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Il nichilismo giuridico e sue implicazioni nel diritto processuale civile. Schizzi di ragionamenti. - Judicium

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(1)

P

IETRO

P

ROTO

Il nichilismo giuridico e sue implicazioni nel diritto processuale civile. Schizzi di ragionamenti.

A mio padre

Sommario: 1. Premessa introduttiva e fondamenti della ricerca. 1.2. Segue:

Inquadramento epistemologico e storico del fenomeno. 2. Le conseguenze del nichilismo giuridico: dalla formazione professionale al processo. 3. Il nichilismo giurisdizionale o applicativo. 4. Riflessioni critiche conclusive.

1. Premessa introduttiva e fondamenti della ricerca.

Il tentativo insistente di ascesa ed affermazione del “nichilismo giuridico” – iniziato con la delocalizzazione del diritto, attraverso progressive cessioni di sovranità e con le decodificazioni, conferendo centralità alla legislazione speciale e alle leggi-provvedimento – è fenomeno che non lascia del tutto indenne e tanto meno indifferente il processo e con esso il diritto processuale.

La dottrina si occupa del fenomeno massimamente sul piano della filosofia del diritto e del diritto sostanziale, soprattutto a partire dal famoso saggio dell’insigne giurista N. Irti dal titolo, appunto, “Il nichilismo giuridico”

1

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Manca a mio giudizio un adeguato approfondimento del problema sul piano epistemologico e sistematico in relazione alla sua incidenza sugli istituti giurido- processuali e sull’ermeneutica di modo che si possa affermare che accanto ad un nichilismo legislativo sia possibile rinvenire un nichilismo di carattere processuale e segnatamente giurisdizionale o di tipo applicativo

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che riguarda ed investe, appunto, le ragioni della decisione: se e quanto il nichilismo giuridico sia presente nella giurisprudenza.

1 N. Irti, Il nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004. Id. in Enc. It., App. VII, XXI secolo, Roma 2006. Sul piano più strettamente filosofico cfr.: B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico. Postumanesimo “noia”globalizzazione (Lezioni 2003-2004), Torino, 2004.

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L’indagine esplorativa riguarda la verifica di un possibile rinvenimento accanto alla vuotezza di contenuto della lagge una corrispondente vuotezza di verità (contenuto) della sentenza.

Intendo iniziare questo percorso, senza alcuna pretesa di esaustività e tanto meno di trattare il nichilismo in tutte le sue varie denominazioni e intendimenti per il quale esistono notevoli trattazioni di autorevoli specialisti, ma limitandomi per ora a porre solamente la quaestio – intesa nel suo senso proprio di quesito, di res dubia – esplorare eventuali punti di riflessione e di ricerca e rinviando a successive occasioni più approfondite e specifiche disamine.

Il cammino si presenta da subito molto irto se, come ritiene una autorevole dottrina, “ogni nichilismo considera priva di senso la discussione sulla giustizia, (…).”

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Come si dirà più diffusamente oltre, il non senso di una discussione sulla giustizia origina dalla considerazione che agli esseri umani “appartiene la condizione insuperabile di una “ingiustizia radicale””

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L’impossibilità di accedere ad una giustizia piena nella coesistenza delle persone sarebbe dovuta alla inimputabilità degli eventi personali e sociali ad una volontà e alla libera scelta che può orientarsi verso il giusto oppure verso l’ingiusto, forme, queste, entrambe elise dall’“informe nulla”

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Il nichilismo giuridico rimane indifferente alla giustizia perché l’agire degli uomini non è espressione di una scelta finalistica e li considera innocenti, non imputabili, non spiegabile dalle tecno-scienze. L’attenzione si appunta sull’impegno del “come” e non sulla ricerca del “perché”: il “come” tralascia le domande sul senso e rinvia ad una misurazione ottimale delle funzioni, sicchè ogni discorso su giusto/ingiusto, uguaglianza/disuguaglianza, diventa indifferente o secondario.

2 Il nichilismo che definisco “applicativo” è riferito all’attività giurisdizionale perché appunto deputata all’applicazione del sistema ordinamentale.

3 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, estrapolato da www.digef.uniroma1.it/.../romano/...didattico/introduzione-romano_pdf, p. 12, Id. sulla “Rivista di filosofia del diritto-Journal of legal Philosophi, 2, 2012, pp. 375-387.

4 B. Romano, op. ult. cit., p. 12.

5 B. Romano, op. ult. cit., p. 12.

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1.2. Segue: Inquadramento epistemologico e storico del fenomeno.

L’incipit è dato dalla perdita di centralità dell’uomo moderno e dell’Occidente europeo in particolare, consapevole della inesistenza di valori cosmologici, certi ed immutabili, provenienti e posti da un ente che sta al di sopra e al di fuori di lui.

Il processo di svalutazione dei valori non ha risparmiato il diritto, fenomeno umano per eccellenza

6

.

La perdita di senso e del sé collide o compromette non poco la proposta concezione del diritto come fenomeno umano e sociale che preesiste alla legge che a sua volta lo presuppone. Un diritto incentrato sull’uomo e sui valori della persona viene negato e annullato proprio da quella perdita del sé nella sua unitarietà.

Alla prassi sociale ed al linguaggio, fenomeni evidenzianti dei valori giuridici

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si contrappongono i sistemi funzionali dei mercati e delle tecnoscienze e la condizione umana dell’essere ridotta a quella di un individuo privo di capacità relazionale e comunicativa

8

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Di conseguenza i processi di interazione e di interrelazione tra individui e tra questi ed i gruppi e tra i gruppi stessi che animano la prassi sociale ed il linguaggio perdono significato perché l’essere destrutturato è atomizzato in una serie di io privo di volontà ed assoggettato alla volontà di potenza sistemica dei mercati finanziari.

Il processo giuridico – nell’ambito del quale si ripetono le dinamiche sociali e nel quale si riflettono – perde la sua funzione di catalizzatore risolutivo dei

6 B. Romano, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico. Postumanesimo

“noia”globalizzazione (Lezioni 2003-2004), cit., 349 ss., 473 ss., 498. Sulla concezione assiologia del diritto: A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, Parte prima, Il concetto del diritto, Milano 1988, 251 ss.

7Nella prassi sociale la funzione di evidenziare la necessità giuridica della convivenza è data dai fenomeni della comune esperienza e dalla cultura (comportamenti reiterati, usi consuetudini) e dai principii di natura etico-giuridica che accompagnano il processo di specificazione e di applicazione del diritto positivo e che servono ad adeguare le regole giuridiche agli sviluppi e alle trasformazioni dei comuni modi di pensare e di sentire Sulla prassi sociale come forma e tipologia di evidenziazione dei valori giuridici cfr.: A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit. 403 ss.

8I fatti umani da cui trae origine il diritto sono variegati e complessi e non tutti di natura strettamente o esclusivamente economica ed anche in quelli economici non di rado si

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conflitti che inevitabilmente si verificano nella comunità sociale e da luogo del dialogo razionale si trasforma in luogo strumentale della constatazione e ratifica della forza vincente

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Il diritto, quindi, persa la sua centralità, va riducendosi a mera tecnica e trova una fonte salvifica nella forma. Esso è il risultato di un meccanismo tecnico, frutto della razionalità tecnica, propria dell’economia capitalistica, capace di ricevere e trattare qualsiasi materia

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La legge positiva, sciolta da ogni fondamento contenutistico di validità per affidarsi alla contingenza e alla casualità, disponibile ad accogliere qualsiasi contenuto; spogliata della sua essenza, della suitas; in una parola della sua anima, degrada a fenomeno meramente formale, ad un contenitore. Le norme sono nomo-dotti che incanalano qualsiasi contenuto

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L’attenzione si focalizza sul rispetto delle procedure di formazione o di produzione delle norme a mò di una catena di montaggio. Viene in rilievo solamente la “norma statuente”, ovvero il comando o l’imperativo che il giuspositivismo predilige come legittimità dell’obbligo giuridico, sottratto dalla

accompagnano aspetti non strettamente o non solamente patrimoniali. L’art. 1174 c.c. recita che la prestazione “deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore”.

