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PROPOSTE DI LETTURA PER IL GIORNO DELLA MEMORIA

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Academic year: 2022

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PROPOSTE DI LETTURA PER IL GIORNO DELLA MEMORIA

PER I PIÚ PICCOLI...

Il Giorno della Memoria spiegato ai miei nipoti, di Lia Levi, Piemme - Il battello a vapore, 2021

Una voce autorevole di nonna e grande scrittrice spiega ai bambini il significato e la necessità del giorno della memoria.

Nella parola “sensibile” è compreso tutto. Ci sono le cose apparentemente piccole, come non prendere in giro un compagno un po’ goffo, non scansare uno straniero non inserito nella classe.

Ma più di tutto conta il non sottrarsi alla sofferenza di chi ti vive accanto”.

In un dialogo fatto di domande, curiosità e riflessioni, Lia Levi racconta il significato del Giorno della Memoria. Attraverso le date della Storia, a partire dal 27 gennaio 1945, ripercorre la sua infanzia segnata dalle Leggi razziali e dall’occupazione nazista. Ma lo fa in modo speciale, rivolgendosi ai suoi nipoti e a tutti i giovani lettori che negli anni ha incontrato nelle scuole d’Italia e che le hanno posto migliaia di domande. Un libro pieno di saggezza e di amore, che tutti i ragazzi dovrebbero leggere.

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La musica del silenzio, di Luca Cognolato e Silvia Del Francia, Feltrinelli KIDS, 2020

Raul e sua sorella Marian - o “Gnoma”, come da fratello maggiore si diletta a chiamarla - sono due bambini di Budapest. Raul ama nuotare e suonare il piano; sta studiando Il flauto magico, e al suono del ritornello, Marian interrompe sempre qualsiasi gioco stia facendo per ascoltarlo incantata.

Tutto inizia in una giornata come tante, a scuola. Finché il preside entra in classe e annuncia che dal giorno seguente tutte le persone di “razza ebraica” avrebbero dovuto esibire il certificato di cittadinanza, pena il licenziamento o l’espulsione.

Poi il divieto di frequentare luoghi pubblici, di andare a scuola, di uscire dal Paese e dal quartiere, l’obbligo di indossare la stella gialla, i bombardamenti, il ghetto, i rastrellamenti, l’allontanamento dei genitori.

Per i due giovani fratelli inizia la ricerca di un posto sicuro. La salvezza arriva grazie all’incontro con “l’ambasciatore di Spagna Jorge Perlasca”, un “principe delle fiabe” per la piccola Marian - forse “ambasciatore” è un altro modo per indicare un principe, riflette la bambina.

Un principe che non si sente un eroe, e che descrive le sue gesta con grande umiltà e umanità:

“Accompagno le persone dentro le case protette dove i soldati non possono entrare e ogni giorno le sorveglio. Mi preoccupo che abbiano qualcosa da mangiare e i documenti per non essere arrestati…Quando non si ha un esercito a disposizione, per combattere il male, bisogna usare quello che l’occasione ci offre”.

Il romanzo si ispira alla storia vera di due bambini ungheresi sopravvissuti alla Shoah, venuta alla luce proprio grazie ai diari di Giorgio Perlasca. Ed è al figlio di questo Giusto, onorato da Yad Vashem dal 1989 e figura simbolo dei Giusti tra le Nazioni italiani, che è affidata la prefazione del volume. Franco Perlasca chiude il suo messaggio ai lettori riportando le parole del padre: “Vorrei che i giovani si interessassero a questa mia storia unicamente per pensare, oltre a quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e per saper opporsi a violenze del genere”.

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Il cavaliere delle stelle, di Luca Cognolato, Silvia Del Francia, Fabio Sardo, Lapis Edizioni, 2020

Si può parlare dei Giusti ai bambini?

La Shoah può essere raccontata in una favola?

Al termine di questo libro, la risposta non può essere che affermativa.

C’era una volta Giorgio Perlasca, che sogna di incontrare un cavaliere e finisce per diventarlo in prima persona.

La guerra è ciò che allontana Giorgio dalla sua Nerina, è un disegno cupo di un mondo circondato dal filo spinato e dalle bombe che cadono sui Paesi.

La persecuzione è fatta da uomini in divisa che inseguono il popolo antico costretto a portare sul petto una stella gialla “per gettarli nel fiume, che adesso non è più così blu”.

