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Nella sua versione più semplice, un sistema Radar si presenta come in Figura I.1 [Ber 05]; in essa si distinguono i blocchi di trasmissione e di ricezione:

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CAPITOLO I

Ambiguità Radar e algoritmi CA e CRT

I.1.1 Nozioni di teoria e tecnica Radar

Nella sua versione più semplice, un sistema Radar si presenta come in Figura I.1 [Ber 05]; in essa si distinguono i blocchi di trasmissione e di ricezione:

Figura I.1 – Principio di funzionamento del Radar [Ber 05].

Il trasmettitore genera ed irradia la forma d’onda più opportuna, conferendole una determinata potenza; il ricevitore rivela ed elabora l’eventuale eco di ritorno prodotta da un bersaglio che si trova nello spazio circostante il sistema.

Oltre la funzione di rivelazione un Radar può anche eseguire la stima dei cosiddetti parametri cinematici del bersaglio (posizione, velocità, ecc..).

Nel primo caso si parla di Radar di scoperta, nel secondo di Radar di tracking (inseguimento).

C’è però da sottolineare che nessun Radar è esclusivamente di scoperta o di tracking.

Un’altra classificazione è possibile in base alla forma d’onda trasmessa; se si irradia un

impulso ogni T

R

secondi, di durata τ , è possibile la rivelazione di echi che giungono al

(2)

ricevitore con un ritardo τ < t

0

< T

R

. In questo caso, oltre la rivelazione o meno del target, è possibile determinare la sua distanza x come:

0

2

x = ct (I.1)

dove c è la velocità di propagazione delle onde e.m. nel vuoto, pari a 3 10 ⋅

8

m s / . Si parla in questo caso di Radar ad impulsi.

Un’altra modalità di funzionamento in base alla forma d’onda trasmessa è quella presentata dal Radar ad onda continua (CW – Continuous Wave) o Radar Doppler; se il bersaglio è animato da una velocità radiale v

R

ed il Radar trasmette un segnale continuo non modulato, grazie all’effetto Doppler, il segnale ricevuto sarà caratterizzato da una frequenza che rispetto a quella dell’onda trasmessa differisce della quantità:

2

R

D

f v

= λ (I.2) Questo segnale può quindi essere rivelato da un rivelatore di fase o di frequenza e, per mezzo

della I.2, si può ricavare la velocità radiale del bersaglio.

I.1.2 Radar ad impulsi

Con riferimento alla Figura I.2 [Ber 05] illustriamo il funzionamento di un Radar ad impulsi:

Figura I.2 – Segnale trasmesso [Ber 05].

(3)

Una serie di impulsi periodici a Radio Frequenza (RF) viene trasmessa con periodo T

R

, detto Pulse Repetition Interval (PRI), mentre nell’intervallo che intercorre tra la trasmissione di due impulsi successivi si ricevono gli eventuali echi di ritorno.

Indichiamo con PRF (Pulse Repetition Frequency) l’inverso di PRI:

1

PRF = PRI (I.3) La durata τ degli impulsi trasmessi determina il potere risolutore in distanza del radar, che rappresenta la capacità dell’apparato di distinguere due bersagli vicini posti nella stessa direzione. Quando la distanza D tra due bersagli soddisfa la relazione:

2 D c τ

> (I.4)

essi possono ancora essere rivelati dal Radar come oggetti distinti. È anche possibile definire un analogo potere separatore in azimut o in elevazione, ma solo in funzione della direttività dell’antenna.

Col nome di portata base o massima distanza non ambigua si indica la quantità:

2

R na

R = cT (I.5)

La I.5 rappresenta la massima distanza oltre la quale un bersaglio lontano di grandi dimensioni viene scambiato per uno vicino, dato che la sua eco giunge nell’intervallo T

R

corrispondente all’impulso trasmesso immediatamente successivo. Gli echi dei bersagli che raggiungono il ricevitore nell’intervallo T

R

successivo a quello in cui è stato trasmesso l’impulso vengono anche detti echi di seconda traccia. In modo analogo si definiscono gli echi di terza traccia e di tracce superiori.

Si definisce portata radar R

m

la massima distanza entro la quale un certo bersaglio può essere rivelato con prestazioni fissate, dove per prestazioni si intendono la probabilità di rivelazione e quella di falso allarme.

