/HPRGDOLWjHOHWHFQLFKHFRQFXLO¶RUDWRUHHQWUDLQ
FRQWDWWRFRQO¶XGLWRULR
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FRQFDWHQD]LRQHGLWHPLHPRWLYL
2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP
Secondo Aristotele, la funzione essenziale e specifica di ogni esordio consiste – almeno in linea teorica – nel rendere evidente il fine del discorso (X¶Q~RSÃRREKOEM³XEXSR}VKSRXSÁTVSSMQfSYOEi hHMSRXSÁXSHLPÏWEMXfzWXMX¶X{PSNSÂ|RIOE±P³KSN [5KHWIII 14. 1415a 21-23]) e nell’esporre l’argomento per sommi capi (X¶ TVKQE IeTIlR OIJEPEM[HÏN [1415b 7 s.]). Tuttavia, se quest’ultimo è già noto – osserva il filosofo – esso potrebbe anche essere tralasciato (1415a 23 s.): Aristotele specifica, infatti, che gli esordî demegorici non contengono sistematicamente il riferimento al tema del discorso, appunto perché esso potrebbe già essere conosciuto dall’uditorio (l’ordine del giorno dell’Assemblea, peraltro, si basa su un preventivo TVSFS»PIYQEdel Consiglio). Egli rileva altresì che essi solitamente vengono impiegati non per anticipare il contenuto, bensì per eliminare pregiudizî o per conferire all’oggetto del discorso l’importanza voluta oppure per porre in una luce di autorevolezza l’oratore o toglier credito all’avversario; nondimeno, essi rappresentano del discorso un ornamento comunemente considerato importante (XH~XSÁHLQLKSVMOSÁzOXÏRXSÁHMOERMOSÁP³KSY zWXfR J»WIM H~ OMWXE }GIM OEi KV OEi TIVi S hWEWM OEi SºH~R HIlXEM X¶ TVKQE TVSSMQfSY PP ¡ HM EºX¶R ¡ XS¾N RXMP{KSRXEN ¡ zR Q PfOSR FS»PIM ¹TSPEQFR[WMR PP ¡ QIl^SR¡}PEXXSRHM¶¡HMEFPPIMR¡TSP»IWUEMRKOLOEi¡ Eº\¢WEM¡QIMÏWEMXS»X[RH~|RIOETVSSMQfSYHIlXEM¡O³WQSY GVMRÇNEºXSOFHEPEJEfRIXEMzRQ}G: [5KHW. III 14. 1415b 32-37])1. Pur considerando, nel suo rigorismo intellettuale, come
1
Per l’importanza dei rilievi di Aristotele sull’utilizzo e sugli scopi degli esordî, cf. Yunis (1996), 248. Il confronto sistematico, che nel presente lavoro, verrà d’ora in poi istituito con le osservazioni della 5HWRULFD di Aristotele richiede di spendere alcune parole circa il dibattito degli studiosi sul grado di conoscenza, da parte del filosofo, dell’oratoria attica. Tre sono, anzitutto, gli elementi da fissare. Indubbiamente, egli, mentre specifica solitamente da quale discorso epidittico di Isocrate stia citando, si mostra invece assai vago quando menziona altri oratori. E, benché il Trevett si mostri eccessivamente scettico, si ha ragione di ritenere che verosimilmente Aristotele, pur senza menzionare la fonte, citi da Lisia tre passi – sempre a memoria –, ovvero, in 5KHWIII 10. 1411a 31-35, la metafora che ricorre in 2,60; in 5KHWIII 19. 1420b 3, l’epilogo ricco di asindeti di 12,100; e in 5KHWII 23. 1399b 15-17, un tipo di argomentazione usato in 34,11. Cf. a tal proposito Dufour-Wartelle III, 66, n.5. In terzo luogo, quando discute dell’oratoria deliberativa e giudiziaria, Aristotele si avvale di esempî tratti dal genere epidittico, dalla poesia epica o dalla tragedia (5KHWIII 14. 1415a 8-21; 1416a 1-3; III 16. 1417a 13-15, 28-33). Tutto ciò viene spiegato dal Trevett con la disponibilità e la fruibilità, da parte del filosofo e dei suoi allievi, di testi scritti, per lo più dei soli discorsi epidittici isocratei, ma non degli altri generi oratorî, di cui avrebbe conoscenza indiretta. Da discorsi epidittici non isocratei, infatti, Aristotele mutuerebbe citazioni imprecise e fatte a memoria: attribuita due volte a Pericle (in 5KHWI 7. 1365a 31-33 e III 10. 1411a 1-4), ad esempio, la similitudine della gioventù della città con la primavera
principale ed irrinunziabile cómpito dell’esordio quello di mettere in rilievo lo scopo del discorso – ovvero la IºQUIME – Aristotele riconosce nondimeno che nella prassi tale partizione del discorso viene usata per destare una HMEFSP(o per eliminarla) e per rendere l’uditorio attento e benevolo, e che la stessa anticipazione dell’oggetto della questione può passare in secondo piano2.
non compare nell’epitafio tucidideo, ma in Hdt. VII 162 viene ascritta a Gelone. Altre citazioni, tratte dall’oratoria politica e giudiziaria, ad illustrazione di metafore o antitesi che riescono particolarmente suggestive (che farebbero parte delle parole di accusa contro Pitolao e Licofrone [5KHWIII 9. 1410a 16-19] o dell’autodifesa di Ificrate [5KHWIII 10. 1411b 1-3]), si spiegherebbero con la loro notorietà, più che con la lettura, da parte del filosofo, della versione scritta dei discorsi in cui esse comparivano. In particolare, le citazioni dei discorsi tenuti da Ificrate (5KHWII 23. 1397b 27-31; 1398a 17 s.) sarebbero frutto del gusto, tipicamente peripatetico, della sentenza e dell’aneddoto, e deriverebbero da conoscenza indiretta, magari per tradizione orale, di detti celebri. Per il Trevett, i discorsi assembleari e giudiziarî non erano particolarmente frequentati perché, nella scuola di Aristotele, non erano oggetto di valutazione letteraria. Tale mancato apprezzamento sarebbe complementare alla sfiducia del filosofo per l’intelligenza dell’Ateniese medio riunito in Assemblea (5KHWI 2. 1357a 11 s.; II 21. 1395b 1 s.; 22. 1395b 27-31; III 1. 1404a 7 s.; 14. 1415b 5-10; 18. 1419a 18 s.). Per tali considerazioni, rinvio a Trevett (1996), 371-379. Gli argomenti del Trevett non soddisfano completamente: ad esempio, la similitudine della gioventù della città con la primavera è poetica, ma è impiegata in un contesto politico, ovvero da Teseo, per decidere l’intervento militare ateniese a Tebe (Eur. 6XSSO 448 s.). Un contributo ben più corposo e documentato di quello dello studioso inglese è stato offerto anni diversi anni fa dal Lossau. Secondo lo studioso tedesco, invece, l’isolata citazione da Demostene è segno, più che di un mancato apprezzamento (né tantomento di una mancata conoscenza), semmai del fatto che l’oratore non rientrava in un repertorio di modelli di discorsi comunemente utilizzato in àmbito scolastico e che per scopi illustrativi, anche per fenomeni prosastici, potevano essere impiegati poeti considerati fortemente rappresentativi. Inoltre, il giudizio di Aristotele della P{\MN IeVSQ{RL (5KHW III. 1409a 27) come antica è verosimilmente una valutazione comparativa, quindi presuppone un confronto con uno stile prosastico più moderno e contemporaneo al filosofo e a lui noto (cf. la testimonianza di Rufino in */. 573,25), ovvero con la P{\MNRXMOIMQ{RL, che, come giustamente Eschine rileva (il quale però adopera il termine RXfUIXE[2,4]), caratterizza lo stile di Demostene, pur senza implicare rigidi parallelismi. Non si può, inoltre, escludere che l’apprezzamento di Teofrasto (Plut. 'HP. 10,2) per l’oratoria demostenica sia testimonianza indiretta dell’attenzione riservata in àmbito peripatetico all’oratoria contemporanea. La stessa tradizione scoliastica, infine, presuppone materiale peripatetico. Sicché il Lossau osserva: «damit verliert das Argument von der literarischen Mißachtung des Aristoteles für Demosthenes…noch mehr an Glaubwürdigkeit, gewinnt die Annahme, daß Aristoteles Demosthenes berücksichtigt und bearbeitet hat, größere Wahrscheinlichkeit». Cf. Lossau (1964), 22-33, 62. Le argomentazioni valide e documentate del Lossau inducono, dunque, a ritenere preziosa l’analisi aristotelica: la correttezza metodologica dell’esposizione e la coerenza interna del trattato, al fine di illustrare, a chi lo vuole FRQRVFHUH, il funzionamento LX[WD SURSULD SULQFLSLD di una pratica del discorso, rende scientificamente accettabile il ricorso alle sistemazioni teoriche aristoteliche. A tal proposito, rinvio a Gastaldi (1981), 32 s.
2
Per colui che pronunzia una demegoria Anassimene, invece, prescrive l’anticipazione del soggetto sia nel caso questo sia conosciuto – e in tal caso la narrazione si fonderà con l’esordio (´XERQ~RKVÑWMR²PfKEXTVKQEXETIVi
ÐRP{KSQIROEiKRÉVMQEXSlNOS»SYWMXÚTVSSMQf.WYR]SQIR[5KHW$OH[ 31,1. 1438b 14-16]), sia nel caso non sia conosciuto (}WXMH~TVSSfQMSROEU³PSY
Q~RIeTIlROVSEXÏRTEVEWOIYOEiXSÁTVKQEXSNzROIJEPEf.QIeH³WM HP[WMNgREKMRÉWO[WMTIViÐR±P³KSN[5KHW$OH[29,1. 1436a 33-35]). Ad ogni modo, l’illustrazione sintetica dell’argomento può porre le basi per l’ascolto attento dell’uditorio (TEVEOSPSYUIlRX®¹TSU{WIM[rr. 35 s.]).