E poi c’è il cavalier Giorgio, nominato dall’ambasciatore del re di Spagna con il compito di proteggere le stelle.

I disegni saltano da un mondo medievale alle immagini della persecuzione antiebraica, senza mai spaventare il piccolo lettore. E ricordano che, con una spada forgiata nel coraggio, Giorgio Perlasca ha scelto il “bene possibile”, ha difeso chi aveva bisogno di lui ed è riuscito a portare in salvo tante vite innocenti.

È una figura eroica, quella di cavalier Giorgio, ma è anche l’esempio di un uomo comune, che dopo la guerra torna dalla sua Nerina, si toglie l’armatura per rimettere il suo cappello e gioca a carte con gli amici.

Un amico, cavalier Giorgio, di cui non dimenticare mai le gesta.

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Fino a quando la mia stella brillerà, di Liliana Segre e Daniela Palumbo, Piemme - Il battello a vapore, 2015

La sera in cui a Liliana viene detto che non potrà più andare a scuola, lei non sa nemmeno di essere ebrea. In poco tempo i giochi, le corse coi cavalli e i regali di suo papà diventano un ricordo e Liliana si ritrova prima emarginata, poi senza una casa, infine in fuga e arrestata. A tredici anni viene deportata ad Auschwitz. Parte il 30 gennaio 1944 dal binario 21 della stazione Centrale di Milano e sarà l’unica bambina di quel treno a tornare indietro. Ogni sera nel campo cercava in cielo la sua stella. Poi, ripeteva dentro di sé: finché io sarò viva, tu continuerai a brillare.

Una testimonianza rivolta ai ragazzi, unica e commovente, su uno dei passi più cupi della storia dell'Uomo.

Le valigie di Auschwitz, di Daniela Palumbo, Piemme - Il battello a vapore, 2019

Da una visita al campo di sterminio di Auschwitz nasce nell’autrice il desiderio di raccontare le storie, immaginate ma tragicamente realistiche, di quattro bambini che nell’Europa dilaniata dalle leggi razziali vivono sulla loro pelle l’orrore della deportazione. Un romanzo intenso e coinvolgente che porta il lettore, ragazzo o adulto, a riflettere su un capitolo della nostra Storia che non deve essere dimenticato.

Un libro dedicato alla Shoah, dal quale emerge uno stile asciutto e lucido che commuove e fa riflettere, un segnale in più per non dimenticare l’orrore dei campi di sterminio.

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Tutte le mie mamme, di Renata Piatkowska, Giuntina, 2018

Ma quante mamme si possono avere?!

Io ne avevo già quattro. Quella vera, che era rimasta nel ghetto; la mamma Maria a Varsavia; la mamma Ania a Otwok; e infine la mamma Irena, che mi ha aiutato per tutto quel tempo e alla quale avevo promesso di ubbidire sempre.

Il piccolo Szymon vive rinchiuso con la mamma nel ghetto di Varsavia. Un giorno, alla porta di casa bussa l'infermiera Jolanta e convince la mamma ad affidarle Szymon, salvandolo così da una morte pressoché certa. Szymon, dopo essere stato portato fuori dal ghetto con grande rischio, verrà nascosto presso varie famiglie e riuscirà a sopravvivere grazie al coraggio delle nuove mamme che di volta in volta lo accoglieranno. Solo dopo molti anni Szymon Bauman verrà a sapere che l'infermiera Jolanta in realtà si chiamava Irena Sendler e che oltre a lui ha salvato dallo sterminio

tanti altri bambini ebrei.

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PER I RAGAZZI DELLE SCUOLE MEDIE E SUPERIORI...

Il Giardino dei Giusti, di Daniele Aristarco, Einaudi Ragazzi, 2021

Quando nel 2012 Gabriele Nissim ha proposto di dedicare la Giornata europea dei Giusti (approvata dal Parlamento di Bruxelles quello stesso anno e divenuta solennità civile in Italia nel 2017) a Moshe Bejski, istituendo tale ricorrenza nella data della sua scomparsa, il 6 marzo, il pensiero è andato prima di tutto alla grande opera del “Giudice dei Giusti”.

Bejski è stato l’anima del Giardino dei Giusti di Yad Vashem a Gerusalemme, e ha improntato le scelte della Commissione dei Giusti seguendo il criterio della gratitudine.

