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Lezioni di Fisica Moderna, I Modulo Parte II

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Lezioni di Fisica Moderna, I Modulo Parte II

Prof. Vincenzo Patera

versione a cura di Giuseppe Scrugli February 27, 2007

i

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Contents

1 Introduzione 1

1.1 Definizioni e Richiami . . . . 1

1.1.1 ElettronVolt . . . . 1

1.1.2 Ione . . . . 1

1.1.3 Numero atomico Z . . . . 2

1.1.4 Isotopo . . . . 3

1.2 Radiazione . . . . 3

1.2.1 Radiazione Particellare . . . . 5

1.3 Legge di decadimento . . . 10

1.4 Diffrazione . . . 12

1.4.1 Principio di Indeterminazione . . . 15

2 Interazione Fotone Materia 17 2.1 Sezione d’urto . . . 17

2.1.1 Intensit`a radiazione . . . 18

2.2 Effetto Fotoelettrico . . . 19

2.3 Scattering . . . 23

2.3.1 Scattering Thomson . . . 23

2.3.2 Scattering Rayleigh . . . 29

2.3.3 Scattering Compton . . . 33

2.4 Campo di Radiazione . . . 35

2.5 Produzione di Coppie . . . 37

2.6 Riepilogo interazione fotone-materia . . . 40

3 Particelle Cariche 41 3.1 Dualit`a Onda-Corpuscolo, Indeterminazione . . . 41

3.2 Legge di Bragg . . . 42

3.3 Ipotesi di De Broglie . . . 44

3.4 Bethe-Bloch . . . 46

3.5 Radiazione di Frenamento (Bremsstrahlung) . . . 51

3.5.1 Formula di Larmor . . . 53

ii

(3)

CONTENTS iii

3.5.2 Bremsstrahlung . . . 55

3.6 Distribuzione Angolare . . . 59

3.7 Applicazioni . . . 59

3.7.1 PET, Positron Emission Tomography . . . 59

3.7.2 TAC, tomografia assiale computerizzata . . . 61

3.7.3 Adroterapia . . . 64

(4)

Chapter 1 Introduzione

1.1 Definizioni e Richiami

1.1.1 ElettronVolt

Un elettronvolt (simbolo eV) `e l’energia acquistata da un elettrone libero quando passa attraverso una differenza di potenziale elettrico di 1 volt. Sono molto usati i suoi multipli keV (kilo-eV, ossia 1.000 elettronvolt) , MeV (mega-eV, cio`e un milione di elettronvolt) e GeV (giga-eV, cio`e un miliardo di elettronvolt).

Un elettrovolt `e un quantitativo molto piccolo di energia:

1eV = 1, 60217646 × 10 −19 Joule

1.1.2 Ione

In chimica, una molecola o un atomo elettricamente carichi vengono detti ioni.

Poich`e hanno perso o guadagnato uno o pi`u elettroni rispetto al normale, il pro- cesso di perdita/acquisizione viene detto ionizzazione. In fisica, nuclei atomici completamente ionizzati, come quelli delle particelle alfa, vengono comunemente detti particelle cariche. La ionizzazione viene eseguita solitamente tramite appli- cazione di alta energia agli atomi, in forma di potenziale elettrico o radiazione.

Un gas ionizzato viene detto plasma.

Gli ioni caricati negativamente sono conosciuti come anioni (che sono attratti dagli anodi) e quelli caricati positivamente sono chiamati cationi (e sono attratti dai catodi). Gli ioni possono essere monovalenti (indicati con una + o -), bivalenti (con due + o -) e trivalenti (con tre +). Poi gli ioni si dividono in monoatomici e poliatomici.

Gli ioni vennero teorizzati per la prima volta da Michael Faraday attorno al 1830, per descrivere quella porzione di molecole che viaggiano verso un anodo o

1

(5)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 2 un catodo. Comunque, il meccanismo con cui questi si ottengono, non fu descritto fino al 1884 da Svante August Arrhenius nella sua dissertazione per il dottorato all’Universit`a di Uppsala. La sua teoria fu inizialmente rigettata (pass`o l’esame con il minimo dei voti) ma ottenne il Premio Nobel per la chimica nel 1903 per la stessa dissertazione.

La parola ”ione” deriva dal greco ion, participio presente di ienai ”andare”, quindi ”andante”. ”Anione” e ”catione” significano ”andante in su” e ”andante in gi`u”, mentre ”anodo” e ”catodo” significano ”verso l’alto” e ”verso il basso”

(hodos = strada, via).

Per atomi singoli nel vuoto, esiste una costante fisica associata al processo di ionizzazione. L’energia richiesta per rimuovere gli elettroni da un atomo `e chiamata energia di ionizzazione o potenziale di ionizzazione. Questi termini sono usati anche per descrivere la ionizzazione di molecole e solidi, ma i valori non sono costanti, poich`e la ionizzazione `e influenzata dai legami chimici locali, dalla geometria e dalla temperatura. L’energia di ionizzazione decresce lungo un gruppo della Tavola periodica, e incrementa da sinistra a destra attraverso il periodo. Queste tendenze sono esattamente opposte a quelle del raggio atomico.

Gli elettroni degli atomi pi`u piccoli sono pi`u attratti dal nucleo, quindi l’energia di ionizzazione `e maggiore. Negli atomi pi`u grandi gli elettroni non sono trattenuti cos`ı fortemente e quindi l’energia di ionizzazione richiesta `e minore.

La prima energia di ionizzazione `e l’energia richiesta per rimuovere un elet- trone, la seconda per rimuovere due elettroni, e cos`ı via. Le successive energie di ionizzazione sono sempre maggiori delle precedenti e una certa n-sima energia di ionizzazione sar`a significativamente pi`u grande delle altre. Per questo motivo gli ioni tendono a formarsi in certi modi. Ad esempio, il sodio si trova come Na+, ma normalmente non come Na2+ a causa dell’alta energia di ionizzazione richi- esta. Similarmente, il magnesio si trova come Mg2+, ma non Mg3+ e l’alluminio esiste come catione Al3+.

1.1.3 Numero atomico Z

Il numero atomico (indicato solitamente con Z , dal tedesco Zahl, e detto anche numero protonico) corrisponde al numero di protoni contenuti in un nucleo atom- ico. In un atomo neutro il numero atomico `e pari anche al numero di elettroni; in caso contrario l’atomo `e detto ione. Si usa scrivere questo numero come pedice sinistro del simbolo dell’elemento chimico in questione: per esempio 6C, poich`e il carbonio ha sei protoni.

Ad ogni numero atomico corrisponde un diverso elemento chimico.

(6)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 3

1.1.4 Isotopo

Gli isotopi (lett. nello stesso luogo) sono atomi dello stesso elemento chimico, e quindi con lo stesso numero atomico, ma con differente numero di massa, e quindi massa atomica. La differenza delle masse `e dovuta a un diverso numero di neutroni presenti nel nucleo dell’atomo. Se 2 nuclei contengono lo stesso nu- mero di protoni, ma un numero differente di neutroni, i due nuclei avranno lo stesso comportamento chimico (con delle minime differenze nei tempi di reazione e nell’energia di legame), ma avranno comportamenti fisici differenti, essendo uno piu’ pesante dell’altro.