In effetti, il sussistere di un margine ineliminabile di imprevedibilità dei termini precisi con cui l’argomento verrà affrontato in Assemblea e l’esigenza primaria di conquistare l’ascolto benevolo dell’uditorio spiegano la genericità dei contenuti dei 3URRHPLD e il loro QRQ essere SULQFLSDOPHQWHdeputati alla IºQUIME3
: solo parte di essi, infatti, fa esplicito riferimento al tema all’ordine del giorno ed anticipa la proposta dell’oratore. E ciò rispecchia la tendenza generale di Demostene, piuttosto riluttante, nelle demegorie, ad esporre uno schema preliminare di quanto si accinge a discutere4. Gli esordî delle sue orazioni assembleari non obbediscono sempre alla funzione di introdurre l’oggetto del discorso, ma hanno principalmente lo scopo di suscitare curiosità, attesa, indignazione o speranza, e di preparare il popolo all’esposizione di misure impopolari. Come il Lounès ha opportunamente messo in rilievo, la scarsa propensione di Demostene ad anticipare l’argomento negli esordî si osserva, ad esempio, confrontando l’esordio della sua orazione 6XOOD SDFH con quello dell’omonimo discorso isocrateo: mentre quest’ultimo evidenzia fin da subito l’oggetto del discorso, ovvero l’opportunità della pace rispetto alla guerra (OSQIR KV
zOOPLWMWSRXIN TIViTSP{QSYOEiIeVRLN[par. 2]; JLQi H SÃR
GV¢REMTSMIlWUEMXRIeVRLRQQ³RSRTV¶N'fSYNOEiD6SHfSYN OEi &Y^ERXfSYN PP TV¶N TERXEN RUVÉTSYN OEi GV¢WUEM XElN WYRUOEMN Q XE»XEMN EmN RÁR XMRIN KIKVJEWMR PP XElN KIRSQ{REMN Q~R TV¶N FEWMP{E OEi 0EOIHEMQSRfSYN TVSWXEXXS»WEMN H~ XS¾N t)PPLREN EºXSR³QSYN InREM OEi XN JVSYVNzOXÏRPPSXVf[RT³PI[Rz\M{REMOEiXRE¹XÏR}GIMR
yOWXSYN [par. 16]); la demegoria demostenica, invece, spende
numerose parole per far accettare all’Assemblea la pace di Filocrate e per mettersi al riparo da eventuali accuse di UHYLUHPHQW. Parimenti, nei 3URRHPLD, Demostene non suole esporre in anticipo l’argomento del discorso, e, più che sulla IºQUIME, si concentra sulla TVSWSG e sulla IºQ{RIME, rimarcando che l’oggetto del suo discorso è di estrema importanza e proponendosi come unico ed autorevole oratore5.
Analizziamo ora le modalità in cui Demostene affronta il tema del discorso. Ritenendola intrinsecamente fallimentare, il Pearson osservò che la sequenza di temi contenuta nella parte finale dell’esordio della demegoria 6XOOH VLPPRULH, 2 (ovvero 3URRHP. ) presenterebbe lo svantaggio di entrare assai indirettamente nel tema, e che l’abbandono di essa, come effettivamente si nota nei successivi discorsi assembleari, segnerebbe un irreversibile quanto fortunato punto di svolta nell’eloquenza di Demostene6.
3
Cf. Focke (1929), 51. 4
Cf. Blaß III (1893), 215 s.: «In den Demegorien ist es überhaupt nicht häufig, daß mehr als das unmittelbar Folgende angekündigt wird; denn selten waren die Sachen der Art, daß sich eine leichtverständliche Ordnung machen und angeben ließ... Nichts aber liegt dem Demosthenes ferner, als unpraktischer, den Zuhörer befremdender Schematismus, und er liebt es so wenig wie Isokrates, mehr vorauszusagen, als zur augenblicklichen Orientirung nöthig ist».
5
Lounès (1986), 255 n.1, 264, 266; Yunis (1996), 248. 6
Il discorso in questione non incontrò il consenso dell’assemblea, quantunque Demostene, in un discorso di qualche anno successivo, avrebbe parlato del favore che riscosse tra gli Ateniesi un suo intervento in materia di rapporto col Re e di
Ora, nel proemio in esame troviamo la successione:
D anticipazione delle misure da attuare (HMH\EMOEiTIlWEMXfN TEVEWOIY OEi T³WL OEi T³UIR TSVMWUIlWE GVWMQSN }WXEMX®T³PIM).
E giudizio sull’efficacia di tali proposte, ovvero la possibilità di dissolvere i timori dell’uditorio (TN ± TEVÌR P{PYXEM J³FSN)7
.
F riferimento alla situazione presente (QMOVTVSIMTÌR¹QlRÇN
}G[KRÉQLNTIViXÏRTV¶NX¶RFEWMP{E)8
.
Sebbene talune concatenazioni individuate dal Pearson appaiano opinabili, si conferma tuttavia, nell’analisi degli altri 3URRHPLD, l’abbandono della sequenzasopra indicata e la tendenza all’impiego di quella FDE. Quanto poi alla distinzione, assente nella trattatistica anassimenica relativa all’oratoria demegorica, tra D (proposta) e F – contestualizzazione dell’oggetto del discorso – (X¶ Q~R SÃR TVSIOXMU{REM X¶ TVKQE XSlN OS»SYWM OEi JERIV¶R TSMIlR XSM³RHIzWXfR« R{WXLRWYQFSYPI»W[RÇNGVTSPIQIlRQN ¹T~V 7YVEOSYWf[R » « R{WXLR TSJERS»QIRSN ÇN Sº GV FSLUIlR QN 7YVEOSYWfSMN » [5KHW $OH[ 29.2. 1436a 40-1436b 3]), essa si potrebbe spiegare con l’intento di Demostene di isolare e sottolineare la portata innovativa delle sue proposte o di glissare su temi che egli si aspetta non incontreranno l’accoglienza dell’uditorio, oppure di convogliare nella direzione voluta la valutazione di quest’ultimo.
Nella nostra raccolta, su 55 proemi, solo 10 contengono la sequenza costituita da tre elementi, ovvero il riferimento alla (o analisi della) situazione politica attuale (D), l’anticipazione delle proposte per il futuro (F) e l’assicurazione sulla loro efficacia a dissolvere ogni timore (E). Ma di questi 10, quattro presentano la successione FDE, e in altri 2 essa viene reduplicata. Tre proemî presentano la sequenza F ED(ma in uno è resa più articolata); in un altro, infine, si osserva una sequenza riconducibile a quella DFE. Cinque proemi, infine, contengono unicamente gli elementi D e F.
preparativi (SnQEMH¹QÏRQRLQSRI»IMRzRfSYN´XMRfOzFSYPI»IWU¹T~VXÏR
FEWMPMOÏR TEVIPUÌR TVÏXSN zKÌ TEV¨RIWE ?A ´XM QSM W[JVSRIlR R HSOIlXI Ie XR TV³JEWMR X¢N TEVEWOIY¢N Q XR TV¶N zOIlRSR }GUVER TSMSlWUI PP TEVEWOIY^SMWUI Q~R TV¶N XS¾N ¹TVGSRXEN zGUVS»N Q»RSMWUIH~OOIlRSRzR¹QNHMOIlRzTMGIMV®OEiSºOzKÌQ~RInTSR XEÁXE¹QlRHSºOzH³OSYR²VUÏNP{KIMRPPOEi¹QlRVIWOIRXEÁXE[3HU
OD OLEHUWj GHL 5RGLHVL, 7]). Indubbiamente Demostene si sta riferendo proprio
all’orazione 6XOOHVLPPRULH, ma resta da chiedersi se egli intenda elogiare se stesso anche contro la realtà dei fatti. Le testimonianze antiche (Plut. 'HP. 6 s.; [Plut.]
0RU 845ab) sono concordi nell’affermare le difficoltà incontrate dall’oratore nel
suo primo discorso; ma non è chiaro se le testimonianze si riferiscano alla demegoria in esame o ad altri discorsi non pubblicati. Cf. Canfora (1974), 412 n.100.
7
Anche in altri discorsi respinge fermamente il sentimento della paura come indegno degli Ateniesi (InXSºOEeWGV³RÑ%IeX¶Q~R%VKIf[RTP¢USN
SºO zJSFUL XR 0EOIHEMQSRf[R VGR zR zOIfRSMN XSlN OEMVSlN SºH~ XR ÉQLR ¹QIlN H µRXIN %ULRElSM FVFEVSR RUV[TSR OEi XEÁXE KYRElOE JSFWIWUI[3HUODOLEHUWjGHL5RGLHVL, 23]; «8OIPIY³QIRQNVEHIlTSMIlR
XEÁXEJSFSYQ{RSYNOEiW¾XEÁXEOIPI»IMN»TSPPSÁKIOEiH{[[6XOODSDFH, 24]). Cf. Spina (1995), 93 s.
8
Il 3URRHP. si apre con un riferimento (F) alla difficile situazione attuale (Ie Q~R SÃR InGIR OEPÏN X TVKQEXE SºH~R R }HIM WYQFSYPI»IMR zTIMH H ÇN TERXIN ±VX }GIM HYWOSPfER OXP [par. 2]) e con la proposta (D) sulle misure da prendere nell’immediato futuro (ÇN zO XSMS»X[R TIMVWSQEM WYQFSYPI»IMR OVXMWX InREMRSQf^[ ¹QNzOIlRzKR[O{REMHIlÇNSºH~RÐRzTSMIlX zTiXSÁTSPIQIlRµRXINXSÁPSMTSÁTVEOX{SRzWXfRPPTRXE XRERXfE[par. 2]); e si conclude con l’avvertimento che la mancata attuazione delle proposte dell’oratore – ostentatamente aliene da ogni compiacenza – arrecherà (E) disonore alla città e potrebbe comportare situazioni irreparabili (Ie H XÏR P³K[R GVMN R ° Q TVSWOSYWE }VK. ^LQfE KfKRIXEM EeWGV³R zWXMR JIREOf^IMR yEYXS¾NOEiQIXX¢NzWGXLNRKOLNTV\EMXEÁUTPEM UIPSRXNTVSW¢OIRTSMIlR[par. 3]): mentre, dunque, nel 3URRHP. 6 Demostene anticipa come l’accoglimento della sua proposta dissolverebbe ogni timore, nel 3URRHP1, egli avverte che il mancato accoglimento delle sue proposte avrebbe temibili ripercussioni. Nel 3URRHP. , poi, l’oratore indugia con maggior insistenza su una situazione sfavorevole (F) e gravemente compromessa (}HIMQ{RÑ % TV¶ XSÁ TSPIQIlR zWO{JUEM XfN ¹TV\IM TEVEWOIY XÚ KIRLWSQ{R. TSP{Q. Ie H VE Q TV³HLPSN ¤R ´XI TVÏXSR zFSYPI»IWU¹T~VEºXSÁJERIVSÁKIRSQ{RSYX³XIOEiTIViX¢N TEVEWOIY¢N zWO{JUEM Ie H~ JWIXI TSPPN zKOIGIMVMO{REM HYRQIMN N PIPYQRUEM XS¾N zTMWXRXEN SºO TSH{\IXEM XSÁU ¹QÏR SºHIfN Sº KV zWXM XÏR EºXÏR XS»N X" zTi XÏR TVEKQX[R TSP»IMR OEi P{KIMR ÇN HM XS»XSYN OEOÏN XEÁX }GIM zTIMH H~ X Q~R TEVIPLPYU³X SºO R PP[N }GSM OXP [parr. 1 s.]); introduce (D)laproposta di un impegno fattivo (HIlHzO
XÏR TEV³RX[R zTEQÁREM XSlN TVKQEWMR ¹QN zOIlR
zKR[O{REM HIl ´XM XR hWLR ¹TIVFSPR X¢N WTSYH¢N OEi JMPSRMOfEN zTi XSlN TVKQEWM TRX RHVE TEVEWG{WUEM HIl ´WLRTIV zO XÏR R[UIR GV³R[R QIPIfEN Q³PMN KV S¼X[N zPTiNzOTSPPSÁHMÉOSRXENXTVSIMQ{RyPIlRHYRLU¢REM[par. 2]); e, alla fine, rassicura l’uditorio (E):se gli Ateniesi, accogliendo i suoi inviti, profonderanno il loro impegno, non vi sarà ragione di temere alcunché, perché proprio la mancanza di esso è stato il motivo principale dei loro insuccessi (SºOUYQLX{SRXSlNKIKIRLQ{RSMN· KVzWXMXÏRTEVIPLPYU³X[RGIfVMWXSRXSÁXSTV¶NXQ{PPSRXE F{PXMWXSR¹TVGIMXfSÃRXSÁX}WXMRÑ%´XMSºH~R¹QÏR XÏR HI³RX[R TSMS»RX[R OEOÏN }GIM X TVKQEXE [par. 3]). In entrambi i proemî prevale l’esortazione (D), ovvero l’intento dell’oratore di destare le energie degli Ateniesi a fronte di una situazione, che, per quanto drammatica, non deve fiaccare il loro morale. Nel 3URRHP. ben maggiore è lo spazio dedicato alla stigmatizzazione dell’assurdo comportamento dell’uditorio, ovvero alla remissività degli Ateniesi, radunati in assemblea, nei confronti di oratori accusati dall’oratore di nutrire sentimenti oligarchici (parr. 1 s.); a fronte di questa situazione che paralizza la politica estera ateniese (F), la proposta di Demostene (D)è di non offrire appiglio a costoro (JYPXXIWUI Q TWGIMR Ñ % ´T[N Q TSXI XSlN zTMFSYPI»SYWMR PEFR HÉWIXI [par. 2]), sì da evitare (E) conseguenze irreparabili (InXEX³XEeWUWIWUQEVXLO³XINRfO SºH ±XMSÁR ¹QlR TP{SR }WXEM [par. 2]), poiché la mancata partecipazione attiva dei democratici e l’assecondare lo strapotere
degli oligarchi è un fatto che desta vivissima preoccupazione (X¶H~ QLH ±XMSÁR QIXEPEQFRIMR X¶R H¢QSR PP XS¾N RXMTVXXSRXEN TIVMIlREM XSÁXS OEi UEYQEWX³R Ñ % OEi JSFIV¶R XSlN IÃ JVSRSÁWMR [par. 3]). Parimenti, il 3URRHP. si apre con (F) una lunga e dura critica ad un atteggiamento incoerente del GHPRV e di alcuni oratori che ha gravemente compromesso la situazione politica (parr. 1-3); l’unica soluzione non può essere che passare risolutamente all’azione (D) prima di subire (E) ulteriori insuccessi (Ie H~ X TVKQEU ±VX zKKYX{V[ TVSWKSRXE HIl WOSTIlWUEM ´T[N Q TPLWfSR EºXSlN QGLWUI T³VV[UIR }\IWXM JYP\EWUEM OEi XS¾N RÁR TIVMSJU{RXEN zJLHSQ{RSYN ¼WXIVSR|\IUSmNRTWGLXI[par. 3]); l’inerzia, dunque, potrebbe rivelarsi per gli Ateniesi molto dannosa. Anche in questo brano prevale l’indignata critica dell’oratore ad una situazione a lui contemporanea, ovverosia ad un modo, per lui del tutto inadeguato, di far politica.
