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ALDO PAVARI E GLI STUDI DI BOTANICA FORESTALE

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ALDO PAVARI E GLI STUDI DI BOTANICA FORESTALE

Il testo vuole mettere in evidenza il ruolo che nella prima metà del secolo XX Aldo Pavari ha avuto nel rilanciare e nello sviluppare in Italia le ricerche sulla biologia e l’eco- logia delle piante di interesse forestale e sulla sua attività per far conoscere queste specie attraverso pubblicazioni e tramite la creazione di arboreti.

Parole chiave: botanica forestale; specie esotiche; arboreti.

Key words: forest botany; exotic species; arboreta.

In Toscana, con l’accorta «regia» di diversi georgofili (per primo Cosi- mo Ridolfi, seguito poi da Vincenzo e Bettino Ricasoli, da Filippo Parlatore e da numerosi altri ancora), si assistette per tutto il XIX secolo ad un fiorire di attività di ricerca e di collezione mirate non solo alla diffusione dei taxa ornamentali ma anche, tramite la creazione di giardini di acclimatazione, alla conoscenza delle possibilità di impiego delle specie esotiche in campo forestale. È in questo fervore che a Vallombrosa trovò sede il Regio Istituto Forestale Italiano e la relativa scuola che ne derivò. L’Istituto era appena stato trasferito a Firenze quando, nel 1913, vi entrò il giovane Pavari; in questo ambiente culturale rapidamente maturò la sua impostazione scienti- fica tanto che già pochissimi anni dopo pubblicò la prima (P

AVARI

, 1916) e, poi, la seconda parte (P

AVARI

, 1921c) delle indagini sull’impiego delle spe- cie forestali esotiche, cioè di quella ricerca che ebbe grandissima importan- za nel caratterizzarne e nel fare conoscere la sua personalità scientifica. In quegli stessi anni egli pubblicò diversi articoli in cui discusse le tematiche selvicolturali anche alla luce delle conoscenze allora disponibili sull’ecolo- gia e la corologia delle diverse specie e sulle caratteristiche climatiche delle aree geografiche relative (P

AVARI

, 1917, 1920a, 1920b, 1921a, 1921b).

Ritengo che il tema di base di tutta la ricerca di Aldo Pavari sia stata la comprensione delle interazioni fra piante forestali e ambienti di crescita. Il binomio

– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 65 (4): 425-432, 2010

© 2010 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2010.4.06 (*) Dipartimento di Biotecnologie Agrarie. Università degli Studi di Firenze. Piazzale delle Cascine 28, 50144 Firenze. paolo.grossoni@unifi.it

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«selvicoltura-ecologia» è sempre stato presente nei suoi lavori di ricerca e di di- vulgazione: egli aveva l’esigenza di capire, e far capire, perché una specie vege- tasse in determinati ambienti o vi potesse essere coltivata. L’ecofisiologia, nell’acce - zione attuale, è una disciplina più recente: quando Pavari iniziò la sua attività di ricerca, nelle piante non erano ancora conosciuti o compresi la maggior parte dei processi fisiologici alla base dei meccanismi di risposta ai fattori ambientali.

Basti pensare che è stato solo agli inizi degli anni ’20 che Garner e Allard compresero il ruolo del fotoperiodo (G

ARNER

e A

LLARD

, 1920).

Pavari ha quindi indagato le risposte delle piante forestali in funzione dei fattori ambientali valutandoli soprattutto negli aspetti, maggiormente

«selvicolturali», di crescita, sviluppo e rinnovazione. Di qui la sua esigenza di definire un criterio per parametrizzare e classificare questi fattori in modo da poter raggruppare gli ambienti forestali; nel 1916 Pavari propose una rielaborazione della classificazione di Heinrich Mayr (M

AYR

, 1906) che venne subito apprezzata da buona parte del mondo forestale perché costi- tuiva uno «strumento» di facile applicazione e, essendo ben aderente alle realtà ambientali, capace di fornire informazioni rapidamente comprensibili e confrontabili sull’ambiente fitoclimatico.