9 A. Falzea, op. ult. cit., 413 ss. I processi di interazione ed interrelazione tra esseri sono veicolati dal linguaggio strumento alto di comunicazione che pone gli esseri umani al di sopra di tutti i viventi. Attraverso il linguaggio comunicativo l’essere trasmette pensieri, idee, progetti di vita e di lavoro, musica, arte, poesia, che non sono riducibili a meri numeri privi di senso perché riconducibili ad un essere desoggettivizzato e risucchiato nella spirale del Sistema del fondamentalismo funzionale che “alle domande sul senso del futuro scelto” sostituisce la formula del “calcolo monetizzante delle operazioni sistemiche, determinate l’una dopo l’altra dai fatti che hanno successo mercantile e producono una decisione che del Nessuno e dunque funziona senza autori, né scopi né senso”. B. Romano, Scienza giuridica senza giurista,il nichilismo perfetto, Giappichelli, Torino, 2006, p. 117. Non tutto è riconducibile al “non senso”

e al “non luogo” e tanto meno alla frammentazione dell’ “io” e alla negazione dell’unità del se- stesso.

10N. Irti, Il nichilismo giuridico, cit. 101. La tecnica, intesa in senso nicciano F.W. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, Newton, Roma, 1980, p. 6, 235 ss., è l’utilizzo consapevole delle forze della Terra e dominio sulle cose e in senso heideggeriano come metafisica compiuta, ovvero, l’uso e la trasformazione delle cose o degli enti naturali da parte dell’uomo a proprio vantaggio:

l’uomo dimentico dell’essere, si occupa solo delle cose ed il suo pensiero diventa tecnicizzato, M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Milano, Mursiua, 1976, p. 19 ss.

11Le leggi sono diventate veri e propri container di disposizioni normative del tutto eterogenee e senza alcun collegamento tra di esse. Si va dalle norme sulla previdenza alle calamità naturali, dalla previsione di quella o quell’altra imposta o tassa alle modifiche dei codici; tutte materie inserite in un unico documento sia esso decreto legge, o decreto legislativo, o disegno di legge.

A. Incampo, Metafisica del processo, Idee per una critica della ragione giuridica, Cacucci,

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giustificazione morale: la funzione produttiva rispetto al prodotto

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: l’esaltazione dell’aspetto formale delle norme nella concezone gradualista e giusformalista del diritto di Kelsen

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Sul piano dell’esperienza processuale, nella quale la dialettica, tra il giudice e le parti, riflette quella tra autorità e verità, spesso accade che il profilo funzionale venga appiattito su quello strutturale

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. Non sarebbe importante la verità in sé, quanto la correttezza formale delle procedure: il come si arriva alla decisione più che il contenuto della decisione stessa: il suo “perché”.

Non di rado il processo viene ritenuto socialmente accettabile sol perché siano state osservate le forme prescritte dalla legge

15

.

E sempre non di rado si parla di pure procedural justice

16

, quale giustizia indipendente dai risultati che produce salvo poi a definire imperfetta la procedura tesa all’accertamento della verità

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.

E’ la “nientità del diritto”

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Alla sentenza “Dio è morto” fa eco l’espressione “il diritto è morto”

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Bari, 2010, p. 138. N. Irti, Il nichilismo giuridico, cit. 18 ss.; Id. L’età della codificazione, Giuffrè, Milano, 1999, p. 168-170.

12 Una concezione moderna della norma distingue due modalità di uso della stessa: la norma come contenuto o precetto; la norma come un disponente che ha un contenuto, cioè la funzione attiva del disporre, cfr: R. Orestano, Norma statuita e norma statuente. Contributo alla semantica di una metafora, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, XIII (1983), n.

2, 313-350.

13 H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, trad. it. A cura di R. Treves, Torino 1952.

14 A siffatti appiattimento conduce la concezione del processo inteso come successione di poteri ed atti in cui il potere o l’atto successivo trova fondamento e legittimazione in quello precedente, così: E. Fazzalari, Note in tema di diritto e processo, Milano, 1957, 110 ss. Sul rapporto tra struttura e funzione: F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 11 ss. A. Incampo, op. cit., p. 23 ss. La concezione del processo testè enunciata come successione evoca la concezione giusformalistica del diritto di Kelsen secondo la quale ogni norma trae la sua validità da una norma superiore e il processo è considerato valido quando la sentenza è pronunciata da un organo competente: H. Kelsen, La dottrina del diritto naturale e il positivismo giuridico, Trad. it. di S. Cotta e G. treves, 1959, in Teoria generale del diritto e dello stato, Giuffrè, Milano, 407 ss.

15 V.N. Luhman, Procedimenti giuridici e legislazione sociale, Milano, 1995, 75-115.

16 J. Rawls, A theory of justice, Cambridge (Mas.), 1971, 83.

17 G. Carofiglio, L’arte del dubbio, Palermo, 2007, 13; F. Durrenmatt, Il giudice e il suo boia, trad. it., Milano, 1996.

18 N. Irti, Le categorie giuridiche della globalizzazione, in Riv. Dir. Civ., 48 (2002), 633.

19 Ancor prima di Nietzsche, Hegel, nella sua Fenomenologia dello spirito, aveva espresso la dura parola: Dio è morto, Georg W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di Enrico De Negri, La nuova Italia, Firenze 1933, 1960, 2 vol..: F.W. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, cit.

p. 6. Invece, l’espressione “Il diritto è morto” è stata da me coniata prendendo spunto da quella analoga di F. Carnelutti, “Il diritto morrà perché è mortale”, in La morte del diritto “Volumetto collettivo” La crisi del diritto, Padova, 1953.

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Ma, questa, è sola la premessa introduttiva delle quastiones non certamente la conclusione che auspico e condivido.

Il nichilismo è un dato col quale bisogna confrontarsi perché non lo si può ignorare, né sottovalutare e per arginarlo e superarlo bisogna conoscerlo: “non occorre essere nietzscheani per riconoscere che il … fantasma del nichilismo si aggira un po’ ovunque nella cultura del nostro tempo”

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20 F. Volpi, Il nichilismo, Roma-Bari, 2005, 173. Premetto che non tratterò il nichilismo nelle sue varie forme anche giuridiche e in relazione ad altre culture come il nichilismo americano, ma intendo occuparmi del nichilismo in generale, anche perché i vari distinguo non producono conseguenze diverse e rilevanti sul fenomeno giuridico in sé e sul piano del processo in particolare. Mi atterrò all’idea di nichilismo maggiormente imperante sul piano filosofico e culturale da cui dipende quello giuridico derivato con varianti da quello nicciano. L’origine del termine si deve quasi certamente a Friedrich H. Jacobi in una lettera indirizzata a Fichte. La circostanza e l’affermazione sono riportate da M. Heidegger, in Il Nichilismo Europeo, Adelphi, Milano, 2010, 27. Per comprendere il fenomeno del nichilismo giuridico e le sue implicazioni nella teoria generale del processo occorre partire dal concetto di nichilismo in sé, disaminando per sintesi le sue forme come filosofia e come fenomeno economico-sociale e culturale in generale ed il suo ingresso, o meglio la sua irruzione nel mondo del diritto.

