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CAPITOLO VI
IL PIT CON VALENZA DI PIANO PAESAGGISTICO ADOTTATO IL 2 LUGLIO 2014 E LA NUOVA
LEGISLAZIONE REGIONALE.
6.1 Il PIT con valenza di piano paesaggistico: caratteri generali.
Il PIT con valenza di piano paesaggistico assieme alla nuova Legge per il governo del territorio n. 65, approvata il 10 novembre 2014, rappresentano i pilastri attorno ai quali si va ridefinendo il governo del territorio nella nostra Regione. Il piano è frutto di un lungo lavoro ad oggi non ancora giunto alla sua conclusione, anche per le numerosissime osservazioni che i soggetti interessati hanno presentato alla Regione.
Già durante l’iter di formazione di questo strumento di
pianificazione si sono registrate non poche perplessità circa le
intenzioni del legislatore regionale, che hanno generato un acceso
dibattito in molti ambienti produttivi e della società civile interessati
dalle direttive del nuovo PIT; in particolare nel mondo estrattivo
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apuano sono emerse numerose proteste tanto che, ancor prima della sua adozione, sono state apportate alcune modifiche al testo del piano.
Il piano paesaggistico è lo strumento previsto dal codice nazionale dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs 42/2004) per la valorizzazione e tutela del territorio ed è stato adottato con delibera del consiglio regionale del 2 luglio 2014 facendo così scattare le norme di salvaguardia in esso racchiuse. L’articolo 38 della
«disciplina di piano» contiene le disposizioni normative che saranno applicate in regime di salvaguardia decorrenti dall’adozione del PIT e valide fino alla sua approvazione.
Questo articolo al comma 1 stabilisce che tutti gli altri strumenti
di pianificazione come i piani territoriali di coordinamento, i piani
strutturali e i regolamenti urbanistici e le relative varianti, adottati o
non alla data del 2 luglio 2014, dovranno essere elaborati e approvati
nel rispetto delle prescrizioni dettate dal piano paesaggistico, la
disposizione prevede inoltre che tali strumenti, se approvati prima
dell’approvazione del piano paesaggistico regionale, dovranno ad
esso conformarsi non potendo avere previsioni in contrasto con gli
obbiettivi di qualità previsti nelle schede d’ambito del PIT. Il
secondo comma dell’articolo 38 dispone le stesse norme per i piani
attuativi e relative varianti che si occupano dei beni paesaggistici di
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cui all’art.134 del Codice dei Beni Culturali decretandone la necessaria conformità alle indicazioni del PIT con valenza di piano paesaggistico. Il comma 3 stabilisce che, durante il periodo di salvaguardia, gli interventi da realizzarsi nelle aree e nei beni di cui all’art. 134 del Codice siano consentiti solo se conformi alle prescrizioni del piano paesaggistico.
Al comma 4 le misure di salvaguardia del piano dispongono che durante il regime di salvaguardia nella fascia di 150 m da fiumi e torrenti vengano tutelati i caratteri morfologici e figurativi degli stessi nonché gli aspetti storico-culturali del paesaggio fluviale, evitando inoltre processi di artificilizzazione degli alvei e delle aree di pertinenza fluviale e ulteriori processi di urbanizzazione, evitando così di compromettere i caratteri propri di questi ecosistemi con possibili interventi di trasformazione.
Al comma quinto dello stesso articolo il legislatore regionale ha previsto che, in attesa dell’approvazione da parte degli enti competenti dei Piani attuativi di bacino estrattivo delle Alpi apuane di cui all’art. 20 comma 1 lettera a), non è consentita l’apertura di nuove cave né la riattivazione di cave dismesse
Il comma 6 introduce l’obbligo della valutazione paesaggistica
per le attività estrattive che dovrà essere effettuata in conformità alle
Linee Guida (allegato 4 del documento di piano) e detta le modalità
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«Si tratta della prima adozione in Italia di un piano paesaggistico valido per l’intero territorio regionale, attraverso un atto che impegna l’intera assemblea regionale
1».
Il piano paesaggistico è un atto pubblico importantissimo per la Toscana, il suo compito, nelle intenzioni del legislatore regionale, è di assicurare che il paesaggio toscano nelle sue continue trasformazioni mantenga la qualità che ad esso è riconosciuta. Già dal 2000, con la Convenzione europea del paesaggio, ratificata dall’Italia nel 2006
2, è venuta ad affermarsi una nuova visione del concetto di «paesaggio» che comprende non solo le eccellenze paesaggistiche, peraltro già tutelate dai vincoli paesaggistici, ma anche la qualità dei luoghi ordinari, così come viene percepita dalle popolazioni residenti. In tal modo il PIT si propone di occuparsi non più soltanto delle eccellenze paesaggistiche e della loro conservazione, ma anche dei paesaggi delle periferie, delle campagne urbanizzate e delle aree dismesse, delle zone industriali degradate, dei bacini fluviali a rischio, cercando di non focalizzare l’attenzione soltanto sulla conservazione ma anche di favorire la creazione di regole che mantengano la qualità del territorio nelle
1 Cfr. Toscana bella ancora:il piano per il paesaggio, Regione Toscana, p.1.
2 Legge 9 gennaio 2006, n. 14 «Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000»
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trasformazioni che questo potrà avere in futuro.
