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Come si allunga la vita ai prodotti tipici freschi della tradizione [file.pdf]

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Sardegna – Pag. 6 1 luglio 2010

Come si allunga la vita ai prodotti tipici freschi della tradizione

PORTO CONTE. Amaretti perfetti anche dopo 120 giorni di vita, pardulas morbide e fragranti dopo 45 giorni, bottarghe di muggine che non diventano scure e non hanno quelle sgradevoli muffe bianche. E’ la tecnologia, bellezza. Una tecnologia che non ha nulla di trascendentale. E’ solo frutto di una ricerca scientifica rigorosa come quella che si fa alla Porto Conte Ricerche, nell’incantevole baia di Tramariglio. I risultati delle ricerche applicate all’agroalimentare sono stati presentati ieri ai rappresentanti delle imprese nella sala convegni della Pcr. Tema dell’incontro di ieri era la valorizzazione dei prodotti agroalimentari tipici. Le relazioni si sono incentrate sul packaging innovativo per i prodotti agroalimentari. «Sono circa 80 le aziende tradizionali che hanno beneficiato dell’assistenza di Porto Conte Ricerche nell’ambito dei progetti cluster- ha ricordato il professor Sergio Uzzau, amministratore della società di Tramariglio-. Con le aziende, Porto Conte Ricerche ha individuato problematiche rilevanti per le attività produttive, dalle quali sono nati dei filoni di ricerca applicata ai diversi settori». Il tema della trasferimento delle conoscenze tecnologiche alle imprese è stato il motivo ricorrente di alcuni interventi. Ne hanno parlato Marco Tarantola (direttore di Confindustria del Nord Sardegna ieri in veste di moderatore del dibattito), Giuliano Murgia, presidente di Sardegna Ricerche, Giampiero Lavena, capo di gabinetto dell’assessore regionale alla programmazione La Spisa e il professor Giovanni Antonio Farris della facoltà di Agraria dell’università di Sassari. Tarantola dopo aver ricordato la firma del protocollo d’intesa della Confindustria del Nord Sardegna con le università sarde e la disponibilità di 20 milioni per la ricerca destinata a innovare le aziende isolane ha anche annunciato la nascita di una sezione dell’associazione degli industriali riservata alle imprese in start up.

Lavena, invece, ha annunciato per il 20 e 21 settembre a Cagliari di un importante convegno regionale sulla ricerca scientifica. E Gilberto Marras (Apisarda) ha illustrato il progetto europeo Sfida che coinvolge l’Ogliastra e le regioni Interreg. Ma è possibile fare ricerca in Sardegna? Che cosa è stato fatto finora? «La risposta è affermativa- ha detto Tonina Roggio della Pcr nella relazione introduttiva- I progetti cluster, incoraggiati dall’Ue, funzionano perchè ritagliati a misura delle aziende. I costi della sperimentazione sono a carico della Porto Conte Ricerche. Le aziende mettono a disposizione i loro laboratori nelle forme che concorderanno con i ricercatori». Attenzione, ha ricordato la Roggio, entro luglio verranno pubblicati i bandi europei: ne tengano conto le imprese

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interessate. Tonina Roggio ha parlato di una piccola azienda del Cagliaritano: le pardulas che producevano dopo due giorni erano invendibili. Grazie all’innovazione tecnologica la vita del prodotto è arrivata a 45 giorni e ora compare negli scaffali della grande distribuzione organizzata in Francia. Quell’aziendina che prima aveva tre dipendenti, ora ne ha ventuno. Non è diverso il caso degli amaretti che, perdendo acqua rapidamente, induriscono. Grazie al packaging- ha detto il ricercatore Pasquale Catzeddu- messo a punto alla Pcr, a base di un film plastico e all’uso di latte ovino in polvere e siero ovino secco, l’amaretto conserva la freschezza per 120 giorni. «In confezioni monoporzione- dice Marinella Sanna di Sabores Antigos di Belvì- i nostri amaretti vengono offerti come dessert nei voli di una grande compagnia aerea». Risolto anche il problema della conservazione di un formaggio caprino fresco: confezionato con assorbitori di ossigeno in atmosfera modificata, guadagna 3-4 settimane di vita. La soluzione per evitare l’irrancidimento del pane guttiau, invece, è una confezione in alluminio che blocca l’effetto deleterio dei raggi ultravioletti. Una buona parte dei lavori del pomeriggio sono stati dedicati agli sfarinati e al pane. Anzi ai pani tipici, come ha spiegato la ricercatrice Simonetta Fois del Pcr. Ma con quale grano? Sardo o canadese? «Ogni panificatore ha un segreto- ha detto Davide Ferreri di Lanusei- Usa un mix di sfarinati diversi a seconda di quale prodotto voglia realizzare». Antonio Farris non ci sta:«Chi vuole fare un pane tipico - ha detto - deve usare farina di grano duro sardo e lievito naturale, non grani canadesi e lievito di birra». «Vogliamo un disciplinare e un bollino di qualità - ha chiesto Tittino Galleu, mugnaio di Ozieri- Chi vuole il pane profumato del grano Creso o Cappelli deve poterlo riconoscere».

Pasquale Porcu

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