“Nichilismo o nihilismo” da nihil, nulla, è un modo di essere e di pensare incentrato sulla negatività che contrassegna l’epoca moderna e in generale la storia stessa dell’essere. La grande letteratura ne ha scoperto non solo il termine ma anche il significato ad opera di Turgenev nel celebre romanzo “Padri e Figli” pubblicato nel 1862. Turgenev ha avuto il merito di diffondere sia il termine che la sua portata concettuale sebbene in riferimento alla cultura e alle condizioni socio-economiche della Russia ottocentesca, negando tutto quello che è fondato sulla tradizione, sull’autorità e su una validità altrimenti determinata. Tra i primi a rendersi conto del nichilismo moderno è Dostoevskij. Il nichilismo degli Antichi era imparentato con lo scetticismo e l’epicureismo, il suo ideale era una nobile serenità, il nichilismo moderno, invece, sebbene nasca da una convinzione intellettuale è piuttosto incapacità di credere e affermare qualcosa, carenza spirituale più che filosofia. Per Dostoevskij il vero nichilista, con maggior realismo di quanto poi metterà a punto Nietzsche con il “nichilismo completo” incarnato nella figura del Superuomo che gioca, danza e ride nei giri dell’Eterno Ritorno, non danza e non ride ma va di qua e di là, intorno a se stesso, intorno al mondo, senza realizzare niente “… In me la negazione stessa è meschina. Tutto è floscio, molliccio. …”. Sono le parole scritte da Stavroghin, eroe dei Demoni del 1871, in una lettera a Daria Pavlovna. Altri passaggi fondamentali del nichilismo di Dostoevskij si colgono nei romanzi “Delitto e castigo” (1863) e i “Fratelli Karamazov” (1879- 80). E’ con la filosofia di Nietzsche che il nichilismo viene pensato come “nichilismo classico”:

esso significa liberazione dai valori finora validi, come liberazione per una trasvalutazione di tutti i valori: F.W.Nietzsche, Così parlò Zaratustra, Newton Compton, Roma, 1980; Umano troppo umano, Newton Compton, Roma, 1979, 177. La conoscenza e la diffusione del pensiero nichilista nicciano si deve a M. Heidegger, Il Nichilismo europeo, Adelphi, III ed. 2010, Milano.

Il nichilismo ha contaggiato anche aree culturali fuori dalla Germania come la Francia dove è stato oggetto di riflessione da parte di pensatori esistenzialisti come Jean-Paul Sartre ne

“L’essere e il nulla” (1943) ed Albert Camus ne “l’Uomo in rivolta” (1951). Anche la cultura italiana è stata sensibile al problema del nichilismo. Negli anni settanta e ottanta del secolo scorso si è registrata una vera e propria efflorescenza di letteratura nichilista nella quale è riconoscibile l’esigenza di un superamento del nichilismo stesso. E. Severino, Essenza del nichilismo, Laterza, Roma-Bari, 1999, il quale accusa la filosofia occidentale perchè ammettendo, essa, tempo e divenire delle cose, cioè il loro “non essere ancora” e “non essere più”, pensa l’ente come se fosse un niente. G. Vattimo, Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica, diritto, Garzanti, Milano, 2003,p. 8, ha inteso valorizzare in senso positivo le potenzialità emancipative del nichilismo (pensiero debole) “(…) già tentare di modellare, leggi,

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<< Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque, già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che occorre è accorgersi di quest’ospite e guardarlo bene in faccia. >>

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costituzioni, provvedimenti politici ordinari, sull’idea di una progressiva liberazione di norme e regole da ogni preteso limite “naturale” (e cioè ovvio per chi detiene il potere) può diventare un progetto politico positivo”. Nella società attuale c.d. della liquidità e del post-umanesimo, possono ricondursi al nichilismo fenomeni incentrati sul concetto di anarchia fortemente individualista (Punk). Da ultimo sul piano giuridico il “nichilismo giuridico ontologico”, secondo il quale il diritto non può reclamare “verità”, ma si fonda soltanto sulla volontà più forte, capace di imporre l’ordinamento giuridico e l’ordine del mondo ad essa congeniali; “il diritto è volontà di potenza” “come aveva visto Nietzsche”:: N. Irti, in C. Magris-N. Irti, La legge e il nulla, in Corr. Sera, 6.4.2007, 47. B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit., 14.

21 Junger-M. Heidegger, in Oltre la linea, (1949-1955), Adelphi, Milano, 2004. Il nichilismo inteso come dissoluzione dello spirito della vecchia Europa e come malattia mortale dello spirito europeo. Il senso o il significato del Nichilismo è il “non senso”. I valori supremi si svalutano, manca uno scopo, manca la risposta “al perché?”. L’abbraccio del nulla dopo l’assenza del “da dove” e del “verso dove”, dunque il “non luogo”, l’esistenza priva di uno scopo e l’universo vuoto di significato. Cfr.: M. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit., p. 50 ss. E. Junger, Trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990, p. 51-55. V.C. Galli, Prefazione a K. Lowith, Il nichilismo europeo. Considerazioni sugli antefatti spirituali della guerra europea, trad. it., Bari, 2006, IX, XI, XIII. L. Kolakowsk, Orrore metafisico, 1988, trad. it. a cura di B. Morcavallo, Bologna, 2007, 113. F. Vercellone, Introduzione a Il nichilismo, Bari 2003, 156. F. Volpi, Il nichilismo, Bari, 1996, 4. Una volta venuti meno i valori tradizionali (cosmologici) di riferimento subentra una situazione di disorientamento; l’essere nell’età della “morte di Dio” ha bisogno di connettersi alla temporalità del nascere, crescere e morire. Il nichilismo esprime il profondo malessere della cultura contemporanea e si accompagna, sul piano storico-sociale, ai processi di secolarizzazione, cioè disincanto e frantumazione dell’immagine che l’uomo ha del mondo e che ha provocato sul piano filosofico, in merito alle visioni del mondo ed ai valori ultimi, il diffondersi del “relativismo” e dello “scetticismo”. Il termine, un tempo astratto, si è riempito dalla storia del Novecento di sostanza, di vita vissuta, di azioni e di dolori.Esso ha ormai fatto ingresso nelle attuali società del benessere in modo dirompente ed espansivo investendo la quotidianità e l’uomo comune. Quest’ultimo – culturalmente inconsapevole e lungi dall’essere il

“SuperUomo o l’oltreuomo” di Nietzsche – ha recepito passivamente e acriticamente, anzi ha assorbito la “filosofia” nichilista non di certo come meditazione sulla storia della metafisica occidentale, M. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit. 41, bensì nel suo aspetto più semplicistico, esteriore ed immediato, di “essere nulla” perché “Dio è morto”, e di conseguenza, si abbandona ad una libertà lasciva, avulsa da ogni principio e da ogni remora, ad uno sfrenato edonismo consumista, una bramosia di svago e di divertimenti e desiderio di potenza e ricchezza economica . Sulla rinascita del Dionisiaco nelle società del benessere, cfr.: G. Lipovetsky, Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Cortina, Milano, 2007, 171. Bacatezza, frivolezza e non senso di responsabilità, si accompagnano ad un “delirio di onnipotenza” basato su ostentazioni del possesso e dell’avere e selettive competizioni esteriori ed estetiche. Istanze di legittimazione della manipolazione genetica e di talune forme di unioni o convivenze che si fanno sempre più pressanti, sono emblematica espressione e manifestazione della cultura nichilista come percepita e interiorizzata dalla società secolarizzata. E’ questo, purtroppo, il risultato più ingombrante prodotto dal nichilismo perché è ciò che connota maggiormente la società contemporanea occidentale che non è affatto composta – almeno per larghissimi strati delle popolazioni – da quell’Uomo nuovo teorizzato da Nietzsche e ripreso da Heidegger, ma da individui – ridotti a entità bio-tecno-informazionali – imprigionati nel “pathos disperante dell’invano”. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit. 41-59 ss. Il grande filosofo di Messkirch, afferma che la denominazione nichilismo consente un impiego molteplice, poi ritiene un abuso qualsiasi altra diversa forma da quella del nicciano nichilismo classico, a mio sommesso avviso, però più che il nichilismo classico sono altre le forme di nichilismo – respinte dal filosofo – che

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Il risultato di questo “pensiero debole”, è solo il vuoto, il non senso e lo smarrimento del “sé” e dell’ “io” che, tuttavia, domina l’epoca attuale con le sue aporie decostruttive e autofondazioniste di una post-modernità sempre più liquida e pronta a brandire una minacciosa volontà planetaria di potenza: il profitto al posto del mercato; l’incontrollato sviluppo tecnologico più che la tecnica; il disordine globale più che la globalizzazione; il saper fare al posto della conoscenza

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Sono fattori influenzati ed inflenzanti: l’economia, la finanza e il diritto.

