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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI BARI DIPARTIMENTO INTERATENEO DI FISICA “Michelangelo Merlin” Corso di Laurea in Fisica di II Livello Fisica della Materia Applicata

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI BARI

DIPARTIMENTO INTERATENEO DI FISICA

“Michelangelo Merlin”

Corso di Laurea in Fisica di II Livello Fisica della Materia Applicata

Analisi Morfometrica di

Risonanze Magnetiche:

un approccio Non Lineare

Relatore: Dott.ssa Sabina Tangaro Relatore: Dott.ssa Maria Liguori

Laureando: Aldo Mazzilli

ANNO ACCADEMICO 2013/2014

(2)
(3)

Ai miei genitori

(4)
(5)

Indice

1 Malattie neurodegenerative: la Sclerosi Multipla 5

1.1 Caratteristiche generali . . . 5

1.2 Epidemiologia ed eziopatogenesi . . . 7

1.3 Aspetti neuropatologici . . . 8

1.4 Caratteristiche cliniche, diagnosi e prognosi . . . 9

2 La Risonanza Magnetica 13 2.1 Introduzione . . . 13

2.2 Principi Fisici . . . 14

2.2.1 La magnetizzazione . . . 16

2.2.2 Equazione di Bloch . . . 17

2.3 Magnetizzazione macroscopica e statistica di Boltzmann . . . 19

2.4 Genesi di un segnale NMR e campo a radiofrequenza . . . 21

2.5 Tempo di rilassamento T1 . . . 23

2.6 Tempo di rilassamento T2 . . . 25

2.7 Segnale di risonanza magnetica . . . 26

2.7.1 Decadimento libero dell’induzione . . . 27

2.7.2 Sequenza di Inversione e Recupero (IR) . . . 28

2.7.3 Sequenza Spin-Echo (SE) . . . 29

2.8 Immagine MRI . . . 31

2.8.1 Lettura del segnale e ricostruzione dell’immagine . . . 31

2.8.2 Contrasto dell’immagine e parametri dell’impulso . . . 33

(6)

INDICE

3 Un metodo di analisi:

la Registrazione 35

3.1 La registrazione . . . 36

3.1.1 La registrazione lineare . . . 38

3.1.2 La registrazione non lineare . . . 40

3.1.3 Registrazione tra soggetti . . . 43

3.2 Formulazione matematica . . . 44

3.2.1 Interpolazione . . . 45

3.2.2 Funzione di costo e ottimizzazione . . . 46

4 Risultati: La segmentazione come validazione 49 4.1 Il database . . . 50

4.2 La segmentazione dell’ippocampo . . . 51

4.2.1 La catena di analisi . . . 53

4.3 Risultati sperimentali . . . 58

4.4 Confronto con lo stato dell’arte . . . 70

4.4.1 Estrazione delle caratteristiche . . . 71

4.4.2 Classificazione dei voxel . . . 72

4.4.3 Confronto dei risultati . . . 73

4.5 Caso studio: la Sclerosi Multipla . . . 79

4.5.1 il database . . . 80

4.5.2 La catena di analisi della SM . . . 80

Elenco delle figure 93

Bibliografia 99

(7)

Introduzione

Le neuroscienze stanno utilizzando sempre più metodi quantitativi e nuo- ve tecnologie computazionali per aiutare a comprendere la composizione e le funzioni cerebrali. La Fisica può dare un forte contributo in termini di strategie di gestione ed elaborazione di grandi quantità di dati dal livello metodologico a quello computazionale.

Le neuroscienze stanno generando un volume di dati esponenzialmente crescente e conoscenze su aspetti specifici del cervello sano e del cervello malato in età diverse. Tuttavia, non esiste ancora una strategia efficace per mappare sperimentalmente il cervello in tutti i suoi livelli e in tutte le sue funzioni. Le moderne tecnologie di super-calcolo offrono una soluzione, che permette di integrare i dati in modelli e simulazioni ricostruiti dal computer.

Questi permettono di prevedere i dati mancanti ed eseguire le manipolazioni sperimentali che sarebbero eticamente o tecnicamente impossibili in esseri umani o animali. Combinando le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione con le nuove conoscenze derivanti da progetti che utilizzano grandi quantità di dati in tutto il mondo, la ricerca neuroscientifica può portare alla rivelazione dei meccanismi che collegano i geni al funzionamento cellulare, fino alla comprensione di funzioni superiori come l’apprendimento.

Secondo questa nuova prospettiva, il primo decennio di questo secolo ha visto la diffusione di diverse iniziative importanti. Nel 2003 è stato avviato il progetto di Allen Brain Atlas [1], con una donazione di 100 milioni di dollari. I principali obiettivi del progetto sono far avanzare la ricerca e la conoscenza sulle condizioni neurobiologiche e di rilasciare una piattaforma aperta sia per i dati e risultati. Il principale contributo alle neuroscienze è

(8)

Introduzione

stato la mappatura dei geni direttamente implicati nelle funzioni cerebrali che ha permesso di correlare strutture morfologiche e funzioni e di confrontare modelli di soggetti sani con quelli di coloro che sono colpiti da una malattia.

Nel 2005, è stato finanziato un altro importante progetto, Blue Brain, guidato dall’École Polytechnique Fédérale de Lausanne, che ha rappresentato il primo tentativo di ricreare in modo sintetico il cervello costruendo un modello della neocortex.

Negli anni più recenti, è stato fatto un grande sforzo in questa direzione.

Nel 2009 è stato lanciato il progetto Human Connectome Project [2]. Si tratta di un progetto di cinque anni sponsorizzato dal National Institutes of Health (USA) ed il suo obiettivo è quello di mappare le connessioni all’interno del cervello sano. Si vuole in questo modo rispondere a domande su come

Si prevede di aiutare in questo modo a rispondere a domande su come i geni influenzano la connettività del cervello, e come questa è collegata a sua volta allo stato d’animo, alla personalità e al comportamento. Un altro dei suoi obiettivi è l’ottimizzazione delle tecniche di imaging cerebrale per studiare i collegamenti del cervello. Più recentemente, nel 2013, sono stati finanziati dalla Commissione Europea e dall’amministrazione americana due progetti Human Brain Project [3] e BRAIN Initiative (BRAIN acronimo di Brain Research mediante Advancing Innovative Neurotechnologies) [4] che hanno come obiettivo quello di simulare il funzionamento completo dell’intero cervello umano.

Il raggiungimento di questi obiettivi porterebbe alla comprensione delle funzionalità del cervello e anche a sviluppare nuovi trattamenti per le malattie cerebrali.

I progressi nella genetica e nella tecnologia di imaging, hanno portato all’aumento esponenziale della produzione di dati medici.

Le nuove tecnologie di database e di data mining permettono di federare e analizzare questo volume di dati, consentendo ai ricercatori di identificare i cambiamenti biologici associati alla malattia e aprendo nuove possibilità di diagnosi precoce e di medicina personalizzata. Un approccio integrato

(9)

Introduzione

multidisciplinare del genere, permetterà di modificare i modelli del cervello sano per simulare la malattia. La simulazione della malattia fornirà un nuovo potente strumento per sondare i meccanismi responsabili della malattia, per pianificare nuovi trattamenti, migliorando la qualità della vita dei pazienti e riducendo i costi associati con le malattie del cervello.

Gli obiettivi più importanti dei quali le neuroscienze devono tener conto sono: federare i dati clinici, di provenienza genetica e di imaging e sviluppare strumenti che permettono di estrarre i marcatori della malattia. Il fine ulti- mo è quello di formulare nuovi modelli di classificazione che tengano conto anche delle caratteristiche biologiche e dei marcatori per le malattie neuropsi- chiatriche. Queste attività richiedono naturalmente lo sviluppo di una nuova classe di tecniche di classificazione dei dati, nuove strategie computazionali e soluzioni algoritmiche.

In accordo con questi obiettivi, nel presente lavoro di tesi viene sviluppato un metodo per la rilevazione di lesioni cerebrali in una malattia neurodege- nerativa specifica, la Sclerosi Multipla, basato sull’utilizzo di algoritmi di registrazione non lineare delle immagini cerebrali acquisite a tempi succes- sivi. Questo metodo è stato validato inizialmente su una coorte di cento immagini di pazienti affetti da un’altra malattia neurodegenerativa, malattia dell’Alzheimer (AD), dalle quali è stato estratto l’ippocampo, la cui misura- zione volumentrica rappresenta un marcatore neuroradiologico di gravità in corso di malattia.