Gli isotopi sono suddivisi in isotopi stabili (meno di 300) e non stabili o isotopi radioattivi (circa 1200). Il concetto di stabilit`a non `e netto, infatti esistono isotopi

”quasi stabili”. La loro stabilit`a `e dovuta al fatto che, pur essendo radioattivi, hanno un tempo di dimezzamento estremamente lungo anche se confrontato con l’et`a della Terra. Ci sono 21 elementi (es. berillio, fluoro o sodio) che possiedono in natura un solo isotopo anche se nella maggior parte dei casi gli elementi chimici sono costituiti da pi`u di un isotopo.

1.2 Radiazione

Radiazione in fisica ´e il processo di emissione e trasporto di energia nello spazio sotto forma di onde o particelle.

La tipologia di radiazione pu`o, tra le altre, essere ordinata

in base al tipo di emissione.

(7)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 4 Radiazione Elettromagnetica

• Radiazione gamma Onde elettromagnetiche ad alta energia

• Radiazione ultravioletta

• Radiazione Infrarossa(Il calore)

Figure 1.1: Spettro di emissione

Radiazione Particellare Emissione di energia da parte di particelle che si muovono molto velocemente. Questo tipo di radiazione(energia) pu´o essere emessa da nu- clei instabili di atomi in tre diverse forme:

• Radiazione Alpha: Emissione di nuclei di Elio

• Radiazione Beta: Emissione di elettroni o antielettroni

• Emissione di Neutroni

(8)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 5

1.2.1 Radiazione Particellare

La radioattivit`a,o decadimento radioattivo, `e un insieme di processi tramite i quali dei nuclei atomici instabili (nuclidi) emettono particelle subatomiche per raggiun- gere uno stato pi`u stabile.

Ogni atomo `e formato da un nucleo contenente protoni e neutroni, e da un certo numero di elettroni che gli orbitano intorno. Essendo tutti carichi positivamente i protoni tendono a respingersi per via della forza di Coulomb e, se non ci fossero altre forze a tenerli uniti, i nuclei non sarebbero stabili.

In effetti i nuclei atomici sono tenuti coesi dalla cosiddetta forza nucleare forte. Questa forza richiede anche la presenza dei neutroni per manifestarsi.

Quando le forze all’interno del nucleo non sono bilanciate (ovvero il nucleo `e instabile) questo tende spontaneamente a raggiungere uno stato stabile attraverso l’emissione di una o pi`u particelle. Storicamente (in seguito agli studi di Marie Curie) i decadimenti nucleari sono stati raggruppati in tre classi principali:

1. Decadimento Alfa 2. Decadimento Beta 3. Decadimento Gamma

A questa prima classificazione, in seguito ad ulteriori investigazioni sul fenomeno, si sono aggiunte l’emissione di neutroni, l’emissione di protoni, la cattura elet- tronica e la fissione spontanea. Mentre il decadimento alfa ed il decadimento beta cambiano il numero di protoni nel nucleo e quindi il numero di elettroni che vi orbitano attorno (cambiando cos`ı la natura chimica dell’atomo stesso), il decadi- mento gamma avviene fra stati eccitati dello stesso nucleo e comporta solo la perdita di energia con emissione di fotoni.

Decadimento Alpha

Il decadimento alfa `e uno dei processi per cui atomi instabili (e dunque radioat- tivi) si trasformano in atomi di un altro elemento, che possono a loro volta essere radioattivi oppure stabili.

Pi`u precisamente, il decadimento alfa avviene tramite l’emissione di una parti-

cella, detta appunto particella alfa, composta da due protoni e due neutroni(Nucleo

(9)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 6 di Elio) da parte dell’isotopo di un elemento con elevato numero atomico(Z > 83).

Perdendo due protoni l’elemento indietreggia di due posizioni nella tavola period- ica degli elementi. Le ragioni di tale fenomeno sono da ricercare nella tendenza di tutti i sistemi fisici a cercare condizioni di energia pi`u stabile: la stabilit`a dei nu- clei atomici degli elementi transuranici `e uno dei campi di ricerca pi`u attivi della fisica nucleare.

Come molti processi quantistici, anche il decadimento alfa `e descritto da re- gole statistiche: la percentuale di atomi che, in un certo intervallo di tempo, subisce il decadimento, `e una costante. Per dare un’unit`a di misura standard, si indica solitamente il tempo in cui met`a degli atomi di un certo isotopo di un el- emento decadono. Tale periodo prende il nome di emivita dell’isotopo. Esistono isotopi con emivita brevissima, poche frazioni di secondo, ed altri con emivita di migliaia di anni. Un altro parametro utilizzato `e la vita media di un elemento.

Sostanze contenenti isotopi che decadono con decadimento alfa vengono prodotte come scorie nella reazione di fissione nucleare, caratteristica dei reattori a fissione.

Nella maggior parte dei casi, gli isotopi instabili subiscono decadimenti dei vari tipi in successione, e pertanto si parla di catena di decadimento di un isotopo, intendendo la sequenza di decadimenti che tale atomo percorre. Quasi tutte le catene di decadimento finiscono con un isotopo del piombo (che `e stabile).

La vita media tipica di questo tipo di decadimento nucleare `e abbastanza varia:

si passa, infatti dagli oltre 10 1 0 anni del torio, fino alle frazioni di secondo come , ad esempio, nel polonio 214 (1.6 × 10 −4 s). Il decadimento pi`u noto `e per`o quello dell’uranio:

238 92 U → 234 90 Th + α Decadimento Beta

Il decadimento β `e uno dei processi per cui nuclei instabili (e dunque radioattivi) si trasformano in altri nuclei di atomi che possono a loro volta essere radioattivi oppure stabili. In natura i nuclei sono all’interno degli atomi e questo processo causa la trasformazione dell’intero atomo da un elemento chimico ad un altro.

Pi`u precisamente, il decadimento beta avviene tramite la trasformazione di un neutrone in una coppia protone-elettrone pi`u un antineutrino elettronico. Il neutrone se non legato ai protoni nel nucleo `e fortemente instabile. Neutroni liberi si trovano all’interno dei reattori nucleari, nei raggi cosmici e in altre situazioni.

Anche nel caso di neutroni nel nucleo, poich`e ce ne sono tanti, `e possibile il

decadimento Beta.

(10)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 7

Figure 1.2: Emissione beta

Il protone resta nel nucleo atomico, mentre le altre due particelle vengono espulse (emesse). Esempio di questo `e il decadimento dell’isotopo cobalto-60 (instabile) nell’isotopo nichel-60 (stabile), che segue questo schema:

60 27 Co → 60 28 Ni + e + γ

Dato che i neutrini interagiscono debolmente con la materia, quando Marie Curie osserv`o per la prima volta questo tipo di decadimento lo associ`o alla sola emissione di un elettrone; fu Enrico Fermi che, seguendo un’idea di Wolfgang Pauli, introdusse l’idea del neutrino per risolvere un’apparente contraddizione fra i risultati sperimentali ed il principio di conservazione dell’energia.

Decadimento Gamma

I raggi gamma sono una forma energetica di radiazione elettromagnetica prodotta

dalla radioattivit`a o da altri processi nucleari o subatomici, come l’annichilazione

elettrone-positrone. I raggi gamma sono pi`u penetranti sia della radiazione al-

pha sia della radiazione beta, ma sono meno ionizzanti. I raggi gamma si dis-

tinguono dai raggi X per la loro origine: i gamma sono prodotti da transizioni

nucleari o comunque subatomiche, mentre gli X sono prodotti da transizione en-

ergetiche dovute ad elettroni in rapido movimento. Poich`e `e possibile per al-

cune transizioni elettroniche superare le energie di alcune transizioni nucleari, i

raggi X pi`u energetici si sovrappongono con i raggi gamma pi`u deboli. In ter-

mini di ionizzazione, la radiazione gamma interagisce con gli atomi in tre modi:

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CHAPTER 1. INTRODUZIONE 8

Effetto Fotoelettrico

Produzione di Coppie

Diffusione(Scattering) Compton

Raggi gamma, raggi X, luce visibile e radiazione ultravioletta sono tutte forme di radiazione elettromagnetica. L’unica differenza `e la frequenza e quindi l’energia dei fotoni.I raggi gamma sono i pi `u energetici.