Il rapporto tra diritto ed economia si ricompone per impulso di due fattori che dominano il mondo contemporaneo in stretta correlazione fra loro: la società post-industriale e la globalizzazione dei mercati

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Questa ultima, caratteristica dell’epoca attuale, finisce per convergere con un’altra espressione evocativa: rivoluzione digitale (internet) di forte impatto sul linguaggio anche giuridico, soprattutto in campo processuale, dopo la introduzione del c.d. processo telematico.

Il nuovo diritto della società globale si chiama “nuova lex mercatoria

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. Ad essa è speculare e funzionale il fenomeno della delocalizzazione e destatalizzazione del processo in mano ai tribunali dei mercanti.

unitamente al positivismo, anch’esso nei suoi vari aspetti, si è andato maggiormente affermando ed ha trovato terreno fertile nella sociatà moderna della c.d. liquidità. G. Bianco, Nichilismo giuridico (civile), in Digesto, Discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento, II, Utet, Torino, 2007, p. 800 ss. Sulle difficoltà di interpretare il nichilismo a causa della “molteplicità delle posizioni e della loro contraddittorietà, per cui è quasi impossibile concordare una definizione unitaria accettabile da tutti”: A. Molinaro, L’interpretazione del nichilismo, in A.M.

(eur.), Interpretazione n. 10, Roma, 1986. Sul concetto di società liquida cfr.: Z. Bauman, Danni collaterali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2011, 40 ss.

22 V. Scalisi, Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa, in Riv. dir. civ., 1/2012, 22.

Id. Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmodernismo, Giuffrè, Milano, 2005, 78-79. A. Punzi, Esiste una via d’uscita dal nichilismo?In dialogo con Bruno Romano e Natalino Irti, in i-lex, dicembre 2010, numero 11, Riv. quadrimestrale on.line: www.i-lex.it, 446-447. F.C. Gallo, Una critica del nichilismo giuridico, in www.accademiadelle scienze.it/media/153, Acc. Sc. Torino – Atti sc. Mor. 139-140 (2005-2006), 3-35, 31 ss.

23 Sul legame tra diritto ed economia cfr.: N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari, 2001, 97 ss. Id. Teoria generale del diritto e problemi del mercato, in Riv.dir.civ., 1, 1999.

24 La sua funzione – sebene essa sia espressione di cedimento e superamento della sovranità e della delocalizzazione delle fonti – è quella di superare la discontinuità e disomogeneità giuridica presente nella pluralità dei mercati provocata dalla divisione degli Stati, dai particolarismi giuridici delle codificazioni e la differenza tra civil law e common law. F.

Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contratto impresa, Cedam, Padova, 2000, p. 199 ss. Sul pino gius-filosofico: B. Romano, Scienza giuridica senza giurista.

Il nichilismo perfetto, Giappichelli, Torino, 2006, p. 117. L’A. ritiene che il nichilismo si realizzi

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I conflitti che insorgono a seguito delle grandi transazioni commerciali internazionali vengono devoluti a tribunali arbitrali sovranazionali

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2. Le conseguenze del nichilismo giuridico: dalla formazione professionale al processo.

Uno degli aspetti del nichilismo giuridico è quello di attribuire maggiore importanza al saper fare più che alla conoscenza e la formazione universitaria dei futuri operatori del diritto deve essere ridotta al livello del mero sapere tecnico, dove filosofia, storia e diritto romano, un tempo bagaglio costitutivo del sapere giuridico, oggi viene soppiantato dal sapere tecnico che, per svolgersi con metallica precisione, deve essere alleggerito da ogni peso culturale

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Lo Stato contemporaneo della giuridicità liquida, in una scienza giuridica senza giurista, evidenzia la progressiva tendenza a far venir meno la formazione del

nel Sistema del fondamentalismo funzionale, che sostituisce alle domande sul senso del futuro scelto, il calcolo monetizzante delle operazioni sistemiche determinate l’una dopo l’altra dai fatti che hanno successo mercantile e producono una decisione che è del Nessuno e quindi funziona senza autori, né scopi, né senso.

25 F. Galgano, Giustizia civile e litigiosità, in Contratto impresa, Cedam, Padova, 1993, 326, laddove l’A. parla di fuga dal giudice togato e di propensione per la soluzione arbitrale delle grandi liti. Una altra conseguenza è il sopravvento delle Autorità tecnocratiche sulle Autorità politiche: la proliferazione di autority indipendenti con poteri e funzioni giustiziali. Gli uomini più potenti della terra oggi sono i governatori delle banche centrali, pure tecnocrazie fonti di produzione normativa sprovviste di investitura popolare. Non inserisco come esempio di destatalizzazione del processo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di giustizia della CEE, ora UE, perché in base agli artt. 10 e 11 Cost. l’ordinamento si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e ripudia la guerra come risoluzione dei conflitti e consente limitazioni di sovranità a parità di condizioni con altri Stati per assicurare la pace e la giustizia. Di tal che sia la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo del 1950, ratificata in Italia con legge del 4.8.1955, n. 848, sia il Trattato istitutivo della CEE del 25.3.1957, le succitate Corti devono considerarsi Organi di giustizia sovranazionali con efficacia interna ai Paesi aderenti come l’Italia.

26N. Irti, Il nichilismo giuridico, op. cit., 76. Contra: F.C. Gallo, Una critica al nichilismo giuridico, cit. 2006, 31. Per Heidegger la tecnica non è un apparato produttivo fondato sulle macchine, ma la stessa metafisica compiuta, forma fondamentale di manifestazione in cui la volontà di volontà si realizza calcolando nel mondo della metafisica compiuta. La tecnica circoscrive in modo chiaro e riconoscibile il proprio oggetto e quindi è il modello epistemologico per eccellenza a cui si rifà anche il filosofo: “Il sapere in generale, privo di un oggetto proprio”, in Nietzsche, “la morte di Dio” apre l’epoca del nichilismo attivo, dove l’umanità utilizzerà consapevolmente le forze della Terra in direzione del dominio sulle cose:

F.W. Nietzsche, Così parlò Zaratustra, cit., p. 6 ss. M. Heidegger, in Saggi e discorsi, Milano, Mursia, cit. 19 e 56 ss. Per una critica al pensiero Heideggeriano: G. Vattimo, Post-moderno ontologia tecnologia, in Nichilismo ed emancipazione. Etica, Politica, Diritto, Garzanti, Milano, 2003, 26.

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giurista nella dimensione dell’arte da un lato ed il consolidarsi dell’apprendistato del tecnico delle norme in una qualche modalità del saper fare dall’altro

27

.

Se il diritto è essenzialmente o fondamentalmente o anche scienza ermeneutica non vedo come un operatore dotato solo di sapere tecnico possa – soprattutto di fronte ad una nevrotica e confusa quanto torrenziale produzione normativa – districarsi ed estrapolare la norma giuridica regolatrice del caso concreto, avuto riguardo – in un determinato contesto storico – alla complessità eterogenea delle fonti e a quella dei fenomeni sociali

28

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Ma, detto per inciso, mi riesce difficile pensare concettualmente e comprendere cosa significhi saper fare senza la conoscenza: un tecnico delle norme senza sapere, un nomo-tecnico per nomo-dotti. Il risultato a cui inevitabilmente giungo è quello di un diritto senza verità. Ma un diritto senza verità non può che condurre ad un processo senza verità.

