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Nel 1952 Cesare Segre pubblica La sintassi del periodo nei primi prosatori italiani.

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I NTRODUZIONE

Nel 1952 Cesare Segre pubblica La sintassi del periodo nei primi prosatori italiani.

Si tratta di una raccolta di tre saggi monografici sulle Lettere di Guittone, la Rettorica di Brunetto Latini e il Convivio di Dante, con la quale l'autore si avventura in un campo all'epoca ancora in gran parte inesplorato. Basta dare una scorsa alla scarna bibliografia del suo lavoro per notare la scarsità di studi specifici sul tema: i due maggiori contributi generali sulla prosa antica erano L'arte del periodo di Lisio (1902) e Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana di Schiaffini (1943), e molte delle edizioni di riferimento dei testi commentati sono oggi superate, sia quelle dei testi oggetto principale del suo studio

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, sia, soprattutto, quelle degli altri testi duecenteschi citati, per alcuni dei quali Segre stesso si sarebbe fatto editore negli anni successivi.

Considerando la scarsità della bibliografia a disposizione, i risultati raggiunti da Segre assumono un valore ancora maggiore, come testimonia il costante tributo (non formale, ma sostanziale) che le storie della lingua, da allora fino a oggi, dedicano a questo studio quando si tratta di descrivere la prosa letteraria del Duecento. Non mi dilungherò per questo ad elencarne i meriti, ma cercherò di individuarne gli elementi problematici.

Accanto alla lacuna editoriale prima individuata, e agli ovvi limiti nella terminologia e nelle teorie grammaticali (sono utilizzati, ad esempio, termini come anacoluto e pleonasmo), dovuti alla data di composizione, l'analisi di Segre presenta anche, a mio avviso, una “problematicità” metodologica, che mi sembra giusto rilevare perché ha dimostrato una certa persistenza nella storia degli studi storico-linguistici italiani.

Nell'introduzione al volume lo scopo dello studio è così definito:

la prima e più importante ricerca che ci siamo imposta per ogni autore è stata quella dei rapporti tra la struttura del suo pensiero e l'equilibrio dei periodi e delle proposizioni nella sua prosa. Siamo giunti così a risultati estremamente vari (dal chiaroscuro metafisico di Guittone alla prosa a festone di Dante) che ci sono stati da guida nell'interpretazione dei singoli fenomeni sintattici. Perché, qualunque sia il grado di attività dell'autore rispetto alla lingua (adozione automatica e non cosciente di un modulo sintattico; adozione cosciente del modulo come segno di una tradizione culturale, di un gusto determinato; adozione con un preciso scopo stilistico;

1 L'edizione del Convivio era quella curata da Busnelli-Vandelli (1937); per le Lettere l'edizione era quella di Bottari (1745), con gli emendamenti di Pellegrini; l'edizione della Rettorica, invece, era quella del Maggini del 1915, che è sostanzialmente uguale a quella del '65, curata dallo stesso Maggini e ancora oggi edizione di riferimento per il testo di Brunetto.

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elaborazione personale o innovazione) la conoscenza delle tendenze fondamentali del suo scrivere permette di inquadrare e collegare in funzione della sua personalità stilistica fenomeni sintattici geneticamente diversi o distinti (p. 44).