La novità del PIT adottato il 2 luglio 2014 è proprio questa:
superare la tutela tradizionale del territorio basata sull’apposizione di specifici vincoli riferiti alle bellezze particolari che lo caratterizzano e sui pareri dei funzionari che rappresentano lo stato (le Sovrintendenze) in merito a singoli progetti di trasformazione ma garantire il buon governo del paesaggio e delle sue trasformazioni attraverso regole, pubblicamente deliberate e condivise, capaci di indirizzare la progettazione e anticipare le concessioni dei singoli progetti.
Il piano interpreta il paesaggio non soltanto con una valenza estetica ma come elemento strutturale, che individua le identità dei luoghi come si sono formate nel tempo attraverso lo sviluppo delle relazioni fra insediamento umano ed ambiente.
Questo tipo di approccio al paesaggio ha permesso al piano paesaggistico di assumere, quale riferimento centrale, le invarianti strutturali, già presenti nel precedente PIT concependole come regole per guidare ordinatamente la trasformazione del territorio.
La Toscana infatti ha creato il nuovo piano paesaggistico come integrazione e ammodernamento del già vigente PIT.
In questo senso il PIT con valenza di piano paesaggistico si
presenta come strumento di pianificazione regionale che al suo
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interno contiene sia una dimensione territoriale che paesistica.
Il PIT è un opera monumentale
3, sia per la vastità dei suoi scritti sia per gli ambiti di interesse che va a toccare in quanto regolamenta tutto il territorio toscano e così la vita di tutti i cittadini della regione.
Strutturalmente prende le mosse dal precedente PIT, già articolato in una parte statutaria ed una strategica, andando ad incidere e confluire in maggior misura in quella statutaria con l’unica eccezione dei
«progetti di paesaggio» che, per loro natura, trovano spazio nella parte strategica dell’elaborato. È stata introdotta anche una nuova articolazione delle invarianti strutturali, elemento chiave questo per il raccordo tra contenuti paesaggistici e territoriali.
Il piano individua quattro invarianti strutturali che, approfondite con apposite descrizioni e con l’individuazione dei valori, delle criticità e dei relativi obbiettivi di qualità, configurano nel loro insieme un atto caratterizzato da un approccio multi-settoriale. Le quattro invarianti strutturali su cui il Piano si basa sono: «i caratteri idrogeomorfologici», infatti la forte geodiversità è alle origini dei processi di territorializzazione che connotano le specialità dei diversi paesaggi urbani e rurali, «i caratteri ecosistemici», che costituiscono la struttura biotica che supporta le componenti vegetali e animali dei
3 La regione, per la redazione del PIT, si è avvalsa dell’operato del CIST ( centro interuniversitario di scienze del territorio ) che ha coinvolto docenti dei cinque principali atenei toscani.
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paesaggi toscani, «il carattere policentrico e reticolare dei sistemi insediativi», che caratterizza la Toscana con una rete di piccole e medie città di grande interesse artistico la cui differenziazione è fortemente relazionata ai caratteri idrogeomorfologici e rurali ed infine «i caratteri morfotipologici dei paesaggi rurali» che pur differenti tra loro, presentano alcuni caratteri comuni come lo stretto rapporto fra sistema insediativo e territorio agricolo, l’alta qualità architettonica e urbanistica dell’architettura rurale ecc.
Il piano parte dalla consapevolezza che il territorio con i suoi equilibri ed il paesaggio, rappresentano l’esito di una stratificazione plurimillenaria di conoscenze, da tutelare come vera ricchezza della nostra regione e che per territorio non deve intendersi solo il dato morfologico ma anche le attività e le imprese che su questo si sono sviluppate.
La morfologia e i tipi di insediamenti presenti nella nostra regione hanno prodotto una varietà di paesaggi molto particolari, influendo anche sulla vita dei cittadini e sulle attività che gli stessi hanno creato per il loro sostentamento ( piccola e media impresa).
Negli ultimi decenni, alla luce di un modello di modernizzazione
economica, si sono verificate sul nostro territorio molte
trasformazioni, incidenti anche sul paesaggio, che hanno considerato
il territorio solo come mero supporto alle funzioni produttive, con
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una scarsa attenzione per le specificità dei luoghi trasformati.
È obbiettivo del PIT riscoprire e rivalutare il territorio individuando anche nuove opportunità di sviluppo grazie a una diversa e maggiore considerazione della qualità dei paesaggi e cercando di tutelare, sia nel presente che nel futuro, un patrimonio inestimabile senza porre nuovi vincoli immobilizzanti ma creando politiche nuove di sviluppo rispettoso e sostenibile nel campo dell’economia, dell’agricoltura, del turismo e della cultura. Gli stessi vincoli, già presenti nel 64% del territorio toscano costituiranno uno strumento di chiarezza, certezza, trasparenza in un’ottica di semplificazione atta a mettere ordine in uno scenario disordinato ed indeterminato che oggi si presta a contestazioni ed abusi.
Il piano si pone tre grandi metaobbiettivi: il primo è migliorare la
conoscenza delle peculiarità identitarie che caratterizzano il territorio
toscano e il ruolo che i suoi paesaggi possono svolgere nelle
politiche di sviluppo regionale, il secondo è creare una maggiore
consapevolezza, con una più attenta considerazione del territorio,
mediante politiche integrate tra i differenti livelli di governo, il terzo
metaobbiettivo è volto a creare un rafforzamento del rapporto tra il
paesaggio e la partecipazione attiva dei cittadini che in esso possono
trovare un’identità storico/culturale.
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6.2 L’architettura del piano.
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Il piano è organizzato su due livelli, quello regionale e quello d’ambito.
Il livello regionale è a sua volta articolato in una parte che riguarda l’intero territorio regionale, trattato attraverso il dispositivo delle invarianti strutturali ed una che riguarda invece i beni paesaggistici formalmente riconosciuti come tali.