In altri due proemî, la successione in esame si riproduce in forma più complessa. Entrando direttamente LQPHGLDVUHV, sì da avere una parvenza di improvvisazione (ÇNEºXSOFHEPE[Aristot. 5KHWIII 14. 1415b 38 s.]) – non sappiamo se intenzionale o dovuta al suo stato di (QWZXUI – il 3URRHP si apre con (F) la denunzia di una situazione assai negativa (S½XIXRÁRRKIKIRLQ{REWYQF¢REMRSQf^[XÏR X PP[R SnQEM TSPP F{PXMSR R ¹QlR }GIMR [par. 1]); subentra allora una proposta (D), cui tiene immediatamente dietro l’avvertimento dei rischi (E) che il mancato accoglimento di essa comporta. L’oratore, infatti, propone di assicurare un finanziamento ed un equipaggiamento sufficiente alle operazioni di guerra e di mettere a capo delle operazioni uno stratego che attui i decreti assembleari (Ie Q OEi XVSJR dOERR TSVMIlXI OEi WXVEXLK³R XMREXSÁTSP{QSYRSÁR}GSRXETVSWXWIWUIOEiQ{RIMRzTiXÏR S¼X[ HS\RX[R zUIPWIXI ]LJfWQEU ¹QlR TIVM{WXEM OEi TEVEREPÉWIXI Q~R TRU ´W R HETERWLXI FIPXf[ H SºH ±XMSÁRXTVKQEX}WXEM[par. 3]). Alla fine (par. 4), Demostene si accinge ad illustrare nel dettaglio le già accennate modalità della preparazione militare (D). In questo proemio, dunque, prevale la critica agli orientamenti politici correnti9. Il 3URRHP1 e il 3URRHP20, frutto della stessa temperie politica, presentano, quindi, la stessa successione di motivi, ma con diversi accenti: il 3URRHP1 mira principalmente a scuotere, nel 3URRHP20 è più vibrante la denuncia.
Ben più drammatica dev’essere la situazione (F) di cui l’oratore parla all’inizio del3URRHP. (SºH{RÑ%XÏRTRX[R¹QÏR S¼X[NShSQEMOEO³RSYRInREMX®T³PIMÊWXIQGEPITÏNJ{VIMR QLH~PYTIlWUEMXSlNKIKIRLQ{RSMNIeQ~RXSfRYRKEREOXSÁRXEN ¤RTVEOX³RXMTSM¢WEMXS»X[RXSÁXR}K[KITEV¨RSYR¹QlR TEWMR [par. 1]); a fronte di ciò, occorre allora riscuotersi prontamente (D), per impedire che in futuro simili eventi si ripetano, e diviene, a tal fine, fondamentale il contributo dei cittadini (zTIMHH~ XEÁXE Q~R SºO R PP[N }GSM HIl H ¹T~V XÏR PSMTÏR TVSRSLU¢REM´T[NQXEºXTIfWIWUIÊWTIVÑ%TIViXÏR RÁR KIKIRLQ{R[R KEREOXIlXI S¼X[ GV WTSYHWEM ¹T~V XSÁ Q TPMR XEºX WYQF¢REM OEi RSQf^IMR QLH{R }GIMR P³KSR IeTIlR XÏR WYQFSYPIY³RX[R XSMSÁXSR ·N HYRWIXEM WÏWEM X
9
TEV³RXE QLHIR¶N ¹QÏR QLH~R WYREVEQ{RSY [par. 1]). L’esposizione delle cause della difficile situazione può intendersi come un’implicita proposta per il futuro (D) o (F) come un’illustrazione di un dato di fatto (Q~RSÃRVGXSÁXEÁUS¼X[N }GIMRzOIlUIRVXLXEMzOXSÁX¢NTEVEGV¢QETV¶N¹QN|RIOE GVMXSN zRfSYN XÏR PIK³RX[R zRXEYUSl HLQLKSVIlR ÇN S½X IeWJ{VIMRS½XIWXVEXI»IWUEMHIlTRXEHEºX³QEX}WXEM[par. 2]); il riferimento sarcastico al favore della sorte, che pare aver la funzione di stemperare la drammaticità della situazione (E) – oltreché d’imporsi suggestivamente nell’animo di chi ascolta –, introduce l’invito (D) ad agire con avvedutezza ed impegno (X¶ H~ Q TPEM TRXTSP[P{REMX¢N¹QIX{VENX»GLNIºIVK{XLQ}K[KIOVfR[ zR Û XSfRYR X»GL HMEPIfTIM OEi XS¾N zGUVS¾N R{GIM XÏR PSMTÏR zTMQIPULXI Ie H~ Q WOSTIlU ´T[N Q QE XS»N X zJIWXÏXENyOWXSMN¹QIlNOVfRLXIOEiXTVKQEU¹QÏRÑ % OPMRIl [par. 3]). In questo proemio, dunque, chiuso dall’avvertimento Sº KV }WU ´T[N XEÁX RIY QIKPSY XMR¶N WXWIXEM QLHIR¶N RXMPEQFERSQ{RSY (par. 3), paiono combinarsi la componente di rimprovero e quella di brusca esortazione. La forma ‘complessa’ della struttura FDE ricompare anche nell’esordio della 3ULPD 2OLQWLDFD, ove prevale nettamente l’esortazione ad agire: è, infatti, il TEVÌROEMV³Na spronare gli Ateniesi a riprendere in mano la situazione, e Demostene, per parte sua, propone la costituzione di un contingente d’intervento e l’invio di un’ambasceria (par. 2); sussiste pur sempre il timore che Filippo modifichi la situazione a suo vantaggio (par. 3), ma la natura eminentemente militare del suo potere può anche rivelarsi per lui uno svantaggio nel condurre trattative (par. 4)10
.
Tre proemî presentano poi una successione riconducibile allo schema FED. Il 3URRHP. si apre con la dolorosa conferma (F) di una gravissima sconfitta militare (par. 1), cui tiene immediatamente dietro (E) l’incoraggiamento dell’uditorio(XQ~RKIKIRLQ{RÑ % XSMEÁU SmE TRXIN OLO³EXI HIl H ¹QN QLH~R zOTITPLKQ{R[N HMEOIlWUEM [par. 1]), che l’oratore esorta (D) a reagire virilmente (TV¶N Q~R X TEV³RX U»Q[N }GIMR S½XI XSlN TVKQEWM WYQJ{VSR S½U ¹QÏR \M³R zWXMR X¶ H~ XEÁX zTERSVUSÁREºXS¾NKIlWUEMTVSW¢OSROEiX¢N¹QIX{VENH³\LN \MSR R JERIfL [par. 1]). Demostene ribadisce (E) che quanto è avvenuto potrebbe non rappresentare necessariamente un danno irreparabile per la città (zKÌHSºHEQÏNQ~RRzFSYP³QLRXEÁXE WYQF¢REM X® T³PIM SºH XYGIlR ¹QN SºH{R Ie H V }HIM KIR{WUEMOEfXMHEMQ³RMSRXSÁXT{OIMXSÊWTIVT{TVEOXEMX KIKIRLQ{REPYWMXIPIlRShSQEM[par. 2]), se (D) gli Ateniesi sanno riscuotersi con energia ( H R HM RHVÏR OEOfER TVEGU® FIFEfSYN TSMIl XN XXEN ShSQEM Q~R SÃR SºH~ XS¾N
OIOVEXLO³XEN KRSIlR ´XM FSYPLU{RX[R ¹QÏR OEi
TEVS\YRU{RX[R XÚ KIKIRLQ{R. Sº TRY T[ H¢PSR T³XIVSR IºX»GLQ¡OEiXSºRERXfSREºXSlNzWXMRX¶TITVEKQ{RSR[par. 2 s.])11: e chiaramente la nota dominante è l’incoraggiamento (E). Per tali motivi, a differenza del Clavaud, credo che il 3URRHP. 38 sia un reale esordio. Chi prende la parola, quand’anche intendesse formulare
10
Dissento dalla struttura FEDindividuata in quest’esordio da Pearson (1964), 99. 11
proposte, deve FRPXQTXH prima sollevare gli animi di chi è costernato. Inoltre si vedrebbe volentieri solo in un esordio una constatazione come XQ~RKIKIRLQ{REÑ%XSMEÁUSmETRXINOLO³EXI (par. 1): netta e pervasa di rassegnazione, essa si riferisce ad una notizia che l’uditorio ha JLj appreso per altri canali (da precedenti oratori o dal rincorrersi di notizie)12. Che sia verosimile si tratti di un proemio recitato da un oratore all’indomani di un evento doloroso per Atene, sarebbe inoltre comprovato dal già citato aneddoto di Plutarco, secondo cui, allo scoppio della battaglia di Cheronea Democare, all’inizio della sua allocuzione al GHPRV,disse: «SºORzFSYP³QLR OEOÏNS¼X[NTITVEG{REMXRT³PMR» (0RU803e).