La sintassi del periodo nei primi prosatori italiani è dunque uno studio essenzialmente stilistico, che prende in considerazione solo i fenomeni linguistici che, secondo l'interprete, caratterizzano e definiscono lo stile di un un determinato autore. Lo studioso si fa un'idea generale della sua prosa (la prosa a festone di Dante, il chiaroscuro metafisico di Guittone), dalla quale attiva un circolo interpretativo per cui quell'idea è giustificata attraverso alcuni fenomeni sintattici, i quali a loro volta sono spiegati alla luce di quell'idea. Se Segre ha ragione ad affermare che ogni fenomeno linguistico può avere un valore diverso a seconda del contesto in cui compare, e che quindi l'interpretazione delle microstrutture non può mai perdere di vista il contesto più ampio in cui esse sono collocate, tuttavia il rischio di impressionismo critico e arbitrarietà insito in un'operazione di questo tipo mi pare abbastanza palese, e talvolta le analisi di Segre mi sembrano esserne vittima. Riassumo qui uno dei passi che credo più risentano di questo limite: commentando in Guittone «la frequenza della ripetizione a breve distanza di congiunzioni uguali e l'uso di proposizioni incidentali coordinate, unite alla principale alla bell'e meglio, con stridenti salti di soggetto», Segre tra parentesi sostiene che questo è un fatto comune a tutta la prosa antica, ma, a distanza di qualche riga, afferma:

Ma certo la ragione più intima e vera di tali squilibri è da cercare proprio nella forma mentale dello scrittore, nel quale si ripetono e si potenziano le condizioni originarie della tradizione dettatoria. Ché, nel suo desiderio di colpire il lettore con giochi di parole, con lo sfoggio erudito delle sentenze, con le ricercate inversioni; e di conquistarlo assalendolo con le ondate successive di interrogazioni, con le sonore invettive, è naturale che l'autore perdesse di vista la conseguenza logica dei periodi.

Guittone sdegna il classico assetto logico della sintassi, e se per qualunque ragione artistica gli si presenti l'eventualità di rinunciare ai più comuni mezzi sintattici d'esprimere il proprio pensiero, non ha alcuno scrupolo a farlo (p. 61).

La perentorietà con cui quest'ultima affermazione è proposta non nasconde l'affiorare di una contraddizione, che rimane irrisolta anche nei paragrafi successivi. Che la debolezza dei rapporti logici nella sintassi guittoniana corrisponda ad una scelta stilistica precisa (che renderebbe Guittone «epigono di quella lunga schiera di scrittori postclassici che si potrebbero affratellare sotto la sigla di secentismo e di ermetismo») è

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un fatto reso quantomeno dubitabile non solo dalla constatazione parentetica precedente, ma anche da un altro elemento che Segre stesso, con acutezza, rileva nella sua trattazione, cioè che la prosa di Guittone intrattiene «rapporti con la prosa di carattere più dimesso» (che, cioè, non aveva intenti artistici o velleità retoriche), con la quale condivide, ad esempio, una netta prevalenza delle coordinazione e una certa

«incapacità costruttiva» (p. 65).

Non è ovviamente possibile stabilire in questa sede se, come in ultima istanza sostiene Segre, la debolezza dei legami sintattici in Guittone sia frutto di una scelta artistica e stilistica o sia determinata da un contesto di generale incertezza della prosa duecentesca nella costruzione del periodo. Né forse la questione andrebbe posta in questi termini dicotomici, essendo le due spiegazioni non necessariamente in contrasto l'una con l'altra. Ciò che mi preme sottolineare è la forza dell'azione dell'idea guida dello studioso, in questo caso esasperata anche dalla volontà di affrancare Guittone dal pregiudizio critico che lo voleva prosatore di scarsa qualità: tale idea, talvolta, conduce Segre ad affermazioni certamente suggestive, ma poco argomentate anche quando, almeno apparentemente, altri dati sembrano smentirle.

Ad ogni modo l'acutezza, la competenza e l'innegabile sensibilità di Segre hanno fatto sì che molte delle sue intuizioni fossero in seguito rese convincenti e indiscutibili da controprove fattuali e che il suo studio sulla sintassi della frase complessa nella prosa antica sia una grande fonte di informazioni non solo sulla prosa Dante, Brunetto e Guittone, ma più in generale sugli usi linguistici di un'intera epoca. Per questo, nonostante la presenza di alcune conclusioni suggestive ma poco documentate e l'incompletezza dello studio dal punto di vista dei fenomeni linguistici studiati, il saggio di Segre continua ad essere un punto di riferimento fondamentale per lo studio della sintassi periodale della prosa letteraria antica.