Nel livello d’ambito, formato da venti schede d’ambito, sono stati individuati le differenti caratteristiche e i diversi obbiettivi relazionati ad una porzione territoriale più ristretta andando a regolamentare in maniera più puntuale e speciale le diverse zone che caratterizzano la Toscana.
L’approccio strutturale affronta il paesaggio nella sua dinamica complessiva ne studia le regole generative ed evolutive in riferimento ad una prospettiva di lungo periodo, portando lo strumento di pianificazione ad assumere, quale riferimento centrale, le invarianti strutturali già presenti nel precedente PIT, da trattare però non come modelli vincolanti ma come regole volte ad una trasformazione ordinata del territorio, inevitabile ma non per questo negativa.
Le invarianti strutturali assumono pertanto un ruolo centrale
nell’elaborazione del piano andando anche ad incidere sui vincoli
posti sui beni paesaggistici veri e propri, creando un assetto
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I vincoli vigenti, sia quelli previsti per legge per determinate categorie di beni che quelli apposti attraverso specifici decreti nel corso del tempo, hanno subito un processo di contestualizzazione e specificazione in coerenza con i caratteri del piano paesaggistico.
I provvedimenti di vincolo descrivono sinteticamente le motivazioni della tutela ma non indicano i criteri riferiti alla compatibilità delle trasformazioni rispetto ai valori presenti nell’area vincolata. La formulazione di una specifica disciplina di uso del territorio ha quindi lo scopo di dettare regole il più possibile certe entro le quali poi gli organi competenti, all’interno del territorio, dovranno muoversi per rilasciare le autorizzazioni di pertinenza.
Come già anticipato, una questione che ha suscitato molte discussioni negli ambienti estrattivi e più in generale nell’opinione pubblica, sono state le prescrizioni per la tutela delle Alpi Apuane.
Il legislatore regionale nella creazione del PIT con valenza di
piano paesaggistico si è trovato ad affrontare anche la questione
della tutela delle Apuane nelle quali si trova una grande quantità di
cave di marmo che nel tempo hanno cambiato il profilo morfologico
delle montagne. Una vasta porzione della catena montuosa è
interessata da aree vincolate per decreto, cui si sovrappongono in
forma ancora più estesa le tutele di legge (ex Galasso) previste per le
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montagne al di sopra dei 1200 metri, per i circhi glaciali, per la zona compresa nei 200 metri dall’alveo dei fiumi e per tutti i beni paesaggistici riconosciuti come tali formalmente dallo Stato. Si tratta di aree che, sia pur in maniera minoritaria per numero di cave, quantità di materiale estratto e soggetti occupati, sono coinvolte da queste attività industriali.
L’escavazione in alcuni casi interessa cime, crinali e zone di alto valore paesaggistico e naturalistico e talvolta ha portato ad un vero e proprio cambiamento morfologico ed a un degrado paesaggistico irreversibile.
Per quanto concerne l’escavazione dei lapidei, in riferimento alla tutela dei beni paesaggistici formalmente riconosciuti, il PIT ha dovuto regolamentare le attività presenti all’interno del parco delle Apuane in quanto l’Ente Parco, pur avendo individuato una tipologia di aree specifiche, le aree contigue intercluse, interessate dalla presenza di cave, il cui esercizio deve essere regolamentato per garantirne la compatibilità con i valori ambientali e paesaggistici tutelati dal parco, a trent’anni dalla sua istituzione, non è ancora riuscito ad ottenere l’approvazione del proprio piano da parte di tutti gli enti locali coinvolti, lasciando di fatto queste zone prive di regolamentazione.
Il PIT con valenza di piano paesaggistico nel disciplinare queste
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aree ha operato uno studio approfondito dei valori paesaggistici e delle criticità relative a ciascun bacino estrattivo, individuando obbiettivi di qualità da perseguire in considerazione del contesto in cui le aziende si trovano ad operare. Infatti la ragione per cui le stesse attività estrattive furono mantenute anche all’interno del parco fu quella della stretta relazione tra le aziende lapidee e la popolazione locale, in quanto l’attività estrattiva portava benessere socio-economico .
Il legislatore regionale si è posto anche l’obbiettivo di affrontare i nuovi problemi legati alle esportazioni dei materiali, all’estrazione di materiali non di pregio e alla delocalizzazione della maggior parte delle attività di lavorazione e raffinazione che hanno determinato in un settore storicamente cardine dell’economia dei comuni apuani e a fronte di quantità estratte assai superiori a quelle del passato, un sensibile calo dell’occupazione, ora più che mai aggravato dalla pesante crisi economica che ha colpito il nostro paese.
La Regione si è trovata di fronte alla spinosa problematica di
creare un apparato di norme atte sia a tutelare le aree paesaggistiche
di maggiore pregio, come vette, creste e circhi glaciali, che a
sostenere, incentivare e promuovere un’economia ancora fortemente
dipendente dalle escavazioni lapidee. Tale struttura normativa è stata
contemperata dalla consapevolezza che l’industria marmifera riveste
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una primaria importanza nell’economia apuana, ponendo come obbiettivo, entro il 2020, il raggiungimento della lavorazione in loco del 50% del materiale estratto, prevedendo inoltre che siano le comunità locali, attraverso l’approvazione di piani attuativi di bacino, ad autorizzare le attività di cava.