Nel secolo XIX, la sperimentazione forestale, maturata in Toscana all’interno dei giardini di acclimatazione, aveva mostrato come le risposte delle specie esotiche saggiate non fossero sempre costanti e ripetibili ma variassero all’interno della specie. A questo proposito, in maniera molto empirica Vincenzo Ricasoli aveva segnalato come non tutti gli esemplari, da lui coltivati nel giardino della Casa Bianca a Porto Ercole, mostrassero lo stes- so grado di tolleranza alle basse temperature «… anche lo stato particolare delle piante e la loro intima costituzione offrono singolari differenze nel tollera- re un egual grado di freddo; perfino le parti di una medesima pianta non sono spesso nelle identiche favorevoli condizioni …» (R

ICASOLI

, 1888). Fra Ricasoli e Pavari, pur nella brevità di un solo quarto di secolo, non solo le teorie evolu- zionistiche si erano ormai affermate ma era divenuto chiaro come nello svi- luppo di un organismo i processi dinamici dell’ambiente giochino un ruolo primario; proprio l’istituto vallombrosano, con Federico Delpino (che vi insegnò dal 1871 al 1875), era stato sede di ricerche sull’influenza che l’am- biente aveva sullo sviluppo fenetico e sui rapporti fra organismi diversi.

La rilevanza che Pavari diede alla variabilità intraspecifica e ai mecca- nismi che ne regolano l’espressione, benché finalizzata alle problematiche selvicolturali, ha costituito un momento essenziale della ricerca da indagarsi nei suoi meccanismi e nei suoi significati.

Credo che siano state soprattutto le tematiche ecologiche e genetiche

quelle che hanno fatto sì che con Pavari la dendrologia abbia subito una

drastica rielaborazione dei contenuti e degli interessi: da disciplina che si dif-

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ferenziava dalla botanica solo perché gli oggetti trattati erano limitati alle piante legnose divenne lo studio dei loro aspetti morfoanatomici, corologici e tassonomici valutati alla luce della diversità e della variabilità espressa, per- ché determinata geneticamente e perché regolata dall’ambiente di crescita.

Il precedente richiamo alla tradizione sperimentale della Toscana ottocentesca nei riguardi delle specie esotiche non ha una semplice funzione introduttiva ma è utile per meglio comprendere l’interesse di Pavari per queste specie. Egli cominciò ad occuparsi della ricerca sulle specie forestali altamente produt- tive poco prima della 1

a

guerra mondiale e quindi ben lontano da quell’im- pellenza politica ed economica del posteriore regime autarchico che trovò la sua giustificazione politica nelle sanzioni. In questo campo egli chiuse un lungo periodo (oltre un secolo) di sperimentazione forestale svolta essenzialmente tra- mite tentativi (a cui parteciparono non solo studiosi eccellenti quali i Savi, i Targioni Tozzetti, lo stesso Parlatore ma anche politici come Cosimo Ridolfi e Bettino Ricasoli, botanici «mancati» come Vincenzo Ricasoli e tanti altri non addetti ai lavori che però in questo campo non si mostrarono meno capaci dei ricercatori professionisti) ed iniziò quello della ricerca impostata su progetti spe- rimentalmente organizzati. Per comprendere il metodo «casuale» per lo più per- seguito negli ultimi decenni del secolo precedente nella sperimentazione mi- rata all’applicazione delle specie a rapido accrescimento, ritengo esemplifi- cativa una nota di Giovanni Ricasoli Firidolfi, pubblicata sul Bullettino della Regia Società Toscana di Orticultura nel 1883, relativa ad un rimboschimento sulle falde del Pratomagno (sopra Loro Ciuffenna) iniziato alla metà del XIX secolo da Bettino Ricasoli e attuato mediante «…diverse migliaia di pini e abeti, giungendo qualche anno a piantarne anche un diecimila. …resulta che il con- fine inferiore di questa tenuta è a 900 metri circa sul livello del mare, mentre il con- fine superiore formato dal crine dei poggi giunge all’altezza di 1385 metri». Per avere un’idea del numero di specie impiegate, G. Firidolfi Ricasoli scriveva anche «Intorno ad una casetta di ricovero, ch’è situata a 1108 metri sul mare, furono piantate nel 1878 e negli anni successivi varie qualità di pini e di abeti. – Ecco le piante che sono tuttora in vita: Abies Nordmanniana