Prevale, invece, il rimprovero nel 3URRHP. che si apre con un duro attacco all’atteggiamento della piuparte dell’Assemblea (F), ovvero la sua ingenua arrendevolezza verso i sostenitori dell’oligarchia (par. 1), e quanto per Demostene è deplorevole, è la mancanza di J³FSN(E) – ´XERH¹T~VTSPMXIfENOEiWJEKÏROEi HQSY OEXEP»WI[N IºGIVÏN OS»LXI TÏN SºO }\[ GV XSÁ JVSRIlR ¹QN EºXS¾N KIlWUEM (par. 2). La proposta dell’oratore
(D) è implicita nel confronto tra l’insipienza degli Ateniesi e
l’avvedutezza degli altri popoli (par. 2). Apparentemente felice, per contro, è il momento (F) che, secondo le parole espresse dall’oratore nel 3URRHP. ,gli Ateniesi stanno attraversando (par. 1), e che (E) li induce ad una pericolosa baldanza (par. 1); Demostene, pertanto, li esorta (D) a trarre insegnamento dai tristi casi altrui e ad essere avveduti anche senza essere sotto la spinta della paura (WTSYHEf[R XSfRYR zWXiR RUVÉT[R ´XER FIPXfWX: X® TEVS»W: X»G: GVÏRXEM X³XI TPIfWXLR WTSYHR TV¶N X¶ W[JVSRIlR }GIMR [par. 2]): solo tenendo questa linea, non vi sarà per loro (E)reale motivo di timore (SºH~R KV S½XI JYPEXXSQ{RSMN S¼X[ HIMR¶R ÊWX J»PEOXSR InREM S½X ²PMK[VSÁWMR TVSWH³OLXSR TEUIlR [par. 2]). Demostene, assicura, non vuole atterrire inutilmente (E) gli Ateniesi (P{K[H~XEÁXSºGgREXRPP[N¹QNHIHfXX[QEM[par. 2]), ma, in considerazione della situazione felice (F) – HM XR TEVSÁWERIºTVE\fER(par. 2), li esorta ad essere accorti (D) – RIY XSÁ TEUIlR ÊWTIV zWXiR TVSW¢OSR JWOSRXN KI QLH{R[R TSPIfTIWUEM XÚ W[JVSRIlR JYP\LWUI (par. 2): in questo proemio, in tal modo, lo schema FED è replicato in uno EFD e prevale la componente esortativa. Come ha osservato il Pearson, la successione FED ricorre anche nell’esordio della 3ULPD )LOLSSLFD – presumibilmente derivante dalla revisione e fusione dei 3URRHP. 1 e 3URRHP. 29 – ove si susseguono il riferimento alla tribolata situazione presente, oggetto peraltro del discorso (parr. 1s.), l’incoraggiamento dei membri dell’Assemblea (par. 2) e l’esposizione della proposta dell’oratore di un impegno attivo di tutti i cittadini (par. 2 s.). Di
12
La sequenza che vede succedersi la constatazione di una realtà miserevole e l’incoraggiamento derivante dalla proposta per il futuro viene parodiata nell’esordio del discorso, che, secondo quanto Cremete riferisce (Aristoph. (FFO, 412-414), Eveone avrebbe tenuto di fronte all’Assemblea (±VXIQ{RQIHI³QIRSRW[XLVfEN / XIXVEWXEXVSY OEºX³R PP ´Q[N zVÏ / ÇN XR T³PMR OEi XS¾N TSPfXEN
nuovo, poi, ai parr. 3-7, si alternano De E,ovvero incoraggiamento ed esortazione all’azione13.
La sequenza FEDricorre anche in esordî di orazioni giudiziarie dello stesso Demostene. Nell’esordio della deuterologia &RQWUR $QGUR]LRQH, infatti,ravviserei la successione dei motivi F-E-D (ovvero la denunzia dei torti commessi dall’imputato [parr. 1 s.], l’avvertimento sull’insidia costituita dalla sua eloquenza [par. 4] e l’esortazione a condannarlo [par. 4]). Nel lungo proemio dell’orazione &RQWUR$ULVWRFUDWH, nel quale la IºQUIMEsi intreccia alla TVSWSGe alla IºQ{RIME, si rileva una sequenza diversa da quella proposta dal Pearson, ovvero di nuovo FED (anziché EDF), poiché si fa riferimento alla lettera, al contenuto del decreto proposto dall’imputato, e ai risvolti di politica interna ed estera da esso sottesi (parr. 2 s.); se ne fa presente la gravità per Atene (parr. 4 s.) e si esprime l’intento di dimostrare che il beneficiario del decreto di Aristocrate, ovvero Caridemo, è il peggior nemico della città (par. 6): in tal modo, dunque, l’oratore cerca di porre i giudici nella condizione di valutare nel modo da lui voluto la questione del decreto a favore dello stratego14.
Il 3URRHP. è un isolato esempio della struttura DFE. Le decisioni che gli Ateniesi si accingono a prendere devono essere improntate all’interesse della città e riguardare tutti gli alleati greci (S½ QSM HSOIlX Ñ % TIVi £N ShIWUI T³PI[N RYRi Q³RSR FSYPI»IWUEM PP ¹T~V TEWÏR XÏR WYQQEGfH[R ÊWXI HIl OEi XSÁ FIPXfWXSY OEi X¢N ¹QIX{VEN EºXÏR |RIOE H³\LN WTSYHWEM ´T[N QE OEi WYQJ{VSRXE OEi HfOEME JERWIWUI FSYPIY³QIRSM[par. 1]), e la responsabilità della difficile situazione di fronte a cui essi si trovano è unicamente degli strateghi(Q~RSÃR VG XÏR XSMS»X[R TVEKQX[R TRX[R zWXiR XÏR WXVEXLKÏR [par. 2]), che vengono definiti senza mezzi termini «i nemici peggiori di Atene » (par. 3). Tutta questa tirata, come risulterà al par. 3, è una calcolata preterizione, terminata la quale Demostene esibisce la sua premura per proposte utili e concrete (XSÁQ~RSÃROEXLKSVIlRhW[N SºG ± TEVÌR OEMV³N H KSÁQEM WYQJ{VIMR ¹QlR XEÁXE WYQFSYPI»W[[par. 3]). Ciò non toglie che nel proemio prevalga in modo pronunciato la denunzia della condotta dannosa ed iniqua degli strateghi.
Cinque proemi, infine, presentano il rilievo della situazione politica del momento (F) e nella proposta per il futuro (D). Nel 3URRHP. (poi inglobato come esordio dell’orazione 3HU L
13
Il Pearson considera come preziosa testimonianza della sequenza F-E-D anche la successione degli argomenti dell’esordio della demegoria pseudodemostenica ,Q
ULVSRVWDDOODOHWWHUDGL)LOLSSR: Demostene dapprima denunzia le manovre di guerra
di Filippo nei confronti della città (par. 1), poi afferma che non vi è motivo di
²VV[HIlR la potenza di Filippo (par. 2) ed anticipa l’esposizione dei preparativi
militari (par. 2). Il fatto che l’orazione sarebbe stata scritta da Anassimene (Didymus, 'H'HPRVWKHQHFRPPHQWD, 11.7; FGH 2A 72 F 11a Jacoby) non inficia il riferimento ad essa, poiché il retore possedeva una spiccata abilità mimetica sul piano stilistico e si presume che egli compose la demegoria attenendosi strettamente all’ordine argomentativo presente nei discorsi reali demostenici che teneva per modello. Cf. Pearson (1964), 99, 104 s.
14
Su tutto l’argomento, rinvio a Pearson (1964), 98-102. Per rilievi retorici sul proemio della &RQWUR $ULVWRFUDWH, e sul forte impiego in essa di elementi proprî dell’oratoria deliberativa rinvio a Papillon, 21-25, 61.
0HJDORSROLWDQL), l’oratore si sofferma sul dibattito che lacera l’Assemblea circa l’atteggiamento che Atene deve tenere nei confronti di Sparta, per quanto concerne la questione di Megalopoli; solo dopo egli promette di formulare il consiglio che riterrà più utile alla città (par. 3). Nel 3URRHP. è per Demostene motivo di soddisfazione e di vanto che i democratici rodiesi richiedano l’intervento di Atene nella loro isola (par. 3); ed Atene, dal canto suo, ha tutto l’interesse ad accogliere tali richieste e far trionfare, almeno all’apparenza, principî di giustizia (par. 4). Stessi temi e stessa articolazione nel 3URRHP. , poi divenuto l’esordio della demegoria 3HUODOLEHUWjGHL5RGLHVL: la richiesta, da parte dei democratici rodiesi, dell’intervento di Atene per il ripristino della democrazia a Rodi (par. 2) è ritenuta un fatto sicuramente positivo e l’esaudire essa arrecherà onore alla città (par. 2). L’ordine argomentativo è invertito nel 3URRHP. , che si apre con una lunga considerazione sul tipo di proposte che occorre avanzare per questioni scottanti (parr. 1 s.). Solo alla fine (par. 4), risulta chiaro che tali decisioni devono fronteggiare una situazione militare che è sfavorevole per Atene (par. 4) e che si può ribaltare solo con efficaci preparativi bellici (LELG). In questi ultimi tre proemî, il rilievo della situazione del momento passa in secondo piano rispetto alla componente esortativa e, soprattutto, a lunghi preamboli (nel caso del 3URRHP. 23 e del 3URRHP. 44) sulle modalità di ascolto o di decisione. Nel 3URRHP, inoltre, troviamo ancora la sequenza FD:in merito alla presa del potere da parte degli oligarchi a Mitilene, Demostene afferma a chiare lettere che il popolo ha subito un torto e che spetta ad Atene intervenire per difenderne i diritti (par. 2).
In altri due proemî, infine, compare – dei tre elementi DEFqui rilevati – l’indicazione della situazione politica attuale (F) o l’anticipazione della proposta che Demostene vuole avanzare (D): nel 3URRHPl’oratore preannunzia il consiglio che vuole formulare – ovvero cheAtene imposti su principî di giustizia i rapporti all’interno del mondo ellenico15– e nel 3URRHP. intende dissuadere gli Ateniesi dall’ingaggiare un pericoloso conflitto con la Persia.
In conclusione, si confermano la scarsa attitudine, relativamente alla globalità della raccolta, ad anticipare nel proemio l’argomento del discorso e, laddove tale indicazione sussiste, il ricorso preferenziale alla concatenazione F-D-Eindividuata dal Pearson.