Tutto l’iter che ha portato all’adozione del PIT con valenza di piano paesaggistico, il 2 luglio 2014, è stato caratterizzato da numerose proteste, provenienti sopratutto dagli imprenditori apuani del marmo, in quanto inizialmente, data la criticità dell’impatto ambientale dovuto alle attività estrattive, nella proposta di piano veniva indicato come obbiettivo del PIT la chiusura delle cave ad alta quota e il recupero del territorio, derogando a questa regola solo per materiali di particolare pregio. Queste disposizioni portavano di fatto alla chiusura all’interno del parco delle apuane di circa l’80%
delle 45 cave attive, coinvolgendo siti localizzati nei comuni di
Massa, Carrara e Fivizzano e in gran parte dell’alta Versilia. Fra gli
articoli più discussi possiamo indicare l’articolo 7 comma 3 e 4 della
proposta di piano. L’articolo disponeva al comma 3 che il rilascio
delle autorizzazioni per l’apertura di nuove attività estrattive, per
l’ampliamento di quelle in essere e per il recupero ambientale e
paesaggistico dei fronti di cava abbandonati e/o dismessi doveva
essere subordinato al parere favorevole dei competenti uffici della
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Regione Toscana che avrebbero dovuto verificarne la conformità al PIT con valenza di Piano paesaggistico, aggiungendo di fatto un ulteriore passaggio in un iter procedimentale già molto complesso ed articolato. La norma inoltre disattendeva il Testo Unico regionale secondo il quale le aree estrattive devono essere individuate mediante atti di pianificazione settoriale e che la valutazione di compatibilità con il piano paesaggistico deve essere effettuata in sede di predisposizione della pianificazione di settore, pertanto la disposizione del PIT, nel prevedere su ogni singola autorizzazione una nuova verifica di conformità con le disposizioni del piano, rendeva inutile la pianificazione di settore.
In applicazione della disciplina del piano, il comma 4 dettava norme specifiche per le attività estrattive localizzate nelle aree contigue intercluse nel territorio del Parco Regionale delle Alpi Apuane prevedendo la progressiva riduzione di tali attività a favore di funzioni coerenti con i valori e le potenzialità del territorio mediante un progetto di sviluppo da definire con un successivo ulteriore atto
4.
4 Tali disposizioni, presenti nella proposta di piano, non sono più presenti nell’attuale disciplina adottata, nella quale l’articolo 7 recita come segue:
Comma 1: L’insieme degli obiettivi generali di cui all’art. 6, comma 2 e degli obiettivi specifici richiamati al successivo comma 2 e declinati quali obiettivi di qualità nell’abaco regionale concernente l’invariante strutturale di cui al presente Capo, insieme agli indirizzi per le politiche e alle discipline d’uso contenute nelle schede
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Altra disposizione che ha suscitato numerose proteste e preoccupazioni è stato il comma 5 dell’articolo 36 della proposta di piano che poneva il divieto di ampliare i bacini delle attività estrattive già autorizzate se locate all’interno delle aree contigue intercluse. Queste norme avrebbero limitato molto le attività degli industriali del marmo i quali da subito hanno iniziato una vivace attività di protesta costellata di incontri e riunioni nelle quali hanno affrontato i numerosi problemi che il nuovo PIT con valenza di piano paesaggistico avrebbe loro comportato.
Si è così acceso un forte dibattito che ha interessato non solo gli industriali ma anche chi, estremizzando le volontà del legislatore regionale, vede nelle cave solo una causa di depauperamento del territorio e l’unica fonte dell’inquinamento di queste zone senza
d’ambito, costituiscono riferimento, secondo quanto specificato all’articolo 14, per la formazione degli strumenti della pianificazione e degli atti di governo del territorio, nonché dei piani e dei programmi che producono effetti localizzativi.
Comma 2: Gli obiettivi specifici sono riferiti a ciascuno dei seguenti sistemi morfogenetici; a) costa (a dune e cordoni; depressioni retrodunali; alta); b) fondovalle;
c) bacini di esondazione; d) depressioni umide; e) pianura (bonificata per diversione e colmate; pensile; alta); f) margine inferiore; g) margine; h) collina dei bacini neo- quaternari (litologie alternate; argille dominanti; sabbie dominanti; con livelli resistenti); i) collina calcarea; j) collina a versanti (ripidi sulle Unità Liguri; dolci sulle Unità Liguri; ripidi sulle Unità Toscane; dolci sulle Unità Toscane); k) collina su terreni neogenici (deformati; sollevati); l) collina su terreni silicei del basamento; m) montagna (silicoclastica; calcarea; su Unità da argillitiche a calcareo-marnose; antica su terreni silicei del basamento; ringiovanita su terreni silicei del basamento; ignea;
dell’Appennino esterno; n) dorsale (silicoclastica; carbonatica; vulcanica).
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tenere conto dell’importanza che le escavazioni rappresentano per l’economia del territorio e del fatto che, per quanto sia necessaria una più attenta e stringente regolamentazione dell’attività estrattiva, ad oggi non esiste una reale e seria alternativa per lo sviluppo economico dei comuni apuani.
Il PIT adottato il 2 luglio scorso ha affrontato la questione delle escavazioni in due articoli contenuti nella disciplina di piano, l’articolo 19 e l’articolo 20.