Ritorna il tema centrale: la giustizia ed il diritto come veicolo finalisticamente orientato alla sua realizzazione.

Gli esseri umani, a differenza degli altri viventi, si relazionano attraverso il linguaggio

29

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Senza linguaggio non esisterebbero né società umana e tanto meno il diritto.

La verbalità è una forma di comportamento comunicativo di grande potenzialità estensiva capace di esprimere i fatti della coscienza

30

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27 Ne aveva profetizzato il rischio: S. Pugliatti, Grammatica e diritto, Milano, 1978, 368.

L’insigne giurista ha lasciato una insuperabile lezione sul piano del metodo da Lui concepito come indispensabile strumento e processo di autocostruzione della scienza, centro di gravitazione di ogni disciplina scientifica e giuridica in particolare.

28 Sono sempre più numerosi gli studenti che agli esami pronunciano i termini latini petitum o stare decis (vocalmente pètitum o petitaum e stare desais) come se fossero idiomi inglesi.

Questi, una volta terminati gli studi, probabilmente, saranno bravissimi ad usare il computer e tutti i passaggi richiesti dal processo telematico, poco o nulla importando il contenuto degli atti (siano essi di parte o del giudice). Ma, nel contenuto degli atti, si esprimono le istanze e le aspettative di giustizia dei cittadini che alla fine sono i destinatari e gli utenti del diritto-giustizia e si declama la verità su un fatto che si assume lesivo di un diritto.

29 A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit. 413 ss.

30 Una caratteristica del linguaggio è data da una molteplicità di simboli capaci di evolversi nel tempo insieme con la cultura dei popoli e costituisce la storia della cultura degli uomini e con essa del diritto. Con la invenzione della scrittura la comunicazione orale si è arricchita della dichiarazione scritta. Questa ha permesso la comunicazione a distanza tra assenti assicurando un elevato grado di oggettività e fedeltà notevolmente superiore a quella trasmessa dal “nuncius”.

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Nel processo verbalità e scrittura coesistono in condizione di coessenzialità.

Il processo è totalmente documentato dalla scrittura che svolge la funzione di fissare mediante la verbalizzazione le domande e le eccezioni delle parti, le ragioni delle varie decisioni interlocutorie e definitive del giudice.

Tutto un determinato giudizio è racchiuso in un fascicolo costituito da documentazione scritta. In caso di impugnazione sarà attraverso quella documentazione che il giudice d’appello e la Cassazione conosceranno la causa e si esprimeranno. Essa costituisce la memoria storica di quel processo.

La trasmissione del linguaggio può avvenire con qualsiasi mezzo che la tecnica è capace di mettere in campo come in ultimo la rivoluzione digitale.

Qui devo aprire una parentesi. I moderni mezzi telematici e digitali aumentano la potenza della comunicazione ma impoveriscono la valenza espressiva, sintattica e semantica, del linguaggio. Tutto si svolge velocemente e per dirla con un’acuta espressione di B. Romano, “un click trasferisce masse monetarie e decide sulla qualità dell’esistenza personale e delle istituzioni della coesistenza.

31

”. Un click, quindi trasferisce, masse monetarie e trasferisce, altresì, masse di informazioni contenenti messaggi di ogni tipo tra i quali le relazioni pre-trial tra parti e loro avvocati, trattative, atti giudiziari il cui linguaggio anche dal punto di vista sintattico-grammaticale subisce l’influenza del veicolo di trasmissione.

La valenza espressiva e il potere di convincimento sono mutati rispetto alle tecniche tradizionali, il linguaggio è divenuto scarno, sintetico, le proposizioni sono assorbite in parole chiave, la forza dialogena è al tramonto specularmente all’essere dialogante

32

.

Anche il linguaggio sta subendo il fenomeno della liquefazione.

La scrittura ha permesso di fissare il linguaggio e con esso il contenuto del messaggio; essa svolge il compito e la funzione fondamentali di fissare e documentare le regole del diritto e di renderle accessibili ai destinatari componenti del gruppo sociale.

31 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit., p. 11.

32 Ma, la scienza giuridica senza linguaggio non sarebbe tale. Grazie al linguaggio scritto il diritto si è evoluto con la formalizzazione delle regole, le codificazioni, le costituzioni, la formalizzazione dei principii dislocati in luoghi separati ed esclusivi nella gerarchia delle fonti del diritto, fino alle dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo e alla funzione documentale imprescindibile delle attività processuali.

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Il dialogo è degradato a mera forma, privo di un certo contenuto e quindi pieno di qualsiasi contenuto. Il discorso dialogeno si articola in proposizioni preconfezionate che riproducono modelli suggestivi captati dal mondo informazionale. Le arti del linguaggio e della retorica – anche nei percorsi formativi scolastici ed universitari – sono stati abbandonati o sono abbondantemente trascurati ed in secondo piano e per effetto delle tecnoscienze e della loro influenza il soggetto parlante si muove macchinalmente senza cercare la razionalità e la persuasione passando il tempo ad incamerare dati offerti dal reticolo informatico in maniera passiva e del tutto acritica. Il depotenziamento della forza creativa ed argomentativa del linguaggio si riscontra negli atti processuali sempre più espressione di un copia e incolla di massime giurisprudenziali senza alcuna riconduzione ad una unità di senso risultante del discorso ragionato.

Comunque sia il linguaggio scritto – per quanto geneticamente mutato e continuamente cangiante a causa dei mezzi di comunicazione – sia su carta che su supporti magnetici o digitali, rimane pur sempre insostituibile strumento relazionale e comunicativo che conferisce certezza alle regole del diritto, ai diritti stessi dei cittadini e ai rapporti giuridici: nel processo fissa il contenuto delle dichiarazioni delle parti e del giudice e delle attività istruttorie

33

.

Per effetto del suo continuo divenire, il linguaggio e i codici linguistici del legislatore, spesso non del tutto padrone della lingua, si adeguano e negli atti legislativi sempre più spesso vengono introdotti termini tecnici appartenenti alle più svariate discipline da quella tecno-economico-finanziaria, a quella medica, psico-pedagogica, idrogeologica e tante altre, con la implicazione che i termini tecnico-giuridici vengono sostituiti da gerghi settoriali specialistici che ostacolano l’unità metodologica dell’attività interpretativa del giurista

34

.

33 Il Titolo VI, Libro I, CapoI, Sezione I, del codice di procedura civile, intitolati rispettivamente nell’ordine: “Degli atti processuali”; “Delle forme degli atti e dei provvedimenti” e “Degli atti in generale”. Gli artt. 121-126 ne dettano la disciplina e l’art. 126 detta il contenuto del processo verbale.

34 A. Incampo, Metafisica del processo, cit. 138. Sull’introduzione di termini tecnici di materie specialistiche estranee al diritto e al linguaggio tencnico suo proprio nelle leggi speciali: N. Irti, L’età delle decodificazioni, Giuffrè, Milano, 1979.

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Tirando le fila del discorso, anche volendo accedere, ad una concezione nichilista del diritto, la complessità e particolarità delle fonti di produzione quanto di cognizione e del linguaggio, esigono, anzi impongono una conoscenza non solo giuridica, ma estesa a materie meta-giuridiche o affatto giuridiche per dotare il giurista di strumenti interpretativi adeguati a detta complessità.

Compito dell’ermeneutica è quello di perfezionare il linguaggio legislativo per renderlo più aderente alla realtà del valore giuridico e recuperare al sistema normativo tutte le regole del diritto e soprattutto quelle manifestate dalla prassi sociale

35

.