,PH]]LSHUFRQTXLVWDUHODSURVR[K
$,OUDSSRUWRFRQODWUDWWDWLVWLFD
2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP
Secondo la trattatistica, per conquistare la TVSWSG dei membri dell’Assemblea, l’oratore, nel proemio del suo discorso, deve rimarcare che l’oggetto della deliberazione verte su questioni di importanza capitale o tocca loro personalmente (´XER ¡ ¹T~V QIKP[R ¡ JSFIVÏR ¡ XÏR QlR SeOIf[R FSYPIYÉQIUE [5KHW $OH[29,4. 1436b 7 s.]), e promettere di dimostrare che le misure che
15
egli caldeggia sono giuste, onorevoli, utili, facili e gratificanti (¡ JWO[WMR ?zTMHIf\IMRA Sd P{KSRXIN ÇN HfOEME OEi OEP OEi WYQJ{VSRXE OEi HME OEi H{E zTMHIf\SYWMR QlR zJ TVXXIMR TEVEOEPSÁWMR ¡ HILUÏWMR QÏR OSÁWEM EºXÏR TVSW{GSRXENX¶RRSÁR [LELG9-12]). Nella prassi, osserva Aristotele, data la mediocrità del livello intellettivo degli ascoltatori (TV¶N JEÁPSROVSEXR [5KHW III 14. 1415b 5 s.]), gli oratori cercano assai frequentemente di suscitare con varî espedienti (eEXVI»QEXE [1415a 25]), anche psicagogici, l’attenzione di essi, preannunziando che parleranno di cose grandiose, meravigliose, piacevoli e importanti (TVSWIOXMOSiH~XSlNQIKPSMNXSlNeHfSMNXSlNUEYQEWXSlNXSlN H{WMRHM¶HIlzQTSMIlRÇNTIViXSMS»X[R±P³KSN [1415b 1-3]).
Demostene anticipa di voler esporre XWYQJ{VSRXE in 3URRHP e 3URRHP ed apre il 3URRHP. con considerazioni sull’opportunità della TVSWSG. In FSYPSfQLR R ¹QN, Ñ %
TVSW{GSRXENQ{PP[P{KIMR OSÁWEM(3URRHP. ), affettando bonomia e candore, l’oratore chiede apertamente all’uditorio l’attenzione per le questioni importanti di cui si accinge a parlare, e, in modo più nascosto, anche la sua benevolenza. In 3URRHP. egli giudica opportuno che gli Ateniesi prestino attenzione a quanti promettano di mostrare che, nella deliberazione sulla questione all’ordine del giorno, i principî di giustizia coincidono con l’interesse della città; e lui stesso conta di riuscire in tale intento (HSOIlX{QSM HMOEf[NRÑ%TVSW{GIMRX¶RRSÁRIhXMN¹T³WGSMU¹QlR XEºX HfOEME OEi WYQJ{VSRXE HIf\IMR µRU ¹T~V ÐR FSYPIY³QIUEzKÌXSfRYRShSQEMXSÁXSTSMWIMRSºGEPITÏNR ¹QIlN FVEG» Xf QSM TIMWU¢XI TRY) – e nella prudente e cortese formulazione HSOIlX{QSMHMOEf[N traspare il tentativo di conciliarsi l’Assemblea. In 3URRHP. (= 3HU OD OLEHUWj GHL 5RGLHVL, 1) Demostene rivendica libertà di parola (TEVVLWfE), specie quando si delibera su argomenti importanti (TIViXLPMOS»X[R); nel 3URRHP chiede l’ascolto attento dell’uditorio (HIl Q{RXSM XS»X. TVSWIlREM
zU{PSRXEN OS»IMR ¹QN OEi HMHWOIWUEM [par. 1])16
; e in 3URRHP. , infine, rimarca che la deliberazione che si prenderà avrà rilievo tale da non investire solo Atene, ma anche i suoi alleati.
Se allarghiamo la prospettiva ad altri discorsi, troviamo la conferma di questi dati. Diodoro, nell’orazione &RQWUR 7LPRFUDWH scritta da Demostene, testimonia l’abitudine degli uomini politici di sottolineare, all’inizio dei loro interventi, l’eccezionale importanza ed interesse di quanto stanno per dire (IeÉUEWMR Q~R SÃR Sd TSPPSi XÏR TVXXIMR XM TVSEMVSYQ{R[R XÏR OSMRÏR P{KIMR ÇN XEÁU ¹QlR WTSYHEM³XEX zWXiR OEi QPMWX \MSR TVSW{GIMR XS»XSMN
¹T~VÐRREºXSiXYKGR[WMTSMS»QIRSMXS¾NP³KSYN [par. 4])17
e, nell’esordio della 4XDUWD)LOLSSLFD(par. 1), Demostene definisce di vitale importanza gli argomenti all’esame dell’Assemblea e promette di esporre quanto ritiene utile in tale àmbito (OEiWTSYHElERSQf^[R Ñ%TIViÐRFSYPI»IWUIOEiREKOElEX®T³PIMTIMVWSQEM TIViEºXÏRIeTIlRRSQf^[WYQJ{VIMR). Già Isocrate, nell’esordio del 3DQHJLULFR, afferma che i discorsi migliori sono quelli che vertono su questioni che rivestono la massima importanza (par. 4); e nella
16
Rupprecht (1927), 388 s. 17
fittizia demegoria 6XOOD SDFH osserva l’abitudine degli oratori di iniziare i loro discorsi premettendo che gli argomenti che stanno per trattare sono assai rilevanti per la città ( TERXIN Q~R IeÉUEWMR Sd TEVM³RXIN zRUHI XEÁXE Q{KMWXE JWOIMR InREM OEi QPMWXE WTSYH¢N \ME X® T³PIM TIVi ÐR R EºXSi Q{PP[WM WYQFSYPI»WIMR [par. 1])18
, ed afferma che l’unico modo per far cambiare idea all’uditorio è mostrare ciò che è utile (par. 11)19.
Queste risultanze confermano, pertanto, che, per imporsi all’ascolto dell’Assemblea, Demostene si serve di espedienti che fanno riferimento alla portata del contenuto del discorso e sono del tutto conformi a quelli comunemente impiegati degli esordî.
C’è poi un altro modo per imporsi all’attenzione: tramite l’uso delle massime. Demostene muove, infatti, ad alcuni magistrati l’accusa di non curarsi delle decisioni dell’Assemblea, ma di pensare solo a trar guadagno dalla loro attività (SdKVVGSRXIN¡XMR{NKEºXÏRgRE Q TRXEN P{K[ XÏR Q~R ¹QIX{V[R ]LJMWQX[R PP SºH~ X¶ QMOV³XEXSR JVSRXf^SYWMR ´T[N H~ P]SRXEM [3URRHP ])20
. Per conferire maggior credibilità all’accusa, l’oratore ricorre ad una massima (TV³XIVSRQ~RSÃR}K[KIQXS¾NUIS¾NSºOªHIMRTV¶N XfTSXIhLXSÁXIeVLQ{RSR«VGRHVEHIfORYWMR»RÁRH~OR PPSR QSMHSOÏ HMH\EM [LELG]) – che opportunamente il Clavaud definisce «phrase d’allure proverbiale par son absence d’article»21. Questa stessa massima (con il tempo al futuro, però) è attribuita da Aristotele a Biante di Priene in (1V 1. 1130a 1 s. ed illustra in questo contesto l’effetto benefico della pratica della giustizia sulla comunità cittadina. È vero che lo Stagirita osserva come l’impiego delle massime dia un carattere morale al discorso – sia pure non negli esordî – e faccia risaltare l’indole onesta dell’oratore (KRÉQEMNH~GVLWX{SR OEi zR HMLKWIM OEi zR TfWXIM UMO¶R KV
[5KHW III 17.1418a 17s.])22 ; è vero che Ermogene (Rabe 251) annovera le proposizioni brevi e sentenziose come esempio di WIQR³XLN e di OEUEV³XLN ed adduce quale esempio, come gli è consueto, un passo demostenico, in questo caso tratto dall’orazione &RQWUR $ULVWRJLWRQH , di Demostene (R³QSN zWXiR I¼VLQE Q~R OEi HÏVSR UIÏR [par. 16])23. Ma non18
Cf. Laistner (1927), 79. 19
Ed è interessante che lo scolio del passo citato della &RQWUR7LPRFUDWH rilevi la comune rivendicazione, negli esordî di quest’ultimo discorso e dell’orazione isocratea, dell’importanza di quanto l’oratore dirà. Isocrate scrive:SºQRPPIe
OEi TIVi PP[R XMRÏR TVEKQX[R VQSWIR XSMEÁXE TVSIMTIlR HSOIl QSM TV{TIMROEiTIViXÏRRÁRTEV³RX[RzRXIÁUIRTSMWEWUEMXRVGR(par. 1).
Diodoro, dal canto suo, afferma:zKÌHIhTIVXMRiXSÁXSOEiPP.TVSWLO³RX[N
IhVLXEM RSQf^[ OQSi RÁR VQ³XXIMR IeTIlR (par. 4). Una somiglianza così
puntuale potrebbe allora far pensare ad una effettiva conoscenza dell’orazione isocratea da parte di Demostene.
20
Si potrebbe essere tentati di ascrivere alla giovinezza l’uso di espressioni forti come l’avverbio al grado superlativo: solo nei discorsi privati per la tutela, Demostene mostra «eine entschiedene Neigung zu starkem und selbst übertriebenem Ausdruck», come TRX[ROIR³XEXSRP³KSR(27,25)o ÈQ³XEXRUVÉT[R(27,26) 21
Clavaud, 129 n.3. 22
Cf. Canfora 1992a, 387; Fortenbaugh, 167. 23
L’inversione dell’RUGRYHUERUXPnella tradizione diretta (TNzWXMR³QSNI¼VLQE
Q~R OEi HÏVSR UIÏR) non è tale da inficiare l’analisi di Ermogene. Uno degli
elementi che concorre al Q{KIUSN dello stile è la WIQR³XLN (242-254), ovvero affermazioni generale e universale su questioni come la giustizia o di descrizioni di gloriose imprese umane. Sul tema, cf. Wooten (1983), 25 s.
andrà dimenticato che la presenza di una massima in un discorso assembleare di Demostenica è un fenomeno eccezionale – tanto da indurre Arpocrazione a citarla nel suo lessico; a parte l’altrettanto raro modo di dire TIViX¢NzR(IPJSlNWOMN(6XOODSDFH, 25), è semmai nei discorsi giudiziarî che, insieme a modi comuni di dire (che, al contempo, abbassano la solennità del registro del discorso, conferendo ad esso «grelle und starke Färbung»), si impiegano con maggior dovizia24.
%/¶LQQRYD]LRQH %/RVWLOH
2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP
Oltre alle sottolineature sulla rilevanza del tema del discorso, anche determinate scelte stilistiche non espressamente prescritte per gli esordî, possono contribuire a richiamare l’attenzione del pubblico. Ad esempio, l’uso delle correlative TVÏXSRQ{R}TIMXE(3URRHP ; 3URRHP. ) o TVÏXSR Q{R HI»XIVSR (3URRHP. s.) imprime nella mente dei giudici una precostituita gerarchia di importanza all’interno di una successione di motivi che l’oratore intende esporre – come Ermogene, nel 4IVieHIÏRP³KSY(235, 287 Rabe), osserva rispettivamente a proposito delle corrispondenze demosteniche TVÏXSR Q{R HI»XIVSR XVfXSR (6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 4) e TVÏXSR Q{R }TIMXE che apre l’orazione 6XOOD FRURQD (par. 1) –, conferisce IºOVfRIME allo stile e, nel contempo, tende ad ampliare, sia pure leggermente, il fraseggio, apportandovi TIVMFSP. La IºOVfRIME, dunque, scandisce la sequenza di idee e concetti e conferisce nitore al dettato25.
