inferiore a 825 euro. Nel caso di una coppia, però, perchè quest’ultima non venga considerata povera basta che percepisca un reddito mensile uguale o maggiore a 1168 euro; quindi basta un reddito, anche basso, aggiuntivo perché il rischio di cadere in povertà per un single si riduca.

Tab 4.9 Indici di povertà relativa sui redditi familiari equivalenti – Anni (1987-2004) FGT(α )58 SOGLIA DI POVERTÀ α =0 α =1 α =2 1987 7833 0.179 (0.00712) 0.047 0.028 1989 9005 0.163 (0.00534) 0.037 0.016 1991 8993 0.174 (0.00661) 0.039 0.015 1993 8429 0.196 (0.00647) 0.059 0.029 1995 8545 0.206 (0.00664) 0.062 0.032 1998 9050 0.200 (0.00684) 0.067 0.038 2000 9434 0.199 (0.0044) 0.060 0.030 2002 9537 0.189 (0.00625) 0,057 0.028 2004 9910 0.187 (0.00625) 0.051 0.022

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

58

Se a = 0 si ottiene l’indice di diffusione della povert à, se a = 1 si ottiene l’indice di intensit à, se a = 2 si ottiene l’indice di intensità. Assegnando ad a un valore maggiore di 1 si attribuisce una maggior importanza alle famiglie più povere.

(29)

Tab 4.10 Soglia di povertà sulla base del numero di componenti - 2004

NUMERO DI INDIVIDUI SOGLIA DI POVERTÀ

(REDDITO EFF. ANN.)

SOGLIA DI POVERTÀ (REDDITO EFF. MENS.)

Uno 9910 825.8 Due 14015 1168 Tre 17165 1430 Quattro 19820 1651.6 Cinque 22159 1846.6 Sei 24274 2022.8

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Fig 13 Indici di diffusione della povertà relativa sui redditi familiari equivalenti-Anni (1987-2004) 10 13 16 19 22 25 1987 1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002 2004 limite superiore indice di diffusione limite inferiore

Fonte: nostra elaborazione sui dati della Banca d’Italia

Come nel caso della disuguaglianza, anche il fenomeno della povertà può essere analizzato mediante una rappresentazione grafica. Esiste un valido strumento che ci permette di studiare e comprendere le sue dimensioni. Tale rappresentazione grafica prende il nome di curva TIP, dove l’acronimo “TIP” significa Three I’s of Poverty. Dall’andamento di questa curva si possono comprendere l’intensità e l’incidenza che la povertà hanno in un dato paese e in un certo periodo.

Nella fig 14 sono rappresentate le curve della povertà per il 1998 e per il 2004. Dal grafico si evince che in entrambe gli anni la percentuale di poveri oscilla intorno al 20

(30)

per cento, ma ciò che le distingue maggiormente è l’altezza la quale indica l’intensità della povertà: nel 1998 l’indice d’intensità è infatti pari a 0.067 mentre nel 2004 è pari a 0.051.

Trovandosi la curva del 1998 costantemente al di sopra di quella del 2004 e valendo il principio di dominanza, la prima curva domina la seconda. Si può quindi concludere che la povertà nel 1998 aveva un’intensità maggiore rispetto a quella registrata nel 2004.

Fig 14 Curve TIP della povertà - Anni 1998, 2004

0

.02

.04

.06

.08

Cumulative normalized poverty gap

0 .2 .4 .6 .8 1

Cumulative population share

1998 2004

4.6.1 I CARATTERI DELLA POVERTA’

La povertà non colpisce le famiglie o le persone nella stessa misura. Abbiamo così diviso la popolazione in più categorie sulla base di alcune caratteristiche socio-demografiche, dopodichè si è osservata la percentuale di famiglie povere59 all’interno di ciascuna categoria. Come si può agevolmente rilevare dalla tab 4.11, le famiglie numerose, composte da cinque o più componenti e con un maggior numero di figli con un’età inferiore ai quattordici anni hanno un elevato rischio di cadere in povertà. Il che offre un elemento di riflessione di tipo politico-sociale sull’insufficienza o l’assenza di adeguate misure volte al sostegno dei carichi familiari (Commission of the European

59

Si ricordi che si è scelto di usare, come soglia di povertà, il 60% del valore mediano del reddito

(31)

Communities, 1991). Sempre per quanto riguarda la dimensione della famiglia, si nota che tra i single la percentuale di coloro che sono poveri è abbastanza alta (oscilla intorno al 20-25%); sarebbe interessante verificare quanti di essi sono pensionati e quanti invece hanno un lavoro, ma questo si lascia come spunto per un’eventuale successiva analisi.

L’altra caratteristica da tener presente è l’area di residenza. Non solo in Italia, evidentemente, ma in particolare in un paese come l’Italia il fatto di vivere in un luogo anziché in un altro può fare grande differenza a questo proposito. È sufficiente per confermarlo il semplice esame della percentuale delle famiglie povere all’interno di ciascuna ripartizione territoriale60.

Il primo dato che colpisce è il divario esistente tra i redditi medi familiari delle tre ripartizioni. Rispetto al valore medio del paese, che come ricordiamo è pari a 19544 euro nel 2004, il corrispondente valore per le regioni del Nord è di 22468 euro, quello del Centro di 22474, mentre quello delle regioni del Sud è pari a 13328.