Tutto questo nella dinamica del processo si trasferisce negli atti di parte e del giudice. La sentenza finale – in quanto espressione della jurisdictio – è la norma, la regola estrapolata dal mondo del diritto ove astrattamente prevista e applicata al caso concreto, contestualizzata e nelle ragioni della decisione essa disvela una sorta di “transumanza” di tutto il materiale processuale che vi confluisce nel detto e nel non detto.

Se le norme sono nomo-dotti, la individuazione e/o la estrapolazione della regola di condotta certamente dovrebbe essere non semplice e non facile e dovrebbe richiede un sapere alto.

Questo può voler dire che anche nell’ambito della scienza giuridica c’è bisogno delle specializzazioni, ma certamente il sapere è fondamentale e propedeutico al saper-fare.

Un ultima considerazione sulla tesi dell’Irti riguarda le conseguenze che la stessa determinerebbe sul piano dell’uguaglianza e, se si vuole, della dialettica democratica perché il sapere – del quale non se ne può fare a meno – escluso dalla formazione dei giuristi, tecnici delle norme, rimarrebbe confinato e concentrato nelle mani di pochi programmatori. I tecnici delle norme con il loro

35 A. Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit. 428 ss. La realtà dei valori giuridici è realtà empirica, conoscibile solo immediatamente. La percezione diretta si ha in relazione al fatto evidenziante (prassi sociale, atto legislativo), che è un fatto materiale, mentre la situazione evidenziata (regola juris), si rapporta come il significato al segno. Un primo problema è la capacità del fatto evidenziante di rispecchiare il valore giuridico. Ogni valore giuridico nasce nella dimensione della norma che lo prevede e si conclude nella dimensione concreta dell’azione che lo realizza.La complessità aumenta quando il valore giuridico deve essere assunto non da norme ma da principii perché è caratterizzato dalla genericità, sinonimo di generalità, e anche di imprecisione.

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saper-fare senza il sapere sarebbero dei meri esecutori, subalterni ai pochi detentori del sapere.

Conseguenza del “non luogo” è sicuramente il proliferare a dismisura di una quantità di normative, provenienti da varie fonti – generate da situazioni contingenti esaurite le quali cadono nel dimenticatoio e facilmente se ne aggiungono o sovrappongono altre – che accresce il pericolo di antinomie o di conflitti tra norme che si derogano a vicenda, ingenerando confusione nell’interprete e ancor di più nei destinatari cosicchè, principii fondamentali come ignorantia legis non excusat, un tempo basilare presidio e postulato di un dovere generale degli omnes di conoscenza della legge e parimenti di conoscibilità come caratteristica funzionale della legge stessa, attraverso la sua pubblicazione, entrano fortemente in crisi

36

.

Le continue modifiche delle modifiche alle disposizioni codicistiche in campo processuale civile come, solo per citarne alcuni esempi, la previsione di riti disciplinati fuori dai codici come l’abrogato processo societario di cui al dlgs 17.1.2003, n. 5, i riti sommari di cui all’art. 14 e ss. del dlgs 1.9.2011, n. 150, che contiene disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, l’azione di classe di cui al dlgs 6.9.2005, n. 206 (c.d. codice del consumo) e ultimo il d.l.

12.9.2014, n. 132, conv. in legge 10.11.2014, n. 162, che in parte modifica il codice di rito ed in parte prevede nuove procedure di negoziazione assistita,

36 Corte Cost. 24 marzo 1988, n. 364 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 5 c.p.

“nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.”. La pronuncia della Consulta, attesa ed auspicata da tempo da parte della dottrina penalistica e, quindi, massimamente salutata con favore, sebbene abbia stabilito un principio di civiltà giuridica sussumibile nel brocardo latino “ad impossibilia nemo tenetur”, per certi versi costituisce una risposta al nichilismo legislativo adeguando il dettato normativo dell’art. 5 c.p.c. in modo da salvaguardare i cittadini di fronte alla proliferazione incessante di reati di pura crezione legislativa e alle obiettive difficoltà di averne una effettiva conoscenza in tempi reali. Il nichilismo legislativo si manifesta non solo attraverso l’uso della legge svuotata di contenuto riducendola ad un semplice contenitore, ma anche nello scostamento dalla “naturalità”

con la invenzione di reati che non rispondono ad esigenza di repressione di condotte ripugnanti al punto dameritarvi la massima sanzione, bensì per la tutela di beni attinenti soprattutto all’organizzazione e all’amministrazione della P.A. e che ben si potrebbero salvaguardare in via amministrativa. La debolezza e la inefficienza dello Stato-amministrazione accentua il nichilismo legislativo ed appesantisce il carico giudiziario non senza trascurare gli efetti ricadenti sull’equilibrio tra poteri. Cfr. Pulitanò, Ignoranza della legge (dir. pen.), in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, XX, 1970, 23. Mantovani, Diritto penale Parte generale, 1979 (app.1983), Cedam, Padova, p. 267

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compromettono la certezza del diritto e i principi generali (del processo) a scapito della unitarietà del sistema

37

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E ancora la previsione ed intensificazione del ricorso ai riti sommari, la riduzione eccessiva dei termini solo per le parti, la previsione della perentorietà dei termini solo per le medesime parti e non per i giudici, la disciplina del sistema delle impugnazioni con la previsione di filtri che hanno come unico scopo quello di scoraggiarne l’uso dello strumento processuale in favore di un male inteso senso della riduzione dei tempi processuali e del numero dei contenziosi; la riduzione quali-quantitativa dell’obbligo di motivazione. Trattasi di interventi che allontanano il processo dalle finalità sue proprie per asservirlo, sotto le mentite spoglie della competitività, a logiche globalistiche economico- finanziarie

38

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37 Anche il processo penale è colpito da continue modifiche.

38 Mi riferisco alle recenti modifiche apportate al cod. di proc. civ. ad opera dell’art. 54, d.l.

22.6.2012, n. 83, conv. con modif. in legge 7.8.2012, n. 134. Alla modifica dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, att. c.p.c., ad opera rispettivamente il primo dal comma 17 dell’art. 45, legge 18.6.2009, n. 69 ed il secondo dal comma 5 dell’art. 52 della stessa legge sul contenuto della motivazione ridotta – rispetto alla precedente formulazione – ad esposizione concisa della parte assertiva della decisione, all’artt. 342 c.p.c., all’inserimento degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. in tema di appello e alle modifiche al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per il ricorso per cassazione che mette al riparo la motivazione sotto quegli aspetti che non danno luogo a vere e proprie nullità. Gli interventi nomotetici testè sintetizzati hanno attinenza con la ragionevole durata del processo anch’essa contemplata nell’art. 111 Cost. e ancor prima nell’art.

6, della CEDU. Essa non deve risolversi in una vanificazione della funzione propria del processo medesimo: la giustizia che a sua volta è imprescindibile dall’accertamento della verità.