Ugualmente fondamentali per lo studio della prosa antica sono stati le edizioni e gli studi filologici che, a partire dagli anni Cinquanta, per merito dello stesso Segre, di Mario Marti, di Arrigo Castellani, hanno consegnato agli studiosi materiali essenziali per lo studio della prosa media, dei volgarizzamenti, dei testi di carattere pratico e privato, che hanno contribuito ad ampliare notevolmente le conoscenze sugli usi linguistici del Duecento.

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Nel campo degli studi sulla sintassi della prosa antica, a partire dagli anni Sessanta, al lavoro di Segre sulla sintassi della prosa letteraria si sono affiancati gli studi di Maurizio Dardano, focalizzati sulla prosa media. Lingua e tecnica narrativa nel Duecento (1969) raccoglie otto saggi dedicati a testi fino ad allora poco studiati, come il Novellino, i Fiori e vita di filosafi, la Tavola ritonda, i Conti di antichi cavalieri. La raccolta ha il merito di ridefinire le coordinate di interpretazione della prosa media, che fino a quel momento aveva risentito del confronto con quella letteraria, suscitando nei critici l'impressione di elementarità compositiva e stilistica. Collocando queste opere nel loro particolare contesto di produzione e fruizione e, contemporaneamente, avviando un confronto sistematico con la tradizione mediolatina (in particolare con gli exempla) e francese, Dardano giunge a caratterizzare fenomeni come le ripetizioni e la prevalenza della paratassi come precise scelte narrative e stilistiche, fugando il pregiudizio che fossero frutto di imperizia.

Partendo dalla constatazione che «per la sintassi dell'italiano antico, a differenza del francese, mancano i presupposti stessi di uno studio sintattico: l'inventario dei costrutti, la loro sistemazione» (p. 15), i saggi raccolti in Lingua e tecnica narrativa forniscono un inventario completo e ragionato degli aspetti sintattici di ciascun testo che di volta in volta sembrano rilevanti all'autore: ad esempio, per il Novellino vengono descritte ampiamente la ricca fenomenologia dei costrutti paratattici, le varie tipologie dei costrutti consecutivi, le diverse funzioni delle ripetizioni, l'uso dei gerundi e delle proposizioni relative. Rispetto alla trattazione di Segre, una prima differenza è, dunque, l'ampiezza dello spettro dei tratti linguistici considerati. Un'ulteriore novità degli studi di Dardano è la maggiore attenzione dedicata alla struttura del testo, agli esordi, alle formule di collegamento tra sezioni di argomento o di andamento diverso: in altre parole, all'asse sintagmatico.

Nel '69 Dardano presentava la sua raccolta come «un lavoro preparatorio per quella sintassi storica dell'italiano antico cui attendiamo da tempo» (p. 16). Vent'anni dopo, in un articolo intitolato Per lo studio della sintassi nei testi toscani antichi, pubblicato nel 1989 sulla Revue romane e poi inserito come saggio introduttivo alla raccolta Studi sulla prosa antica (1992), Dardano torna a constatare che «le norme linguistiche presenti nell'area italiana ci sono note in modo vario e difforme. Della stessa varietà

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toscana, che è senza dubbio la più ricca di testimonianze e la più studiata, possiamo dire di conoscere ancora in modo imperfetto la fisionomia sintattica», sia – sostiene Dardano – per la scarsa attenzione dei grammatici e dei retori medievali all'analisi dei componenti della frase e delle configurazioni frasali, sia per un certo tradizionalismo terminologico (e dunque concettuale) e metodologico, che ha spesso contraddistinto gli studi sull'italiano antico. Emerge perciò la necessità di una stilistica che proceda con nuovi metodi e con analisi più rigorose, meno ancorata alle intuizioni del singolo studioso: in altre parole, «incombe il dovere di compiere spogli esaurienti, di allargare l'ambito di una grammatica di liste, non limitata alla fonologia e ad alcuni aspetti della morfosintassi» (p. 14).