(10)

Introduzione

(11)

Capitolo 1

Malattie neurodegenerative: la

Sclerosi Multipla

1.1 Caratteristiche generali

Il sistema nervoso centrale (SNC) è composto dal midollo spinale e dal- l’encefalo (a sua volta suddiviso in midollo allungato o bulbo, ponte, mesen- cefalo, diencefalo, telencefalo e cervelletto). Esso occupa la parte assile del nostro corpo ed è contenuto nel canale vertebrale (midollo spinale) e nella scatola cranica (encefalo). Uno dei compiti del SNC è quello di integrare e coordinare le percezioni sensoriali provenienti sia dall’esterno che dall’inter- no del corpo e di elaborare delle risposte “motorie” che attivino o modulino l’attività di specifici sistemi effettori come i muscoli o le ghiandole. Inol- tre, l’encefalo è sede di funzioni cognitive superiori come l’intelligenza, la memoria, l’apprendimento e le emozioni.

Il neurone è l’unità funzionale del sistema nervoso, è composto da una superficie recettiva costituita da un corpo cellulare, o soma, e da uno o più processi ramificati, i dendriti, mediante i quali si stabiliscono i contatti con le altre cellule circostanti attraverso unità funzionali chiamate sinapsi. Dal corpo cellulare emerge anche un altro processo, l’assone, una zona di con- duzione lungo la quale si propagano tra gli altri i segnali generati a livello delle sinapsi mediante l’azione del cosiddetto potenziale d’azione. Si trat-

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1.1 Caratteristiche generali

ta sostanzialmente di impulsi costituiti da cariche elettriche in movimento, che generano piccole correnti in grado di spostarsi da un neurone all’altro.

Questo fenomeno è reso possibile dal fatto che l’assone è circondato da un rivestimento isolante chiamato mielina, che ha la funzione di assicurare la trasmissione degli impulsi nervosi in tutto il corpo in maniera consistente ed ordinata. La guaina mielinica del SNC è formata da cellule della nevroglia, gli oligodendrociti, che avvolgono la propria membrana intorno ad uno o più assoni. Risulta evidente come un’affezione che colpisca e distrugga o alteri la costituzione della mielina, vada ad interferire con la conduzione nervosa della fibra interessata e quindi determini sintomi e segni neurologici. Una pato- logia che determini un’alterazione della mielina del SNC è definita malattie demielinizzante, ed uno degli esempi più conosciuti è la Sclerosi Multipla (SM).

Fig. 1.1: Nella figura sono rappresentate una fibra nervosa sane e una fibra nervosa affetta da demielinizzazione.

Diagnosticata per la prima volta da Jean Cruveilheir nel 1835 in una gio- vane donna e successivamente descritta, dal punto di vista anatomo-patologico, da Charcot nel 1868, la Sclerosi Multipla è una malattia cronica autoimmu- ne multifocale del SNC caratterizzata da disseminazione spaziale e temporale delle lesioni. La sintomatologia è estremamente variabile, a seconda delle aree funzionali del SNC che sono interessate dalla demielinizzazione, così come il suo decorso clinico, che può essere asintomatico e/o stazionario per molti an-

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1.2 Epidemiologia ed eziopatogenesi

ni, oppure progressivamente evolutivo e portare a gravi disabilità entro poco tempo dall’esordio.

Sul fronte terapeutico, oltre ai farmaci che svolgono perlopiù solo azione sintomatica (es. steroidi), da alcuni anni vengono impiegati nella pratica clinica farmaci cosiddetti immunomodulanti, e di recente anche immunosop- pressori, attraverso i quali si cerca di influenzare la storia naturale della malattia, arrestando o comunque rallentando la sua progressione.

In ogni caso, la SM rappresenta sicuramente un complesso problema diagnostico-terapeutico ed assistenziale, anche se, negli ultimi 10 anni si sono compiuti notevoli progressi sulla conoscenza della SM, in base ai quali sono stati approntati trials terapeutici sperimentali al fine di ridurre l’evoluzione della malattia, molti dei quali ancora in fase di sperimentazione clinica.

1.2 Epidemiologia ed eziopatogenesi

Sebbene la SM possa colpire anche i bambini, la maggioranza dei casi si riscontra in soggetti giovani-adulti tra i 20 e i 40 anni di età, prevalentemente di sesso femminile come nella maggior parte delle malattie autoimmuni [5].

Nel mondo, ci sono circa 1,3 milioni di persone con SM, di cui 400.000 in Europa, dove l’incidenza maggiore della malattia si presenta nelle regioni al Nord rispetto al Sud. Stesso gradiente Nord-Sud si osserva nelle regioni del Nord America. Sulla base di diversi studi epidemiologici [6, 7, 8] si è divisa la mappa del mondo in tre zone a diversa intensità di incidenza della malattia:

- zona ad alto rischio: Nord Europa, Europa centrale, Nord America e Canada;

- zona a medio rischio: regioni sud degli Stati Uniti, sud Europa;

- zona a basso rischio: al di sotto della zona temperata, cioè nelle zone tropicali come i Caraibi, Africa e Asia.

L’Italia è uno dei paesi a più alto rischio di sviluppo della malattia con un’incidenza nazionale di circa 57.000 casi, uno ogni 1000 abitanti [9].

(14)

1.3 Aspetti neuropatologici

Fig. 1.2: Distribuzione epidemiologica della sclerosi multipla nel mondo

L’eziopatogenesi della SM è tuttora non del tutto nota: numerosi dati di ordine epidemiologico, clinico e sperimentale indicano la possibilità che si tratti di una malattia autoimmunitaria scatenata da uno/più agente/i am- bientali sconosciuti, in soggetti geneticamente predisposti. Dal punto di vista genetico è stato evidenziato un aumento di rischio della malattia nei soggetti appartenenti a famiglie già colpite, ma il meccanismo di ereditarietà non è ancora stato chiarito. La suscettibilità a sviluppare la malattia deriverebbe dall’interazione di vari geni (finora identificati almeno 48 [10]), con un lieve contributo individuale.

1.3 Aspetti neuropatologici

Le tipiche lesioni della SM sono rappresentate dalle placche multifocali di demielinizzazione, situate nella sostanza bianca del SNC, con particolare interessamento dei nervi ottici, delle aree periventricolare, del corpo calloso, del tronco encefalico, del cervelletto e del midollo spinale. Le placche, che hanno sede più frequentemente perivasale, sono costituite da aree di demieli- nizzazione con successiva reazione gliale, aventi per lo più forma irregolare e volume variabile; colore, margini e consistenza variano col passare del tempo.

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1.4 Caratteristiche cliniche, diagnosi e prognosi

L’elemento caratterizzante del quadro, e che per primo si sviluppa, è costi- tuito dalla degradazione delle guaine mieliniche delle fibre nervose comprese nella placca. La mielina dapprima si rigonfia poi si frammenta. Il danno mie- linico e la successiva (o contemporanea) propagazione dell’insulto patogeno all’assone determinano perdita di supporto trofico, nonché della conduzione nervosa con conseguente blocco di conduzione o rallentamento dell’impulso nervoso, che procede per propagazione continua o cortocircuito nelle aree denudate dell’assone. Nelle fasi iniziali di malattia si assiste ad un recupero del deficit neurologico, legato alla risoluzione dell’infiammazione e dell’edema lesionale, ma anche alla riorganizzazione funzionale dell’assone e alla rimie- linizzazione. Solo nelle fasi più tardive della malattia si assiste alla lenta, inesorabile instaurazione dei sintomi o segni clinici irreversibili. Ciò sembra dovuto al ripetersi del danno infiammatorio, con esaurimento delle capacità di rimielinizzazione e blocco di conduzione della fibra colpita.

1.4 Caratteristiche cliniche, diagnosi e progno-

si

Dal punto di vista clinico, la SM si differenzia in forme diverse(Fig. 1.3).

La maggiore percentuale di pazienti (70%) è caratterizzata da un andamento a ricadute e remissioni più o meno complete (RRMS). Le ricadute durano alcune ore (più di 24) o giorni ed il recupero richiede in genere giorni o settimane. La fase cronico-progressiva (PP, primaria progressiva) all’esordio caratterizza invece la minoranza (2%) dei pazienti SM, mentre la restante percentuale della popolazione affetta è costituita da pazienti che esordiscono con forma RR ma dopo un periodo variabile di tempo(in genere entro i 15 anni) sviluppano una cosiddetta Progressione Secondaria (SP) [11].