Come ricordiamo nella sua biografia, “Per lui non era necessario essersi comportati da eroi per ottenere il riconoscimento. Il gran numero di casi segnalati a Yad Vashem dimostrava che vi era stato un reale coinvolgimento di molte persone, di gente comune, nel tentativo di strappare gli ebrei allo sterminio. Far conoscere le loro storie significava sfatare il mito che l’opposizione al nazismo fosse un’impresa quasi impossibile, che non ci fosse la possibilità concreta di aiutare i perseguitati senza correre rischi estremi. Molte volte sarebbe bastato un piccolo intervento per impedire una grande tragedia”.

Leggere questo libro in occasione del Giorno della Memoria è un grande tributo a Moshe Bejski, al suo immenso lavoro, e alle storie di tutti quei Giusti ricordati allo Yad Vashem per aver salvato la vita dei perseguitati.

Queste pagine, dedicate ai ragazzi ma che risultato piacevoli anche a un occhio adulto, scorrono tra

“storielle ebraiche”, battute, una trama che spazia da romanzo storico a spy story, episodi come le leggi razziali, il rastrellamento del ghetto di Roma, la dichiarazione di guerra e, soprattuto, voci.

Sono le voci registrate di chi è fuggito dalla deportazione, di chi ha salvato persone innocenti (“Ma per quale motivo ce l’avevano tanto con voi? Cosa hanno mai fatto gli ebrei?”, viene chiesto a un certo punto al protagonista), di chi ha dedicato la vita alla ricerca della verità.

Ha un lavoro da portare a termine, Jack La Manna. Un lavoro che lo porterà da New York a Parigi, da Roma a Gerusalemme. Affinché la memoria del bene non oscuri quella del male. Come ricorda lo stesso autore nella prefazione, “Per i molti uomini e donne che si schierarono dalla parte degli oppressi, ve ne furono molti di più che accordarono un consenso passivo o collaborarono

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attivamente alla persecuzione nazista e fascista. La memoria dei Giusti, quindi, non deve servire a deresponsabilizzare un popolo, a sminuire l’orrore di un’epoca e di una mentalità che ha portato l’umanità sull’orlo dell’autodistruzione”.

I Giusti, tuttavia, ci sono stati. Hanno permesso a molte famiglie di continuare a vivere, non hanno voltato la testa dall’altra parte anche quando prendersi cura dei perseguitati significava rischiare la vita o dover dividere un pasto che a malapena bastava per una persona sola “Quando mia madre mi ha vista arrivare con tre bambini (ebrei, sottratti dalla deportazione, n.d.r.) e dodici valigie, si è messa le mani nei capelli. C’era poco da mangiare, anche solo per noi due, ma ci siamo date da fare”.

Ecco quindi, tra le pagine del libro, le storie dei Giusti, i loro nomi: Lisa Fittko, Varian Fry, Ida Lenti Brunelli, don Gaetano Piccinini, Enrico De Angelis, padre Francesco Antonioli e padre Armando Alessandrini, Teresa e Pietro Antonini, il professor Caronia, Giovanni Borromeo, Francesco Nardecchia. Giusti tra le Nazioni, ma anche uomini e donne “giusti”: non santi né eroi, ma persone comuni che hanno scelto di non essere indifferenti, che insegnano a tutti noi che anche nei momenti più bui della storia è possibile scegliere il bene.

“Potevano fare o non fare qualcosa e hanno scelto di fare. È la scelta giusta”: è questo esempio che ci regala la fiducia e la speranza negli esseri umani. Perché chi salva una vita salva il mondo intero, ma salva anche “la propria vita o meglio, la propria umanità”.

L'ultima volta che siamo stati bambini, di Fabio Bartolomei, Edizioni e/o, 2018

Cosimo, Italo, Vanda e Riccardo hanno dieci anni e passano le giornate a giocare insieme, in una Roma martoriata dalla guerra e dalla fame. Nonostante le incertezze del conflitto, hanno trovato una loro normalità fatta di scherzi, dispetti e monellerie.

Finché un giorno Riccardo, ebreo, viene “rubato dai tedeschi” e portato “alla fine della ferrovia”, come hanno sentito dire dai grandi. Agli altri bambini questo non sta bene, perché Riccardo è un bravo bambino e non merita il “campo”. Del resto, pensano i tre amici, la colpa del suo essere ebreo è dei genitori, non sua.

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Bisogna salvarlo e serve un piano: si deve andare alla fine della ferrovia e spiegare ai tedeschi che si è trattato di un equivoco. Già, ma dov’è la fine della ferrovia? Probabilmente non lontanissimo, solo un po’ lontano, verso nord. Per raggiungerla basta seguire i binari del treno.