L’accertamento di una verità che non è tale nel senso, di corrispondenza alla realtà non è giustizia e se il processo non conduce alla giustizia poco importa se si è concluso in dieci giorni o in dieci anni. Con ciò non voglio giustificare i tempi lunghi che notoriamente affliggono il processo civile italiano, ma le ragioni risiedono aliunde e non nell’architettura o nell’impianto del codice e tanto meno nella sospensione feriale di recente decurtata di quindici giorni ad opera del D.L. n. 132 del 12.9.2014 conv. nella legge 10.11.2014, n. 162 (art. 16). Come noto la sospensione non riguarda affatto le ferie dei magistrati e tanto meno degli avvocati, serve solamente per dare respiro agli uffici di cancelleria per consentirne la riorganizzazione, smaltire gli arretrati e riposizionarsi. Non risponde a verità quanto diffuso dai media secondo cui tutti i guai del processo civile dipendono da detta sospensione facendone addirittura un privilegio di casta. Il processo deve comunque assolvere la propria funzione ed i tempi di celebrazione devono essere ragionevoli. Il che non è quantificabile in termini temporali. La durata (tempo giuridico) deve essere parametrata in rapporto alla complessità oggettiva e soggettiva della controversia in sé e per sé e non alle disfunzioni del sistema organizzativo della macchina giudiziaria. Qui si disvela un altro aspetto del nichilismo, strettamente correlato al relativismo culturale, quello cioè del giustificarsi e del giustificare nell’aggirare gli ostacoli e declinare o meglio liquefare le responsabilità trascurando di affrontare i problemi che si annidano nelle cause reali delle anomalie privilegiando percorsi secondari e più facili, spesso di facciata che ubbidiscono a logiche avulse dal merito e funzionali ad esigenze espresse dal mondo economico-finanziario con l’ausilio di campagne mediatiche monosenso ed in assenza di contraddittorio con interlocutori esperti e qualificati inclini ad accusare codici e legislazioni

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Il ruolo dell’interprete dovrebbe svolgere una funzione determinante: la scienza giuridica, la dottrina dovrebbe dipanare i dubbi e fare chiarezza estrapolando dalla “radura”

39

o dalla boscaglia legislativa e tra una miriade di fonti di varia provenienza, le norme e con esse il diritto e la giustizia

40

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ignorando che ad esempio il rito del lavoro era stato concepito e strutturato per essere il massimo della celerità ed è naufragato e che il processo ordinario di cognizione unitamente ai vari riti sommari ed al rito sommario di cognizione non fanno del sistema processuale italiano un qualcosa di anomalo rispetto a quello di altri Paesi come Francia, Germaniae Spagna; sicchè il problema della durata extralarge del nostro processo deve essere individuato altrove. Spesso nei monologhi o soliloqui televisivi più che giornalistici si fa sovente riferimento al processo dei Paesi anglosassoni senza conoscere la differenza di origine, struttura e concezione giuridica tra i sistemi di common law e quelli di civil law ed a quale dei due appartiene il nostro.

L’interpretazione che si va delineando è in contrasto con la lettera e lo spirito della norma e corre il rischio – attraverso la previsione di termini stretti e perentori solo per le parti – di soffocare il diritto di esercizio dell’azione e di difesa costituzionalizzato nell’art. 24 Cost. Un processo troppo celere rispetto alla sua complessità non sarebbe ragionevole. Del resto una tale previsione normativa costituzionale sarebbe stata apodittica ed irragionevolmente illogica. La dizione “ragionevole durata”, di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost. non è sinonimo di brevità. Essa rinvia ad un contemperamento parametrato sulla complessità del controversia per far sì che la durata temporale del processo sia proporzionalmente adeguata alla difficoltà per la complessità. Cfr. M. Ferrari, Le violazioni del diritto alla ragionevole durata del processo e la determinazione <<dell’equa riparazione>>, in Contratto impresa, Cedam, Padova, 2004, 1228 ss. P. Pellegrinelli, Giusto processo (civile), in Digesto, Discipline privatistiche, Sezione civile, Aggiornamento, I, Utet, Torino, 2007, 645-654. L’intepretazione che vuole la locuzione del principio costituzionale ridotto a sinonimo di “celerità” è funzionale a pressioni provenienti dal mondo della finanza, dei gruppi bancari e assicurativi che, forti di difese aggressive e qualificate, con la celerità stordiscono la difesa degli avversari che vanno individuati nei privati persone fisiche, consumatori e piccoli imprenditori, quella categoria o classe socio-economica un tempo efficacemente inquadrata concettualmente nella parasubordinazione o nella figura del contraente debole. Cfr. il mio Il processo societario: rilievi di costituzionalità e profili del procedimento di cognizione, in questa Rivista, 2004, 1043 ss.

D’altronde il processo ordinario di cognizione con le garanzie piene ha necessariamente tempi diversi dai procedimenti sommari. Ma anche le garanzie sono diverse. La diversificazione dei riti e la previsione di un processo sommario di cognizione accanto ad altri procedimenti sommari che offrono una tutela più rapida magari terminanti con provvedimenti sommari-esemplificati- esecutivi privi di attitudine al giudicato, rispondono proprio all’esigenza di rapidità della tutela, mentre il giudizio a cognizione piena è ormai relegato ad un ruolo di residualità. Sui procedimenti sommari e provvedimenti sommari-semplificati-esecutivi: A. Proto Pisani, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di tutela, in Foro it., 1990, V, 17. P. Proto, La riforma del procedimento possessorio, in questa rivista, 2007, p. 1839, nota 6 e p. 1848, note 34 e 38. P. Proto, Fase presidenziale nel giudizio di separazione giudiziale: la questione sulla competenza territoriale ed i poteri presidenziali, in questa Rivista, 6-2010, p. 1542 e nota 12 e p. 1544 ss., nota 18. Sulla residualità del processo ordinario di cognizione: A. Proto Pisani, “Verso la residualità del processo a cognizione piena?”, in Foro it., V, 2005, 54 ss.

39 La “radura” è usata da M. Heidegger, in Essere e tempo, a cura di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976, p. 520.

(17)

4. Il nichilismo giurisdizionale o applicativo.

Viene da chiedersi quale giustizia potrebbe generare la deriva nichilistica del diritto se al nichilismo legislativo si affianca quello giurisdizionale, o applicativo, che riguarda direttamente le ragioni della decisione.

Per realizzare o fare giustizia è sufficiente il rispetto delle forme del processo indipendentemente dalla giustezza della decisione?

Il problema esiste e non è di poco momento, aggravato dall’indifferenza del nichilismo giuridico a qualsiasi discorso sul senso della giustizia

41

.

Diversamente da una attenta dottrina condivisibile più nella soluzione che nell’analisi, la questio del nichilismo giuridico, purtroppo è operante e sempre più pervasivo non solo a livello legislativo, ma come si dirà anche sul piano della jurisdictio

42

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Ma cosa deve intendersi per nichilismo giuridico applicativo?

Come ho cercato di diri all’inizio la letteratura si è occupata del fenomeno in questione a livello di filosofia del diritto e di diritto sostanziale e poco del diritto processuale; sicchè quando si parla di nichilismo giuridico difficilmente si pensa ad una sua possibile incidenza nell’ambito dell’esperienza processuale.

Di qui la scelta di chiamare il nichilismo (giuridico) applicativo con riferimento alla funzione giurisdizionale, quindi, al processo, intanto per distinguerlo da quello oggetto di studio dalla filosofia del diritto e dal diritto sostanziale, poi perché si riferisce al momento applicativo o realizzativo del diritto nel caso concreto. Poi ancora perché il nichilismo (giuridico) applicativo riguarda la sentenza intesa come vuoto contenitore alla stessa stregua e in modo speculare alle norme ridotte a nomo-dotti

Lo scopo e la funzione del diritto si rivela massimamente nel processo.

L’interpretazione giudiziaria coglie il valore giuridico nel momento ultimo della realizzazione. Essa è chiamata ad adattare l’effetto giuridico astrattamente previsto dalla norma alla situazione fattuale oggetto concreto della controversia.

40 N. Irti, in Nichilismo e concetti giuridici (Intorno all’aforisma 459 di “Umano troppo umano”, Bari, 2007, 22; asserisce che “il dialogo fra scienza giuridica e potere legislativo è ormai spento”.

41 B. Romano, La funzione del nichilismo giuridico sul nichilismo funzionale, cit. 12 ss.

42 F.C. Gallo, Una critica del nichilismo giuridico, cit., 7, specialmente nota 14.

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La sentenza è l’atto determinativo finale del procedimento. Essa è la norma.

La domanda è: il tipo o la natura di sentenza che si vuole e quindi il tipo di giustizia che in essa deve riflettersi e che da essa si pretende.

La risposta implica la disamina di alcune fasi processuali perché è funzionale ad accertare il “come” ovvero il “quomodo” con cui si arriva alla sentenza e che a sua volta incide in modo determinante sul risultato della sentenza medesima, ovvero, il suo “perché”.