Tuttavia e’ indubbio che la SM si manifesti spesso come una malattia altamente imprevedibile, sia per decorso clinico sia per prognosi; è facilmente intuibile come una malattia multifocale della sostanza bianca del SNC possa colpire qualsiasi tipo di sistema funzionale e manifestare pertanto, in maniera più o meno completa, segni e sintomi corrispondenti alle diverse aree colpite.

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1.4 Caratteristiche cliniche, diagnosi e prognosi

Fig. 1.3: Principali forme cliniche di SM.

I criteri diagnostici nella SM continuano ad evolvere, man mano che mi- gliora la comprensione dei meccanismi patogenetici in rapporto all’evoluzione delle tecniche diagnostiche.

Nei casi più semplici la diagnosi può essere essenzialmente clinica, ad esempio quando l’esame neurologico evidenzi sintomi o segni di interessa- mento di almeno due sedi del SNC in un individuo con una storia di almeno due episodi di deficit neurologici focali tipici di SM; si preferisce tuttavia avere una conferma del sospetto con una RMN dell’encefalo patologica e un esame del Liquor.

I problemi diagnostici nascono in due principali contesti. Il primo si ha quando il paziente giunge all’osservazione in una fase precoce di malattia e non si può prevedere quanto questa possa evolvere sulla base esclusivamen- te dell’evidenza clinica. Il secondo si ha quando sono presenti caratteristiche inusuali, come un esordio progressivo ab-inizio o sintomi quali afasia o epiles- sia. In questi casi per la diagnosi è assolutamente necessario che le indagini di laboratorio e strumentali ( liquor, RMN encefalo, potenziali evocati visivi) siano processate in modo specifico. I criteri diagnostici, indicati nel 2005 dal- la Multiple Sclerosis International Federation [12], e i nuovi indicati nel 2010

(17)

1.4 Caratteristiche cliniche, diagnosi e prognosi

[13], incorporano le recenti acquisizioni di RMN definendo come questo esame debba essere alterato per dimostrare la disseminazione, sia spaziale sia tem- porale delle lesioni. Applicando tali criteri si hanno valutazioni diagnostiche più rapide, caratterizzate da buona sensibilità, specificità e accuratezza.

Fig. 1.4: Risonanza Magnetica di un soggetto affetto da sclerosi multipla. Nel piano selezionato sono evidenziate le lesioni presenti.

Per poter effettuare la diagnosi di SM ci si avvale di diverse metodiche, queste possono essere sia strumentali che laboratoristiche. Tra le indagini strumentali la Risonanza Magnetica dell’encefalo e del midollo è una mo- derna metodica di neuroimaging, che ha apportato numerose novità per lo studio e la diagnosi di SM. Essa si presenta con multiple caratteristiche alte- razioni di segnale nell’ambito della sostanza bianca del SNC, che differiscono a seconda del tipo di tecnologia utilizzata nell’acquisizione. Inoltre, l’utilizzo del mezzo di contrasto paramagnetico (Gadolinio) può mettere in evidenza delle aree di impregnazione contrastografica che rappresentano lesioni acute, caratterizzate da alterazione della barriera ematoencefalica ed intensa flogosi.

I recenti criteri diagnostici hanno indicato come le modifiche di intensità debbano avere particolare numero, caratteristiche e distribuzione per esse- re compatibili con la disseminazione spaziale delle lesioni tipica della SM.

Inoltre sempre i criteri diagnostico di McDonald [14] hanno promosso la RM encefalo/spinale, conferendole la dignità di dimostrare una eventuale dissemi-

(18)

1.4 Caratteristiche cliniche, diagnosi e prognosi

nazione temporale delle lesioni, aspetto finora riservato solo alla valutazione neurologica. In pratica la ripetizione seriata della RM dell’encefalo, con un intervallo di tempo adeguato, può evidenziare la comparsa di nuove lesioni, sottese dal processo demielinizzante infiammatorio o assonale degenerativo.

(19)

Capitolo 2

La Risonanza Magnetica

Tra le tecniche più avanzate per ottenere delle immagini ad alta qua- lità dell’interno del corpo umano spicca la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), una tecnica spettroscopica usata per ottenere informazioni micro- scopiche fisiche e chimiche sulle molecole.

L’evoluzione delle tecniche di imaging consente oggi di ottenere anche imma- gini di volume, molto utili sia a fini diagnostici che terapeutici, senza l’utilizzo di radiazioni ionizzanti.

Gli elevati livelli di risoluzione spaziale, dell’ordine del decimo di millimetro, e temporale ottenibili e l’assenza di radiazioni ionizzanti costituiscono alcuni dei punti di forza delle metodiche funzionali in RM (Risonanza Magneti- ca), rispetto ad altri metodi di imaging neuro funzionale in uso nella pratica clinica.

2.1 Introduzione

L’imaging a risonanza magnetica (MRI) nasce come tecnica d’imaging to- mografico, in grado cioè di produrre l’immagine di un sottile strato del corpo umano a partire dal segnale di Risonanza Magnetica Nucleare. Essa si basa cioè su segnali provenienti da nuclei caratterizzati da spin non nulli, soggetti a campi magnetici intensi e posti in condizione di risonanza. In seguito la tecnica ha trovato applicazione anche nell’imaging volumetrico.

(20)

2.2 Principi Fisici

La scoperta del principio di risonanza magnetica, nel 1946, si deve a Felix Bloch e Edward Purcell. Inizialmente la risonanza magnetica nucleare fu sviluppata e usata principalmente per analisi molecolari chimiche e fisiche, successivamente, nel 1971 Raymond Damadian dimostrò, con esperimenti su cavie da laboratorio, che i tempi di rilassamento magnetico – nucleari dei tessuti sani differivano da quelli dei tessuti tumorali, stimolando così i ricer- catori a prendere in considerazione la risonanza magnetica come strumento per la rivelazione delle malattie [15].

Nel 1973 Hounsfield introdusse la tomografia computerizzata a raggi X, TAC [16], e nello stesso anno, Paul Lauterbur sperimentò per primo, e con succes- so, la possibilità di fare imaging con risonanza magnetica utilizzando come oggetto test delle provette contenenti acqua [17]. Nel 1977, R. Damadian sperimentò l’MRI sull’intero corpo umano.Tre anni dopo, nel 1980, Edelstein e i suoi collaboratori sperimentarono l’imaging del corpo usando la tecnica di Ernst: una singola immagine poteva essere acquisita in circa cinque minuti.

A partire dal 1986 il tempo di acquisizione si è poi ridotto drasticamente a circa cinque secondi, senza significativi cambiamenti della qualità dell’imma- gine. Nello stesso anno, alcuni studiosi svilupparono il microscopio a RMN in grado di raggiungere una risoluzione prossima ai 10 micron su campioni di circa un centimetro.

2.2 Principi Fisici

La RMN è un fenomeno che può avvenire quando i nuclei di alcuni atomi sono immersi in un campo magnetico statico e vengono esposti ad un secondo campo magnetico oscillante.

Circa due terzi delle specie nucleari presentano un movimento di rotazione attorno al proprio asse e cioè un certo moto angolare intrinseco quantificato dal momento angolare ml. Associato a questo si ha un momento di dipolo magnetico intrinseco di spin, o momento magnetico ~µ.

A seconda del rapporto numerico fra protoni e neutroni, lo spin nucleare può assumere valori pari a zero, a numeri semi-interi o interi. In meccanica

(21)

2.2 Principi Fisici

quantistica lo spin rappresenta il momento angolare intrinseco associato alle particelle ed i possibili valori che può assumere sono multipli interi di 1/2, con segno positivo o negativo [18].

Poiché le cariche elettriche in movimento generano campi magnetici, anche intorno a questi nuclei è presente un campo magnetico: sotto questo aspet- to il nucleo può essere considerato come un dipolo con momento angolare magnetico netto ~µ e rappresentato come una barretta magnetica avente un polo positivo e un polo negativo. Il rapporto µ/I (dove I è il num di spin) viene chiamato “rapporto giromagnetico” γ, che assume valori caratteristici per ogni tipo di nucleo in quanto dipendente dal numero di massa A e dal numero atomico Z.