Nell'arco di tempo che va dal saggio di Segre alla seconda raccolta di Dardano (1954-1992) non sono certamente mancati studi importanti sulla sintassi dell'italiano antico: dalle ricerche di Franca Brambilla Ageno e Francesco Agostini, che, tra gli altri, hanno prodotto studi fondamentali come l'Appendice all'Enciclopedia dantesca; alle grammatiche storiche di Gerard Rohlfs e Pavao Tekavčić; fino agli studi più recenti di Paola Benincà sulla sintassi di vari dialetti italiani antichi e di Paolo d'Achille sulla sintassi del parlato nella storia della lingua italiana. Eppure ancora le storie della lingua degli anni '90, come quella curata da Serianni-Trifone (1993-1994) o il volume Il Medioevo (1999) curato da Rosa Casapullo per la storia della lingua diretta da Francesco Bruni, quando si tratta di descrivere la sintassi del periodo della prosa antica non possono fare a meno di avere come punti di riferimento principali gli studi di Dardano e Segre, oltre all'Appendice dell'Enciclopedia dantesca.

È a partire dagli anni Novanta fino a oggi che gli studi sulla sintassi dell'italiano antico vivono una decisa rinascita e prende avvio, secondo diverse direttrici, un proficuo lavoro per colmare definitivamente i limiti che si sono fin qui individuati in questo campo: l'impressionismo critico a scapito della scientificità e del rigore, il tradizionalismo degli approcci grammaticali utilizzati, la non esaustività degli studi.

Prodotti principali di questo fermento sono i convegni Sintassi storica (Pavia, 1996), SintAnt (Roma, 2002), Sintassi storica e sincronica dell'italiano (Basilea, 2008); il numero monografico di Lingua e stile (4, 2000) intitolato Linguistica e italiano antico e curato da Lorenzo Renzi e Antonietta Bisetto; i progetti di ricerca ItalAnt, ArSIL, SAVI;

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e, infine, la monumentale Grammatica dell'italiano antico (2010) e la Sintassi dell'italiano antico (2012).

In questa vasta mole di studi si potrebbero individuare due correnti teoriche distinte e, per alcuni aspetti, contrapposte. Una trova espressione in particolare nel convegno SintAnt e nel progetto ArSIL (Archivio della Sintassi dell'Italiano Letterario), di cui Maurizio Dardano è il coordinatore, che si propone di fornire un repertorio di costrutti (micro- e macrosintattici) e di sequenze testuali risultante da spogli elettronici o manuali, da utilizzare come base di dati per analisi sincroniche e diacroniche. Questa linea di ricerca ha alla base alcuni dei concetti a cui si è già accennato parlando dei precedenti contributi di Dardano: in primo luogo, la necessità di comprendere e valutare la lingua dei testi antichi partendo dalla comprensione delle loro finalità e modalità compositive, nonché dei modi della ricezione propri del periodo storico in cui sono collocati; di qui deriva il deciso rifiuto di uno studio della sintassi antica che sia puramente linguistico e che trascuri le questioni di rilevanza filologica. Un secondo nodo teorico, legato al primo, si potrebbe definire come il ridimensionamento della distinzione tra sintassi come langue e sintassi come parole: partendo dalla constatazione che numerose strutture che un tempo erano studiate nell'ambito della stilistica (ad esempio, il cosiddetto anacoluto) oggi fanno parte della grammatica e hanno delle regole proprie (il tema sospeso), è opportuno che lo studioso sia molto cauto prima di etichettare determinati tratti linguistici come eccezioni o fenomeni stilistici, e proceda piuttosto con criteri di valutazione scalari.