Concentriamoci sul 3URRHP55. Per rendere più vivo il dettato e mantenere desta l’attenzione del pubblico, Demostene immagina e pone a se stesso la domanda che un interlocutore immaginario gli rivolgerebbe:XfSÃRWYQFSYPI»[(par. 1). E ad essa egli risponde con due infiniti, ovvero con TVÏXSRQ{R\MSÁR(par. 2) – riassunto da H`RQ~R SÃRXSÁXS P{K[ (par. 3) – e con HI»XIVSRH{OS»IMR (par. 3). Una forma simile, lievemente più elaborata, occorre nell’orazione 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, ove anziché esservi il complemento oggetto o l’infinito oggettivo, vi sono il complemento di fine e proposizioni finali (XSÁGVMRHXEÁU¹T{QRLWEyR¶N Q{RÑ%QPMWXEOEiTVÉXSYgREQLHIiN¹QÏRzTIMHRXM P{KSRXSN OS»: QSY UEYQ^: TVÉXSY Q~R XS»XSY OEi QPMWU´TIVInTSR|RIOEXEÁXEHMI\¢PUSRHIYX{VSYH~XfRSN OEi SºH~R zPXXSRSN ¡ XS»XSY gREWO{]LWUI [parr. 25-27])26
.
24
Particolarmente in 6XOODFRURQD, 24; 26; 72.Cf. Blaß III (1893), 84 s. 25
La IºOVfRIME(238-241 Rabe) è una delle forme della WEJRIME(226-241 Rabe) e consiste nella chiarezza delle anticipazioni di quanto sta per dire e delle transizioni da un pensiero all’altro. Rinvio a Wooten (1983), 23 s.
26
Considerando l’evidente somiglianza col passo della requisitoria 6XOOD IDOVD
DPEDVFHULD, il cui registro stilistico è certamente indubbiamente più elevato e
caratterizzato da una maggior ampiezza del periodare, lascia perplessi il giudizio del Focke, che, lungi dal citare tale orazione, ravvisa nel proemio quella mancanza, a suo dire squisitamente isocratea, di incisività e vi coglie «eine wichtigtuerisch gespreizte Ümstandlichkeit, wie sie Gedanken von solcher Kürze nur angemessen ist» (p. 40).
Nella 3ULPD)LOLSSLFD troviamo una forma assai più semplificata, con una sola risposta, come XfRSNSÃRIgRIOEXEÁXEP{K[gRhHLXÑ RHVIN %ULRElSM OEi UIWLWUI ´XM (par. 3). La Ronnet, a proposito del passo dell’orazione giudiziaria, ha opportunamente scritto: «il y a là une vivacité qui rapproche le style du discours de la langue de la conversation et qui trahit encore une fois la passion de l’orateur»27. E tale giudizio è estendibile anche al passo in questione del 3URRHP 55. Ma il séguito non mi trova d’accordo: «Dans les harangues, où le style est plus uniformément soutenu, cette construction, jugée sans doute trop familière, ne paraît pas».
Dissento infatti dalla Ronnet per una serie di ragioni. Anzitutto, pur segnalando opportunamente il passo della 3ULPD )LOLSSLFD sopracitato, la studiosa mostra di non tenere nel debito conto che, come segnala Aristotele nella 5HWRULFD, lo stile dell’oratoria giudiziaria è più elaborato di quella demegorica (e non viceversa), sicché uno stilema occorrente nella prima non può essere considerato troppo colloquiale nella seconda. In secondo luogo la semplice elencazione, tramite numeri ordinali e cardinali, di quanto si è in procinto di esporre o si è già esposto è tipico dello stile delle demegorie. Ne abbiamo esempî nell’orazione 6XOODSDFHdi Andocide
(H`RHXSÁXSTVÏXSRWOI]ÉQIUE[par. 4]; XfSÃRzWXMR¹T³PSMTSR
TIVi ´XSY HIl FSYPI»IWUEM TVÏXSR Q{R[par. 24])28
, come nell’omonima demegoria di Demostene (SºH~ TVSWTSMWSQEM HM SºH~R PPS KMKRÉWOIMR OEi TVSEMWURIWUEM TPR HM R ¹QlR IhT[ H»S H`R Q{R |XIVSR H{[parr. 11s.]) ; H`R Q~R SÃR }K[KI TVÏXSR ¹TVGIMR JLQi HIlR ´T[N HI»XIVSR H ±VR ´T[N [parr. 13 s.])29. Si tratta dei caratteristici contrassegni formali di un’oratoria demegorica che anche nella redazione scritta destinata alla pubblicazione preserva i tratti stilistici della versione recitata30.
Allargando lo sguardo agli altri generi oratorî, l’indicazione schematica dei punti che si è in procinto di esporre è, per Ermogene (235-239 Rabe) una delle qualità dell’orazione. La IºOVfRIMEinfatti, richiama l’attenzione dell’uditorio sui temi che l’oratore si accinge a toccare, determina quali fattori o ragioni debbano essere ritenuti dall’uditorio per primi o per secondi e consente ad esso di comprendere un’argomentazione che a prima vista può apparire poco perspicua (rinvio agli esempî demostenici addotti dallo stesso Ermogene: 18,136; 23,18)31. Anche lo scandire il trapasso da un punto all’altro (H`RQ~RSÃRXSÁXSP{K[[par. 3]) è un contrassegno formale che conferisce chiarezza all’esposizione del pensiero (quindi che investe quelle che Ermogene chiama }RRSMEMe Q{USHSM[237 Rabe]) e trova un parallelo (240 Rabe) nel ben più elaborato TVÉXSY Q~R XS»XSY OEi QPMWU ´TIV InTSR |RIOE XEÁXE HMI\¢PUSR (6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 27); l’inserimento di questi elementi di scansione produce IºOVfRIME, ma, per converso, tende ad espandere il dettato (287, 291 Rabe). Le figure (WGQEXE) dell’ IºOVfRIME enumerano gli 27 Ronnet (1951), 101. 28 Cf. pure i parr. 10,13,17,27,28,33. 29 Cf. Rupprecht (1927), 415. 30 Rupprecht (1927), 410, 413. 31 Dem. 23,18: HfOEMSRHzWXiRhW[N}Q¹TIWGLQ{RSRXVfzTMHIf\IMRH`RQ~R ÇNHI»XIVSRHÇNXVfXSRHÇN
elementi che compongono un’argomentazione (X¶ OEX UVSMWMR ÇVMWQ{RSRSmSR«zRXEYUSlH»SIhVLOIX³HIOEiX³HI»…XSMEÁXE H~WGQEXEOEi±QIVMWQ¶NOEiTEVfUQLWMN [238]); l’uditorio conosce in tal modo anticipatamente i nuclei dell’intervento dell’oratore e del loro ordine espositivo, sì da poterli seguire agevolmente. Tale stilema può essere introdotto da una domanda che l’oratore pone a se stesso (OEX X¶ WG¢QE IºOVMRN KfRIXEM ± P³KSN´XER±P{K[RSmSRyEYX¶RzV[XÏRInXETSOVfRLXEMOEX HMWXEWfRXMREÊWTIVzRXSlNXSMSlWHI«XfRSNSÃR|RIOEXEÁXE P{K[»OEiTPMR«TÏNSÃR»OEiTPMR«HMXf» OEiXXSMEÁXE [239]). Lo stesso Ermogene, infine (240 Rabe), adduce a scopo esemplificativo il passo sopracitato dell’orazione 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD (parr. 25-27). Questa caratteristica stilistica è del tutto coerente con l’intento didattico dell’oratore32. Conferma la valutazione aristotelica circa il maggiore livello di elaborazione formale dell’oratoria giudiziaria rispetto a quella demegorica – tanto più se questa si presenta allo stadio di semplici schizzi – il fatto che nell’orazione 6XOODIDOVDDPEDVFHULD alla IºOVfRIMEsi combini, come Ermogene ha osservato (Rabe 287) la TIVMFSP, ovvero l’ampiezza dello stile – determinata dall’impiego di ripetizioni, come si vede nella ripresa di HMI\¢PUSR(par. 25) tramite P{KSRXSN(LELG)e, di nuovo, HMI\¢PUSR (par. 27). Anche nel 3URRHP. 55 il contenuto del par. 2 viene ripreso con TV¶NX¶XS¾NP³KSYNzPXXSYNInREM(par. 3), ma complessivamente, rispetto al discorso 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, la TIVMFSP è certamente presente ad un livello più elementare e l’oratore ricorre alla semplice elencazione, tramite numerali ordinali, di quanto egli si accinge a dire (cf. Hermog. 279 Rabe).
L’uso della divisione, che conferisce chiarezza, quasi didattica, al dettato, si riscontra, comunque, già nei discorsi giovanili di Demostene e anche al di fuori degli esordî, come, p. es., in &RQWUR 7LPRFUDWH, 18 s. (TVÏXSR Q{R InXE QIX XEÁXE TV¶N XS»XSMN) e TVÏXSRQ{RQIXXEÁXE(par. 25)33
.
% /¶XVR GL PHWDIRUH H VLPLOLWXGLQL QHL Prooemia H QHOOH GHPHJRULH
2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP
Secondo Aristotele, il genere demegorico – il cui scopo è, come detto, sollecitare la JERXEWfE dell’uditorio – rispetto agli altri due generi è quello più adatto ad ospitare la metafora. Ne abbiamo la riprova dal fatto che, a scopo illustrativo, per temi di carattere politico e militare egli cita diverse metafore e similitudini di tipo naturalistico e medico (5KHWIII 10. 1410b 29 s.; 1411a 1-15)34. Nei 0RUDOLD, poi, Plutarco osserva come l’eloquenza politica, ancor più di quella giudiziaria, ammetta le metafore, che, se utilizzate in modo appropriato, hanno l’effetto di scuotere l’uditorio (H{GIXEM H ± TSPMXMO¶N P³KSN HMOERMOSÁ QPPSRQIXEJSVN EmN QPMWXE OMRSÁWMR Sd GVÉQIRSM QIXVf[N OEi OEX OEMV³R [803a]). Ed è significativo che, secondo lo stesso Plutarco, facesse particolare uso di 32 Cf. Wooten (1983), 23 s. 33 Cf. Navarre (1939), 9. 34 Labarrière (1994), 252.
esse Pericle, che Demostene ha sempre considerato come un modello sia di politico sia di oratore (LELG). Presumibilmente, poi, l’accusa che Eschine rivolge a Demostene, di fare uso di «metafore elaborate»
(TITVEKQEXIYQ{REMN QIXEJSVElN ²RSQX[R [&RQWUR 7LPDUFR,
167])35 per alludere alla condotta del giovane Alessandro di Macedonia, svaluta la freschezza e l’originalità di un artificio retorico che il suo avversario avrà sicuramente impiegato anche in altre circostanze e per altri argomenti; anni dopo, infatti, in &RQWUR &WHVLIRQWH, 72, Eschine rimprovererà a Demostene di far uso di metafore ardite (SºKV}JLHIlROEiKVX¶¢QEQ{QRLQEMÇN InTI HM XR LHfER XSÁ P{KSRXSN QE OEi XSÁ ²R³QEXSN « TSVV¢\EM X¢N IeVRLN XR WYQQEGfER »). Tuttavia, il fatto che Aristotele (5KHWIII 4. 1407a 5 s.) adduca un esempio di similitudine, verosimilmente da un passo demostenico – a noi però non pervenuto – (OEi · (LQSWU{RLN X¶R H¢QSR ´XM ´QSM³N zWXMR XSlN zR XSlN TPSfSMNREYXMÏWMR), potrebbe essere segno di un apprezzamento per la perspicuità di essa e la sua utilizzabilità in àmbito prosastico36.