I tessuti biologici sono costituiti da atomi di idrogeno1H, di carbonio13C, di azoto 14N, di fluoro 19F e di fosforo 31P. Questi nuclei sono caratterizzati da uno spin pari a 1/2 e conseguentemente hanno solo due livelli energetici a disposizione (infatti le regole della meccanica quantistica stabiliscono che il numero degli orientamenti e quindi dei livelli energetici possibili è 2I +1). So- lo i nuclei di questo sottogruppo si prestano a fornire un segnale di Risonanza Magnetica (RM) adatto alla formazione delle immagini; gli altri gruppi o non hanno momento magnetico (I=0), e quindi non danno segnale di risonanza, o hanno più di due livelli energetici quantici (I > 1/2) a disposizione dando luo- go a segnali di difficile interpretazione. Nel nostro caso studieremo il nucleo dell’idrogeno, il più idoneo allo studio della RM perché quantitativamente più rappresentato nelle strutture biologiche (il corpo umano è costituito per il 70% d’acqua).

Si può esprimere l’intensità del momento angolare intrinseco posseduto dai nuclei con la relazione:

~

mI = h 2π

I~ (2.1)

con I numero quantico magnetico di spin e h costante di Plank (6.63·10-34J·s).

(22)

2.2 Principi Fisici

2.2.1 La magnetizzazione

L’imaging a risonanza magnetica dipende dalla magnetizzazione del tes- suto. La magnetizzazione di un campione, ~M , è il momento magnetico medio per unità di volume. In assenza di campi magnetici esterni, i momenti ma- gnetici ~µ di ogni molecola hanno direzione casuale a causa dell’agitazione ter- mica. Quando è applicato un campo magnetico esterno, gli spin tendono ad allinearsi nonostante il loro moto di agitazione termica, e la magnetizzazione aumenta proporzionalmente al campo esterno. Se quest’ultimo è abbastanza forte, tutti i momenti magnetici nucleari sono allineati e la magnetizzazione raggiunge il suo valore di saturazione.

É noto dalla meccanica quantistica che il valor medio o il valore di aspetta- zione dello spin, obbedisce all’equazione classica:

dh~µi

dt = γ(h~µi × ~B) (2.2)

a prescindere dalla dipendenza del campo ~B dal tempo. Moltiplicando per il numero di spin per unità di volume, si ottiene[19]:

d ~M

dt = γ( ~M × ~B) (2.3)

Quando il vettore magnetizzazione ruota attorno alla direzione del campo magnetico statico, con velocità angolare costante e a un fissato angolo θ, si parla di moto di precessione (Fig. 2.1).

Dalla Fig. 2.1, notiamo che la variazione del vettore magnetizzazione è perpendicolare sia al vettore ~M stesso, che a ~B. Per piccoli intervalli di tempo si ha: ∆ ~M = γ( ~M × ~B)∆t Considerando l’equazione 2.3 possiamo scrivere:

dMx

dt = γMyBz;

dMy

dt = −γMxBz;

d ~Mz

dt = 0

(2.4)

Una possibile soluzione è:

Mx= Mcos(−ωt) My = Msin(−ωt) Mz = M|| = cost

(2.5)

(23)

2.2 Principi Fisici

Fig. 2.1: Moto di precessione del vettore magnetizzazione M attorno all’asse del campo B

La frequenza ω = ω0 = γBz è chiamata frequenza di precessione di Lar- mor (radsec-1) ed è caratteristica del nucleo e del campo applicato. Il segno meno significa che per valori positivi di γ la rotazione nel piano xy è oraria.

Per questa soluzione i valori iniziali di M a t = 0 sono Mx(0) = M, My(0) = 0 e Mz = M||.

L’analisi appena svolta suppone l’assenza di perdite. D’altra parte, per tempi lunghi il vettore magnetizzazione tende ad un valore di equilibrio. Per tener conto di questi fattori, Bloch ha proposto delle estensioni dell’eq. 2.3.

2.2.2 Equazione di Bloch

Se si introduce un impulso a radiofrequenza (RF) contente anche la fre- quenza di Larmor dei nuclei in esame, questi ultimi assorbiranno energia. A livello macroscopico si osserva che il vettore magnetizzazione ~M , ruota attor- no, allontanandosi dall’asse z per avvicinarsi al piano xy iniziando un moto di precessione attorno all’asse z, con una frequenza che è caratteristica del nucleo. L’energia assorbita dai nuclei è lentamente ceduta agli atomi vicini a causa di fenomeni detti di rilassamento e il vettore ~M , si riporta al valore di equilibrio iniziale M0.

Per tener conto dei fenomeni di rilassamento, nel 1946 Felix Bloch modificò l’eq. 2.3. Trovò tempi di rilassamento differenti lungo l’asse z e nel piano

(24)

2.2 Principi Fisici

xy, rispettivamente T1 e T2. Il primo è noto come tempo di rilassamento longitudinale o tempo di rilassamento spin-reticolo e il secondo come tempo di rilassamento spin – spin o tempo di rilassamento trasverso. L’equazione a cui giunse è la seguente:

d ~M

dt = γ( ~M × ~B) − R( ~M − M0) (2.6) con ~R matrice di rilassamento. Analizzando le singole componenti si ottiene:

dMx

dt = γ(MyBz− MzBy) −MTx

2 ;

dMy

dt = γ(MzBx− MxBz) − MTy

2 ;

dMz

dt = γ(MxBy − MyBx) −T1

1(Mz− M0)

(2.7)

La soluzioni a queste equazioni per un campo magnetico statico ~B diretto lungo l’asse z è:

Mx = M0eT2t cos(ω0t) My = M0eT2t sin(ω0t) Mz = M0(1 − eT1t )

(2.8)

con ω0 = γB. Questa soluzione corrisponde a quanto accade se ~M precede nel piano xy. La magnetizzazione nel piano xy è inizialmente M0, e l’ampiezza diminuisce esponenzialmente con la costante di tempo T2. Il valore iniziale di Mz è zero e ritorna al valore M0 con costante di tempo T1. In Fig. 2.2 è mostrato un grafico prospettico della traiettoria del vertice del vettore ~M .

Fig. 2.2: Luogo geometrico dei vertici del vettore magnetizzazione M

(25)

2.3 Magnetizzazione macroscopica e statistica di Boltzmann

2.3 Magnetizzazione macroscopica e statistica

di Boltzmann

Un campo magnetico esterno ~B0 applicato, omogeneo e costante nel tem- po (CMS, campo magnetico statico), produce un movimento di rotazione dei nuclei con una frequenza caratteristica attorno all’asse del campo magnetico statico, detto moto di precessione, in modo da orientare i momenti magnetici.

Se si sottopone un atomo ad un campo magnetico statico esterno ~B0, orien- tato secondo l’asse z, sono possibili due sole orientazioni della componente z di ~µ, una concorde a ~B0, quando il numero quantico magnetico mI è pari a 1/2, spin-up, l’altra opposta a ~B0, quando mI è −1/2 spin-down.

Fig. 2.3: Disposizione del soggetto nel riferimento del campo magnetico

Nel campo magnetico statico gli spin dei protoni all’interno dei tessuti tendono ad allinearsi alle linee di forza in modo parallelo, spin-up, o antipa- rallelo, spin-down; poiché gli spin allineati in senso parallelo sono in numero superiore, i tessuti vengono a possedere una leggera magnetizzazione totale;

chiameremo ~M = P µi 6= 0 la risultante dei momenti magnetici dei nuclei atomici. Quindi se si applica ai tessuti un campo magnetico a radiofrequenza B~1 rotante in un piano ortogonale a ~B0 con pulsazione pari a quella di Lar- mor, cioè in condizione di risonanza, l’eccitazione a radiofrequenza provoca la rotazione del vettore ~M .

Considerando un sistema di assi cartesiani xyz, con asse orientato secondo la direzione del campo magnetico statico, i nuclei orientati parallelamente

(26)

2.3 Magnetizzazione macroscopica e statistica di Boltzmann

in eccedenza rispetto a quelli orientati in senso contrario danno luogo ad una magnetizzazione macroscopica detta longitudinale (MML) poiché diretta nella stessa direzione del campo magnetico statico.