1 - Effetto fotoelettrico

Occorre quando un fotone(particella gamma) interagisce con un elettrone orbi- tante attorno ad un atomo trasferendogli tutta la sua energia con il risultato di espellere l’elettrone dall’atomo. L’energia cinetica del ”fotoelettrone” risultante `e uguale all’energia del fotone gamma incidente meno l’energia di legame dell’elettrone.

Si pensa che l’effetto fotoelettrico sia il meccanismo principale per l’interazione

dei fotoni gamma e X al di sotto dei 50 keV (migliaia di elettronvolt), ma che sia

molto meno importante ad energie pi`u alte.

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CHAPTER 1. INTRODUZIONE 9 2 - Scattering Compton

Un fotone gamma incidente espelle un elettrone da un atomo, in modo simile al caso precedente, ma l’energia addizionale del fotone viene convertita in un nuovo fotone gamma, meno energetico, con una direzione diversa dal fotone originale.

La probabilit`a dello scattering Compton diminuisce con l’aumentare dell’energia del fotone. Si pensa che questo sia il meccanismo principale per l’assorbimento dei raggi gamma nell’intervallo di energie ”medie”, tra 100 keV e 10 MeV (mil- ioni di elettronvolt), dove va a ricadere la maggior parte della radiazione gamma prodotta da un’esplosione nucleare. Il meccanismo `e relativamente indipendente dal numero atomico del materiale assorbente.

3 - Produzione di coppie

Interagendo con la forza coulombiana del nucleo, l’energia del fotone incidente `e convertita nella massa di una coppia elettrone/positrone (un positrone `e un elet- trone carico positivamente). L’energia eccedente la massa a riposo delle due particelle (1.02 MeV) appare come energia cinetica della coppia e del nucleo.

L’elettrone della coppia, in genere chiamato elettrone secondario, `e molto ion-

izzante. Il positrone avr`a vita breve: si ricombina entro 10-8 secondi con un

elettrone libero. L’intera massa delle due particelle viene quindi convertita in due

fotoni gamma con un’energia di 0.51 MeV ciascuno.

(13)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 10

Figure 1.3: Produzione di coppie

1.3 Legge di decadimento

Il momento esatto in cui un atomo instabile decadr`a in uno pi`u stabile `e asso- lutamente casuale ed impredicibile. Ci`o che si pu`o fare, dato un campione di un particolare isotopo, `e notare che il numero di decadimenti rispetta una precisa legge statistica. Il numero di decadimenti che ci si aspetta avvenga in un intervallo dt `e proporzionale al numero di atomi instabili presenti. Questa legge pu`o essere descritta tramite la equazione differenziale del primo ordine come segue: Date le seguenti definizioni:

• N Numero di nuclei instabili(radioattivi)

• λ Costante di decadimento(niente a che vedere con la lunghezza d’onda)

• τ = 1 λ Vita media

La variazione del numero di atomi radioattivi puo essere scritta nel seguente modo:

N

0

= N(t + dt) = N 0 + dN dN = −dtλN con questa soluzione:

N(t) = N 0 e

tτ

che rappresenta un decadimento esponenziale.

Bisogna notare che questa rappresenta solamente una soluzione approssimata, in

(14)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 11 primo luogo perch`e rappresenta una funzione continua, mentre l’evento fisico reale assume valori discreti, poi perch`e descrive un processo casuale, solo sta- tisticamente vero. Comunque, poich`e nella gran parte dei casi N `e estremamente grande, la funzione fornisce un’ottima approssimazione.

Oltre alla costante di decadimento λ il decadimento radioattivo `e caratteriz- zato da un’altra costante chiamata vita media. Ogni atomo vive per un tempo preciso prima di decadere e la vita media rappresenta appunto la media aritmet- ica sui tempi di vita di tutti gli atomi della stessa specie. La vita media viene tappresentata dal simbolo τ , legato a λ dalla:

τ = 1 λ

Un altro parametro molto usato per descrivere un decadimento radioattivo `e dato dalla emivita o tempo di dimezzamento t1 / 2. Dato un campione di un partico- lare radionuclide, il tempo di dimezzamento ci dice dopo quanto tempo saranno decaduti un numero di atomi pari alla met`a del totale, ed `e legato alla vita media dalla relazione :

t

1

2

= ln 2

λ

Queste relazioni ci permettono di vedere che molte delle sostanze radioattive presenti in natura sono ormai decadute, e quindi non son pi`u presenti in natura, ma possono essere prodotte solo artificialmente. Per avere un’idea degli ordini di grandezza in gioco, si pu`o dire che la vita media dei vari radionuclidi pu`o variare da 10 9 anni fino a 10 −6 secondi.

L’insieme degli elementi ottenuti per decadimenti successivi costituisce una

famiglia radioattiva. In natura esistono tre famiglie radiattive principali: la famiglia

dell’uranio, quella dell’attinio e quella del torio.

(15)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 12

1.4 Diffrazione

La diffrazione `e un fenomeno fisico as- sociato alla propagazione delle onde, come anche la riflessione, la diffusione o l’interferenza. E’ tipica di ogni genere di onda, come il suono, le onde sulla su- perficie dell’acqua o le onde elettromag- netiche come la luce o le onde radio; la diffrazione si verifica anche nelle parti- colari situazioni in cui la materia mostra propriet`a ondulatorie, in accordo con la dualit`a onda-particella. Il pi`u semplice esempio di diffrazione `e la diffrazione a una singola fenditura. Un’onda elettro- magnetica incide su di una superficie di piccolo spessore in prossimit`a di una pic- cola fenditura di larghezza D. Dalla parte opposta della fenditura `e posta una las- tra impressionabile(che si scurisce) dalla radiazione(tipo lastra fotografica). La lastra funziona da misuratore del mod- ulo del vettore di Pointing: La lastra fo- tografica `e sensibile all’energia della ra- diazione ovvero al modulo del vettore di Pointing.