Ora, l’uso della metafora consente all’oratore di meglio esprimere il suo animo appassionato e indignato e di rendere un concetto astratto più comprensibile e più immediato all’uditorio, imponendosi al suo ascolto; inoltre, come la similitudine, fa cogliere l’aspetto più inconsueto e meno scontato nell’àmbito di quanto è già conosciuto37. Quanto alla similitudine, essa rappresenta una forma più indiretta di metafora, poiché il rapporto tra le due realtà dei generi [e \è mediato
(}WXM KV IeOÉR OEUTIV IhVLXEM TV³XIVSR QIXEJSV
HMEJ{VSYWE TVSU{WIM HM¶ £XXSR H» ´XM QEOVSX{V[N OEi Sº P{KIMÇNXSÁXSzOIlRSSºOSÁRSºH~^LXIlXSÁXS]YG[5KHWIII 10.1410b 17-19]): si tratta, infatti, di una metafora che si fonda su un paragone, quindi consta di due termini, come la metafora OEX REPSKfER, ma viene sovente espressa con ÊWTIV(5KHWIII 11.1412b 32-35; 1413a 13 s.). Essa è non più che un accostamento tra due immagini di due àmbiti differenti che mantengono la loro fisionomia; rispetto alla metafora, che s’impone bruscamente all’attenzione dell’uditorio, la similitudine ha una funzione più didattica e corrisponde a un dipresso alla JORVVLHUHQGH 6\QRQLPLH del F{Wp poetico38.
35
Così traduce, a mio avviso correttamente, Natalicchio (20012), 231; e già Martin-Budé (1927) resero «en un langage détourné» (p. 76). Diversamente intende Fisher (2001) che rende «through fabricated ambiguities of language» (p. 110), sulla scorta di Adams (1919) – « [by… applying to him] words of double meaning» (p. 135). 36
Rinvio a Lossau (1964), 11, 31. 37
Su questo in particolare, cf. Blaß III (1893), 92. 38
Cf. Blaß III (1893), 91 («eine...Milderung der Metapher ist die bekannte mit
ÊWTIVSmSRu.s.f., wodurch sie sich schon dem Vergleiche nähert»); Ronnet (1951),
147-149, 180-182 ; Morpurgo-Tagliabue (1967), 244; Dover (1997), 125 s. («a simile LQIRUPV us of an author’s perception, but a metaphor makes us ZRUN to understand his meaning»). Parimenti, per lo Pseudo-Demetrio ('H HORF, 80) la metafora è più audace (OMRHYRÉHLN) della similitudine (IeOEWfE), che a sua volta è una sorta di metafora «in senso lato» (QIXEJSVTPISR^SYWE). Entrambe, infatti conferiscono allo stile HSR e Q{KIUSN (78), ma solo le metafore (e non le similitudine) conferiscono ad esso HIMR³XLN(272 s.). Sulla continuità dello Pseudo-Demetrio rispetto ad Aristotele, cf. Grube (?), 37.
Venendo ai 3URRHPLD, due osservazioni preliminari s’impongono. Anzitutto, la maggior presenza, nei 3URRHPLD, delle metafore rispetto alle similitudini, rispecchia in effetti una tendenza delle demegorie e dei discorsi politici, ma, in una raccolta che l’autore non ha inteso destinare alla pubblicazione, potrebbe anche considerarsi casuale39. In secondo luogo, il fatto che alcune immagini risultano essere, in effetti, particolarmente rare o ardite desta il sospetto dell’intervento del redattore o fa ipotizzare che l’avido desiderio dell’oratore di forgiare metafore di effetto e di nuovo conio lo abbia fatto cadere nella leziosaggine. Il motteggio di Eschine (&RQWUR&WHVLIRQWH, 166) all’uso, da parte di Demostene, di metafore e similitudini di carattere vegetale, come QTIPSYVKSÁWM e JSVQSVVEJS»QIUE – di cui però, nei testi pervenutici non abbiamo riscontri diretti – rappresenta, più che un motivo di scherno inventato dal nulla, la parodia di una caratteristica stilistica demostenica, sia pure limitata alla sola versione effettivamente pronunziata FRUDP SRSXOR. La piccata risposta di Demostene (6XOOD FRURQD, 232) sulla scimmiottatura maligna delle espressioni da lui utilizzate (QEXEOEiWGQEXEQMQS»QIRSN) pare essere una conferma indiretta di certe singolarità del suo stile40.
Ora, gli esempî di metafore e di similitudini della nostra raccolta si possono suddividere tematicamente come segue.
$0HWDIRUDHVLPLOLWXGLQHPHGLFD. Già usata da Tucidide e Platone, la metafora della malattia acquista in Demostene varî significati. È usata perlopiù per rappresentare la lacerazione di un tessuto civile, accompagnata da un degrado morale (6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 259, 262; 7HU]D )LOLSSLFD, 12, 39, 50); tuttavia, nell’orazione 6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR6WDWR essa rappresenta lo stato di ottundimento dell’uditorio (par. 13). In 7HU]D )LOLSSLFD, 29 l’attacco di febbre ciclica (ÊWTIV TIVfSHSN ¡ OEXEFSP TYVIXSÁ) costituisce la similitudine degli assalti del sovrano macedone che minacciano la vita delle città greche, e, nella 6HFRQGD2OLQWLDFD,le infermità fisiche sono il termine di paragone dei punti deboli dello stato monarchico macedone (par. 21). In 3URRHP. alla metafora, rappresentata dallo stato di debolezza fisica ed atta ad esprimere la torpida inettitudine degli Ateniesi (¯KVRQ{VZX¢NPfERVV[WXfENTEPPEK¢XI) subentra una similitudine, ad accogliere la quale l’animo dell’uditorio è già stato predisposto: le elargizioni del UI[VMO³Rda parte di quei cattivi politici che vogliono lasciare il popolo nell’indolenza, per fiaccarne le energie interiori, sono paragonate a certe diete, che vengono prescritte dai medici e che si limitano a mantenere in vita il paziente (RÁR H~ HVEGQ® OEi GSq OEi X{XXEVWMR ²FSPSlN ÊWTIV WUIRSÁRXEX¶RH¢QSRHMKSYWMR, ±QSM³XEXÑ%XSlNTEV XÏR eEXVÏR WMXfSMN HMH³RXIN ¹QlR) Tali politici, infatti, agiscono come i medici che non vogliono né far morire né infondere vigore ai malati (OEiKVzOIlRS½XeWG¾RzRXfULWMRS½XTSUR¨WOIMRz OEiXEÁXS½XTSKR³RXENPPSXMQIl^SRTVXXIMRzS½XE½X
39
Cf. Ronnet (1951), 150-153, 176. Dubito che si possa periodizzare l’evoluzione stilistica dell’oratore come invece fa la studiosa francese, ovvero assumento ossessivamente come data spartiacque il 346, sì da affermare che Demostene solo nelle demegorie anteriori a questa data pare impiegare più volentieri le metafore. 40
z\EVOIlR H»REXEM). Queste due similitudini hanno rappresentato l’abbozzo del par. 33 della 7HU]D 2OLQWLDFD, preannunziate dalla metafora, sempre di carattere medico, offerta da ¹QIlN H ± H¢QSN zORIRIYVMWQ{RSM (par. 31)41
. Nella demegoria la prima parte della similitudine diviene parte di un più vibrante incitamento all’azione (hW[N RXÏR XSMS»X[R PLQQX[R TEPPEKIfLXI XSlN TEV XÏReEXVÏRWMXfSMNHMHSQ{RSMN}SMOIR); e, in virtù dell’inserimento dei sostativi ÈJ{PIME e EUYQfE che sono una chiosa ai concetti espressi,la seconda parte di 3URRHP52,4 troverà una formulazione più ampia in OEi KV zOIlR S½X eWG¾R zRXfULWMR S½X TSUR¨WOIMRzOEiXEÁUR{QIWUIRÁR¹QIlNS½XIXSWEÁX zWXfRÊWXÈJ{PIMER}GIMRXMRHMEVO¢S½XTSKR³RXENPPS XM TVXXIMR z PP }WXM XEÁXE XR yOWXSY ZUYQfER ¹QÏR
zTEY\RSRXE42
.
% 6LPLOLWXGLQH PRQHWDULD. L’esame dei discorsi degli oratori è paragonato all’atto di saggiare le monete per verificare se siano autentiche (ÊWTIV R XSfRYR Ie R³QMWQ zOVfRIU ±TSl³R Xf TSX zWXfRHSOMQWEMHIlRRÓULXIS¼X[OEiX¶RP³KSR\MÏX¶R IeVLQ{RSRz\ÐRRXIMTIlRQIlN}GSQIRWOI]EQ{RSYN [3URRHP. ])43
; parimenti, in Demostene, l’introduzione di leggi considerate inique trova la similitudine della diffusione di monetazione falsa (&RQWUR/HSWLQH, 167; &RQWUR7LPRFUDWH, 212 s.).
& 0HWDIRUH PLOLWDUL. In 3URRHP. l’incalzare degli eventi a fronte dell’inerzia degli Ateniesi pare espresso con due immagini mutuate dalla strategia militare: tramite una personificazione, le circostanze storiche particolari (i OEMVSf) possono forzare o sopraffare l’ IeV[RIfE degli Ateniesi, descritta come un reparto militare, e gli eventi (ovvero i TVKQEXE) possono avvicinarsi (TVSWKIMR) come truppe minacciose44. L’immagine Ie Q~R XSfRYR QLH{RE OEMV¶R ShIWU \IMR ·N IhW[ X¢N IeV[RIfEN Jf\IXEM XE»XLN (par. 3) fu considerata, dallo Swoboda come la trasposizione, in uno stile ampolloso, di una metafora tratta dalle demegorie. Ora, anzitutto, già in Senofonte l’irruzione armata in un luogo chiuso viene espressa
41
Nella citata &RQWUR&WHVLIRQWH Eschine rimprovera a Demostene l’uso di metafore come ¹TSX{XQLXEMXRIYVXSÁHQSY(par. 166).