Pur avendo tutti i protoni la stessa frequenza di precessione, a causa del- l’agitazione termica essi non si trovano tutti nella stessa fase, ovvero sono de-sincronizzati tra loro. Proprio per questo la risultante del vettore di ma- gnetizzazione macroscopica longitudinale si trova lungo l’asse z, Mz, e non si avrà nessuna magnetizzazione macroscopica sul piano trasversale, disposta sul piano xy ortogonale a ~B0. Il numero di nuclei disposti nella posizione up è leggermente maggiore rispetto a quelli nella posizione down e ciò da luogo ad una magnetizzazione netta:

M = ~~ µ(Nup− Ndown) (2.9)

dove Nup e Ndown sono il numero di nuclei che si trovano nella posizione parallela o antiparallela. Si può esprimere la generica energia assunta dalle due distribuzioni come:

E = −~µ ~B0 = −µzB0 = − γ

2πhmIB0 (2.10)

Quindi, note le due possibili distribuzioni si definiscono due tipi di energie quantizzate:

spin − up Eup= −1 2

γ

2πhB0 (2.11)

spin − down Edown = 1 2

γ

2πhB0 (2.12)

Per indurre una transizione tra i due stati energetici di una particella, fa- cendola passare dallo stato di bassa energia allo stato di più alta energia, è necessario fornire un’energia ∆E:

∆E = γ

2πhB0 (2.13)

La distribuzione dei nuclei immersi in un campo magnetico statico avviene secondo la statistica di Bolzmann (a temperatura costante). Il rapporto tra i nuclei nella posizione up e i nuclei down è definito:

Nup

Ndown = e∆EKT (2.14)

con K costante di Bolzmann, T temperatura assoluta.

(27)

2.4 Genesi di un segnale NMR e campo a radiofrequenza

2.4 Genesi di un segnale NMR e campo a ra-

diofrequenza

Si parla di risonanza poiché, analogamente al caso acustico, esiste uno scambio energetico tra due sistemi ad una specifica frequenza tale da rende- re massima l’ampiezza del segnale. Il segnale in RM risulta dalla differenza tra l’energia assorbita dai nuclei di idrogeno per effettuare una transizione dallo stato energetico inferiore a quello superiore, e l’energia che essi emet- tono in modo simultaneo nella transizione di ritorno alla condizione di equi- librio. L’intensità del segnale è dunque proporzionale alla combinazione di due fattori:

• la differenza numerica tra le popolazione di nuclei nei due stati (Nup - Ndown);

• l’energia di transizione ∆E ∝ γB0 (eq. 2.13).

É importante che l’emissione di energia avvenga per tutti gli atomi allo stesso istante, o comunque in un intervallo di tempo molto breve, altrimenti, se dovesse durare per un tempo troppo lungo, essa potrebbe generare un segnale non misurabile.

La condizione per una emissione simultanea di energia alla stessa frequenza da parte dei nuclei di idrogeno viene realizzata eccitandoli con l’invio di pacchetti di energia sotto forma di radiofrequenza (RF) alla frequenza ω esattamente uguale alla frequenza di Larmor.

Se applichiamo al sistema un campo a radiofrequenza, forniamo al sistema energia sotto forma di pacchetti a radiofrequenza. Modulando questo campo in modo che la sua frequenza ω sia esattamente uguale a quella di Larmor, si ha un doppio effetto:

1. un certo numero di atomi d’idrogeno acquisterà energia sufficiente per effettuare la transizione dallo stato energetico inferiore a quello supe- riore; questo corrisponde una riduzione netta del vettore di magnetiz- zazione longitudinale poiché le popolazioni Nup ed Ndown tornano ad essere quasi uguali.

(28)

2.4 Genesi di un segnale NMR e campo a radiofrequenza

2. fornendo energia alla frequenza di Larmor a tutti i nuclei nello stes- so istante, si induce una coerenza di fase nel loro moto di precessione intorno all’asse di ~B0; quindi non solo tutti i nuclei precedono intor- no all’asse z con frequenza pari a quella di Larmor, ma sono anche in fase tra di loro. Questo implica che non sia più vera la condizione di orientamento casuale dei momenti magnetici nucleari nello spazio rispetto al piano trasversale a ~B0. Da un punto di vista macroscopi- co, si ha la comparsa di una componente netta maggiore di zero della magnetizzazione sul piano trasversale a al campo.

É necessario osservare che gli effetti dell’applicazione di un campo a radio- frequenza descritti si realizzano contestualmente. Quindi, durante l’invio dell’impulso a radiofrequenza, si assiste ad una graduale riduzione della com- ponente di magnetizzazione longitudinale e contemporaneamente ad un gra- duale aumento della componente trasversale. L’entità di questo “scambio”

è proporzionale alla durata dell’impulso a radiofrequenza: infatti più esso è lungo, maggiore è l’energia totale trasferita al sistema di nuclei di idrogeno, e quindi un numero sempre maggiore di nuclei può effettuare il salto energe- tico ∆E e mettersi in fase di precessione intorno a ~B0. Quando l’impulso è tale che la magnetizzazione netta totale passa tutta dal piano longitudinale a quello trasversale, ossia quando si verifica che MML = 0 e MMT 6= 0, si parla di impulso a π/2.

Quando invece l’impulso dura sufficientemente a lungo, oppure è sufficiente- mente intenso, da portare ad una inversione di polarità della MML rispetto alla direzione del campo magnetico, cioè quando tutti i nuclei effettuano il salto quantico al livello energetico superiore, si dice che è avvenuto un ribal- tamento della magnetizzazione netta totale. La MMT rimane nulla e si parla di impulso a π. Una rappresentazione di questi impulsi è riportata in Fig.

2.4

Una volta eccitato il sistema con l’applicazione di un campo a radiofre- quenza (o di un campo magnetico oscillante ~B posto trasversalmente a ~B0), si interrompe l’invio dell’impulso; a questo punto il sistema tende a ritorna- re nella sua condizione di equilibrio, obbedendo al principio fisico secondo

(29)

2.5 Tempo di rilassamento T1

Fig. 2.4: Magnetizzazione netta (a) impulso a π/2; (b) impulso a π

cui qualunque sistema libero da sollecitazioni esterne tende al suo stato di equilibrio o di minima energia compatibile con il suo stato dinamico.

2.5 Tempo di rilassamento T

1

Il sistema in considerazione è costituito da un insieme di dipoli magnetici (spin dei protoni nei nuclei d’idrogeno) immersi in un ambiente (reticolo che rappresenta “tutto il resto”) che può essere considerato come termostato con cui il sistema di spin è in contatto. Gli spin possono scambiare energia (interagire) tra di loro (interazione interna o spin-spin) o con l’ambiente esterno (interazione esterna o spin-reticolo). Le interazioni fra spin e reticolo tendono a far tornare la componente longitudinale allo stato di equilibrio, mentre le interazioni tra gli spin, agiscono sulla velocità dei protoni e tendono a sfasarne il moto di precessione con conseguente decrescita della componente trasversale.

Se abbiamo fornito energia al sistema di protoni con un impulso a π/2, la magnetizzazione longitudinale Mz varierà da 0 a M0 (eq. 2.8). La funzione che descrive come Mz ritorni al suo valore di equilibrio è caratterizzata da una costante di tempo, detta tempo di rilassamento spin-reticolo o tempo di rilassamento longitudinale T1. Il nome spin-reticolo indica come in questo caso l’energia venga restituita dai protoni eccitati all’ambiente esterno.

Il tempo di rilassamento T1 è dunque il tempo richiesto per cambiare la componente longitudinale della magnetizzazione netta totale di un fattore

(30)

2.5 Tempo di rilassamento T1

pari a 1/e, come illustrato in Fig. 2.5. Alternativamente si può definire il T1 come il tempo necessario per ripristinare il 63% della magnetizzazione longitudinale. Se invece al sistema è stato fornito un impulso a π, la magne- tizzazione netta totale tornerà alla sua condizione di equilibrio lungo l’asse z ad un ritmo governato da T1 secondo la seguente equazione:

Mz = M0(1 − 2eT1t ) (2.15) In questo caso il tempo di rilassamento T1 è definito come il tempo neces- sario per ridurre la differenza tra Mz e M0 di un fattore 1/e. Il valore del tempo T1 dipende da numerosi fattori, tra cui l’intensità del campo | ~B0|, e varia da tessuto a tessuto a causa della differente efficienza presentata dai singoli costituenti molecolari nel trasferimento di energia al reticolo che li circonda. Accade così che le molecole di acqua, essendo più mobili, siano, da questo punto di vista, meno efficienti di quanto non sia, ad esempio, il tessuto adiposo.