Inizia così l’epopea dei giovani protagonisti di L’ultima volta che siamo stati bambini di Fabio Bartolomei (2018, Edizioni e/o), un romanzo in cui tutte le tematiche della grande letteratura di viaggio si snodano nel contesto dell’Italia della guerra e delle leggi razziali. Un’epoca in cui le bombe, la fame e la paura del nemico dilaniano i rapporti umani fino alle conseguenze più tragiche.

Guidati dall’inappuntabile e integerrimo balilla Italo, Cosimo e Vanda partono per un viaggio aspro, da grandi e non da bambini, nel quale impareranno forzatamente i valori della fratellanza e della lealtà e metteranno in dubbio l’orgogliosa retorica fascista che hanno introiettato dagli adulti.

L’improbabile fuga dei bambini dà il via a un’altra disperata missione di soccorso: quella di Agnese, suora dell’orfanotrofio che ospita Vanda, e del soldato Vittorio, fratello di Italo e strenuo difensore dell’interventismo italiano. Due mondi opposti, in cui i rispettivi dogmi si scontrano con una realtà amara e difficile da decifrare, dove le certezze si sgretolano una dopo l’altra e in cui è impossibile individuare amici e nemici, alleati e antagonisti.

Bartolomei riesce a raccontare gli orrori della guerra e la Shoah in maniera delicata e ironica, proprio come la racconterebbero i bambini. Una grande avventura in cui costruire zattere, andare a dormire senza orari e rubare galline. Un gioco che, tuttavia, ben presto smette di essere divertente e assume le coordinate del dramma. E nel quale ad un certo punto, inevitabilmente, si smette di essere bambini.

L’ultima volta che siamo stati bambini è una fiaba nera come la guerra e candida come l’animo dei protagonisti. Una storia da vivere come se fosse un road movie d’annata. Cercando, se possibile, di leggere le vicende di questa banda di monelli senza farsi condizionare dalla conoscenza dall’epilogo triste e immodificabile della Storia.

Perlasca, di Marco Mastragostino e Armando Miron Polacco, Becco Giallo, 2020

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“Sotto l’oscuro potere di un governo filo-nazista, in una città messa a ferro e fuoco dalla battaglia tra russi e tedeschi, un semplice commerciante di carni fece la cosa giusta e si trasformò in eroe.

Ecco la sua storia”.

Matteo Mastragostino, dopo le pagine scritte da Franco Perlasca, figlio di Giorgio, apre questo racconto a fumetti sulla vicenda del Giusto.

Vicenda che si apre con il ritorno di Perlasca in Italia e il racconto del suo stesso salvataggio:

prima di iniziare la storia che lo vedrà fingersi funzionario di legazione spagnolo per salvare dalle persecuzioni centinaia di ebrei a Budapest, infatti, Perlasca riuscì a fuggire dai nazisti grazie all’avvertimento di un professore.

Da qui, l’incontro con il Console spagnolo Sanz Briz, l’avvocato Farkas e i perseguitati di fronte alla legazione spagnola: “uomini, donne, vecchi, bambini dai volti pallidi e smunti, gli abiti consumati e lo sguardo, quello sguardo vuoto di chi è consapevole di non aver più un futuro”.

E ancora: Raoul Wallenberg, Adolf Eichmann, il salvataggio di migliaia di ebrei ungheresi, l’arrivo dei soldati sovietici, il ritorno in Italia, la riscoperta della sua storia e il titolo di Giusto tra le Nazioni.

Le tavole di Armando Miron Polacco e i testi di Matteo Mastragostino ci accompagnano attraverso la vita di uno dei Giusti più noti e amati. A parlare non sono solo i personaggi del libro, ma i tratti del volto di un Perlasca sincero e consapevole, dalla risposta pronta, deciso ad aiutare i più deboli anche di fronte alle minacce più esplicite.

Un libro per giovani e non solo, per riflettere sulle gesta di un uomo, ma anche sulla gratitudine che, a lui come ai tanti Giusti dell’umanità, tutti noi dobbiamo.

Dare un nome a un Giusto, ricordare la sua vicenda umana, significa toglierlo dall’anonimato e creare attorno a lui un sentimento di emulazione.