42
Sulla frequenza di metafore e similitudini tratte dal mondo medico, cf. Blaß III (1893), 89; Ronnet (1951), 157, 166, 177 s. A proposito dei rapporti fra la 7HU]D
2OLQWLDFD e il 3URRHP 52, segnalo che nella demegoria ricorre una metafora
venatoria assente nel proemio, ovvero l’immagine dell’addomesticamento del popolo (SdHzREºX®X®T³PIMOEUIfV\ERXIN¹QNzTKSYWMRzTiXEÁXEOEi XMUEWI»SYWMGIMVSUIMNE¹XSlNTSMSÁRXIN[7HU]D2OLQWLDFD, 31]). Cf. Tuplin ( ?), 289 s.; Milns, 213. 43 Cf. Clavaud (1974), 136, n.11. 44
Cf. Clavaud (1974), 95 nn. 6-7. In 3ULPD2OLQWLDFD, 10 X¶T³PPTSP[PIO{REM non indica solo in senso proprio le perdite, in termini di vite umane, della guerra, bensì anche le circostanze o le occasioni sprecate. Che Demostene potesse vedere (o all’epoca in cui scrisse il 3URRHP 13 o in una successiva) l’avvicinarsi di eventi minacciosi come una marcia è provato dal fatto che nell’orazione 6XOOD IDOVD
DPEDVFHULD (par. 247) cita un passo dell’$QWLJRQHsofoclea i cui lo svolgersi dei fatti
trova una simile immagine (XR XLR ±VÏR / WXIfGSYWER WXSlN RXi X¢N
W[XLVfEN[vv. 187 s.]). Altra metafora militare ricorre in &RQWUR0LGLD, 138, ove si
afferma che l’essere malvagi e insolenti grazie alla ricchezza e alla prepotenza è un
XIlGSNTV¶NX¶QLH~RREºX¶Rz\zTMHVSQ¢NTEUIlR.Sulla frequenza di questo
attraverso l’uso di JMORIlWUEM e della preposizione IhW[ (nondimeno, nel proemio in esame tale costrutto viene fortemente condensato)45; inoltre, la prosopopea dell’occasione che sopraggiunge compare già in Lys. 12,79 e, nell’àmbito demostenico, in 3ULPD 2OLQWLDFD, 946
e 7HU]D 2OLQWLDFD, 6 (OEMV¶N OIM), nonché in 6XOOH VLPPRULH, 28 (± OEMV¶N }PU:) e &RQWUR /HSWLQH, 166 (XMN }PU: TSX~OEMV³N) – cf. anche Aristot. 3ROI 11.1259a 14 s. e Demad. fr. 87,11 De Falco47. Lo Swoboda ha sostenuto che il passo del proemio in esame deriverebbe dall’immagine personificata delle occasioni che aspettano l’infingardaggine degli Ateniesi (X¶R KV XSÁ TVXXIMR
GV³RSR IeN X¶ TEVEWOIY^IWUEM REPfWOSQIR, Sd H~ XÏR
TVEKQX[R Sº Q{RSYWM OEMVSi XR QIX{VER FVEHYX¢XE OEi IeV[RIfER [3ULPD )LOLSSLFD, 37])48
; in realtà, con tale immagine preferirei ravvisare un rapporto di somiglianza generica piuttosto che di filiazione diretta. Ritengo, altresì, che sussista una certa affinità fra l’immagine del 3URRHP13 e una metafora dell’orazione 6XOODIDOVD DPEDVFHULD, in cui l’incombere dei pericoli è descritto come l’accerchiamento messo in atto dalle truppe (QIKPSM OfRHYRSM TIVMIWXWMR XR T³PMR [par. 83]). Per quanto concerne X TVKQEXETVSWKSRXE, saremmo di fronte ad un uso metaforico senza precedenti. I due termini ricorrono, infatti, ma non in una personificazione, in 6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 98 (XSWSÁXT{G[XSÁ WYOSJERXfER XMR XSlN TVKQEWM XS»XSMN TVSWKIMR) – ove, oltretutto, TVSWKIMR, a differenza che nel passo del proemio, è transitivo; sicché ben difficilmente si potrà vedere in questo passo una fraseologia simile a quella del 3URRHP 13. In 7HU]D )LOLSSLFD, 17 l’azione militare dell’accostare le macchine da guerra alle mura è espressa col verbo TVSWKIMR, sia pure transitivo; ed anche nella pseudodemostenica &RQWUR 1HHUD (par. 102), il verbo – con complemento oggetto TIfVEN – indica i ripetuti attacchi spartani durante l’assedio di Platea. Solo in un altro discorso pseudodemostenico, la &RQWUR7LPRWHR, si incontra due volte (parr. 17; 29) TVSWKIMRnel senso intransitivo di ‘accostarsi’, ‘avvicinarsi a’ e avente per soggetto persone. Questi dati, dunque, fanno concludere per una rarità della personificazione adottata e per un uso non tipicamente demostenico del verbo TVSWKIMR49.
45 &\U VII 5,29: Sd H QJi X¶R +EHXER ÇN InHSR XN T»PEN GEPÉWEN
IeWTfTXSYWM OEi XSlN TPMR JI»KSYWMR IhW[ zJIT³QIRSM OEi TEfSRXIN JMORSÁRXEMTV¶NX¶RFEWMP{E. In $QII 4,12 la penetrazione, espressa con IhW[,
è successiva all’azione di JMORIlWUEM, sempre riferita ad un esercito (JfOSRXS
TV¶NX¶1LHfENOEPS»QIRSRXIlGSNOEiTEV¢PUSRIhW[EºXSÁ).
46
In 3ULPD2OLQWLDFD, 2 il OEMV³Nè personificato. Per il tema del OEMV³N nei discorsi per Olinto, cf. Tuplin, 283, 314.
47
Sulla personificazione dei TVKQEXEin Demostene, cf. anche 3ULPD2OLQWLDFD, 2;
6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 120, ove l’oratore afferma che saranno i fatti stessi a deporre
contro Eschine. Per l’invito pressante a cogliere il OEMV³N, rinvio a Tuplin, 283; 314. 48
«poscitur ut fingas tempus (OEMV³R) fieri militem, qui intra tela, quae XÏR
%ULREf[RIeV[RIfEtamquam mittat, irruat itaque eam irritam reddat» (Swoboda
[1887], 93). La personificazione, impiegata a scopo di biasimo, delle occasioni che «non aspettano» le varie manovre umane ricorre anche in Tucidide (XSÁH~TSP{QSY
Sd OEMVSi Sº QIRIXSf [I 142,2]) e in Eschine (LXSVMOR HIMPfER HLQ³WMSN OEMV¶NSºOREQ{RIM[3,163]). Cf. Sandys (1897), 113 n. 335.
49
In Dem. 24,55 e 32,28 TVSWKIMR è transitivo e significa ‘presentare’, ‘far venire’, ‘porre a fianco’.
Quanto alle metafore tratte dall’àmbito della marina, come ¹TLVIWfEM (3URRHP. ), termine atto a designare gli ammennicoli retorici che gli oratori dispiegano per ingannare l’uditorio, esse sono rarissime non solo nei 3URRHPLDma anche nelle demegorie, ove l’unico caso resta T³PMR QIKPLR zJSVQIlR XSlN yEYXSÁ [VFLO *MPfTTSY] OEMVSlN [7HU]D 2OLQWLDFD, 7])50. Nell’uso del sostantivo ¹TLVIWfEM del 3URRHP. 51 lo Swoboda ha ravvisato un’improprietà di linguaggio, spia, secondo lui, dell’inautenticità del brano51. Chiaramente «videntur hoc loco potius ¹TLVIWfEMad dolum atque fallacias pertinere»52, ma il sostantivo è già usato altrove da Demostene, sia pure al singolare, per indicare l’essere al servizio di qualcuno o di qualcosa, o esserne lo strumento (anche malvagio), come in W¾ H~ XSºRERXfSR z\IP{KGIM TV\EN IeN XR OEU QÏR ¹TLVIWfER (&RQWUR 2QHWRUH ,,, 8); e, considerando che in 3URRHP 51 ¹TLVIWfEM è comprensivo delle X{GREMe delle KSLXIlEM, si può dire che il passo in questione presenti una certa somiglianza con XElN KV zOIfR[R X{GREMN OEi TERSYVKfEMNQMWUÉWENE¹X¶ROEiTEVEWGÌR¹TLV{XLRzJE¹X¶R KEKIRXHMOQEXE(&RQWUR7LPRFUDWH, 14). Il senso di ‘strumento spregiudicato o amorale’ dunque non è nuovo; è semmai l’astratto verbale, al plurale, ad apparire poco frequente53.
' 0HWDIRUH YHQDWRULH. In 3URRHP. le occasioni da cogliere vengono descritte come una preda a cui si fa la posta da lontano
(Q³PMNKVS¼X[NzPTiNzOTSPPSÁHMÉOSRXENXTVSIMQ{RyPIlR
HYRLU¢REM). E questo proemio, come presenta passaggi pressoché coincidenti con l’esordio della 3ULPD)LOLSSLFD(par. 2), così condivide con questa demegoria anche l’immagine della caccia per designare la strategia militare di Filippo (If XM TVSWTIVMFPPIXEM OEi O»OP. TERXEG®Q{PPSRXENQNOEiOEULQ{RSYNTIVMWXSMGf^IXEM [par. 9])54.
50
In 7HU]D2OLQWLDFD, 7 la similitudine del blocco (ÊWTIVzQT³HMWQE) – che Tuplin 283; 314 pensa navale – descrive l’alleanza militare in funzione antimacedone siglata da Ateniesi e Olinti. In Plat. 3RO 295b vi si trova la metafora corrispondente. Cf. Ronnet (1951), 155, 162.
51
Si noti come in 3URRHP. 51 ¹TLVIWfEM definisce l’azione degli oratori nei confronti dell’uditorio, mentre in 7HU]D 2OLQWLDFD, 31 e 6XOO¶RUGLQDPHQWR GHOOR
6WDWR, 31 ¹TLV{XLNindica la posizione di subalternità del popolo agli oratori. Questa
accezione pare la stessa della ¹TLVIWfEche l’aristofanesco Filocleone nega di avere nei confronti di Cleone (9HVS602).
52
Swoboda (1887), 96. 53
Il plurale ¹TLVIWfEM ricorre col senso metaforico di ‘servigî’ in Plat. /HJ V. 729d; Aeschn. 2,109; Aristot. (1VIII 6. 1158a 17 o di ‘servizî’ in Plat. /HJVI. 755c; (S VII. 350a; Aristot. 3ROI 13. 1259b 26, nonché, al singolare, in Platone ($S30a; (XWK\SKU14d; 7LP44a; 5HVSVI. 498b; /HJV. 729d; XII. 961e; 0LQ 320c); o, inoltre, di ‘cómpiti’, ‘mansioni’ in Plat. /HJ XII. 956e, o, infine, di ‘ausilio’, in Plat. 7LP34a; (SVII. 333e (in questi due casi al sing.).
54
Allo stesso àmbito sarebbe da ricondurre anche XTPIf[XÏRTVEKQX[RQN
zOTIJIYK{REM(7HU]D2OLQWLDFD, 3). Cf. Blaß III (1893), 89; Clavaud (1974), 111 n.
2. Quanto all’uso metaforico di TIVMWXSMGf^IXEM della 3ULPD )LOLSSLFD, osserva Arpocrazione (248): «(LQSWU{RLN *MPMTTMOSlN JLWM Q{PPSRXEN QN OEi
OEULQ{RSYN TIVMWXSMGf^IXEM zO QIXEJSVN XÏR OYRLKIXÏR OEX KV XN zOHVSQN XÏR ULVf[R ²VU \»PE dWXWMR OEPSÁWM WXSfGSYN ¡ WX³GSYN OEXETIXERR»RXIN EºXÏR HfOXYE gR zR EºXS¾N zOJ»K: X ULVfE IeN X HfOXYE zQT{W: ÇN ¹TSWLQEfRIM <IRSJÏR zR XÚ /YRLKIXMOÚ». Cf. Sandys