Fig. 2.5: (a) Andamento magnetizzazione per impulso a π/2; (b) Andamento magnetizzazione per impulso a π

(31)

2.6 Tempo di rilassamento T2

2.6 Tempo di rilassamento T

2

Dopo un impulso a π/2 la magnetizzazione netta totale giace sul piano trasversale e ruota intorno all’asse z con una frequenza uguale alla frequenza di Larmor, che è la frequenza di precessione dei momenti magnetici nucleari intorno al campo ~B. Tuttavia, in aggiunta a questa rotazione, la magnetiz- zazione netta subisce un processo di dispersione di fase a causa delle diso- mogeneità magnetiche che si determinano intorno ad ogni singolo momento magnetico nucleare ~µi a causa di due fattori:

1. un debole campo magnetico associato ad ogni protone in rotazione in- torno al proprio asse e in precessione intorno all’asse di B; questo campo si somma al campo esterno determinando in tal modo un’alterazione del valore del campo magnetico totale per le molecole ad esso adiacenti.

2. minime variazioni intrinseche del campo B, che determinano la presenza di disomogeneità persistenti nel campo esterno applicato.

Questi fenomeni implicano che, con il passare del tempo, ogni momento ma- gnetico nucleare ~µi ruoterà intorno a B con una propria frequenza di Larmor, leggermente diversa da quella dei ~µi ad esso adiacenti e rispetto ai quali sarà quindi sfasato. Questo processo, che continua fino ad uno sfasamento com- pleto dei momenti magnetici nucleari, si traduce macroscopicamente in una graduale riduzione del valore della magnetizzazione trasversale.

La costante di tempo che descrive la graduale riduzione di tipo esponenziale delle componenti x e y della magnetizzazione fino al valore zero a causa dello sfasamento dei momenti magnetici nucleari è chiamata tempo di rilassamento spin-spin ed è indicata con T2. Questa dipendenza è espressa dalle soluzioni all’eq. di Bloch per le componenti x e y (eq. 2.8).

Il tempo T2 è, in pratica, il tempo necessario per ridurre la componente trasversale della magnetizzazione netta totale di un fattore pari a 1/e, come illustrato nella figura 2.5.

Alternativamente si può dire che il T2 è il tempo necessario per ridurre del 63% la magnetizzazione trasversale. Si noti che T2 è sempre minore o uguale a T1. É necessario precisare che il T2 così definito si riferisce esclusivamente

(32)

2.7 Segnale di risonanza magnetica

all’effetto delle interazioni tra i nuclei di idrogeno. In questo caso si parla di T2 puro. Il campo magnetico principale ~B0 non è perfettamente unifor- me e presenta una certa disomogeneità, che produce una desincronizzazione dei protoni maggiore rispetto a quanto avverrebbe in un campo magnetico perfettamente omogeneo. In queste condizioni il tempo di decadimento del segnale è definito T2. Esso dipende sia dalle interazioni reciproche tra i protoni (spin-spin) sia dalle inevitabili disomogeneità di ~B0. É possibile ri- cavare T2 da T2 in quanto le disomogeneità di ~B0 sono reversibili, mentre le interazioni “spin-spin” sono irreversibili.

Anche il tempo T2, come il T1, varia notevolmente in funzione del tipo di molecola prevalente nel tessuto analizzato. I diversi valori di T2 saranno dovuti alla maggiore o minore rapidità con cui si realizza la dispersione di fase dei momenti magnetici nucleari delle varie molecole. Ad esempio nei tessuti con prevalenza di macromolecole la dispersione di fase avverrà molto rapidamente data la rigidità della struttura che determina una facile creazio- ne di campi magnetici molecolari. Al contrario nel caso di campioni liquidi la coerenza di fase sarà mantenuta a lungo.

É importante ricordare che i processi di rilassamento T1 e T2, pur essendo stati descritti separatamente, avvengono tuttavia in modo simultaneo: in- fatti, contemporaneamente alla riduzione di magnetizzazione trasversa che tende a zero, la magnetizzazione longitudinale cresce per tornare al valore iniziale M0.

La misura di T1 e T2 permette, quindi, di avere informazioni sui tessuti, differenziando tessuti a densità simile. Come è possibile leggere dalla Tabella 2.1, essi hanno un valore maggiore nell’acqua piuttosto che nel grasso e questo è importante perché i tessuti patologici spesso hanno un contenuto di acqua più elevato dei circostanti tessuti normali.

2.7 Segnale di risonanza magnetica

La tecnica di risonanza magnetica nucleare si basa sull’uso di bobine per l’eccitazione del sistema di spin tramite brevi impulsi RF. Una volta spento il

(33)

2.7 Segnale di risonanza magnetica

Tessuto T1 (ms) T2 (ms)

Sangue 893 362

Muscolo cardiaco 644 75

Muscolo scheletrico 629 45

Grasso 192 108

Materia bianca 687 107

Materia grigia 825 110

Liquor ∼1500 ∼1500

Acqua ∼3400 ∼3400

Tab. 2.1: Valori caratteristici di T1 e T2 con B0 = 0.5T a 37C.

campo RF, le stesse bobine (sistemi a singola bobina) o altre bobine (sistemi a doppia bobina), sono utilizzate per misurare il segnale prodotto dal successivo decadimento transitorio. Il segnale può essere ottenuto misurando il campo magnetico debole generato dalla magnetizzazione quando essa compie un moto di precessione nel piano xy. Gli spettroscopisti di risonanza magnetica nucleare hanno sviluppato molti modi differenti di applicazione d’impulsi a radiofrequenza per generare ~B1 per la misura dei tempi di rilassamento.

2.7.1 Decadimento libero dell’induzione

Un modo per produrre una rotazione della magnetizzazione nel piano xy è avere un campo statico lungo l’asse z, combinato con una bobina nel piano yz (perpendicolare all’asse ) connessa a un generatore di corrente alternata alla frequenza ~ω0. Accendendo il generatore per un tempo ∆t = π/2ω1 = π/γB1 la magnetizzazione ruota nel piano xy (pulsazione di π/2). Se poi si spegne il generatore, la stessa bobina può essere usata per rilevare la variazione del flusso magnetico dovuto ai momenti magnetici rotanti. Nel moto di ritorno all’equilibrio, la componente sul piano xy della magnetizzazione M induce, nella bobina ricevente situata sul piano xy, un segnale elettromagnetico det- to segnale di decadimento libero dell’induzione (FID, Free Induction Decay),

(34)

2.7 Segnale di risonanza magnetica

dipendente dal tempo che contiene l’informazione sulla dinamica con cui il vettore di magnetizzazione torna alla condizione di equilibrio (Fig. 2.6). Que- sto ritorno avviene con costanti di tempo caratteristiche T1 e T2. Gli impulsi possono essere ripetuti dopo il tempo TR, che deve essere sufficientemente grande affinché la magnetizzazione ritorni all’incirca al suo valore di equilibrio tra gli impulsi.

Fig. 2.6: Sequenza d’impulsi e segnale per le misure FID

2.7.2 Sequenza di Inversione e Recupero (IR)

La sequenza di Inversione e Recupero permette di misurare il tempo T1. In questa sequenza vengono applicati due impulsi a radiofrequenza per ogni ripetizione: il primo è un impulso a π, ed il secondo, dopo un tempo TI, è un impulso a π/2.

Al termine del primo impulso non si ha nessun segnale, in quanto la ma- gnetizzazione cambia di verso ma si mantiene parallela al campo magnetico principale; tuttavia, essa tenderà a riacquistare il verso originario secondo l’e- quazione esponenziale 2.15. Dopo il tempo d’inversione TI, quando si applica l’impulso a π/2, la magnetizzazione lungo la direzione parallela all’asse prin- cipale sarà ruotata fino a portarsi nel piano trasverso, in cui inizierà il moto di precessione. Questo moto, genera un segnale di intensità proporzionale al

(35)

2.7 Segnale di risonanza magnetica

modulo del vettore magnetizzazione, e quindi proporzionale a

M0(1 − 2eTIT1) (2.16)

Fig. 2.7: La sequenza IR consente di determinare T1 compiendo misure successive a diversi valori di T1

L’intensità del segnale dipenderà, quindi, solo dal parametro fisico T1 e dal vettore magnetizzazione iniziale M0(proporzionale alla densità protonica) Per valutare la costante di tempo T1, si devono eseguire più scansioni con diversi tempi d’inversione T1, dopo che il sistema è tornato in equilibrio.