Tutti noi abbiamo la responsabilità di queste storie, della loro narrazione, per ringraziarli per il loro coraggio e riconoscere il loro valore morale; i Giusti diventano così persone vive, vicine, con una normalità che li rende quasi nostri “amici”.

Perché essere un Giusti, come Perlasca, non significa essere un eroe. “Al massimo, un sopravvissuto”.

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Il profumo di mio padre, di Emanuele Fiano, Piemme Edizioni, 2021

Un padre e un figlio al crocevia della storia: tra memoria privata e dovere, universale, di testimonianza.

«Papà aveva buchi sulle gambe, e un alluce mozzato; un numero misterioso marchiato sul braccio e spesso molte lacrime, ma non una parola che spiegasse quelle ferite e quel dolore.»

Tra Nedo, il padre sopravvissuto ai campi di concentramento, ed Emanuele, il figlio “politico”, viene alla luce un rapporto fatto di silenzi, odori e mistero, tenerezze reciproche e scoperte rivelatorie. Il profumo di mio padre è il tentativo di un passaggio di consegne di una memoria preziosa e indimenticabile e una riflessione attualissima sul male e sugli orrori del passato; ed è, allo stesso tempo, un esempio di come si possa trasformare la catastrofe in un messaggio straordinariamente educativo per le generazioni future, come è accaduto con i libri di Liliana Segre e Primo Levi.

Il Tribunale del Bene. La storia di Moshe Bejski, l'uomo che creò il Giardino dei Giusti, di Gabriele Nissim, Mondadori, Milano, 2003

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Esiste a Gerusalemme, presso Yad Vashem (il Mausoleo dell’Olocausto che ricorda le vittime dello sterminio nazista) un luogo chiamato Giardino dei Giusti, dove ogni albero piantato ricorda un uomo che durante la Shoah ha salvato almeno un ebreo dalla persecuzione nazista. A idearlo è stato Moshe Bejski, che ha saputo trasformare il suo destino personale in un esempio universale.

Perseguitato dai nazisti durante l'invasione della Polonia, è scampato alla deportazione grazie all'intervento di Oskar Schindler. Dopo il conflitto mondiale Bejski ha pagato il debito di gratitudine verso il suo salvatore conducendo una campagna controcorrente affinché Schindler venisse onorato in Israele, al pari di molti altri “gentili” che salvarono la vita ad ebrei nel corso del secondo conflitto mondiale. Nella sua battaglia in favore di tutti i giusti che rischiavano di essere dimenticati, Bejski ha dovuto affrontare una dura opposizione ideologica, ma alla fine è riuscito a far riconoscere il valore straordinario della “memoria del bene” e a mostrare le infinite possibilità di rigenerazione morale anche nei momenti più estremi, e soprattutto a restituire alle vittime la speranza e la forza di ricominciare.

Ridere come gli uomini, di Fabrizio Altieri, Piemme, 2018

La grande avventura di due fratelli e un cane lupo in fuga dall'odio nazi-fasciata che ha travolto il mondo. L'autore mette in luce una delle persecuzioni meno note della storia perpetrata dai seguaci di Hitler e Mussolini: quella nei confronti dei bambini disabili.

Wolf è solo un cucciolo quando comincia l’addestramento: in poco tempo i padroni neri ne fanno un’arma infallibile, letale, che si alimenta della paura di chi gli sta accanto. Alla prima occasione Wolf decide di scappare dagli orrori della guerra e da ciò che le SS lo hanno fatto diventare. E per la prima volta incrocia uno sguardo diverso, quello di Donata, una ragazzina con la sindrome di Down che sembra non avere alcuna paura di lui. Anche Donata è in fuga.

E insieme a lei c’è suo fratello Francesco, che però non si fida del cane, non si fida di nessuno da quando ha ritrovato i corpi dei loro genitori nell’oliveto. Perché Francesco sa che l’incubo non è ancora finito: un’ombra nera e silenziosa li sta inseguendo per i boschi della Toscana, qualcuno che sta cercando Donata.

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A un passo da un mondo perfetto, di Daniela Palumbo, Piemme, 2019

Un libro che racconta di come l'amicizia possa varcare ogni confine. Un’amicizia clandestina fatta di gesti nascosti e occhiate fugaci, un’amicizia in grado di far crollare un muro invisibile e di capovolgere il mondo perfetto in cui Iris credeva di vivere.

Germania, 1944. Iris ha undici anni, quando si trasferisce con la famiglia in un paese vicino a Berlino. Il padre è un capitano delle SS promosso a vicecomandante del campo di con-centramento che sorge laggiù, mentre la madre è una donna autoritaria con una grande passione per i fiori.