L’articolo 19 detta disposizioni di carattere generale disponendo
che, per verificare la compatibilità con i valori espressi dal territorio,
riconosciuti dagli elaborati del Piano, le nuove attività estrattive e le
varianti di carattere sostanziale ai fini paesaggistici dovranno essere
sottoposte a valutazione paesaggistica. Tale valutazione, di cui al
comma 1, viene svolta nell’ambito del procedimento autorizzativo
del Comune o dell’Ente territoriale competente al rilascio della
autorizzazione alla coltivazione di cava anche in riferimento alle
specifiche Linee guida (comma 3). Al comma 2 dello stesso articolo
viene indicato cosa si intende per varianti di carattere sostanziale ai
fini paesaggistici individuandole nelle varianti inerenti l’apertura di
nuovi distinti fronti di cava o di nuovi ingressi per l’escavazione in
sotterraneo esterni al perimetro di cava, autorizzati alla data di
pubblicazione del Piano adottato sul Burt.
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Il quarto comma detta disposizioni inerenti il reperimento dei materiali lapidei storici, che viene consentito limitatamente alle quantità indicate in specifici progetti di recupero e di restauro di manufatti di interesse storico/testimoniale, o per i nuovi progetti di alto valore culturale, previa valutazione paesaggistica secondo le Linee guida presenti nello stesso PIT.
Il comma 5 dispone che l’apertura di nuove cave e la riattivazione di cave dismesse non devono interferire in modo significativo con: i siti di importanza comunitaria (SIC), siti di importanza regionale (SIR), o zone di protezione speciale (ZPS)
5a meno che non vi siano
5 Queste aree fanno parte del progetto Natura 2000 che è il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione, istituita ai sensi della direttiva 92/43/ CEE »«habitat» per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. La rete Natura 2000 è costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), identificati dagli Stati Membri secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat, che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE «Uccelli»
concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Le aree che compongono la rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente protette dove le attività umane sono escluse; la Direttiva Habitat intende garantire la protezione della natura tenendo anche «conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali»
(Art. 2). Soggetti privati possono essere proprietari dei siti Natura 2000, assicurandone una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico. La Direttiva riconosce il valore di tutte quelle aree nelle quali la secolare presenza dell’uomo e delle sue attività tradizionali ha permesso il mantenimento di un equilibrio tra attività antropiche e natura. Alle aree agricole, per esempio, sono legate numerose specie animali e vegetali ormai rare e minacciate per la cui sopravvivenza è necessaria la prosecuzione e
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specifiche disposizioni dettate dalla normativa nazionale. Inoltre le nuove cave non devono sorgere in zone caratterizzate da particolari condizioni geomorfologiche o con i geositi puntuali, lineari e sorgenti
6, siti storici di escavazione e beni di rilevante testimonianza storica e culturale, linee di crinale e vette e zone umide Ramsar
7.
la valorizzazione delle attività tradizionali, come il pascolo o l’agricoltura non intensiva.
Nello stesso titolo della Direttiva viene specificato l’obiettivo di conservare non solo gli habitat naturali ma anche quelli seminaturali (come le aree ad agricoltura tradizionale, i boschi utilizzati, i pascoli, ecc.).Un altro elemento innovativo è il riconoscimento dell’importanza di alcuni elementi del paesaggio che svolgono un ruolo di connessione per la flora e la fauna selvatiche (art. 10). Gli Stati membri sono invitati a mantenere o all’occorrenza sviluppare tali elementi per migliorare la coerenza ecologica della rete Natura 2000 (Sito istituzionale, ministero dell’ambiente.)
6 Un Geosito è un bene naturale non rinnovabile. Un geosito può essere definito come località o area in cui è possibile individuare un interesse geologico o geomorfologico per la conservazione del territorio Si tratta in genere di architetture naturali, o singolarità del paesaggio che testimoniano i processi che hanno formato e modellato il nostro pianeta. Forniscono un contributo indispensabile alla comprensione della storia geologica di una regione e rappresentano valenze di eccezionale importanza per gli aspetti paesaggistici e di richiamo culturale, didattico – ricreativo. (ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).
7 Per «zone umide» s’intendono secondo la convenzione internazionale Ramsar siglata il 2 febbraio del 1971 «...le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri.»I siti che possiedono tali caratteristiche e che rivestono una importanza internazionale soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, possono essere inclusi nella lista delle zone umide di importanza internazionale approvata dalla convenzione stessa. Possono essere quindi considerate «zone umide»: i laghi, le torbiere, i fiumi e le foci, gli stagni, le lagune, le valli da pesca, i litorali con le acque marine costiere. Ed inoltre, tra le opere artificiali, le casse di espansione, gli invasi di ritenuta, le cavedi inerti per attività fluviale, i canali, le saline e le vasche di colmata. I siti Ramsar individuati in Italia sono attualmente 51 per una superficie totale di 60.052 ettari.
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L’ampliamento di cave attive non deve alterare in modo particolarmente invasivo gli elementi territoriali sopra indicati.
Sono permesse le attività estrattive in essere, svolte in conformità ai piani di coltivazione ed entro i termini indicati nei provvedimenti di autorizzazione. All’ultimo comma si dispone che le varianti imposte da provvedimenti delle Autorità competenti sono fatte salve se poste in conformità del DPR 128/59 del D.Lgs. 624/96 e della Guida operativa per la prevenzione e sicurezza delle attività estrattive della Regione Toscana e del Servizio Sanitario della Toscana.
L’articolo 20 si occupa in particolare dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane prescrivendo che, ferme restando le norme dell’articolo 19, le attività estrattive e la riattivazione di cave dismesse localizzate nelle Alpi Apuane sono subordinate alla definizione di un Piano attuativo, di iniziativa pubblica o privata, a scala di bacino. Questo Piano attuativo dovrà definire le quantità sostenibili e le relative localizzazioni nel rispetto della pianificazione regionale in materia di cave, degli strumenti della pianificazione territoriale ed in coerenza con gli obiettivi di qualità paesaggistica definiti per ciascun Bacino estrattivo delle Alpi Apuane all’interno delle relative Schede di cui all’Allegato 5 del PIT con valenza di piano paesaggistico. Il Piano
(Convenzione Ramsar, 2 febbraio 1971, Iran.).