Possiamo osservare che il segnale si annulla se TI/T1 = ln2, quindi è possibile annullare il segnale proveniente da un particolare tessuto con costante di tempo T1, scegliendo un opportuno TI = T1ln2. Le immagini ottenute con l’IR necessitano di molto tempo per l’acquisizione del segnale.

2.7.3 Sequenza Spin-Echo (SE)

Anche in questo caso vengono applicati due impulsi RF a π/2 e π, ma questa volta vengono applicati in ordine inverso rispetto alla sequenza di inversione e recupero. Questa sequenza può essere usata per determinare il tempo T2.

Il primo segnale a π/2 ruota tutta la magnetizzazione nel piano trasverso rispetto al campo magnetico applicato, e produce un segnale FID che tende

(36)

2.7 Segnale di risonanza magnetica

a zero con la costante di tempo T2*. Applicando dopo un certo intervallo di tempo TE/2 un impulso a π, il verso in cui gli spin precedono cambia. Siccome ogni spin si trova immerso nello stesso campo magnetico precedente, esso tornerà nella posizione precedente con la stessa velocità di prima, causando un riavvolgimento delle fasi ed una riacquisizione della coerenza da parte del segnale.

Fig. 2.8: Sono mostrati due momenti magnetici inizialmente in fase (a). (b) Dopo un tempo TE/2 il momento ~b è a un angolo Θ rispetto al momento ~a. (c) un impulso π nuta entrambi i momenti lungo l’asse x. (d) Al tempo TE entrambi i momenti sono nuovamente in fase.

Al tempo TE gli spin saranno tutti di nuovo in fase, e si produrrà un’e- co, la cui ampiezza massima sarà inferiore all’ampiezza del FID registrato precedentemente, in quanto nel frattempo gli spin avranno ricevuto un certo decadimento T2. In pratica, il modulo del vettore magnetizzazione trasversa al tempo TE sarà proporzionale a:

M0eTET2 (2.17)

La formazione di un segnale eco dipende solamente dal fatto che il campo magnetico nei pressi dei nuclei resta lo stesso prima e dopo l’impulso; esso non dipende dal valore specifico dell’angolo di sfasamento. Quindi tutti gli spin sfasati a causa di un campo magnetico indipendente dal tempo sono

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2.8 Immagine MRI

invertiti in questo processo. Quello che rimane è solo lo sfasamento causato dal campo magnetico fluttuante.

2.8 Immagine MRI

La creazione di immagini richiede l’applicazione di gradienti nel campo magnetico statico Bz dell’ordine di 0.2 - 0.3 T, che provoca una variazione della frequenza di Larmor ω0 con la posizione. Al campo magnetico statico si sovrappone un campo molto più debole, dell’ordine dei mT, variabile con le direzioni degli assi.Facendo in modo che ogni voxel dell’immagine abbia una frequenza e/o una fase diversa rispetto a tutti gli altri, si riescono a separare i segnali provenienti da una singola porzione.

L’applicazione di un gradiente lungo la direzione z, fa sì che la frequenza di Larmor degli atomi vari linearmente lungo questa direzione. Come conse- guenza, il corpo all’interno del magnete viene suddiviso in piani isofrequen- ziali paralleli. Un impulso radio ad una specifica frequenza (monocromatico) applicato mentre il gradiente è attivo, ecciterà un solo piano, lasciando in condizione di equilibrio tutti gli altri. In questo modo si seleziona solo una

“fetta” del paziente.

La selezione della fetta è seguita dai gradienti di Bz nelle direzioni x e y. Se si applica il gradiente durante la lettura, la frequenza di Larmor del segna- le varia in modo analogo a come varia Bz. Se si applica il gradiente prima della lettura, si crea uno spostamento della fase del segnale dipendente dalla posizione, che può essere rivelato [20, 21].

2.8.1 Lettura del segnale e ricostruzione dell’immagine

In un sistema di imaging MR per selezionare una fetta sottile del cam- pione si applica un gradiente magnetico nella direzione z. Con l’applicazione del gradiente di campo nella regione d’interesse, le linee di campo vengono deviate, convergendo e il campo aumenta linearmente con z. Per modificare lo spessore della fetta d’interesse, si agisce variando la durata dell’impulso o il gradiente. Mentre è applicato un gradiente, le componenti trasverse di

(38)

2.8 Immagine MRI

spin a diversi valori di z, precedono a differenti velocità. Quindi al termine dell’impulso π/2 è necessario applicare un gradiente di campo lungo l’asse z con segno opposto, al fine di riportare gli spin nella fase che possedevano in corrispondenza del segnale di selezione della fetta. Il gradiente è interrotto quando tutti gli spin della fetta selezionata ritornano in fase. Essi continuano quindi a precedere nel piano xy alla frequenza di Larmor.

L’acquisizione delle informazioni sulle posizioni x e y, avviene mediante la creazione di gradienti di Bz nella direzione x o nella direzione y. Il segnale è misurato mentre è applicato il gradiente, la frequenza di Larmor varia con la posizione.

Una delle tecniche di ricostruzione dell’immagine, nota come tecnica della

Fig. 2.9: Un gradiente Bz fa si che la frequenza di Larmor vari con la posizione.

Se il segnale è misurato mentre è applicato il gradiente, la frequenza varia con la posizione. Se il segnale è misurato dopo che il gradiente è stato applicato e rimosso, resta uno spostamento di fase dipendente dalla posizione.

proiezione, si basa sull’applicazione di un gradiente di volta in volta legger- mente ruotato nel piano xy. Inviando la combinazione corretta delle correnti di gradiente x e y attraverso le bobine, il gradiente ruota; non sono necessarie componenti rotanti meccaniche [22].

(39)

2.8 Immagine MRI

2.8.2 Contrasto dell’immagine e parametri dell’impulso

Un’immagine MR può essere modificata regolando il tempo di ripetizione TR e il tempo di eco TE. Il momento magnetico nel campione al momento della misura, considerando entrambi i tempi di rilassamento T1 e T2, è:

M (TR, TE) = M0(1 − 2eTRT1+2T1TE + eTRT1) × eTET2 (2.18) se TR>> TE, l’espressione si semplifica:

M (TR, TE) = M0(1 − eTRT1)eTET2 (2.19) dove M0è proporzionale al numero degli spin dei protoni per unità di volume N. Si consideri un campione che mette a confronto i muscoli (M0 = 1.02 in unità arbitrarie, T1 = 500ms e T2 =35ms) con il grasso (M0 = 1.24, T1 = 200ms e T2=60ms). La 2.10 mostra due campioni in cui TR è relativamente lungo. Se il tempo di eco è breve, allora l’immagine è quasi indipendente sia da T1che da T2ed è chiamata immagine a densità pesata. Se TEè più lungo, allora domina il termine di decadimento trasverso ed è chiamata immagine T2 pesata. Il segnale è spesso debole e quindi rumoroso poiché c’è stato tanto decadimento.

La 2.11 mostra cosa accade se il tempo di ripetizione è piccolo rispetto a T1. Questa è un’immagine T1 ponderata poiché le differenze in T1 sono responsabili della maggior parte delle differenze nell’intensità del segnale. Si supponga che il valore di T2 per il grasso sia più piccolo del valore per il muscolo; allora ci dovrebbe essere un valore di TE per il quale le due curve della magnetizzazione trasversa si incontrino e i due tessuti dovrebbero essere indistinguibili nell’immagine. A un valore più grande di TE, le loro luminosità relative dovrebbero essere invertite.

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2.8 Immagine MRI

Fig. 2.10: Curva di magnetizzazione per due tessuti: muscolo e grasso. Il tempo di ripetizione è grande confrontato con il tempo di rilassamento longitudinale. Un tempo di eco lungo da una densità d’immagine che è molto sensibile al valore T2. Un tempo di eco corto (persino più piccolo di quello mostrato) dà un’immagine che dipende principalmente dalla densità di spin.

Fig. 2.11: Immagini spin – eco prese con piccoli e grandi valori di TE, che mostrano la differenza nei valori di T2 per differenti parti del cervello.

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Capitolo 3

Un metodo di analisi:

la Registrazione

Le immagini mediche sono sempre più utilizzate per la diagnosi, per i piani di trattamento e per il monitoraggio della progressione delle malattie neurodegenerative, come la SM. Esse vengono utilizzate per studiare l’evol- versi delle malattie e comprenderne il loro sviluppo. In molti studi, vengono acquisite più immagini dello stesso paziente in tempi diversi, per controllare l’evolversi della malattia. In altri studi è opportuno confrontare le immagini acquisite da diversi pazienti col fine di effettuare un confronto fra struttu- re corrispondenti, per evidenziare variazioni morfologiche tra soggetti affetti dalla malattie e soggetti sani.