Si indica col simbolo Ω la velocità angolare di rotazione dell’antenna. Considerando il bersaglio puntiforme, esso viene illuminato dall’antenna per un tempo pari ad α

Ω , dove α è

(4)

l’angolo a metà potenza dell’antenna. In questo tempo il bersaglio intercetta e reirradia verso il radar un numero di impulsi pari a:

R

N T

= α

Ω (I.6)

Il ricevitore elabora gli N impulsi per rivelare la presenza del bersaglio.

Si chiama cella di risoluzione elementare in volume la porzione di spazio individuata dalle coordinate R, φ e θ (distanza, elevazione e azimut) e dalle loro variazioni ∆R, ∆ φ e ∆ θ, che si suppone stia reirradiando potenza elettromagnetica, e che il radar sta esplorando per individuare l’eventuale presenza di un bersaglio (vedi Figura I.3 [Ber05]).

Figura I.3 -Cella di risoluzione in volume [Ber 05].

Il parametro ∆R rappresenta la lunghezza della cella di risoluzione in distanza, legata alla durata dell’impulso trasmesso dalla seguente relazione:

2 R c τ

∆ = (I.7)

Le grandezze ∆φ e ∆θ sono determinate dalla direttività dell’antenna e si identificano rispettivamente con gli angoli a metà potenza in elevazione e azimut α

el

e α

az

.

La suddivisione dello spazio in celle di risoluzione equivale ad una discretizzazione

dell’asse dei tempi: si può infatti immaginare il funzionamento del radar in maniera

sequenziale e discontinua. È come se l’antenna rimanesse ferma in una direzione ed il

radar esaminasse in maniera sequenziale le celle di risoluzione in distanza da quella più

(5)

vicina a quella più lontana in un tempo pari a T

R

. E’ come se l’antenna ruotasse istantaneamente di un angolo

az

N

α e la scansione venisse ripetuta.

I.2.1 Il problema delle ambiguità in distanza ed in frequenza

Consideriamo la Figura I.4 [Ric 05], che rappresenta la trasmissione Radar di due impulsi successivi TX1 e TX2 a distanza temporale PRI e la ricezione dei due echi RX1 ed RX2:

Figura I.4 – Comparsa delle ambiguità in distanza [Ric 05].

Nel caso in cui TX1 sia il primo impulso trasmesso dal Radar, si può affermare con certezza che RX1 sia una riflessione di TX1 da parte di un bersaglio posto a distanza Range A. Per RX2 si ha invece una situazione di ambiguità in distanza: questa eco infatti si potrebbe attribuire ad una riflessione dell’impulso TX2 da parte di un bersaglio a distanza Range B oppure ad una riflessione dell’impulso TX1 da parte di un bersaglio a distanza Range C. Assumendo che t

0

sia il ritardo di arrivo di RX2 rispetto all’istante di trasmissione di TX2, si vengono a determinare le seguenti possibili distanze per il target:

0

2

a

Range B = ct = R (I.8)

(6)

0

2 2

a na

ct cPRI

Range C = + = R + R (I.9)

Estendendo la I.9 per gli echi della l-esima traccia, la distanza effettiva R del target è data

t

da:

t a na

R = R + lR (I.10)

dove l è un numero intero ignoto al sistema ed R è detta distanza ambigua,

a

corrispondente ad una distanza incerta, che nel caso R

t

> R

na

il Radar associa al bersaglio.

Nel dominio della frequenza, se lo spostamento Doppler f causato dal bersaglio verifica

D

la condizione:

D Dna

f > f (I.11)

dove f

Dna

è la massima frequenza non ambigua, pari a:

2

Dna

f = PRF , (I.12)

allora il sistema associa al bersaglio uno spostamento Doppler ambiguo f

Da

tale che:

D Da

f = f + lPRF (I.13)

Data la relazione:

2

na

R c

= PRF (I.14)

che lega la massima distanza non ambigua del Radar alla PRF, e tenendo conto della I.11,

si deduce che:

(7)

1. All’aumentare della PRF si osserva una diminuzione di R

na

, e di conseguenza un aumento della probabilità che la distanza effettiva del bersaglio R superi la portata

t

base. Contemporaneamente si assiste ad una diminuzione della probabilità che lo spostamento Doppler f superi

D

2

PRF . Ad elevate PRF, quindi, il sistema è

ambiguo soltanto in distanza.