Per il principio di Huygens-Fresnel il campo E dell’onda risultante pu`o essere scritto come somma dei contributi provenienti dai vari dz della fenditura con sfasa- mento relativo determinato dal diverso percorso iniziale dS = dz sin θ L’espressione del contributo proveniente dal generico dz della fenditura `e la seguente:

dE = A · dz · e j(~k·~r

i

−ωt) (1.1)

(16)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 13

dove:

• il prodotto Adz ha dimensioni e significato di un’ampiezza

• r i `e il vettore distanza dell’i-esimo contributo proveniente dai vari dz della fenditura

Integrando per tutta la lunghezza della fenditura trovo il campo elettromag- netico totale:

E = Z

Fenditura

dE = Z

D

2

D2

A · dz · e j(~k·~r

i

−ωt) · = A · e − jωt Z

D

2

D2

e j~k·~r

i

dZ

Per il principio di Huygens-Fresnel si ha che ~k · ~r diventa kdS Esprimendo il dS in funzione del dZ e facendo un cambiamento di variabile

• dS = dZ sin θ

• dX = j · K · dZ sin θdZ = j·K·sin θ dX l’integrale diventa:

A · e − jωt jK sin θ

j

D2

Z K sin θ

− j

D2

K sin θ

e X dX ⇒ E = A · e − jωt · D 2

D

2 · K · sin θ · e j

D2

K sin θ − e − j

D2

K sin θ j

Moltiplicanto e dividento per D 2 e utilizzando il segno meno per invertire gli espo- nenziali, trovo:

E = A · e − jωt · D

D

2 · K · sin θ · e j

D2

K sin θ − e − j

D2

K sin θ 2J

Si nota che se si indica con ∆ϕ = D 2 ·K·sin θ, allora quella trovata `e l’espressione del sin ∆ϕ mediante la formula di Eulero. In questo modo l’espressione del campo generato dalla fenditura diventa:

E = AD · e − jωt · sin ∆ϕ

∆ϕ

!

con ∆ϕ = D

2 · K · sin θ (1.2)

(17)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 14 A questo punto si cerca l’equazione matematica che rappresenti la variazione dell’intensit`a dell’onda emessa dalla fenditura che incide sulla lastra fotografica.

L’intensit`a di un’onda elettromagnetica `e pari al modulo del vettore di Pointing:

• Vettore di Pointing ~I = E×~ ~ µ B

• Modulo del vettore di Pointing in media < |~I| >= E Z

2

0

Il campo elettromagnetico ha una frequenza(numero di lunghezza d’onda al sec) molto elevata; per questo motivo quando si calcola il modulo del vettore di Point- ing lo si fa per media integrale, che significa fare il modulo dell’intensit`a mediata nel periodo T. Considerando l’espressione del modulo di Pointing su richiamata e svolgendo i calcoli per il campo elettrico dato dalla (1.2) si ha:

< |~I| >= 1 T

Z T

0

AD sin ∆ϕ

∆ϕ

! 2

· e J2ωt

z 0 · dt = 1 2

A 2 D 2 z 0

! sin ∆ϕ

∆ϕ

! 2

L’equazione trovata `e formata da una costante 1 2 

A

2

D

2

z

0

 che moltiplica una funzione di θ,  sin ∆ϕ

∆ϕ

 2

. Quindi la media del vettore di Pointing `e una funzione f (θ) tale che:

• Ricordando il limite notevole per θ → ∞ di sin θ θ = 1 f (0) = 1

2

A 2 D 2 z 0

!

= I(0)

In definitiva posso scrivere l’espressione dell’intensit`a nel seguente modo:

< |~I| >= I(0) sin ∆ϕ

∆ϕ

! 2

Tale funzione presenta dei minimi(I(∆ϕ) = 0) per ∆ϕ = nπ, dove il sin si annulla.

Esprimendo il sin ∆ϕ in funzione di θ, trovo:

sin ∆ϕ = sin  D

2 · K · sin θ



E, ricordando che il vettore d’onda K `e dato da:

K = 2π λ

Posso riscriscrivere la condizione di minimo della funzione I(∆ϕ) nel seguente modo:

I(∆ϕ) = sin ∆ϕ

∆ϕ = 0 sse ∆ϕ = nπ ⇒ ∆ϕ = D

2 · K · sin θ = nπ

(18)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 15 ed esplicitando il valore del vettore d’onda:

D 2 · 2π

λ · sin θ = nπ da cui si trova la condizione di minimo della funzione:

sin θ = n · λ D

Con questa espressione si vede che per una data larghezza d’onda λ se la larghezza della fenditura aumenta il fenomeno della diffrazione tende a non esistere, e vice versa

Questo tipo di comportamento ha dentro di se il principio di indeterminazione di Heisemberge.

1.4.1 Principio di Indeterminazione

Associo ad un fotone un momento di quantit`a di moto considerando la luce come particelle. ~p = ~K Prima di subire diffrazione il momento del fotone viaggia perpendicolarmente al muro con la fenditura, ovvero alla direzione Z. Per questo posso scrivere che

p t<0 = 0

Dopo aver subito diffrazione il fotone acquista componente anche nella direzione di z:

~p z = ~ ~ K z = ~K sin θ = ~ 2π λ sin θ Dunque la variazione del momento del fotone `e data da:

∆p = p t>0 z − p t<0 z = p t>0 z = ~ 2π λ sin θ

A questo punto si puo fare il prodotto tra ∆z · ∆p z e questo rappresenta un prodotto

tra indeterminazioni. Infatti non so dove il fotone `e passato nella fenditura(delta

(19)

CHAPTER 1. INTRODUZIONE 16 zeta) e la figura di diffrazione `e rappresentata dalla variazione di momeno.

∆z · ∆p z = D λ · ~ 2π

λ sin θ

Il ∆p z minimo `e tale da far in modo che i fotoni che vengono diffratti cadano almeno nel lobo centrale della figura di diffrazione(in generale possono cadere in tutti i lobi). Utilizzando la relazione di minimo in funzione di θ trovata prima, e considerando che il primo minimo(che delimita il lobo centrale), lo trovo per n = 1 trovo che:

sin θ min = λ D In questo modo trovo la disequazione:

∆z · ∆p zD λ ~2π λ

D ⇒ ∆Z · ∆p z = ~2π = h

∆z · ∆p z ≥ h

Lega la posizione e l’impulo della particella. Se conosco precisamente la po- sizione della particella, ∆z = 0, allora per rispettare la disequazione dovrei avere

∆p z = ∞ che equivale a non avere informazioni sul momento della particella.

Questo principio `e insito nella natura dell’onda, funziona dunque per qualsiasi

onda.

(20)

Chapter 2

Interazione Fotone Materia

In questo capitolo viene trattata la teoria dell’interazione tra la radiazione elet- tromagnetica, la luce, e la materia. Dallo studio di questo tipo di interazione si sviluppano le teorie che portano alla definizione della radiazione elettromagnetica come onda-corpuscolo, ovvero i Fotoni.

2.1 Sezione d’urto

La maggior parte degli esperimenti nucleari avvengono per bombardamento di un bersaglio fisso (o targhetta) tramite un fascio di particelle (proiettili). I dati sullo sparpagliamento (o scattering) dei proiettili permettono di risalire alla forma del bersaglio, del proiettile e al tipo di interazione presente tra le particelle.

Una misura della forma del bersaglio `e possibile ottenerla grazie alla sezione d’urto, che pu`o essere definita come il rapporto tra il numero di particelle che vengono deviate nell’angolo solido (dΩ) in 1 secondo e il numero di particelle che in 1 secondo attraversano l’unit`a di superficie o come la probabilit`a di interazione tra le particelle. L’espressione della sezione d’urto differenziale avr`a la seguente espressione:

17

(21)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 18

dσ =

NumParticelle

T empo deviatenel dΩ

NumeroparticelleIncidenti T empo · S uper f icie

2.1.1 Intensit`a radiazione

Attraverso il concetto di sezione d’urto si puo calcolare la variazione dell’intensit`a della radiazione. Tale variazione rappresenta anche una misura dell’interazione tra radiazione e materia. Per scrivere l’equazione differenziale della variazione di intensit`a si definiscono:

• I = Intensit´a dell’onda incidente sulla superficie

• I

0

= I + dI Intensit´a dopo la variazione dI

• N = numero di centri scatteratori(particelle). Sono le parti costituenti del materiale che possono interagire con la radiazione incidente. N varia a sec- ondo del materiale e della natura della radione(Pi ´u basso per radiazione gamma e aumenta per le radiazioni beta e alpha).