L’introduzione di tecniche di acquisizione delle immagini computerizza- te ha portato diversi benefici. Le immagini computerizzare, infatti, offrono una risoluzione maggiore e consentono una loro migliore manipolazione, al- lineando con precisione le informazioni contenute nelle diverse immagini, e fornendo gli strumenti per una visualizzazione combinata delle immagini.

Una fase fondamentale in questo processo è l’allineamento o la registrazione delle immagini [23].

Negli ultimi anni lo sviluppo tecnologico dei dispositivi di acquisizione del- le immagini, ha portato ad un aumento della quantità di immagini ottenute, rendendo necessario l’utilizzo di metodi di registrazione automatica.

(42)

3.1 La registrazione

3.1 La registrazione

Sta diventando comune per i pazienti effettuare delle scansioni, due o più volte con la stessa modalità di acquisizione per la diagnosi, monitoraggio del trattamento o per la ricerca. In tutte queste applicazioni è desiderabile avere un’alta sensibilità anche per piccoli cambiamenti delle immagini. In studi a lungo termine, si vuole riuscire a rilevare anche piccole variazione nel volu- me delle lesioni o alterazioni degenerative a scopo diagnostico o prognostico e al fine di impostare i piani di trattamento o monitorare la risposta alla terapia. Poiché i pazienti si muovono durante l’acquisizione dell’immagine e non possono essere riposizionati perfettamente nella scansione successiva, una corretta registrazione delle immagini è un prerequisito essenziale per le analisi seguenti.

La parola registrazione è usata con due significati leggermente diversi[24].

Il primo significato è determinare una trasformazione di tipo spaziale che collega la posizione delle strutture nello spazio delle coordinate della pri- ma immagine, con la posizione della struttura corrispondente nello spazio delle coordinate della seconda immagine. Per rappresentare questo tipo di trasformazione di registrazione posizionale usiamo il simboloT.

Il secondo significato della registrazione, riguarda la posizione delle strut- ture corrispondenti nelle immagini e ci permette di confrontare l’intensità in quelle posizioni corrispondenti (ad esempio, per sottrarre i valori di intensità dell’immagine). Usiamo il simbolo T per descrivere questo secondo tipo di registrazione, che incorpora i concetti di ricampionamento e interpolazione.

Possiamo considerare la registrazione come una mappa (trasformazione) T, che trasforma la posizione ~x da un’immagine all’altra, o da un’immagine al sistema di coordinate di un dispositivo di trattamento:

T : ~xA→ ~xB ⇔T(~xA) = ~xB (3.1) Usando questa notazione, T è una mappa di tipo spaziale. Dobbiamo anche considerare la mappatura più completa T che prende in considerazione non solo la posizione, ma anche il valore d’intensità associato tra le immagini A e B. La trasformazione T quindi associa un’immagine ad un’altra immagine,

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3.1 La registrazione

mentreT mappa soltanto le coordinate. Se vogliamo sovrapporre due imma- gini che sono state registrate, abbiamo bisogno di conoscere T, e non solo T.

Poiché le immagini A e B rappresentano lo stesso oggetto, c’è una rela- zione tra le posizioni spaziali delle due immagini. Il processo di registrazione coinvolge, quindi, una trasformazione spaziale che mappa i punti dell’imma- gine A, xA, nei punti dell’immagine B, xB, nell’intero dominio d’interesse. Il dominio d’interesse, detto dominio di sovrapposizione, è definito come l’in- sieme di posizioni nel dominio dell’immagine A che sono presenti anche nel dominio dell’immagine B dopo la trasformazione.

Esistono diversi tipi di algoritmi sui quali si basano i processi di regi- strazione. Gli algoritmi di registrazione che fanno uso di caratteristiche geometriche delle immagini, come punti, linee e superfici, determinano la trasformazione T identificando queste caratteristiche delle immagini come insiemi di punti {xA} e {xB} che corrispondono alla stessa regione fisica pre- sente in entrambe le immagini, e calcolando la mappa spaziale T per queste strutture. Quando gli algoritmi utilizzati sono di tipo iterativo, questi deter- minano iterativamente la trasformazione spaziale T, e quindi quando l’algo- ritmo converge, si può risalite alla mappa T partendo dalla trasformazione T ottenuta.

Gli algoritmi di registrazione che si basano sui valori di intensità di im- magine funzionano in modo diverso. Questi determinano in modo iterativo la trasformazione dell’immagine T che ottimizza una misura di somiglianza dei voxel. Molte di queste misure di similarità di voxel coinvolgono l’analisi di insiemi con la stessa intensità dei livelli di grigio (o insiemi di livello) al- l’interno delle immagini. Per una singola immagine A, un insieme di punti che presentano la stessa intensità a, è un sottoinsieme di voxel dell’immagine A che soddisfano la relazione:

a = {xA ∈ ΩA|A(xA) = a} (3.2) dove xA indica la posizione del voxel considerato nell’immagine A, ΩA indica l’insieme dei voxel dell’immagine A (dominio di A), A(xA) indica il valore di intensità nella posizione xA.

(44)

3.1 La registrazione

D’ora in avanti, quando ci riferiremo ai processi di registrazione lo faremo nell’accezione di trasformazione T che mappa sia le posizioni, che le intensità associate alle posizioni, da un’immagine all’altra.

3.1.1 La registrazione lineare

Nella registrazione di immagini mediche, in prima approssimazione, si fa l’assunzione più semplice che le strutture anatomiche e patologiche di inte- resse non subiscano delle deformazioni o distorsioni tra un’acquisizione e la successiva. Questa ipotesi di “corpo rigido” semplifica il processo di registra- zione, ma le tecniche che soddisfano questa ipotesi hanno un’applicabilità piuttosto limitata. Il cervello all’interno del cranio è ragionevolmente consi- derato indeformabile poiché rimane chiuso all’interno del cranio, e non vi è alcun cambiamento sostanziale nell’anatomia e nella patologia tra le scansio- ni. La trasformazione rigida è la più semplice trasformazione che può essere considerata. Questa trasformazione coinvolge sei gradi di libertà: tre di tra- slazione e tre di rotazione. La caratteristica principale di tale trasformazione è che vengono conservate tutte le distanze. La registrazione di corpo rigido è ampiamente utilizzata in applicazioni mediche in cui le strutture di interesse sono ossa o sono strutture racchiuse da ossa, in quanto queste non subiscono variazioni dovute ai cicli cardiaci o respiratori. La parte più importante del corpo che può essere registrata in questo modo è la testa, e in particolar modo il cervello.

Molti organi si deformano sostanzialmente, per esempio con i cicli cardia- ci o respiratori o come risultato del cambiamento di posizione. In questi casi, una trasformazione rigida può non essere sufficiente. Per consentire una regi- strazione più generale, che comprenda anche questi casi, vengono introdotti altri gradi di libertà. Gli algoritmi di registrazione di questo tipo consentono di effettuare, oltre alla trasformazione di corpo rigido, anche una dilatazione anisotropa, cioè con un fattore di scala diverso lungo le tre direzioni (x, y, z ) aggiungendo quindi tre gradi di libertà.

Oltre a trasformazioni di corpo rigido e di dilatazione, sono consentite anche trasformazioni associate alla distorsione che aggiunge altri tre gradi di

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3.1 La registrazione

(a) (b)

Fig. 3.1: In figura sono rappresentate le trasformazioni che costituiscono la trasformazione da corpo rigido: (a) traslazione; (b) rotazione.

(a) (b)

Fig. 3.2: In figura sono mostrati un esempio di dilatazione (a) lungo l’asse x e (b) lungo l’asse y.

libertà. Una trasformazione che include oltre ai gradi di libertà associati alla trasformazione di corpo rigido anche questi gradi di libertà, ammettendo in totale 12 gradi di libertà, è chiamata trasformazione affine. Una trasforma- zione di corpo rigido può essere quindi considerata come un caso particolare di trasformazione affine, in cui i valori di scala sono tutte unità e i valori di distorsione tutti zero.

L’uso di una trasformazione affine piuttosto che una trasformazione di corpo rigido aumenta notevolmente l’applicabilità della registrazione di im- magini. Infatti nella ricerca delle neuroscienze è comune cercare di allineare

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