2. Diminuendo la PRF aumenta la R , e di conseguenza diminuisce la probabilità che

na

la distanza effettiva del bersaglio R

t

superi la portata base. Allo stesso tempo

aumenta la probabilità che lo spostamento Doppler f

D

superi 2

PRF . A basse

PRF allora il sistema è ambiguo soltanto in frequenza.

3. Tenendo conto dei punti 1. e 2., possiamo affermare che utilizzando PRF medie il sistema è ambiguo in entrambe le dimensioni.

Dalle formule I.2 ed I.12 si ricava la massima velocità non ambigua, data dall'espressione:

na

2

V cPRF

= F (I.15)

dove F è la frequenza di lavoro del Radar. Se la velocità effettiva del target V

t

è maggiore di V , allora il sistema associa al target una velocità ambigua

na

V

a

tale che:

t a na

V = V + lV (I.16)

Analizziamo la Figura I.5 [Ric05], in cui la curva rappresenta tutte le combinazioni

possibili ( R

na

, V

na

) per un Radar con frequenza portante F pari a 10 GHz, massima velocità

rilevabile V

max

pari 100 m/s e massima distanza rilevabile R

max

pari a 100 Km.

(8)

Figura I.5 – Possibili combinazioni (R ,Vna na) [Ric 05].

Per avere il sistema non ambiguo in distanza, R

na

deve essere maggiore o uguale ad R

max

e di conseguenza per la PRF deve valere la condizione:

max max

max

1.5KHz

2 2

na

c c

R R R PRF

PRF R

≥ ⇒ ≥ ⇒ ≤ = (I.17)

Analogamente, perché il sistema non sia ambiguo in velocità deve essere valida questa relazione:

max

max max

2 6.67 KHz

2

na

FV

V V cPRF V PRF

F c

≥ ⇒ ≥ ⇒ ≥ = (I.18)

(9)

Non potendosi verificare contemporaneamente entrambe le condizioni, non è possibile avere un Radar non ambiguo nelle due dimensioni allo stesso tempo. Si possono quindi avere diverse situazioni a seconda del valore di PRF:

1. PRF ≤ 1.5KHz : sistema ambiguo in velocità e non ambiguo in range 2. 6.67 KHz ≤ PRF ≤ 1.5 KHz : sistema ambiguo in range e in velocità 3. PRF ≥ 6.67 KHz : sistema ambiguo in range e non ambiguo in velocità

E’ possibile risolvere le ambiguità grazie alle cosiddette tecniche di deambiguity, che si basano sull'utilizzo multiplo delle PRF da parte dello stesso apparato Radar; il ricevitore, però, in questi casi, risulterà più complesso rispetto al caso tradizionale. Nell pratica, utilizzando queste tecniche, possiamo calcolare il valore del numero intero l che compare nelle formule I.10, I.13 e I.16, altrimenti incognito al sistema.

Esistono algoritmi sviluppati esclusivamente per la risoluzione delle ambiguità in una delle due dimensioni (range e Doppler), e algoritmi che invece possono essere utilizzati per la risoluzione congiunta dei due tipi di ambiguità.

Il Clustering Algorithm (CA) ed il Chinese Remainder Theorem (CRT, Teorema del Resto Cinese), oggetto di analisi in questa tesi, appartengono al secondo tipo. I prossimi due paragrafi li illustreranno nel dettaglio.

I.3.1 Definizione del Clustering Algorithm (CA)

Per l'i-esima delle N PRF utilizzate dal Radar si calcolano tutte le possibili distanze del bersaglio:

R

li

= R

ai

+ lR

nai

(I.19) dove l è un numero intero che va da 0 a

max max

i nai

k R

= R . Ordinate in senso crescente nei vettori

r r1

, , , , ,

2

ri

rN

di lunghezza

1 2

max

1,

max

1, ,

max

1,

max

1

i N

k + k + … k + k + le distanze

ottenute con la I.19 normalizzate rispetto alla lunghezza della cella di risoluzione spaziale

∆ , per ogni PRF viene selezionata la distanza più piccola (e quindi il primo elemento di

R

ogni vettore) e si calcola la funzione costo definita dall’espressione [Tru93]:

(10)

( )

0 2 1

0 1

N

R i

i

C r r

N

=

= ∑ − (I.20)

dove r è il valore medio delle N distanze utilizzate nel calcolo della I.19, rappresentate nella formula dal termine r . L’algoritmo procede iterativamente eliminando la più piccola