1

, A. Peloponnesiaca, A. Douglasii, Cedrus Libani, Pinus Brutia, P. strobus, P. tuberculata, P. Sabi- niana, P. uncinata, P. rigida, P. deflexa, P. taurica, P. Coulterii, P. Pyrenaica, P. ponderosa, P. Californica, P. Pithyusa, P. pumilio; le piante morte che sono morte intorno alla medesima casetta sono: Pinus Elliottii, P. Teocote, P. Torreyana, Cupressus Lambertiana; le grandi piantate della tenuta sono poi formate di:

Abies Picea, Larix Europaea, Pinus abies, P. Laricio, P. nigra, P. pinaster, P.

silvestris.» (R

ICASOLI

F

IRIDOLFI

, 1883).

1Le specie vengono riportate con il binomio e la grafia utilizzati da G.R.F.

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La volontà di Aldo Pavari di conoscere e di far conoscere lo portò ad essere un instancabile divulgatore che attraverso le riviste di diffusione della cultura forestale (delle quali fu propugnatore, sostenitore e direttore) si impegnò notevolmente non solo per discutere sulle problematiche del settore ma anche per informare sugli aspetti applicati e botanici delle specie legnose, indigene ed esotiche, maggiormente interessanti. Fra il 1930 e il 1935 pubblicò su L’Alpe (in alcuni casi insieme a Fiori, a De Philippis e a Senni) ventidue monografie che riguardavano specie indigene ed esotiche, di interesse forestale ma anche specie di minore importanza applicata o decisamente «poco» forestali.

Sempre con queste finalità, dopo la seconda guerra mondiale Pavari riprese il «modello» utilizzato su L’Alpe e fra il 1954 e il 1957 pubblicò quattro nu- meri speciali (uno all’anno) di Monti e Boschi dedicati alle specie arboree spon- tanee e a quasi tutti gli arbusti della flora italiana (le uniche eccezioni sono due specie, esotiche anche se ampiamente naturalizzate: il cipresso e il noce).

Questa serie – a cui parteciparono diversi altri autori – fu molto apprezzata, tanto che nel 1959 le monografie furono poi riproposte dall’editore (il Touring Club Italiano) in un volume unico (Gli alberi dei nostri boschi) che si affermò come un vero e proprio manuale di botanica forestale (praticamente il primo dopo Le piante legnose d’Italia di Lodovico Piccioli, pubblicato fra il 1890 e il 1903).

Nell’azione, che Pavari aveva sempre perseguito, di rilancio del bosco come pa- trimonio polivalente e non solamente come mezzo per ricavare il massimo reddito da un terreno, la minuziosa descrizione anche di specie apparente- mente «di scarso interesse» (dalle ginestre ai biancospini all’oleandro) aveva il pregio non solo di focalizzare l’attenzione su di esse ma di recuperare determinati usi tradizionali. La loro valorizzazione poteva così rappresentare uno stru- mento per conservare determinate espressioni di diversità culturale (intesa come la molteplicità delle forme mediante le quali si esprimono le culture dei gruppi e delle società) che rischiavano di scomparire rapidamente di fronte alle grandi mutazioni socio-economiche che dopo gli eventi bellici stavano imponendosi.