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attuativo individua inoltre le cave e le discariche di cava (ravaneti) destinate ai soli interventi di riqualificazione paesaggistica. Il punto b) dello stesso articolo spiega che per quantità sostenibili sotto il profilo paesaggistico si intendono quelle che, nel rispetto del dimensionamento massimo definito dalla normativa di settore, consentono il sostegno economico alla popolazione locale attraverso lavorazioni di qualità in filiera corta del materiale lapideo ornamentale estratto, salvaguardando le Alpi Apuane in quanto paesaggio naturale e antropico unico e non riproducibile. Sarà il comune che a tal fine dovrà determinare la possibile percentuale estraibile con riferimento all’obiettivo di raggiungere al 2020 almeno il 50% delle lavorazioni in filiera corta. Alla lettera d) vengono indicati i materiali che possono essere interessati dalla estrazione; i lapidei ornamentali, i materiali per uso industriale possono essere lavorati solo se derivano dalla produzione dei materiali ornamentali, mentre, al fine di valorizzare le risorse e minimizzare gli impatti paesaggistici, la produzione di inerti è da limitare il più possibile.
Ai punti c) ed f) si dispone che, in assenza del Piano attuativo a
scala di Bacino estrattivo delle Alpi Apuane, non è ammessa
l’apertura di nuove attività estrattive e che l’apertura di nuove cave o
la riattivazione di cave dismesse e l’ampliamento di cave esistenti
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sono consentite a condizione che non richiedano la realizzazione di nuove discariche di cava (ravaneti) né la ricarica di quelle esistenti.
Per questi scarti della lavorazione è consentito soltanto il deposito provvisorio nelle discariche di cava. Infine il punto e) del primo comma dell’articolo 20 dispone che i siti di escavazione storici e i beni di rilevante testimonianza storica o culturale, connessi con l’attività estrattiva (cave storiche, vie di lizza, viabilità storiche, pareti con «tagliate» effettuate manualmente, edifici e manufatti che rappresentano testimonianze di archeologia industriale legate alle attività estrattive) sono riconosciuti dagli strumenti di governo del territorio e destinati alla sola tutela e valorizzazione paesaggistica.
Al secondo comma l’articolo 20 pone l’attenzione sui Piani
attuativi di competenza comunale disponendo che tali Piani attuativi
a scala di Bacino estrattivo delle Alpi Apuane di cui all’Allegato 5
che interessano beni paesaggistici di cui agli artt. 134 e 157 del
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio dovranno essere trasmessi
dai Comuni alla Regione entro 10 giorni dalla pubblicazione sul
BURT dell’avviso di adozione del Piano attuativo stesso. La
Regione, entro sessanta giorni dall’avvenuta trasmissione del Piano,
dovrà provvedere ad indire apposite Conferenze di servizi, le cui
procedure costitutive non potranno superare i sessanta giorni, con la
partecipazione di tutti gli Enti territoriali interessati nonché dei
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competenti uffici del Ministero, allo scopo di verificare in via preliminare il rispetto della specifica disciplina dei beni paesaggistici e semplificare il successivo iter autorizzativo la cui istruttoria, nel caso di esito positivo, consisterà nella mera verifica di conformità dei singoli interventi.
6.3 Scheda d’ambito numero due «Versilia e costa Apuana»
Come già detto il PIT con valenza di piano paesaggistico è formato da molti documenti tra questi vi sono 20 schede d’ambito che esaminano porzioni più contenute del territorio toscano e vanno ad individuare le criticità e gli obbiettivi di qualità ad essi legati.
La zona di cui ci stiamo occupando viene trattata nella scheda
d’ambito 2, intitolata Versilia e costa Apuana. Nel documento si
parla di tutti gli aspetti caratterizzanti il territorio in esame, al punto
4.1 viene preso in considerazione il patrimonio territoriale e
paesaggistico, definito come l’insieme delle strutture di lunga durata
prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti
umani. L’individuazione dei caratteri patrimoniali scaturisce
dall’esame della consistenza e dei rapporti strutturali e paesaggistici
intercorrenti fra le quattro invarianti: il sistema insediativo storico, il
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supporto idrogeomorfologico, quello ecologico e il territorio agroforestale. Esito di questo processo è la «rappresentazione valoriale» dell’ambito da cui emergono elementi e strutture complesse di particolare pregio, che svolgono un ruolo determinante per il mantenimento e la riproduzione dei caratteri fondativi del territorio. La descrizione del patrimonio territoriale e paesaggistico dell’ambito mette in relazione gli elementi strutturali e valoriali delle quattro invarianti.
Nella scheda d’ambito in esame il territorio viene articolato in tre fasce parallele: il sistema montano delle Alpi Apuane (principale eccellenza naturalistica sia a livello d’ambito che regionale) segnato da numerosi solchi vallivi e da vasti bacini estrattivi, caratterizzato storicamente da rare e sporadiche forme di insediamento; la ridotta fascia collinare, posta tra montagna e pianura, interessata da un mosaico di zone agricole terrazzate e da boschi, densamente insediata da piccoli borghi rurali in forte relazione con le aree agricole circostanti e da un’edificazione sparsa e recente; la porzione pianeggiante, estesa tra Carrara e Marina di Vecchiano, a sua volta articolata in alta pianura e sistema costiero, in gran parte artificializzata e caratterizzata dall’industria turistica.