0i

delle distanze selezionate al passo precedente e sostituendola con quella più vicina nello stesso vettore. Formato così un altro cluster, si calcola nuovamente la funzione costo, che al j-esimo dell'algoritmo è:

( )

0 2 1

1

j N

R i

i j

C j r r

N

+

= +

= ∑ − (I.21)

La distanza effettiva del bersaglio stimata dall’algoritmo è quella che, all’interno del cluster che minimizza C

R

( ) j , più si avvicina alla media delle distanze contenute nel cluster stesso. Data la stretta analogia tra le formule I.10 e I.16, le stesse procedure si applicano per la risoluzione delle ambiguità nel dominio della frequenza.

Esempio I.1

Dati i vettori

ra

= 1 2 1 [ ] e c c c

4

R

6

R

10

R

=  

 

∆ ∆ ∆

 

PRF

, e la massima distanza

rilevabile normalizzata r

max

= 30 , calcoliamo la distanza effettiva del bersaglio r

t

applicando il Clustering Algorithm.

Essendo:

nai

R i

r = c

2 PRF , (E I.1.1)

e sfruttando la relazione

max max

i nai

k r

= r introdotta in precedenza troviamo:

[ 2 3 5 ]

r

= (E I.1.2)

(11)

[ ]

max

= 15 10 6

k

(E I.1.3)

Conseguentemente in base alla I.19 si ha:

[ ]

[ ]

[ ]

1 2 3

= 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31

= 2 5 8 11 14 17 20 23 26 29 32

= 1 6 11 16 21 26 31

r

r r

(E I.1.4)

Riportiamo dunque in una tabella tutti i possibili cluster e i relativi costi calcolati con la I.21:

Cluster Costo Cluster Costo Cluster Costo Cluster Costo 1 2 1 0.2222 11 11 11 0 21 20 21 0.2222 31 29 31 0.8889 3 2 1 0.6667 13 11 11 0.8889 21 23 21 0.8889 31 32 31 0.2222 3 2 6 2.8889 13 14 11 1.5556 23 23 21 0.8889

3 5 6 1.5556 13 14 16 1.5556 23 23 26 2

5 5 6 0.2222 15 14 16 0.6667 25 23 26 1.5556 7 5 6 0.6667 15 17 16 0.6667 25 26 26 0.2222 7 8 6 0.6667 17 17 16 0.2222 27 26 26 0.2222 7 8 11 2.8889 17 17 21 3.5556 27 29 26 1.5556 9 8 11 1.5556 19 17 21 2.6667 27 29 31 2.6667 9 11 11 0.8889 19 20 21 0.6667 29 29 31 0.8889

Tabella I.1 – Cluster e relativi costi individuati dal CA

Il cluster con costo minimo è [11 11 11]. In base alla teoria descritta nel paragrafo precedente, l’algoritmo pone = 11 r

t

.

I.3.2 Calcolo del numero di cluster

(12)

Siamo adesso interessati a capire quanti cluster individua l'algoritmo CA, dati gli N vettori delle distanze

r r1

, , , ,

2

ri

rN

. Facciamo allora le seguenti osservazioni:

1. Se, come abbiamo detto, il cluster al passo j + è formato sostituendo l’elemento 1 minimo del cluster al passo j con l’elemento successivo dello stesso vettore

r , i

l’ultimo cluster si avrà quando l’elemento minimo del cluster risulterà anche l’elemento massimo nel rispettivo vettore.

2. Il massimo elemento del vettore

r è dato da: i

maxi ai maxi nai ai max

r = r + k r = r + r (I.22)

Per cui il minimo fra gli N elementi massimi dei vettori

r r1

, , , ,

2

ri

rN

risulta:

h = min ( ) r

ai

+ r

max

(I.23)

Dalle osservazioni fatte si deduce che l'elemento minimo dell'ultimo cluster è uguale ad h . Considerando inoltre che ad ogni sostituzione di un dato elemento con quello successivo nello stesso vettore delle distanze si genera un nuovo cluster , e che nel generico i -esimo vettore si avanza di una posizione fino a trovare il primo elemento maggiore di h (se

( )

max

ri

> h ), o fino a trovare h (se max ( )

ri

> h ), possiamo concludere che il numero totale di cluster prodotti dall'algoritmo è pari a:

1

1

N i

1

i

γ B B

=

= + ∑ = + (I.24)

dove i singoli termini B

i

della sommatoria si ricavano per l' i -esimo vettore applicando il

seguente diagramma di flusso:

(13)

Figura I.6 – Diagramma di flusso per il calcolo del numero di cluster individuati dal CA.