La nuova casa è bellissima, grande e circondata da un immenso giardino, di cui si prende cura un giardiniere. Di lui Iris sa ben poco: sa solo che è ebreo e che tutte le mattine arriva dal campo per poi tornarci dopo il tramonto. A Iris è vietato rivolgergli la parola perché è pericoloso, ma la curiosità è più forte di lei. Comincia ad avvicinarsi di nascosto a quello sconosciuto con la testa rasata e la divisa a righe. Comincia anche a lasciargli piccoli regali nel capanno degli attrezzi, in un cassetto segreto, e lui ricambia con disegni abbozzati su un quaderno.

Così, giorno dopo giorno, tra i due nasce un’amicizia clandestina fatta di gesti nascosti e occhiate fugaci, un’amicizia in grado di far crollare il muro invisibile che li separa e di capovolgere il mondo perfetto in cui Iris credeva di vivere.

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Jan Karski. L'uomo che scoprì l'Olocausto, graphic novel di Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, Rizzoli Lizard, 2014

Evase da un gulag e dal ghetto di Varsavia, sopportò le torture delle SS e sfuggì al fuoco dei bombardamenti. Portava con sé una verità che avrebbe dovuto scuotere il mondo dalle fondamenta, ma una volta al cospetto dei potenti la sua voce si perse nell'incredulità e nell'indifferenza, schiacciata dalle ferree leggi della guerra.

Queste sono le parole inascoltate del partigiano polacco che nel 1943 denunciò a Churchill e a Roosevelt gli orrori della shoah.

Vogliamo ricordare, di Lia Levi, Teresa Buongiorno e Eliana Canova, Piemme - Il battello a vapore, 2021

Ma da dove nascono i pregiudizi verso gli ebrei? In Che cos’è l’antisemitismo? Lia Levi ci guida in un percorso di conoscenza e sensibilizzazione sul tema dell’odio razziale. Nel Giorno della Memoria ogni anno in tutto il mondo si ricordano le vittime della Shoah. Alle testimonianze di chi ha vissuto questo periodo buio si affiancano anche storie che ci aiutano a capire e a non dimenticare. Come quella di Io e Sara.

Sophie Scholl e la Rosa Bianca, di Paolo Ghezzi, Morcelliana, Brescia, 2003

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Il libro racconta la storia di Sophie School, la più giovane ad appartenere al gruppo La Rosa Bianca e tra i più famosi personaggi della Resistenza tedesca. Una ragazza limpida e coraggiosa, alla ricerca di una radicale coerenza con la sua fede cristiana, ha lottato per la libertà mettendo in gioco la sua vita, affrontando il processo e la morte con una straordinaria serenità.

Sophie Scholl, nata nel 1921 a Ulm, è stata condannata a morte e assassinata dalla giustizia nazista il 22 febbraio 1943, a Monaco di Baviera. A 21 anni, era la più giovane del gruppo della Rosa Bianca che a partire dal giugno 1942 scrisse, stampò e diffuse in parecchie migliaia di copie sei volantini di resistenza al regime. Maestra d’asilo e disegnatrice, studentessa di filosofia e biologia, la sorella minore di Hans Scholl ha compiuto un percorso esistenziale di presa di coscienza della ubriacatura hitleriana, di rifiuto critico del nazionalsocialismo, di opposizione nonviolenta alla dittatura. Figura limpida e coraggiosa, alla ricerca di una radicale coerenza con la sua fede cristiana, ha lottato per la libertà mettendo in gioco la sua breve vita e affrontando il processo e la morte con una straordinaria serenità. Nei suoi diari e nelle sue numerose lettere, ha lasciato una testimonianza di grande spessore umano, morale, culturale e politico. Tra i più famosi personaggi della resistenza tedesca, in questo libro la si racconta non come un’eroina romantica, ma come una giovane del suo tempo che ha saputo dire «no» e ne ha pagato le conseguenze.

Gli ebrei allo zoo di Varsavia, di Diane Ackerman, Sperling & Kupfer, Milano, 2009

Questa è la storia di Jan Zabiriski, direttore dello zoo di Varsavia e di sua moglie moglie Antonina.

Negli anni della Seconda guerra mondiale, hanno sottratto alla furia nazista più di trecento ebrei nascondendoli nel loro zoo.