Una seconda linea di ricerca, molto più rivoluzionaria nel campo degli studi sull'italiano antico rispetto alla prima, è quella che si è esplicata nel progetto ItalAnt, nato con l'obiettivo di produrre una grammatica sincronica di stampo generativo dell'italiano antico sul modello della Grande grammatica di consultazione uscita nel 2001. Il presupposto che fa da sfondo all'impresa è la convinzione che sia possibile lavorare sulle lingue antiche come su quelle moderne, cioè che sia possibile per un contemporaneo acquisire una competenza linguistica dell'italiano antico tale da permettergli di stabilire che cosa sia grammaticale e che cosa non lo sia. Il tentativo di ricostruire una competenza dell'italiano antico comporta uno stravolgimento della prospettiva degli studi storico-filologici, da sempre concentrati sulle esecuzioni, e porta

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con sé la rottura, anche se inevitabilmente non completa, di quel binomio linguistica- filologia cui si accennava prima, come conferma il fatto che numerosi studiosi impegnati in questa ricerca sono linguisti puri, che per la prima volta si accostano a uno studio così approfondito dell'italiano antico.

Il prodotto finale di questo complesso di ricerche è la Grammatica dell'Italiano Antico (GIA) edita nel 2010 per cura di Lorenzo Renzi e Giampaolo Salvi, una grammatica descrittiva, fondata sui principi della grammatica generativa, della pragmatica e della linguistica testuale, del fiorentino del Duecento e dei primi del Trecento. L'obiettivo a lungo termine dichiarato dai curatori nell'introduzione è quello di congiungere la descrizione sincronica dell'italiano antico, che per adesso è una grammatica contrastiva rispetto all'italiano moderno, con quella dell'italiano contemporaneo effettuata con la Grande Grammatica di Consultazione, attraverso una serie di analisi linguistiche intermedie, sempre sincroniche, al fine di ottenere un tracciato diacronico.

Gli studi sono stati effettuati a partire da un corpus primario, concepito come una sorta di corpus di allenamento, tramite il quale i linguisti si sono fatti una prima idea delle strutture che poi hanno verificato su un corpus più ampio. Tale corpus primario era costituito, in una prima fase del progetto, da 21 testi (per un totale di circa 260mila occorrenze

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), rigorosamente di area fiorentina, collocabili nella seconda metà del XIII secolo: una versione di tale corpus lemmatizzata, annotata e completamente disambiguata per parti del discorso, categorie morfosintattiche, genere letterario, specifiche filologiche e articolazione paragrafematica è oggi il Corpus Taurinense, curato da Manuel Barbera e liberamente consultabile online. In una seconda fase del progetto, tuttavia, il nucleo di ricerca della GIA ha constatato che il corpus non era sufficiente ad attestare, ad esempio, tutte le forme dei paradigmi verbali: perciò la gamma di testi inclusi nello studio è stata ampliata a tutti i testi fiorentini del Duecento e del primo quarto del Trecento

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, mantenendo comunque il corpus primario come prima fonte di dati. La trattazione è dunque, per ammissione degli stessi curatori, disomogenea, nel senso che i testi di riferimento possono cambiare da sezione a sezione.

2 Per avere un termine di paragone, la Commedia ne conta circa 100mila.

3 Ma una nota nell'introduzione avverte che in alcuni casi, ben segnalati e motivati, il limite cronologico è stato esteso fino al Boccaccio e l'area presa in considerazione estesa a tutta la Toscana

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Il corpus contiene tutti i generi attestati nella Firenze del Duecento (documenti privati e pratici, testi narrativi, trattati, testi letterari in poesia e in prosa) ad eccezione di testi che sono stati ritenuti troppo influenzati dalla lingua di origine (latino o francese) e dei testi di incerta tradizione filologica. Riguardo alla varietà del corpus, i curatori sostengono che nelle trattazioni dedicate ai singoli costrutti è stata presa in considerazione la distinzione di registri e generi letterari e che non mancano considerazioni diacroniche, mentre non è stata fatta distinzione tra poesia e prosa,

«partendo dall'assunto che la poesia nel Due e Trecento non abbia un linguaggio a sé, non sia una lingua speciale» (p. 14)

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.