Esempio I.2

Dati i seguenti vettori delle distanze:

[ ]

[ ]

[ ]

[ ]

1 2 3 4

1 4 7 10 13 16 19 22 2 6 10 14 18

1 6 11 16

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21

=

=

=

=

r r r r

calcoliamo il numero di cluster individuati da CA.

Abbiamo:

h = min max   ( )

r1

, max ( )

r2

, max ( )

r3

, max ( )

r4

  = 16 (E I.2.1)

(14)

Per cui, applicando i passaggi del diagramma di flusso di Figura I.6 troviamo:

B

1

= 6, B

2

= 4, B

3

= 3, B

4

= (EI.2.2) 8

Infine, mediante la formula I.24, ricaviamo il numero totale di cluster:

4 1

1

i

22

i

γ B

=

= + ∑ = (E I.2.3)

I.3.3 Funzionamento delle routine clustering_algorithm e costo

Con riferimento all'Appendice, illustriamo il funzionamento della routine principale

clustering_algorithm

e della sub-routine

costo

, sviluppate in Matlab per calcolare la complessità del Clustering Algorithm [Not07].

Nella funzione

clustering_algorithm

le variabili di input sono il vettore

Ra

che contiene le distanze ambigue in ognuna delle m PRF , il vettore

PRF

delle m PRF e la massima distanza di interesse

Rmax

. Le variabili di output sono la matrice

Matrice_Cluster

che raccoglie i cluster prodotti dall’algoritmo, il vettore

costi

che contiene i costi associati a ciascun cluster, il vettore

cluster_ok

pari al cluster con costo minimo individuato, e la distanza effettiva del bersaglio

true_range

.

Date le relazioni

2

nai

i

R c

= PRF e

max max

i nai

k R

= R , le istruzioni sulle righe 4 e 5 definiscono rispettivamente il vettore delle portate base

Rna

e il vettore

Kmax

dei valori massimi assunti in ciascuna PRF dalla costante l utilizzata nella I.19.

Sulla riga 6 viene inizializzata la matrice

Rk

, i cui primi

max

1

k

i

+ elementi dell’ i -esima

riga, con i = 1, 2, … m , col doppio ciclo

for

successivo (righe 10-21) diventano uguali alle

possibili distanze del bersaglio calcolate con la I.19 nell’ i -esima delle m PRF , mentre i

restanti ( max ( k

maxi

) k

maxi

) elementi rimangono pari a 0. Lo zero-padding serve a riunire

nella matrice

Rk

vettori di lunghezza differente. Utilizzando i vettori dell’Esempio I.2

(15)

1 4 7 10 13 16 19 22 0 0 0

2 6 10 14 18 0 0 0 0 0 0

1 6 11 16 0 0 0 0 0 0 0

1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21

 

 

 

=  

 

 

Rk

(I.25)

L’

if

inserito nel doppio ciclo

for

(righe 15-17) calcola il secondo addendo della I.24 secondo i passaggi del diagramma di flusso di Figura I.6, cioè incrementando il contatore

beta

ogni volta che nell’i-esima riga della matrice

Rk

viene incontrato un elemento minore o uguale ad h, purché, nel caso di uguaglianza, l’elemento in questione non sia l’ultimo della riga.

L’i-esimo elemento del vettore

indice

di lunghezza m, inizializzato sulla riga 23, sarà utilizzato dal ciclo

for

successivo (righe 29-52) come indice di colonna nell’i-esima riga della matrice

Rk

.

Sulla riga 24, coerentemente alle procedure previste dal Clustering Algorithm, si definisce il primo cluster come il vettore delle distanze più piccole per ogni PRF (quindi uguale alla prima colonna della matrice

Rk

), che in seguito, sulla riga 26, viene passato alla funzione

costo

la quale implementa l’espressione I.20.