Evidentemente la variazione di Intensit´a della radiazione dipende dall’Intensit´a incidente, da N(pesantezza del materiale, densit`a), dallo spessore che la radiazione sta attraversando (dx), e dalla sezione d’urto differenziale dσ

dI = −I · N · dx · dσ σ = [m 2 ]

Notare il segno meno imposto dal comportamento fisico di una variazione negativa di intensit´a

Probabilit´a di Interazione

N · dx · σ Rappresenta l’area efficace.

La soluzione della seguente equazione differenziale fornisce l’equazione della

(22)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 19 variazione dell’intensit´a della radiazione incidente sul corpo mentre questa lo at- traversa.

dI

I = −N · dx · dσ Con soluzione:

I(x) = I 0 e −dσ(N x) (2.1) Se si definisce il cammino libero medio:

λ = 1 σN la (2.1) si puo rscrivere nel seguente modo:

I = I 0 e

xλ

Tale espressione mette in evidenza il valore λ tale da ridurerre di circa un terzo l’intensit´a incidente. In modo equivalente a come fatto per λ si introduce il coef- ficiente di assorbimento µ = 1 λ e si riscrive la (2.1) con questo parametro.

2.2 Effetto Fotoelettrico

L’effetto fotoelettrico `e l’emissione di cariche elettriche negative da una superficie, solitamente metallica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromag- netica, come ad esempio la luce visibile o la radiazione ultravioletta.

Tale effetto, oggetto di studi da parte di molti fisici, `e stato fondamentale per comprendere la natura quantistica della luce. L’effetto fotoelettrico fu riv- elato da Hertz nel 1887 nell’esperimento che egli fece per generare e rivelare onde elettromagnetiche; in quell’esperimento, Hertz us`o uno spinterometro in un circuito accordato per generare onde e un’altro circuito simile per rivelarle.

Nel 1900 Lenard studi`o tale effetto, trovando che la luce incidente su una su-

perficie metallica ne fa uscire elettroni, la cui energia non dipende dall’intensit`a

della luce. I suoi risultati furono pubblicati sul vol. 8 di Annalen der Physik.

(23)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 20 Quando la luce(onda elettromagnetica)

colpisce una superficie metallica pulita (il catodo C) vengono emessi elet- troni. Tali elettroni sono emessi con una certa energia cinetica. Alcuni elet- troni(quelli dello strato pi`u esterno) pos- sono avere energia tale da poter rag- giungere l’anodo. Gli elettroni del reti- colo della piastra metallica possono es- sere schematizzati come degli oscillatori armonici. La radiazione incidente fun- ziona come una forzante dello smorza- tore. Se la forzante ha energia ab- bastanza elevata riesce a rompere ”la molla” che tiene legato l’elettrone al reti- colo permettendogli di allontanarsi dallo stesso con una certa energia cinetica.

Detta V la differenza di potenziale tra A e C, si pu`o vedere che solo da un certo potenziale in poi (detto potenziale d’arresto) la corrente inizia a circolare, aumentando fino a raggiungere un valore massimo, che rimane costante. Questo massimo valore `e, come scopr`ı Lenard, direttamente proporzionale all’intensit`a della luce incidente. Il potenziale d’arresto `e legato all’energia cinetica massima degli elettroni emessi dalla relazione

1

2 m e v 2 = V 0 e

dove me `e la massa dell’elettrone, v la sua velocit`a, e la sua carica.

Ora, la relazione che lega le due grandezze `e proprio quella indicata perch`e se V `e negativo, gli elettroni vengono respinti dall’anodo, tranne se l’energia cinet- ica consente loro, comunque, di arrivare su quest’ultimo. D’altra parte si not`o che il potenziale d’arresto non dipendeva dall’intensit`a della luce incidente, sorpren- dendo lo sperimentatore, che si aspettava il contrario. Infatti, classicamente, il campo elettrico portato dalla radiazione avrebbe dovuto mettere in vibrazione gli elettroni dello strato superficiale fino a strapparli al metallo. Usciti, la loro ener- gia cinetica sarebbe dovuta essere proporzionale all’intensit`a della luce incidente e non alla sua frequenza, come sembrava sperimentalmente.

Classicamente infatti erano previsti alcuni comportamenti:

• La frequenza di oscillazione del campo elettrico non ha effetto

• L’energia cinetica dell’elettrone dovrebbe aumentare in maniera proporzionale

al campo elettrico incidente(in modulo); L’ampiezza(connessa all’energia

(24)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 21 con cui `e espulso l’elettrone) delle oscillazioni dovrebbe essere tanto mag- giore quanto pi`u il campo elettrico incidente ha ampiezza maggiore(L’energia cinetica aumenta proporzionalmente con l’intensit`a del campo incidente, modulo del vettore di Pointing).

• I tempi di reazione(tempo da quando la radiazione colpisce la lastra a quando comincia a scorrere la corrente nel circuito) dello strumento dovrebbero es- sere dell’ordine dei secondi. ∆t ≈ [sec] Lo si vede subito nel seguente modo:

1. radiazione incidente sia quella di un laser, il modulo del vettore di Pointing(in media), ovvero l’energia che incide su di una superficie unitaria(1 m 2 ), `e 100 m W

2

2. Energia di ionizzazione del Sodio ϕ = 2, 2eV Con queste ipotesi si calcola il ∆t di reazione

W assorbita =< |I| > πR 2 atomico R atomico ≈ 10 −20 [m]

ϕ = W ass ∆t∆t = 2, 2 × 1, 610 −19

100 × 3 × 10 −20 ≈ 0, 1[sec]

Sperimentalmente invece si riscontravano i seguenti parametri di comporta- mento:

1. L’energia cinetica max degli elettroni(o euqivalentemente il potenziale mas- simo) `e proporzionale alla frequenza della radiazione incidente

2. Se la frequenza della radiazione in arrivo non `e ≥ ad il valore caratteristico per quel solido allora non succedeva niente indipendentemente dall’intensit`a della radiazione.

3. La corrente `e proporzionale all’intensit`a della radiazione incidente(nel caso che la frequenza sia maggiore uguale alla soglia di interazione)

4. Il ∆t misurato `e dell’ordine dei nanosecondi ∆t ≈ 10 −9 [sec]

Einstein, nel lavoro del 1905 che gli frutt`o il Premio Nobel per la fisica nel

1922, fornisce una spiegazione dei fatti sperimentali partendo dal principio che

la radiazione incidente possiede energia quantizzata. I fotoni portati dalla radi-

azione elettromagnetica hanno un’energia proporzianale alla frequenza della ra-

diazione(o equivalentemente dalla lunghezza d’onda). Se l’elettrone colpito dalla

radiazione assorbe energia maggiore della funzione di lavoro(energia necessaria

(25)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 22 per staccare un elettrone dal nucleo) allora l’elettrone avr`a anche una energia ci- netica con la quale puo essere espulso dal materiale. Aumentando l’intensit`a della radiazione incidente si aumenta il numero di fotoni che incidono ma non la loro energia per questo l’energia di emissione degli elettroni non dipende dall’intesit`a dell’onda elettromagnetica. Einstein Formul`o la seguente relazione:

EnergiadelFotone = FunzionediLavoro + EnerginacineticaElettrone h f = φ + E k

Max

dove:

• φ = h f 0 `e la funzione di lavoro, la minima energia per liberare un elettrone dall’atomo

h = 6, 626 × 10 −34 [ J sec ]

• E k

Max

= 1 2 mv 2 `e la massima energia cinetica dell’elettrone

Dal punto di vista atomico quello che succede pu`o essere cosi schematizzato:

• Il fotone per collisione viene assorbito dal nucleo di numero atomico Z

• Tutta l’energia del fotone `e ceduta ad un elettrone legato generalmente delle orbite pi`u interne

• se l’energia `e sufficentemente elevata l’elettrone pu`o schizzare via dal nu- cleo con una certa energia cinetica

• La lacuna che si `e creata viene rimpiazzata da un elettrone delle orbite pi`u esterne che passa quindi ad un livello energeticamente pi`u basso

• l’energia in eccesso viene emessa

sotto forma di fotone detto di ”Flu-

orescenza”

(26)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 23 Fotocellula

2.3 Scattering

In fisica lo scattering (o diffusione) si riferisce ad un’ampia classe di fenomeni dove una o pi`u particelle vengono deflesse (ovvero cambiano traiettoria) per via della collisione con altre particelle. Notare come Il processo di scattering non include alcun tipo di assorbimento o emissione ma solo ed esclusivamente una deflessione della radiazione.