In effetti, tra le famiglie che vivono al Sud, in cui risiedono in media poco più di un terzo (34,6 %) delle famiglie italiane, nel 1987 un 28,5 % di esse è povera, nel 1998 sono un 34 % e nel 2004 la percentuale arriva al 36 %. Questo risultato era comunque prevedibile date le scarse possibilità occupazionali presenti in questa area; molti dei suoi abitanti sono “costretti” ad emigrare verso le regioni del Centro-Nord o allo svolgimento di lavori non regolari o mal pagati. L’abbandono di queste zone della maggior parte della popolazione attiva genera un’ elevata presenza di donne, bambini ed anziani, privi di adeguate forme di sostentamento, con conseguente diminuzione della forza lavoro ed un aumento della povertà (Paci, 1993).

Un risultato importante su cui porre la nostra attenzione è il seguente: sia nel 1987 che nel 1998 tra le famiglie che vivono al Nord la percentuale di quelle povere è minore di quella delle famiglie che invece vivono al Centro. Nel 2004 si ha un’inversione infatti tra le famiglie che vivono al Centro solo l’8 % di esse è povera, mentre al Nord sono il 9 %.

Nel 2004 al Sud risiede un elevato numero di famiglie numerose, cioè formate da cinque o più componenti. Esse sono in effetti il 55 %, mentre al Centro ve ne sono solo il 17 % e al Nord il 28 %. Tra le famiglie povere che risiedono nel Mezzogiorno

60

In questo caso bisogna fare attenzione perché i nostri redditi sono stati rivalutati secondo un indice dei prezzi a livello nazionale, ma in realtà in ciascuna area si registra un livello dei prezzi diverso. Generalmente al Sud tale livello è più basso rispetto alle altre zone e questo potrebbe generare una sovrastima della povertà per le famiglie che risiedono al Sud.

(32)

quelle che corrono un rischio maggiore sono quelle composte da almeno quattro persone . In via speculare, in compenso, tra i poveri del Nord e del Centro chi corre il rischio più elevato sono i single o le coppie. Come dire che la povertà (almeno quella che qui si misura) assume sembianze diverse nelle diverse zone del paese: interessa maggiormente le persone sole o le famiglie di due persone nella parte settentrionale e centrale dell’Italia, investe invece per lo più le famiglie numerose nelle regioni meridionali. L’assenza della famiglia o la sua debolezza numerica potrebbero essere alla base delle più diffuse situazioni di povertà al Nord, mentre al Sud e nelle Isole la più consistente numerosità delle famiglie sembrerebbe agire da “moltiplicatore” della povertà relativa (Sgritta - Innocenzi, 1993).

Dalla tab 4.11 ricaviamo un’altra informazione importante per la nostra analisi. Osservando la composizione delle famiglie in base al numero di percettori si nota che in tutti e tre gli anni esaminati, la quota più elevata spetta, come era prevedibile, alle famiglie con un solo percettore e dunque con un solo reddito. Le famiglie di questo tipo che vivono in una situazione di povertà risultano difatti il 26 % nel 1987, il 30 % nel 1998 ed il 29 % nel 2004. Seguono le famiglie con due redditi e quindi quelle con tre o più. Ne deriva che una delle principali cause della povertà tra le famiglie italiane, indipendentemente dal periodo considerato, è proprio la presenza di un solo reddito. Per quest’ultime il rischio di povertà cresce all’aumentare del numero dei suoi componenti. Si può quindi sostenere che, nella famiglia di medie dimensioni, è soprattutto la presenza di una seconda fonte di reddito che allontana lo spettro del disagio economico (Gorrieri, 1979).

Quanto al numero di figli, con un’età inferiore ai quattordici anni, presenti in ciascuna famiglia, la situazione di povertà riguarda quelle famiglie con tre o più figli. Nel 1987 tra i nuclei familiari che hanno tre bambini, il 40.4 % di essi è povero, nel 1998 la percentuale scende al 40 % e nel 2004 il numero aumenta nuovamente fino ad arrivare al 51.2 %. In linea con il pensiero comune, risulta che al crescere del numero di bambini presenti all’interno delle famiglie il rischio di cadere in povertà aumenta; si deve comunque ricordare che nel corso degli ultimi venti anni le famiglie con molti figli sono diminuite

Per quanto riguarda le caratteristiche “anagrafiche ” delle famiglie, la povertà in base al sesso (Weitzman, 1985; Garfinkel e McLanahan, 1986), sintomo della modernità, risulta molto elevata al Sud, mentre le regioni del Centro-Nord ne sono colpite in misura minore. In effetti, nel 2004, tra le famiglie che vivono al Sud e che

Figura

Fig  4  Reddito familiare equivalente - Anni 1987-2004  (media e mediana in euro)
Fig  6  Rapporto tra i redditi medi da lavoro autonomo e quelli da lavoro dipendente  (Anni 1987, 1993, 1998, 2004)  0,50,60,70,80,911,11,21,31,41,51,6 1987 1993 1998 2004
Tab  4.1  Reddito net to medio familiare per ripartizione territoriale e  caratteristiche della famiglia - Anni 1987-2004 (media espressa in euro)
Fig  7  Ripartizione del reddito familiare netto per quinti
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