Nelle β iterazioni del

for

compreso fra le righe 29 e 52 (si effettua una iterazione per ogni cluster, escluso quello iniziale, già elaborato fra le righe 24 e 27), dato il cluster al passo j vengono trovati il cluster al passo j + 1 mediante l’aggiornamento eseguito dal

for

interno (righe 34-43), e il relativo costo con l’istruzione sulla riga 46. Infine, attraverso l’

if

compreso fra le righe 48 e 50, nella variabile

cluster_ok

si conserva il cluster con costo minimo. In particolare, nel

for

interno, dato il minimo del cluster al passo j, tramite l’

if

compreso fra le righe 36 e 39 si fa avanzare soltanto l’indice di colonna associato alla prima riga della matrice

Rk

in cui è presente un elemento minimo del cluster, ammesso che questo elemento non si trovi nella posizione

max

1

k

i

+ della generica riga i-esima, cioè l’ultima posizione utile.

Con le istruzioni che vanno dalla riga 54 alla riga 64, viene memorizzata nella variabile

true_range

la distanza effetiva del bersaglio, pari all’elemento del vettore

cluster_ok

che più si avvicina alla media degli elementi del vettore stesso.

(16)

I.4.1 Definizione del Chinese Remainder Theorem (CRT)

Come detto in precedenza, un bersaglio ad una distanza reale R

t

> R

na

sarà rivelato ad una distanza apparente R

a

tale che:

R

t

= R

a

+ lR

na

(I.41)

con l numero intero. Equivalentemente:

( )

mod

a t Rna

R = R (I.42)

Normalizzando la I.41 rispetto alla lunghezza della singola cella di risoluzione si ottiene:

x

t

= x

a

+ lXx

a

= ( ) x

t modX

(I.43)

Per la risoluzione dell’ambiguità è fondamentale operare con più di una PRF, per ciascuna delle quali si ha una diversa portata base

nai i

R = X ∆ . Si giunge così alla relazione: R

0 0 0 1 1 1

( )

mod

i i

t a a a t X

x = x + l X = x + l X = … ⇒ x = x (I.44)

chiamata set di congruenze.

Il set di congruenze può essere risolto mediante il Teorema del Resto Cinese (CRT), il quale afferma che, dati r interi X

0

, X

1

, , … X

r1

e un'espressione analoga alla I.44, esiste per

x

t

soltanto la seguente soluzione:

x

t

l

o 0

x

a0

l

1 1

x

a1

l

r 1 r1

x

ar1

= β + β + … + β (I.45)

dove

1 0,

/

r

i i j

j j i

l N N N

=

= = ∏ ( )

1 mod

( )

mod

1

i i

i

= l

i X

i i

l

X

=

β β (I.46)

(17)

Consideriamo ad esempio il caso in cui r = PRF, scelta comune per i Radar impiegati nel 3 controllo del traffico aereo. Si ha:

x

t

= ( α

0

x

a0

+ α

1

x

a1

+ α

2

x

a2 mod

)

X X X0 1 2

(I.47)

dove

2 0

i i i i j

j j i

l X

=

= = ∏

α β β

(I.48)

con β

0

, β

1

, β

2

pari agli interi più piccoli tali che:

( β X X

0 1 2 mod

)

X0

= 1, ( β X X

1 0 2 mod

)

X1

= 1, ( β X X

2 0 1 mod

)

X2

= (I.49) 1

Consideriamo inoltre x

t

=19, X

0

=11, X

1

=12 e X

2

=13. Quindi per ciascuna PRF le distanze apparenti normalizzate sono: x

a0

=(19)

mod11

=8, x

a1

=(19)

mod12

=7, x

a2

=(19)

mod13

=6. Dalla I.49 si ottiene poi β

0

=6, β

1

=11 e β

2

=7. Applicando la I.47 si ottiene la distanza stimata del bersaglio, che è proprio pari a quella reale:

x = (α x + α x + α x ) ˆ

t 0 a0 1 a1 2 a2 modX X X0 1 2

= 19 (I.50)

Un limite del CRT è la sua estrema sensibilità agli errori dovuti al rumore e alla quantizzazione delle distanze: niente infatti assicura che R

t

sia un multiplo intero di ∆R, come assunto prima.

Come conseguenza di ciò, consideriamo che nell’esempio precedente x

a1

venga calcolato uguale a 7 e non a 6. Ripetendo gli stessi procedimenti troveremmo ˆ x

t

= 943 al posto di 19, commettendo così un grave errore.