"'Ho fatto solo il mio dovere. Se puoi salvare la vita di qualcuno, è tuo dovere provarci.' Con questa semplicità disarmante Jan Zabiriski, direttore dello zoo di Varsavia negli anni della seconda guerra mondiale, ha parlato della straordinaria impresa grazie alla quale lui e la moglie Antonina sottrassero alla furia nazista più di trecento ebrei. È il 1939, i bombardamenti tedeschi devastano lo storico zoo della capitale polacca: Jan e Antonina reagiscono allo sgomento e salvano gli animali superstiti. Ma ben presto il razzismo nazista si accanisce sugli uomini: quando iniziano i pogrom contro gli ebrei, i due coniugi non esitano a trasformare lo zoo in un rifugio per i perseguitati, creando un mondo alla rovescia in cui gli "ospiti" segreti vengono chiamati con il nome in codice degli animali di cui occupano la gabbia vuota, mentre le bestie portano nomi di persona. Al disprezzo per chi è diverso e alla follia di voler imporre alla natura un disegno mitomane, Jan e Antonina oppongono il rispetto per gli esseri viventi, che siano animali in pericolo o ebrei polacchi,

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"uomini in via d'estinzione". Basandosi sul diario di Antonina e su molte altre fonti storiche, l'autrice ha recuperato dall'oblio una storia vera di coraggio e compassione".

L'amico ritrovato, di Fred Uhlman, Feltrinelli, 1971

L'amico ritrovato racconta la storia della profonda amicizia nata sui banchi di scuola tra due sedicenni, Hans Schwarz e Konradin von Hohenfels. Benchè i due ragazzi provengano da famiglie molto diverse ( Hans è figlio di un medico ebreo, mentre Konradin appartiene a una ricca e antichissima famiglia aristocratica molto vicina ad Hitler) tra loro nascerà un affetto profondo, consolidato dalle prime comuni passioni giovanili per la filosofia, per le monete antiche e dai frequenti confronti sui temi religiosi. Sullo sfondo la Stoccarda dei primi anni Trenta, l'ambiente opprimente dell'esclusivo liceo Karl Alexander, il serpeggiante antisemitismo che inizia a diffondersi tra dagli adulti, l'incapacità di comprendere quello che sta accadendo da parte della borghesia ebrea che ancora rivendica la propria cittadinanza in una Germania che non tarderà a emanare le leggi razziali di Hitler.

Poco tempo il legame si spezza irrimediabilmente: con la promulgazione delle leggi razziali arriva anche l'ineluttabile conversione di Konradin al nazismo, e Hans, già sottoposto a continue discriminazioni, tradito anche dall'ultimo amico rimasto, si trasferisce negli Stati Uniti dagli zii. Qui inizia una nuova vita, si laurea ad Harvard e diventa un avvocato di successo, ma il dolore per quel tradimento rimarrà sempre nel suo cuore.

Solo trent'anni dopo, aprendo una lettera inviata dal vecchio liceo di Stoccarda, che chiede un contributo per costruire un monumento in memoria degli studenti caduti durante la seconda Guerra Mondiale, Hans scopre che il suo amico Konradin è stato “implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato”.

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Se questo è un uomo, di Primo Levi,Einaudi, Torino, 2005

Romanzo autobiografico di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. È la sua testimonianza dell'esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz. L'autore racconta che il libro nasce dal bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri quanto stava accadendo, di renderli partecipi.

Maus, di Art Spiegelman, Panini Comics, Roma, 2004

Maus è il primo e ormai celebre caso, pubblicato per la prima volta nel 1978, di tentativo di ricorrere all’arma fumetto per trattare la drammaticità di un tema come quello dell’Olocausto.

Come afferma lo stesso Spiegelman, la scelta del fumetto non è casuale, “è un linguaggio popolare che ne incorpora altri, un linguaggio vitale ed espressivo che parla con le mani.”

Maus è un doppio racconto. È la storia di una delle più grandi tragedie dell’umanità, l’Olocausto, vista con la lente deformante di una satira che racconta gli ebrei come topi, i tedeschi nei panni di gatti crudeli e i polacchi come maiali. Ma anche la storia del rapporto tra lo stesso autore e suo padre, sopravvissuto all’Olocausto, un rapporto complesso in cui un ruolo centrale assume proprio la ricostruzione della memoria, ciò che fa di questo volume un capolavoro assoluto e indiscusso nel suo genere.

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