In parallelo con questa attività, che non era solo di diffusione della

cultura forestale ma anche di contributo per la didattica (non dimentichia-

mo la sua lunghissima attività come docente), Pavari si interessò moltissimo

agli arboreti. Al solito egli ne trattò nei suoi scritti (basti pensare ai due arti-

coli apparsi su L’Alpe nel 1929; P

AVARI

, 1929a, 1929b) ma, soprattutto, si

attivò per potenziare quelli esistenti e per crearne di nuovi: a Vallombrosa

riorganizzò i settori già esistenti dell’arboreto e, attraverso le particelle alle-

stite per sperimentare e confrontare alcune conifere esotiche, al criterio

della rappresentatività aggiunse quello della biodiversità; contemporanea-

mente, a Firenze, prese parte alla progettazione e alla gestione dell’Arbore-

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to delle Cascine, arboreto voluto da Cotta e dallo stesso Pavari per affianca- re l’attività didattica dell’Istituto Superiore Forestale Nazionale. Nel 1931 ne diventò il responsabile ma pochi anni dopo (1938) l’arboreto venne inglobato nella Scuola di Guerra Aerea perdendo abbastanza rapidamente sia la fisonomia strutturale sia, soprattutto, la funzione didattica.

L’Arboretum taurinense è stato invece un’istituzione che Pavari ha potuto seguire dalle origini. Nel 1923 la città di Torino aveva deciso di crea- re sulle colline sudoccidentali della città un grande parco pubblico (di quasi 30 ettari) che avesse la funzione di Parco delle Rimembranze. Aldo Pavari fu invitato a progettare e ad organizzare il soprassuolo boschivo in modo che potesse essere utilizzato anche per scopi scientifici e Pavari propose un arboreto (B

ESSI

G

ROSSONI

, 1992). Nel tempo il parco si è dilato triplicando la superficie (89 ha) e, in questa crescita, ha assorbito e, praticamente,

«assimilato» l’Arboretum taurinense per cui oggi non sono più leggibili i suoi confini ed esso è totalmente diluito nel resto del parco. Nel 1951 Pava- ri fece alcune proposte per il recupero dell’arboreto ed incaricò Ernesto Allegri di compiere una schedatura critica che non si limitasse alla rideter- minazione delle piante ma che portasse alla loro catalogazione (P

AVARI

, 1954); ma, ancora alcuni anni dopo, le sue proposte erano rimaste poco più che lettera morta.

L’Italia è un paese ricco in orti e giardini botanici ma poverissimo in arboreti anche se settori per le piante arboree sono presenti in molti orti botanici; a parte gli arboreti di Vallombrosa, praticamente mancano istitu- zioni specializzate esclusivamente in collezioni viventi di piante legnose che siano finalizzate alla loro conservazione, al loro studio e all’insegnamento.

La tabella elenca le strutture italiane che possono essere identificate come

«arboreti»; va però tenuto presente che alcune sono ormai obsolete o, in realtà, non sono mai decollate.

Tab. 1 – Elenco degli arboreti italiani. Referenze: RAIMONDO(1992): 1, 4, 5, 6. MEDA(1996): 1, 2, 4, 5, 7. Società Botanica Italiana (istituzioni afferenti al Gruppo «Orti botanici e Giardini storici»): 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.

1 Arboreti Sperimentali Vallombrosa (FI) seconda metà sec. XIX

2 Arboreto di Arco Arco (TN) seconda metà sec. XIX

3 Arboreto Carlo Siemoni Badia Prataglia (AR) seconda metà sec. XIX 4 G. Botanico e Arboreto Appenninico del P.N. Abruzzo Pescasseroli (AQ) seconda metà sec. XX

5 Arboretum Apenninicum Tuseggia (MC) seconda metà sec. XX

6 Arboreto Mediterraneo del Monte Limbara Monte Limbara (SS) seconda metà sec. XX

7 Arboreto Pascul Tarcento (UD) seconda metà sec. XX

8 O. Botanico e Arboreto di Tor Vergata Roma seconda metà sec. XX

9 Arboreto di Mondaino Mondaino (RN) seconda metà sec. XX

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Da qui l’importanza e la lungimiranza di Aldo Pavari che aveva ben chiaro il ruolo didattico, di ricerca e di educazione di queste istituzioni.