Descriviamo adesso, mediante un esempio, il funzionamento del Coincidence Algorithm,

che è sostanzialmente un’implementazione grafica del CRT. Consideriamo due bersagli

alle rispettive distanze reali normalizzate x

t1

= e 6 x

t2

= 11 . Prendiamo inoltre 3 PRF tali

che X

0

=7, X

1

=8 e X

2

=11. Il primo bersaglio risulta essere non ambiguo per ogni PRF,

(18)

mentre il secondo è ambiguo in ciascuno dei tre casi. Si ha infatti che, in base alla I.47, le distanze apparenti normalizzate sono:

1 1 1

2 2 2

0 1 2

0 1 2

6

4, 3, 2

t t t

t t t

a a a

a a a

x x x

x x x

= = =

= = = (I.51)

In Figura I.7 [Ric05] sono riportate le stesse misure, dove ad ogni casella corrisponde un incremento unitario della distanza apparente normalizzata (indicata in nero per il bersaglio ambiguo e in grigio per quello non ambiguo).

Figura I.7 – Implementazione grafica del CRT [Ric 05].

L’algoritmo procede incrementando ad ogni passo i valori trovati nella I.51 di X

0

per

PRF0

, di X

1

per

PRF1

e di X

2

per

PRF2

. Come si vede dalla Figura I.8 [Ric05], i due indici di casella in cui c’è una coincidenza fra i 3 incrementi corrispondono alle distanze stimate normalizzate dei due bersagli, e cioè, correttamente, 6 e 11.

Figura I.8 – Implementazione grafica del CRT [Ric 05].

In questo esempio, per la rivelazione due bersagli, sono state necessarie tre PRF; in

generale servono N PRF per rivelare N-1 bersagli. Se il numero di bersagli è maggiore o

uguale a N-1 si genera il fenomeno dei ghosts targets, vale a dire bersagli inesistenti che

(19)

In Figura I.9 [Ric05], dove l’esempio precedente viene ripetuto utilizzando due PRF e non tre, si illustra tale fenomeno. Vengono rilevati correttamente i due bersagli reali a

xt1=6

e

xt2=11

, ma in più viene rivelato un bersaglio fantasma a

xt3=20

.

Figura I.9 – Comparsa dei ghosts targets [Ric 05].

Le tecniche appena descritte possono anche essere utilizzate per la risoluzione delle ambiguità Doppler.

I.5.1 Risoluzione congiunta delle ambiguità Doppler e in distanza

Finora è stato descritto il funzionamento degli algoritmi CA e CRT in ambito monodimensionale, cioè per la risoluzione disgiunta delle ambiguità in range o in Doppler.

In questo paragrafo si applicano le due tecniche al fine di operare la risoluzione congiunta, necessaria ai sistemi radar che lavorano in regime di PRF medie.

Tramite la I.2, che stabilisce un legame tra la lo spostamento Doppler causato dal bersaglio e la sua velocità radiale, si è visto che è possibile trattare le ambiguità in frequenza attraverso quelle in velocità, in maniera del tutto equivalente; per l'i-esima PRF, le ambiguità in distanza, sono date dalla formula:

V

li

= V

ai

+ lV

nai

(I.52)

dove

Vai

e

Vnai

corrispondono rispettivamente alla velocità ambigua del bersaglio e alla massima velocità non ambigua, pari a:

F V

na

cPRF

i

i

= 2 (I.53)

(20)

dove F indica la frequenza di lavoro del Radar. Nella I.52 l è un numero intero che va da 0 a

max

nai

V

V , con

Vmax

massima velocità radiale raggiungibile dal bersaglio.

Se per l’i-esima PRF si riportano sull’asse delle ascisse le possibili distanze

Rli

date dalla I.19 e sull’asse delle ordinate le possibili velocità

Vli

date dalla I.52, disegnando un punto per ogni combinazione distanza-velocità, si ottiene il cosiddetto piano delle ambiguità, riportato in Figura I.10 [Tru93]:

Figura I.10 – Piano delle ambiguità in regime di PRF medie [Tru 93].

Il punto indicato dalla freccia ha coordinate

(R Vai, ai)

; inoltre il generico punto è distanziato da quello adiacente di una quantità pari ad

Rna

in orizzontale ed a

Vna

in verticale. Risulta evidente che per ogni valore di

Rli

si può ottenere un qualunque valore di

Vli

e viceversa: la conoscenza di una coordinata non vincola dunque il valore dell’altra. Per questo il calcolo congiunto della distanza effettiva

Rt

e della velocità effettiva

Vt

può essere ricondotto al calcolo disgiunto delle due grandezze mediante l’utilizzo del CA o del CRT monodimensionali.