Il paesaggio montano identifica un territorio di grande pregio
paesistico dato dalla compresenza di valori naturalistici ed
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ecosistemici (come le numerose sorgenti, gli ecosistemi rupestri ricchi di habitat e specie vegetali e animali di interesse regionale e comunitario, gli ecosistemi fluviali e torrentizi negli alti corsi, la copertura boschiva), di valori estetici come gli archi naturali del Monte Forato, le pareti simili a scogliere dei Torrioni del Corchia (tali da ricordare il paesaggio delle Alpi dolomitiche), di valori storico-testimoniali (come esempio di una particolare organizzazione territoriale che vedeva nell’economia agro silvopastorale della montagna da un lato, e nelle attività minerarie dall’altro, le proprie risorse principali), caratterizzato anche sotto il punto di vista degli insediamenti umani che, in base alle attività qui svolte, sono venuti a costituirsi. Completano il quadro dei valori patrimoniali descritti in questa porzione dell’ambito le forme glaciali, le risorse minerarie, il formidabile carsismo ipogeo. È quella della Versilia e delle Apuane una realtà d’eccellenza, non a caso, è stata riconosciuta come uno dei tre target geografici della Toscana (in ragione dei suoi alti livelli di biodiversità e di valore naturalistico) questo confermato altresì dalla presenza di un Parco regionale, di ben sette Siti Natura 2000 (SIR, SIC, ZPS) e dalla recente istituzione di un geosito UNESCO («Geoparco delle Alpi Apuane»).
Nella scheda d’ambito vengono al punto 5.1 indicati gli obiettivi
di qualità e le direttive che la regione si è posta per questo territorio,
140
tra questi, quelli relativi alle montagne sono indicate al primo ed al secondo posto. Il primo obbiettivo è la salvaguardia delle Alpi Apuane in quanto paesaggio assolutamente unico e non riproducibile. Agli enti territoriali e ai soggetti pubblici viene prescritto che negli strumenti della pianificazione, negli atti di governo del territorio e nei piani di settore, ciascuno per la propria competenza, deve provvedere a non alterare ulteriormente la morfologia e il profilo delle vette, le linee di crinale e le visuali del paesaggio storico apuano, garantendo la conservazione delle antiche vie di lizza, quali tracciati storici di valore identitario, e delle cave storiche dismesse che identificano questa zona, deve limitare l’attività estrattiva alla sola coltivazione di cave per l’estrazione di materiale lapideo ornamentale, privilegiando a tal fine la filiera produttiva locale, deve tutelare, anche attraverso il monitoraggio delle attività estrattive, le risorse idriche superficiali e sotterranee e del patrimonio carsico epigeo ed ipogeo al fine di salvaguardare gli importanti sistemi di grotte di elevato valore naturalistico e tutelare i depositi d’interesse paletnologico e paleontologico riconosciuti soprattutto nelle zone di Carrara, Pietrasanta, Seravezza e Stazzema, deve salvaguardare gli ecosistemi climax e tutelare integralmente le torbiere montane relittuali di Fociomboli e Mosceta.
Vengono inoltre prefissati quali obbiettivi della scheda d’ambito
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la riqualificazione degli ecosistemi fluviali alterati, con particolare riferimento agli alvei degradati dalla presenza di materiali inerti derivanti da adiacenti attività di cave, miniere e relative discariche, la riqualificazione ambientale e paesaggistica dei siti estrattivi abbandonati e recuperare il valore di archeologia mineraria delle cave storiche e delle antiche miniere, migliorare i livelli di compatibilità ambientale e paesaggistica delle attività estrattive in aree di elevato valore naturalistico e paesaggistico, in particolare nelle zone montane sommitali, nelle valli interne del massese e carrarese, nelle valli della Turrite Secca, del Vezza, del Serra e nella zona del Monte Corchia. Il secondo obbiettivo è ancora dedicato alla salvaguardia del paesaggio montano, cercando di contrastare i processi di abbandono delle valli interne e di recuperare il patrimonio insediativo e agropastorale di questi territori. Queste dichiarazioni di intenti sono venute a crearsi per le criticità che la regione ha riscontrato in questi luoghi. Infatti l’intensa attività estrattiva di queste zone comporta inevitabilmente delle criticità.
«Lo smantellamento fisico del paesaggio, lo stravolgimento del sistema idrologico con i relativi alti rischi a valle, l’inquinamento causato dalla marmettola e dagli idrocarburi» sono tutti fenomeni che mettono in pericolo la riproducibilità paesaggio.
Anche il sistema di alimentazione delle falde acquifere,
142
soprattutto in coincidenza delle cave, rischia di essere compromesso dalle sostanze inquinanti e i corsi d’acqua che scendono alle aree di pianura e di costa sono sottoposti a seri rischi idraulici complicati dall’influenza dell’attività estrattiva. È quindi indispensabile raggiungere un effettivo equilibrio tra attività estrattiva e conservazione del paesaggio. L’attuale distribuzione delle attività, le salvaguardie già in opera e il quadro normativo indicano la necessità di una chiara separazione tra aree accessibili all’attività estrattiva e aree di protezione della forma del paesaggio e delle falde acquifere.
6.4 – La legge regionale n. 65, 10 novembre 2014 «Norme per il governo del territorio».
