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Società – Pagg. 1-29 19.03.2017

Ecco il cibo 3D. Quando a cucinare è il computer

CAGLIARI, A CENA DALLINGEGNERE DANILO SPIGA. UNICO LIMITE LA STAMPANTE NON PUÒ CUOCERE

Nessuno è stato male, neanche un leggero mal di pancia. Niente allergie o intossicazioni. «Tutto buonissimo, possiamo fare il bis?»: la signora bionda, quella più diffidente, cambia idea dopo il primo boccone. «Se non avessi visto la preparazione con i miei occhi, non avrei creduto che questo crostino fosse stato preparato con una stampante. Ne avevo sentito parlare in televisione, ma immaginavo di mangiare qualcosa al sapore di plastica». E invece il crostino al carbone vegetale, arricchito con una crema di formaggio tutta intrecciata, è davvero buonissimo. Il cibo digitale non fa a meno del gusto. Ma in tavola aggiunge molta fantasia. Alle ricette si sostituiscono i progetti e al posto del tagliere c’è un marchingegno elettronico che crea sul piatto forme nuove dai sapori tradizionali. Più che coltelli e forchette, nella cucina del futuro sono importanti i cavetti e gli hard-disk.

Il menu. Il menù della cena è ricco. L’ingegnere-chef Danilo Spiga presenta la sua pasta in almeno dieci forme diverse. «Gli ingredienti sono gli stessi di sempre: semola di grano duro e acqua, ma in proporzioni diverse. Dopo che l’abbiamo creata, comunque, questa pasta deve essere cotta: questo è il limite che gli studi stanno ancora tentando di superare. La stampante non può occuparsi della cottura, ma moltissimi alimenti vengono fuori già pronti da mangiare». Nei laboratori di «Sardegna Ricerche» hanno giocato con la fantasia e dopo anni di sperimentazioni è possibile preparare (e ovviamente mangiare) anche pietanze che sembravano ancorate in eterno alla preparazione tradizionale. La mozzarella, per esempio. «Per il momento è il prodotto più difficile che abbiamo realizzato, ma il risultato è eccellente - assicura l’ingegnere - A rendere tutto più interessante c’è il fatto che possiamo creare le forme più impensabili». Valeria Casti, una delle invitate a questa prima degustazione, assaggia e conferma: «Tutto squisito:

squisito è dir poco. Quello che stiamo mangiando smonta subito l’idea che in tanti ci eravamo fatti, quella di un cibo industriale poco genuino e senza sapore».

Nella cucina del terzo millennio, comunque, il mestolo e il fornello servono ancora. Un po’

meno il tagliere. E le ricette si chiameranno (anzi, si chiamano già) progetti. A realizzarli ci pensa obbligatoriamente un ingegnere. E lo chef che fa? Sta a guardare? In realtà, avrà ancora un ruolo molto importante. La stampante 3D per alimenti prende sì i

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comandi da un software, ma qualcuno che elabori la materia prima sarà sempre indispensabile. Perché proprio come le stampanti per la carta, anche quella da cucina ha bisogno del suo «inchiostro». Un preparato speciale che resta chiaramente competenza di un cuoco alla vecchia maniera, uno che però deve essere disposto a variare le antiche ricette, a rivedere le percentuali di ingredienti per consentire la «stampa». Il preparato si inserisce in una specie di capsula a forma di siringa, che assomiglia a una cartuccia e che trasferisce il preparato sull’ugello. Così, in qualche minuto, si creano le pietanze.

Tradizione e tecnologia. Oltre alla pasta e alla mozzarella, la stampante alimentare di

«Sardegna Ricerche» ha già sfornato molte prelibatezze. Aspetto diverso dal solito, ma gusto praticamente identico: la ricotta, il torrone e la pasta di mandorle. Il cioccolato va a ruba: il primo morso sembra un azzardo, ma in un attimo tutti si avvicinano nuovamente al vassoio. E il pasticcere Leonildo Contis, che porta avanti un laboratorio creato novant’anni fa dai nonni, approva l’innovazione. «La tradizione non teme la tecnologia, anche perché la qualità non viene meno. Una di queste macchine la vedrei bene nella mia pasticceria, aggiungerebbe molta fantasia alla nostra offerta. Ci consentirebbe di creare forme che la mano dell’uomo non potrebbe mai realizzare».

Lo chef Roberto Flore, sardo diventato famoso in Danimarca, osserva a distanza e non assaggia. «Mi incuriosisce molto, ma penso che la tradizione della cucina non si debba piegare alla tecnologia. Le mani sono l’unico modo per trasmettere ai piatti il loro sapore millenario». Ma a proposito di prodotti molto antichi, gli ingegneri stanno già sperimentando la bottarga digitale.

Nicola Pinna

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