2.3.1 Scattering Thomson

Caratteristiche Scattering Thomson:

• Elettroni liberi(es. plasma)

• Indipendenza di λ

• energia del fotone minore dell’energia dell’elettrone ⇒ ~ω ≤ m e c 2

(27)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 24 Un’onda elettromagnetica colpisce un

elettrone il quale acquistando energia comincia ad ocillare emettendo a sua volta. Dal punto di vista particellare si tratta di calcolare la sezione d’urto tra il fotone che incide e l’elettrone ovvero la probabilit`a di interazione tra fotone ed elettrone. La sezione d’urto Thomson `e un’espressione della quantit`a di potenza deflessa rispetto alla potenza che incide sull’elettrone. Dal punto di vista mec- canico lo scattering Thomson descrivo l’urto elastico tra fotone a bassa energia e un elettrone.

Il fotone arriva sull’elettrone che acquista una accelerazione ~a = m F ~ = e· ~ m E Considerando:

• ~ E 0 Campo magnetico dell’onda incidente

• ~ E r Campo magnetico prodotto dall’elettrone accelerato

• ~r Direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica prodotta dall’elettrone che oscilla

• β = v c

In gerale il campo lettrico prodotto da una carica accelerata ha la seguente espressione:

E ~ r = e 4π 0 rc 2



~r × (~r × ~˙β)



(2.2) Se si sviluppano i prodotti vettoriali si vede che il termine in parentesi altro non `e che l’accelerazione trasversale che ha modulo dato da:

a= a · sin ψ

Il modulo del prodotto vettoriale totale in parentesi graffa vale:

a c

da cui segue che il campo prodotto da una carica accelerata `e:

E ~ r = e~a

4π 0 rc 2 (2.3)

(28)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 25 La luce che il sensore percepisce, ovvero la radiazione deflessa dalla carica elet- trica, ha una potenza incidente data da:

dW = ~I · ˆndS = IdS

Come al solito interessa la potenza in media e quindi si sviluppano i calcoli con- siderando l’espressione del modulo in pointing in media:

< dW >=< |I| > dS = E 2 r

z 0 dS (2.4)

Nella (2.4) si mette l’espressione del campo elettrico (2.2) e si trova:

dW = e 2 a 2

(4π 0 ) 2 r 2 c 4 · 1 z 0

· dS = e 2 · a 2 · sin 2 ψ (4π 0 ) 2 z 0 c 4 · dS

r 2

Nell’espressione appena trovata si nota che dS r

2

`e l’espressione dell’angolo solido dΩ

A questo punto interessa trovare quale frazione dell’energia(e non quanta ) che viene deflessa ovvero la sezione d’urto agolare. Questa `e indipendente all’intensit`a specifica che arriva poich`e esprime un rapporto frazionario. Sezione d’urto An- golare:

dΩ = 1

< |I| > · dW dΩ

Dell’espressione appena scritta della sezione d’urto angolare si `e gia calcolato tutto tranne l’espressione del modulo di Pointing in media per il campo elettro- magnetico incidente. Ricordando l’espressione del modulo di Pointing in media:

< |I| >= E 2 0 z 0

e considerando l’accelerazione scritta nel seguente modo:

a = eE 0

ma 2 = e 2 E 2 0 m 2 Il calcolo della sezione d’urto angolare diventa:

dΩ = z 0

E 2 0 · e 2 a 2 sin 2 ψ (4π 0 ) 2 z 0 c 4 = z 0

E 2 0 · e 2 e 2 E 0 2 sin 2 ψ (4π 0 ) 2 z 0 c 4 · m 2 da cui semplificando e raggruppando:

dΩ = e 4 sin 2 ψ

(4π 0 ) 2 c 4 m 2 = e 2 4π 0 mc 2

! 2

sin 2 ψ

(29)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 26 Se si nota che il termine in parentisi al quadrato `e l’espressione del raggio clas- sico dell’elettrone si ricava l’espressione della sezione d’urto Thomson nel caso polarizzato:

dΩ = r 2 e · sin 2 ψ Sezione d’urto Thomson pol.

Il fatto che il raggio dell’elettrone abbia quella espressione lo si trova considerando l’energia elettrostatica di una sfera di raggio r:

q 2 4π 0 r

Se penso che l’elettrone abbia forma sferica e uguaglio l’energia dovuta al fatto che l’elettrone ha una carica con l’energia dovuta alla sua massa, posso scrivere:

q 2

4π 0 r = mc 2r e = e 2 m4π 0 c 2

Sperimentalmente questo raggio non `e stato mai riscontrato; con microscopi che arrivano a dimensioni di 10 −20 il raggio dell’elettrone non esiste, `e inspiegabil- mente puntiforme.

L’espressiona trovata `e quella per un fascio di luce polarizzata. Si vuole adesso calcolare la sezione d’urto nel caso pi`u generale in cui la radiazione incidente non sia polarizzata ovvero che abbia un campo Elettrico che puo essere direzionato a 360 rispetto alla perpendicolare alla radiazione.

Dal disegno si vede che:

• b E 0 ·b r = cos ψ

• b E 0 =

 

 

 

 

 cos ϕ

sin ϕ 0

 

 

 

 

• ˆr =

 

 

 

 

 sin θ

0 cos θ

 

 

 

 

In questo modo posso esprimere il prodotto scalare nel seguente modo:

E b 0 · ˆr = sin θ · cos ϕ = cos ψ Con questa scrittura, la sezione d’urto Thomson polarizzata:

dΩ = r e 2 · sin 2 ψ = r 2 e · (1 − cos 2 ψ) = r 2 e · (1 − cos 2 ϕ sin 2 θ)

(30)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 27 Il calcolo della sezione d’urto nel caso non Polarizzato segue:

NonPol dΩ = 1

2π Z

0

Pol

dΩ dϕ = 1 2π

Z

0

r 2 e ·(1−cos 2 ϕ sin 2 θ) = r 2 e 1 − sin 2 θ 2

Z

0

cos 2 ϕ

!