Un ultimo tratto caratteristico della GIA è il rifiuto dei presupposti teorici e della metodologia della linguistica dei corpora, cioè il metodo induttivo e gli aspetti statistici e probabilistici dell'analisi linguistica. Sostengono ancora i curatori nell'Introduzione:

In una lingua antica, come in una moderna, la logica principale non è quella di ciò che è più numeroso e di ciò che è meno numeroso, ma quella binaria per cui in una lingua ciò che è possibile, essendo grammaticale, si oppone a ciò che non è possibile perché agrammaticale.

È difficile valutare un'opera così ampia e ambiziosa prima di averne attentamente verificato le ipotesi sui testi: certo è che la GIA sarà da ora in avanti un elemento imprescindibile per chiunque si accosti allo studio dell'italiano antico.

Data l'abbondanza degli studi degli ultimi anni, che, se pur con punti di vista diversi, sono tutti dedicati alla descrizione di singoli fenomeni o costrutti sintattici, relativamente a un arco temporale più o meno ampio e fondati su un corpus di opere più o meno eterogeneo, mi sembrano maturi i tempi per dedicarsi nuovamente, come agli albori degli studi di sintassi storica, allo studio della lingua di singole opere. Le nuovissime acquisizioni, infatti, possono senz'altro gettare nuova luce anche sulla lingua di quegli autori che ormai si dà per scontato di conoscere. Di tali studi saranno utili sia le acquisizioni teoriche e tecniche, sia i principi metodologici: rigore e scientificità, stretta interazione con le correnti linguistiche moderne (linguistica generativa, pragmatica, linguistica testuale), esaustività.

Una caratteristica comune a tutti i lavori degli ultimi decenni è stata quella di avvalersi in maniera più o meno cospicua dell'ausilio della tecnologia informatica,

4 Ma i curatori precisano che comunque «forme tipiche della poesia, quando riscontrate, sono state segnalate».

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strumento assai utile, probabilmente indispensabile, per chi si prefigga obiettivi di scientificità ed esaustività. Tra le banche dati dell'italiano antico più importanti e liberamente consultabili si possono citare il Corpus TLIO, studiato principalmente per la ricerca lessicografica; il Corpus Taurinense, di recente creazione e attualmente in espansione, studiato per un tipo di ricerca prevalentemente morfosintattica;

DanteSearch, risorsa di ricerca attraverso la quale è possibile interrogare il corpus delle opere volgari e latine di Dante Alighieri lemmatizzate e annotate grammaticalmente e, per quanto riguarda la Commedia, il Convivio e le Rime, anche sintatticamente, con categorie desunte dalla Grande Grammatica di Consultazione.

Quest'ultimo strumento è stato fondamentale per il presente lavoro, dedicato alla sintassi della frase complessa nella Commedia. In questa ricerca, a partire da un'analisi delle frequenze dei singoli tipi frastici e delle loro diverse realizzazioni all'interno del corpus (relativamente a vari aspetti, come gli introduttori di subordinata, l'uso dei modi e dei tempi verbali, il contenuto proposizionale, il valore pragmatico degli enunciati) ho tentato di fornire una descrizione esaustiva di tutti gli aspetti della sintassi del periodo della lingua in esame e di proporre un'interpretazione critica del valore funzionale dei vari fenomeni e della loro distribuzione nel corpus. Il risultato di questo lavoro è uno studio che, credo, rimane fedele ai tre principi metodologici sopra esposti. Durante questa esperienza ho anche imparato a riconoscere alcuni dei rischi connessi ad un'analisi di questo tipo: l'osservazione del testo in una prospettiva paradigmatica può condurre a conclusioni a prima vista molto convincenti, ma in realtà affrettate e arbitrarie, se tale prospettiva non è bilanciata e in continuo dialogo con quella sintagmatica.

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