Secondo il modello giusformalistico Kelseniano la sentenza come la legge è un contenitore e il dispositivo o la statuizione un fenomeno secondario

43

.

Viene dato rilievo alla correttezza del procedimento dal quale origina la sentenza e dal quale essa trae la sua validità

44

.

Ma se il contenuto della sentenza diviene, anzi scade a fenomeno secondario, le qualificazioni di “giusto” e “non giusto”, “ragione o torto” – da sempre oggetto della statuizione giudiziale e scopo ultimo e determinante del processo – diventano anch’essi secondari, svuotati e sostituiti dal “legale” e “non legale”

45

. Di qui l’indifferenza del nichilismo giuridico sul senso della giustizia perché interessa il “come”, elemento misuratore di ottimizzazione delle funzioni e non il “perché” che evoca i concetti polari di “giusto/ingiusto”, “uguale/disuguale”.

I poli del “giusto” e “non-giusto” rinviano al sè-stesso nell’interezza della sua personalità ed imputabilità giuridica, quindi ad un io non ridotto ad oggetto di spiegazione scientifico-sperimentale che lo considera e lo segmenta in una serie frammentaria e frammentata di io, in relazione corrispondente alle diverse funzioni bio-macchinali dei vari sistemi sociali, dove si consuma l’io del mercato, l’io del tempo libero, l’io dei media, e così via

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Non ci sarebbero, quindi, cose, fatti o eventi buoni o cattivi di per sé e per converso giusti e non giusti di per sè, in quanto presupponenti la soggettività del

43 In tal senso: J. Carbonnier, Sociologie giuridique, Armand Colin, Paris, 1972-1979, 158. Per H. Kelsen, la sentenza è valida perché è stata posta da un’autorità competente, in H. Kelsen, La dottrina del diritto naturale e il positivismo giuridico, Trad. it. di S. Cotta e G. treves, 1959, in Teoria generale del diritto e dello stato, Giuffrè, Milano, 407 ss.

44 V. retro note: 16, 17, 18.

45 M. Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, Ed. San Paolo, Torino, 1996, 118, 214 ss.

46 M. Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., 465-473.

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sé-esistenziale, ma cose, fatti o eventi buoni nella misura in cui vengono anelati e desiderati e non perché ritenuti intuitivamente buoni ed il volere non è sorretto da una guida morale ma da rapporti di potenza

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Ne consegue un concetto di giustizia che non costituisce una guida per le condotte e per gli effetti che si riverberano sulle diverse volontà. Il giusto sarebbe soltanto la constatazione del volere vincente

48

.

La giustizia, quindi, sarebbe la giustificazione ex post della forza vincente perché del più forte. Il giudizio giuridico a sua volta non sarebbe terzo imparziale, ma sarebbe l’enunciato della fattualità vincente di una parte, senza motivi, né scopi, ma luogo de-soggettivato del nichilismo giuridico perfetto che utilizza la forma informe di una legalità contenitore per qualsivoglia norma

49

. La forma-contenitore e la correttezza della procedura da un lato, l’affermazione a posteriori della forza-più dall’altro, costituiscono una sorta di ossatura ontologica della funzione del nichilismo giuridico nel diritto processuale e quindi del nichilismo (giurisdizionale o) applicativo.

Entrambe dette qualificazioni sono rintracciabili nel sistema processuale civile sia con riferimento a taluni interventi legislativi, di cui si è detto, che a talune applicazioni giurisprudenziali.

Sono imputabili alla jurisdictio: talune interpretazioni formalistiche delle norme e degli istituti processuali a detrimento del diritto di difesa e del giusto processo;

la motivazione della sentenza quale espressione della iurisdictio, quel “dire il diritto” e dare contezza della decisione quando è solo apparente, vuota di contenuto o anche insufficiente

50

; l’uso strumentale di taluni procedimenti e/o istituti processuali al posto di altri a scapito della verità e della ragione effettiva in nome di principii sovrastrutturali e la tentazione pressante di riscrivere le norme e/o di dare risposte a situazioni fattuali che non trovano risposta nell’ordinamento: la giurisdizione che si appropria del compito valutativo di

47 M. Scheler, Il formalismo dell’etica e l’etica materiale dei valori. Nuovo tentativo di fondazione di un personalismo etico, cit., 214.

48 B. Romano, Id. Le funzioni del nichilismo giuridico nel nichilismo finanziario, cit. 13 ss.

49 B. Romano, Scienze giuridiche senza giurista, cit., 106-107 e ss.

50 A. Incampo, Metafisica del processo, Idee per una critica della ragione giuridica, cit., 280 ss.

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competenza propria del legislatore sacrificando quello della validità o della legittimazione che è sua propria

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.

Il momento attinente al giudizio di valore è di competenza del legislatore, al quale spetta il compito di apprestare o meno la disciplina di un determinato fenomeno avendolo ritenuto meritevole di tutela. Al giudice appartiene il momento della validità. Tale momento presuppone la legge ma non la giustizia, come a sua volta la legge presuppone il diritto, sicchè, compito della jurisdictio è appunto quello di spremere la legge e far uscire da essa la norma o le norme:

niente di più e niente di meno. Mi soffermo su alcune vicende processuali che ritengo significative espressioni di nichilismo giurisdizionale o applicativo, solo per gli aspetti funzionali al tema in argomento senza commentare le sentenze citate.

Un esempio di esaltazione del formalismo in termini quantitativi e poi anche qualitativi si rinviene in una recente sentenza del Supremo Collegio che con una interpretazione creativa ha “codificato” la lunghezza e quindi la continenza del

51 P. Costa, Iurisdictio, Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433).

Decisioni anche se interlocutorie tese a voler dare riconoscimento a tutti i costi a determinati fenomeni che devono necessariamente essere disciplinati dalla legge, mi riferisco ad ordinanze di rimessione alla Consulta per la presunta incostituzionalità del divieto di nozze tra persone dello stesso sesso, volutamente ignorando il dettato dell’art. 29 Cost. Trib. Grosseto, Ord.

9.4.2014, che ha ordinato all’ufficiale di Stato civile di trascrivere un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero. Corte Cost., sentenza, 11.6.2014, n. 170, che ha creato un orror vacui in materia di divorzio automatico imponendo al legislatore di dettare apposita disciplina sulle unioni determinatesi a seguito del c.d. divorzio automatico e di fatto imponendo la regolamentazione delle c.d. unioni civili. Queste ultime proprio perché spontanee e rilevanti sul piano dell’art. 2 Cost. dovrebbero essere libere e non già oggetto di una regolamentazione forzata come se fossero matrimoni di serie B. In campo penale, l’ordinanza collegiale del Trib.

Vibo Valentia del 18.9.2014, Pres. Dott. A. De Marco, nel proc. pen. n. 479/10 RGNR, che a fronte dell’eccezione di nullità del capo di imputazione per violazione dell’art. 429, comma 1, lett. c, c.p.p. ha invitato il P.M. ha riformulare la incolpazione sostanzialmente abrogando o riscrivendo la norma testè citata che, al comma 2, sanziona con la nullità la indeterminatezza della incolpazione. L’imputazione risponde all’esigenza di consentire all’imputato con la individuazione dell’addebito di potersi difendere perché determina l’oggetto dell’accusa e di stabilire, in via tendenzialmente definitiva, il merito del giudizio, giacchè se questo potesse liberamente modificarsi senza alcun limite non sarebbe possibile alcuna difesa per il soggetto sottoposto a processo. C. Santoriello, Garantismo (processo penale), in Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento, I, Utet, Torino, 2005, p. 543-569 e in particolare p. 546-560. G.

Inzerillo, Imputato e imputazione, in Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento, I, Utet, Torino, 2005, p. 729-748.

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