Purtroppo il panorama delineato nella tabella non si discosta molto da quello descritto da Aldo Pavari nel 1929 (P

AVARI

1929b) anche se, proprio sulla base dell’esperienza maturata con i giardini di acclimatazione, già alla fine del XIX secolo vi era stato chi aveva sollecitato la creazione e la diffu- sione degli arboreti. Già Vincenzo Ricasoli, a proposito degli orti botanici e degli arboreti, nel 1888 aveva scritto: «… il Ministero d’Agricoltura … crei intanto qualche stabilimento esperimentale nel Mezzogiorno e nelle Isole, per fare conoscere l’utilità di queste piante, e di altre che non tarderanno a giun- gere nuove per l’Italia, o supplisca con altri mezzi, pure d’ottenere l’intento.

Ciò in questo momento sarebbe tanto più utile che venisse intrapreso dal Ministero d’Agricoltura e Commercio, mentre quello dell’Istruzione pubblica lascia rimpiccolire o distruggere gli orti botanici esistenti che pure avrebbero tanto bisogno di essere accresciuti per mettersi non dico alla pari con quelli esteri, ma almeno per mostrare ce non si credono inutili.» (R

ICASOLI

, 1888).

Un ultimo aspetto sul quale vorrei soffermarmi, e che discende dall’in- teresse di Pavari per gli arboreti, è quello dell’attenzione che egli ha presta- to ai giardini storici non solo come luoghi piacevoli e, a volte, di straordina- ria bellezza, ma anche come strutture importanti ai fini della conoscenza e della valutazione delle specie arboree (esotiche e non).

Concludendo, grande merito botanico di Aldo Pavari è stato quello di aver rilanciato l’attenzione sulla componente legnosa come insieme di orga- nismi viventi da meglio conoscere nel loro ambiente. Ritengo che, a parte la distanza temporale, non sia azzardato un parallelo con Filippo Parlatore:

anche Pavari ha avuto molto dall’esperienza internazionale che, come per Parlatore, è stata molto utile per tentare di sprovincializzare la ricerca italia- na del settore.

Al di là dell’impulso all’ecologia e alla genetica forestale, Pavari ha

riportato l’attenzione della ricerca botanica sull’albero: basti pensare, per

limitarci all’ambiente botanico fiorentino, a Roberto Corti che gli successe

sulla cattedra di Botanica Forestale e che a lungo si occupò del genere

Quercus e di Eleonora Francini che sul ciclo riproduttivo e l’accrescimento

nel genere Pinus svolse ricerche apprezzate in tutto il mondo. Lo stesso

Alberto Chiarugi sollecitò molti suoi allievi ad occuparsi di generi legnosi

per cui anche nelle «generazioni» successive dei botanici fiorentini è stato

mantenuto alto l’interesse per le specie forestali. A questo proposito credo

sufficiente ricordare i nomi di Guido Moggi, e i suoi studi sui generi

Eucalyptus e Quercus, e di Romano Gellini che per Pavari ha sempre avuto

una stima totale e che, come Pavari, considerò gli Arboreti di Vallombrosa

come il laboratorio più idoneo per conoscere e capire gli alberi.

(7)

Proprio per sottolineare il ruolo che Aldo Pavari aveva avuto nel

«rilanciare» l’interesse per la biologia e l’ecologia delle specie legnose Rena- to Pampanini, grande studioso della flora nordafricana, dedicò ad Aldo Pavari un corbezzolo, da lui identificato come specie botanica: Arbutus pavarii Pampan. (P

AMPANINI

, 1936), endemismo cirenaico a rischio. E a proposito di Renato Pampanini, allorché nel 1933 egli si dimise dal Consi- glio Direttivo della Società Botanica Italiana (in cui era stato per venticin- que anni), gli successe proprio Aldo Pavari (M

AUGINI

, 1988).

SUMMARY

Forest botany researches and Aldo Pavari

In Italy, in the first half of twentieth century Aldo Pavari’s researches have been very important to relaunch studies over biological and ecological subjects of forest trees. In this paper their researches are examined by emphasizing and exploring the scientific results and the activities to spread knowledge on these species from issues to arboreta.

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