Tenendo conto che l’ultimo `e un integrale noto che vale π la sezione d’urto polar- izzata si scrive nel seguente modo:

NonPol dΩ = r 2 e

2 (cos 2 θ + 1)

Se si vuole poi calcolare la sezione d’urto Thomoson totale, ovvero per tutto l’angolo solido dσ = 2π sin θdθ tra 0 e 4π si procede ad un’ulteriore integrazione, come segue:

σ NonPol T h = Z

0

NonPol

dΩ dσ = 8πr 0 2

3 Sezione d’urto Thomson non Pol.

Il calcolo numerico della sezione d’urto Thomson mette in evidenza la dif- ferenza di interazione, intesa come probabilit`a, tra il caso in esame e il caso clas- sico di elettrone determinato, infatti:

Caso classico Se si immagina l’elettrone come un disco di raggio r e , allora l’area efficacie di interazione `e tutta quella del disco: σ = π · r 2 e ≈ 3 × 10 −20 Caso Thomson Sviluppando i calcoli numerici della sezione d’urto Thomson si

trova che: σ ≈ 10 −28

Si vede la differenza di ben 8 ordini di grandezza dovuto al fatto che la probabilit`a di interazione `e molto pi`u piccola di quello che si pensava ovvero la sezione d’urto, ovvero l’area utile di interazione, `e molto minore.

Applicazioni scattering Thomson

(31)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 28 Diagnostica del plasma

Per contenere il plasma bisogna utiliz- zare dei campi magnetici di conteni- mento. Il plasma deve anche essere mon- itorato dal punto di vista di temperatura e densit`a. Mandando un fascio di raggi dentro il plasma(gas di elettroni liberi) si puo calcolare lo scartering Thomson ovvero quanti luce viene deflessa. La quantit`a di luce deflessa fornisce una mappa di densit`a elettronica del plasma.

Analisi di Materiali

Trovando un’onda elettromagnetica

della frequenza giusta tale che la trasfor-

mazione di Rolentz riporta gli elettroni

ad essere fermi. Il fascio deflesso viene

riportato nel sistema di riferimento del

laboratorio tramite trasformazione di

Lorentz.

(32)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 29

2.3.2 Scattering Rayleigh

Come nel caso Thomson la radiazione incidente ha bassa energia. In questo caso per`o gli elettroni non sono liberi di muoversi come nello scatterging Thom- son ma sono legati ad un atomo. I legami tra gli elettrone e l’atomo pos- sono essere approssimati con delle molle di costante elastica K. La radiazione che investe l’atomo produce cosi la vi- brazione degli Z elettroni. Le distanze di legame degli elettroni dall’atomo sono, ovviamente, tutte dell’ordine del rag- gio atomico(altrimenti sarebbero fuori dall’atomo). Ciascun elettrone che com- incia ad oscillare per effetto della radi- azione esterna emette radiazione come nel caso dello scattering Thomson.

Indicando con:

• e La carica dell’elettrone

• a i = a sin ψ L’accelerazione trasversale dell’elettrone colpito dalla radi- azione. E’ unico, tutti gli elettroni vengono accelerati nella stessa direzione

• ∆~r i distanza del nucleo dall’elettrone i-esimo

• ψ L’angolo della direzione di oscillazione dell’elettrone con la direzione di osservazione. Tale angolo `e lo stesso per tutti gli elettroni poich`e vengono tutti colpiti dalla medesima radiazione(quindi con stessa polarizzazione) Il campo magnetico prodotto dall’oscillazione di tutti gli Z elettroni dell’atomo, per sovrapposizione degli effetti, `e dato da:

E ~ tot = X

i

E ~ r i = X

i

e · ~a i 4π 0 ∆~r i c 2

Nel caso Thomson la forza che agiva sull’elettrone libero era data dal prodotto

della carica dell’elettrone per il campo elettromagnetico oscillante che incideva

su di esso. Nel caso Rayleigh gli elettroni non sono liberi e quindi ci sar`a oltre

alla forza dovuta al campo elettromagnetico incidente anche una forza di richiamo

(33)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 30 coulombiana. Associando ad ogni elettrone una energia E i = ~ω i si lega la pul- sazione all’energia. Si pu`o pensare di approssimare i legami elettronici come fos- sero dei legami elastici sui quali agisce una forza di richiamo dovuta al potenziale coulombiano e una forzante dovuta al campo elettrico esterno che incide. Si ri- corda che la costante elastica `e legata alla pulsazione dalla ω i =

q

K

i

m L’equazione che descrive il moto degli elettroni `e dunque la nota equazione di un oscillatore elastico smorzato che nel caso in esame `e:

m ¨x = −mω 2 i x i + e · E 0 e j( ~ K·∆~r

i

−ωt)

Si noti che il campo elettrico oscillante ha diverse componenti ~r i Si puo esplicitare la relazione rispetto ad x e poi derivare due volte per trovare l’esspressione di a i

x = e · E 0 e j( ~ K·~r

i

−ωt)2 i − ω)m Da cui, derivando due volte si trova che:

¨x i = a i = −ω 2 · e · E 0 e j( ~ K·~r

i

−ωt)2 i − ω 2 ) · m

Come nel caso Thomson cerco la potenza assorbita dagli elettroni che la si trova facendo il prodotto scalare tra il vettore di Pointing e la superficie utile di inter- azione dell’elettrone:

dW = ~I · ˆndS = |~I|dS

Utilizzando l’espressione del modulo di Pointing |I| = E z

02r

l’espressione della potenza diventa:

dW = E 2 r z 0 · dS

Si sostituisce a questa espressione l’espressione del campo Elettrico trovata sopra:

dW = dS z 0 ·

 

 

 

 X

i

e · a i · sin ψ 4π 0 ∆r i c 2

 

 

 

2

A questo punto posso sostituire l’espressione dell’accelerazione i-esima e svilup- pando il quadrato si trova:

dW = dS z 0 · X

i

 

 

 

e 2 · sin 2 ψ

(4π 0 ) 2 ∆r 2 i c 4 · e 2 ω 4 E 2 0 e 2 j( ~ K·~r

i

−ωt)2 i − ω 2 ) 2 · m 2

 

 

 

(34)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 31 Poich`e le distanze r i degli elettroni viste dall’osservatore hanno differenze in- finitesime(dato che si parla di ordine di raggi atomici) si puo considerare una distanza media r e portarla a fattor comune fuori dalla sommatoria:

dW = dS r 2

!

· e 4 · sin 2 ψE 2 0 e 2 j(ωt) (4π 0 ) 2 m 2 c 4 z 0 ·

(P

i ω 2 e − jKr

i

ω 2 i − ω 2

) 2

Come per il caso Thomson si cerca l’espressione della sezione d’urto angolare

dΩ = 1

< |I| > · dW dΩ

ed essendo il modulo medio del vettore di Poynting dato dalla

< |I| >= | ~ E 0 | 2 z 0 si trova che:

R dΩ = z 0

| ~ E 0 | 2 · ω 4 · e 4 · sin 2 ψE 2 0 e 2 j(ωt) (4π 0 ) 2 m 2 c 4 z 0 ·

(P

i e − jKr

i

ω 2 i − ω 2

) 2

(2.5) Il termine E 2 0 e 2 j(ωt) `e proprio l’espressione di | ~ E 0 | 2 che dunque si semplifica.

Si nota poi che il primo pezzo della (2.5) `e proprio l’espressione dello scattering Thomson! Dunque l’espressione della sezione d’urto Rayleigh la si pu`o scrivere come segue:

R

dΩ = dσ T · ω 4 · (P

i e − jKr

i

ω 2 i − ω 2

) 2

Sezione d’urto Rayleigh dove si ricorda che:

• ω pulsazione radiazione incidente

• ω i pulsazione i-esimo elettrone

L’esponenziale dentro parentesi ha il prodotto scalare ~k · ~r i con modulo

|~k · ~r i | ≈ 2π

λ r e (2.6)

Se vale la condizione λ  r e allora la (2.6) tende a zero e l’esponenziale in parentesi va a 1.