Il CA ed il CRT operano su grandezze normalizzate rispetto alla lunghezza della cella di

risoluzione spaziale

R

(in range) o alla larghezza della cella di risoluzione in frequenza

(21)

0

D

PRF

= N (I.54)

dove

N0

è il numero di filtri che costituiscono il filtro MTD, il cui funzionamento sarà descritto nel Capitolo II. A tale proposito sorge un problema: mentre nel dominio della distanza il parametro di normalizzazione è unico per ogni PRF (

R

infatti dipende soltanto dalla durata τ del singolo impulso di trasmissione), in frequenza, come mostra la formula I.54, varia in funzione della PRF: è dunque necessario fissare un unico

D

da utilizzare negli algoritmi di deambiguity per ogni PRF. Nella scelta del Doppler bin bisogna tener conto delle due seguenti considerazioni:

1. all'aumentare della larghezza del Doppler bin aumenta anche la probabilità di risoluzione del sistema

2. all'aumentare della larghezza del Doppler bin diminuisce la precisione della stima della

fD

.

La prima si spiega considerando che la probabilità che la frequenza Doppler stimata ˆ f

D

appartenga all’effettiva cella di risoluzione in frequenza dipende anche dalla larghezza della stessa cella; la seconda considerando che

D

è pari alla cella di frequenza stimata moltiplicata per il doppler bin.

Ovviamente l’utilizzo di un unico Doppler bin per ogni PRF comporta che gli algoritmi di deambiguity commettano delle imprecisioni nell’operazione di srotolamento (unwrapping) della frequenza ambigua, indicata dalla formula I.52 nel dominio equivalente della velocità. Se però assumiamo una f

Dmax

pari a 25 KHz (corrispondente a una velocità massima del bersaglio di 1.350 Km/h) deduciamo che, visto il numero estremamente basso di ripiegamenti effettuati in frequenza, le conseguenze delle imprecisioni causate dall’utilizzo di un unico Doppler bin sono trascurabili.

Il Doppler bin può essere riportato in unità di velocità invertendo la I.2. Si ottiene così la

risoluzione in velocità

V

:

(22)

0

V

2

PRF λ

= N (I.55)

I.6.1 Funzionamento della routine clustering_algorithm2D

Con riferimento all'Appendice, descriviamo il funzionamento della routine

clustering_algorithm2D

[Not07].

Le variabili di input sono i vettori delle distanze e delle velocità ambigue normalizzate

Ra

e

Va

, la lunghezza della cella di risoluzione spaziale

Delta_R

, il Doppler bin riportato in unità di velocità

Delta_V

, la massima distanza di interesse normalizzata

Rmax

, la massima velocità radiale normalizzata

Vmax

, il vettore

PRF

delle m PRF utilizzate dal sistema e la frequenza di lavoro del radar

F

. Le variabili di output sono le matrici

Matrice_Cluster_R

e

Matrice_Cluster_V

che raccolgono i cluster prodotti dall’algoritmo rispettivamente nel caso delle distanze e delle velocità, i vettori

costi_R

e

costi_V

che contengono i costi associati a ciascun cluster, i vettori

cluster_ok_R

e

cluster_ok_V

pari al cluster con costo minimo individuato nei due casi, la distanza stimata del bersaglio

true_range

e la velocità radiale stimata

true_velocity

. In base alle formule I.14 e I.15, nelle righe 4 e 5 vengono calcolati il vettore delle portate base normalizzate

Rna

ed il vettore delle massime velocità non ambigue normalizzate

Vna

. Nelle righe 7 e 8 mediante la chiamata della funzione

clustering_algorithm1

si applica il Clustering Algorithm monodimensionale per la stima disgiunta della distanza e della velocità del bersaglio. L’unica differenza della routine

clustering_algorithm1

rispetto alla routine

clustering_algorithm

illustrata nel Paragrafo I.3.3, è che il gruppo di istruzioni iniziali che vanno dalla riga 3 alla riga 7 sono state modificate in modo da consentire il corretto funzionamento in ciascuna delle due dimensioni.

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