Questa condizione vale per onde incidenti con frequenze che vanno dal visibile fino ai raggi X deboli. Sotto queste condizioni la (2.6) diventa:

R

dΩ = T

dΩ · ω 4 ·

 

 X

i

1 ω 2 i − ω 2

 



2

(2.7)

Si considerano adesso tre casi particolari della (2.7):

(35)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 32

~ω  ~ω i

Sotto questa condizione si ha che:

1

ω 2 i − ω 2 ≈ 1 ω 2 i

Una semplificazione ulteriore si ha considerando che gli ω i dipendono dai livelli atomici che al crescere innalzano di molto l’energia dando un contributo molto piccolo in termini di rapporto inverso della sommatoria. In questo modo la som- matoria in parentesi pu`o essere considerata una costante di valore ω 1

min

R

dΩ = T

dΩ · ω 4 · 1

ω 4 min (2.8)

Questo risultato teorico `e anche una spiegazione della colorazione del cielo, dall’azzurro all’arancione. La luce bianca(spettro completo) prodotta dalla radiazione solare incide sull’atmosfera terrestre, si sta dunque parlando di radiazione del visibile per la quale si puo utilizzare la formula approssimata. Se si tiene conto che ω i `e una costante dipendente dai livelli atomici la sezione Rayleigh `e una funzione di ω. Questo significa che per valori grandi di ω si avr`a una maggiore diffusione e vice versa per valori pi`u piccoli. Ma ω grandi corrispondono a frequenze del blue che quindi diffonderanno maggiormente dando la tipica colorazione al cielo di giorno. Al tramonto o all’alba la luce incidente attraversa una sezione pi`u grande di atmosfera e avendo nel cammino gia diffuso le frequenze maggiori diffonder`a ora quelle minori ovvero la colorazione arancione.

~ω  ~ω i

In questo caso ci si `e messi nelle frequenze dei raggi X deboli. Matematicamente si traduce nel fatto che il termine

1

ω 2 i − ω 2−z ω 2 i e quindi la (2.7) diventa

R

= T

· z 2 (2.9)

dove si nota la forte dipendenza dallo z del materiale. Utilizzi di questa for- mula sono:

• Radar per aerei Stealth

• Ricerca vegetazione nello spazio

(36)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 33

2.3.3 Scattering Compton

L’effetto Compton descrive l’urto elastico di un fotone su un elettrone. Il fenomeno osservato per la prima volta da Arthur Compton nel 1923, divenne ben presto uno dei capisaldi per la descrizione quantistica della luce.

L’esperimento di Compton con- sisteva nell’inviare un fascio di luce su un oggetto ed osser- varne la diffusione. Il fisico statunitense osserv`o che i fo- toni di alta energia (fra gli 0,5 ed i 3,5 MeV) che passavano all’interno del materiale subi- vano una perdita di energia, ovvero viravano verso il rosso.

Questo effetto pu`o essere spiegato semplicemente se si pensa ai fotoni come a particelle che urtano elasticamente contro gli elettroni presenti negli atomi, ceden- dogli energia. Accettare questa spiegazione vuole per`o dire abbandonare la teoria ondulatoria della luce descritta dalle equazioni di Maxwell in favore di una teo- ria corpuscolare della luce che non d`a conto degli effetti di interferenza (gi`a ben noti all’epoca). La soluzione del paradosso `e stata l’introduzione di una teoria quantistica della luce.

Dal punto di vista matematico, quindi, si devono impostare le equazioni di un urto tra un fotone, inteso come particella, ed un elettrone. Posti ? e ? gli angoli rispettivamente di deviazione dalla direzione incidente iniziale del fotone e dell’elettrone finali e dette ? e ?’ le frequenze iniziale e finale della luce, si imposta un sistema di equazioni che tenga conto delle conservazioni dell’energia e del momento:

( E γ + E e = E γ

0

+ E e

0

p γ = p γ

0

+ p e

0

La quantit`a di moto e l’energia hanno la seguente espressione:

( ~p = m · ~v · γ

E = m · c ~ 2 · γ

(37)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 34 L’energia associata ad una particella(in questo caso un elettrone) nel caso questa possegga anche una quantit`a di moto non nulla, ha la seguente espressione:

| ~ E| = p

m 2 c 4 + p 2 c 2

Per un oggetto a massa nulla, come un fotone, la quantit`a di moto la si calcola con la seguente formula:

p γ = ~ω c

L’equazione del bilancio energetico dell’urto elastico tra ?elettrone e fotone:

E γ + mc 2 = E γ 0 + q

m 2 c 4 + p 2 e c 2 (2.10) Mentre per la quantit`a di moto ho le due componenti:

( p γ = p 0 γ cos θ + p e cos ϕ 0 = p 0 γ sin θ + p e sin ϕ

Quadrando e risistemando i termini dell’equazione ottengo:

( p 2 e cos 2 ϕ = (p γ − p 0 γ cos θ) 2 p 2 e sin 2 ϕ = p 02 γ sin 2 θ Sommando termine a termine si ottiene:

p 2 e = p 02 γ sin 2 θ + p 2 γ + p 02 γ cos 2 θ − 2p γ p 0 γ cos θ (2.11) Sostituisco l’espressione di (2.11) appena trovata nell’equazione di bilancio ener- getico (2.10) e trovo la seguente espressione:

E γ + mc 2 = E 0 γ + q

m 2 c 4 + c 2 n

p 02 γ + p 2 γ − 2p γ p 0 γ cos θ o Si porta E γ 0 a sinistra dell’equazione e si quadra trovando cosi:

(E γ + mc 2 − E γ 0 ) 2 = m 2 c 4 + c 2 n

p 02 γ + p 2 γ − 2p γ p 0 γ cos θ o

Sviluppando il quadrato al primo membro e semplificando i termini opposti si ottiene:

E γ − E 0 γ = E γ · E 0 γ

mc 2 · (1 − cos θ) (2.12)

Se E γ  mc 2 allora il termine a secondo membro dell’equazione (2.12) `e zero e quindi E γ = E 0 γ che significa che l’elettrone non cambia la sua energia.

Lespressione (??) puo essere riscritta in termini di lunghezza d’onda tendo presente l’uguaglianza E = hν = hc λ :

λ 0 − λ = h

mc 2 · (1 − cos θ)

(38)

CHAPTER 2. INTERAZIONE FOTONE MATERIA 35

2.4 Campo di Radiazione

Una carica emette un campo di Coulomb dato dalla nota E c = qa sin ψ

4π 0 r 2 c 2 che decresce come r 1

2

Una carica accelerata invece emette un campo elettrico che ha la propriet`a di at- tenuarsi come 1 r ; questo `e molto impor- tante infatti grazie a questa dipendenza lineare funzionano le comunicazione ra- dio. Si ricava adesso l’espressione del campo generato da una carica accelerata.

La carica `e accelerata con accelerazione costante ~a e la velocit`a che acquista dopo un intervallo di tempo ∆t `e v = a∆t

Le linee di campo non possono morire se non in presenza di una sorgente o di un pozzo; per questa ragione le linee di campo della carica prima e dopo il tempo

∆t sono unite. Le liee di campo sono unite linearmente perch`e `e la configurazione a minima energia.

dal disegno si trova che:

S = S sin ψ (2.13)

dove:

S = 1

2 a∆t 2 + v(t − ∆t) Poich`e ∆t  t allora

S ≈ vt (2.14)

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