Le nuove «Norme per il governo del territorio», cioè la Legge
urbanistica, approvata mercoledì 29 ottobre 2014 dal Consiglio
regionale e pubblicata sul BURT il 10 novembre, dopo nove anni
dall’entrata in vigore della Legge Regionale 1/2005, si pone gli
obiettivi di valorizzare il patrimonio territoriale e paesaggistico per
uno sviluppo regionale sostenibile e durevole, contrastare il consumo
di suolo, promuovendo il ruolo multifunzionale del territorio rurale e
sviluppare la partecipazione come componente ordinaria delle
143 procedure di formazione dei piani.
Proprio alla luce dell’esperienza applicativa della L.R. 1/2005 è emersa l’esigenza di una maggior chiarezza rispetto all’insieme degli strumenti di governo e pianificazione del territorio, dei contenuti che li caratterizzano e delle procedure che ne determinano il percorso di approvazione e vigenza.
La nuova Legge risponde all’esigenza di mantenere la
«governance territoriale», quale modello di relazioni tra soggetti pubblici competenti in materia di governo del territorio nel rispetto del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e di garantire al contempo una maggiore responsabilizzazione di ciascun soggetto.
Questa la premessa da cui è emersa la necessità di rendere
effettivo il principio, già presente nella legge 1/2005, per il quale
nuovi impegni di suolo sono ammessi solo se non sussistono
possibilità di riuso degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti,
codificando dispositivi e procedure volti a contrastare il consumo di
ulteriore suolo. La nuova Legge si propone alcuni obbiettivi
apportando delle innovazioni alle precedenti norme vigenti, le
principali innovazioni e obbiettivi introdotti sono: il contrasto al
consumo del suolo, in quanto, nonostante già la legge del 2005
avesse dichiarato che i nuovi impegni di suolo a fini insediativi e
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infrastrutturali erano consentiti esclusivamente qualora «non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti»8 a oggi il consumo di suolo è proseguito non solo per effetto delle previsioni già vigenti, ma anche in conseguenza dei nuovi impegni di suoli agricoli a fini edificatori, in assenza di verifiche effettive sulla sussistenza di possibili alternative interne alle aree già urbanizzate.
Al fine di contrastare e ridurre al minimo strettamente necessario il consumo di suolo ciò che nel testo vigente è soltanto un enunciato di principio nella nuova legge viene tradotto in una serie di dispositivi operativi concreti e il territorio urbanizzato
9definito in
8 L.R. 3 gennaio 2005, n. 1, art. 3, comma 4.
9 L.R. 65, 10 novembre 2014, articolo 4 commi 3, 4 e 5:
Comma 3: Il territorio urbanizzato è costituito dai centri storici, le aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio, turistico-ricettiva, le attrezzature e i servizi, i parchi urbani, gli impianti tecnologici, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria.
Comma 4: L’individuazione del perimetro del territorio urbanizzato tiene conto delle strategie di riqualificazione e rigenerazione urbana, ivi inclusi gli obiettivi di soddisfacimento del fabbisogno di edilizia residenziale pubblica, laddove ciò contribuisca a qualificare il disegno dei margini urbani.
Comma 5: Non costituiscono territorio urbanizzato:
a) le aree rurali intercluse, che qualificano il contesto paesaggistico degli insediamenti di valore storico e artistico, o che presentano potenziale continuità ambientale e paesaggistica con le aree rurali periurbane, così come individuate dagli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica dei comuni, nel rispetto delle disposizioni del PIT;
b) l’edificato sparso o discontinuo e le relative aree di pertinenza.
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modo puntuale, differenziando le procedure per intervenire all’interno di questo da quelle per la trasformazione in aree esterne, con particolare riferimento alla salvaguardia del territorio rurale, promuovendo il riuso e la riqualificazione delle aree urbane degradate o dismesse.
Fermo restando la definizione puntuale di ciò che è territorio urbanizzato, i Comuni nell’individuarne il perimetro dovranno tenere conto delle strategie di riqualificazione e rigenerazione urbana, purché ciò contribuisca a qualificare il disegno dei margini urbani.
Nelle aree esterne al territorio urbanizzato non sono consentite nuove edificazioni residenziali. I limitati impegni di suolo per destinazioni diverse da quella residenziale sono in ogni caso assoggettati al parere obbligatorio della «conferenza di copianificazione d’area vasta»
10, chiamata a verificare puntualmente,
10 L.R. n. 65, 10 novembre 2014 art. 25 commi 3, 4 e 5:
Comma 3: La conferenza di copianificazione è costituita dai legali rappresentanti della Regione, della provincia o della città metropolitana, del comune interessato o dell’ente responsabile dell’esercizio associato, o loro sostituti sulla base dell’ordinamento dell’ente. Alla conferenza partecipano, senza diritto di voto, anche i legali rappresentanti dei comuni eventualmente interessati da effetti territoriali sovracomunali derivanti dalle previsioni, tenuto conto degli ambiti di cui all’articolo 28.
Comma 4: La conferenza di copianificazione è convocata dalla Regione entro trenta giorni dalla richiesta dell’amministrazione che intende proporre le previsioni. In sede di convocazione la Regione individua gli eventuali comuni interessati da effetti territoriali sovracomunali, i quali possono partecipare ed offrire contributi ai lavori
146
oltre alla conformità al PIT, che non sussistano alternative di riutilizzazione o riorganizzazione di insediamenti e infrastrutture esistenti. Inoltre la conferenza dovrà anche valutare la necessità della perequazione territoriale per compensare vantaggi e oneri delle nuove previsioni. Infine, per promuovere il riuso e la riqualificazione del territorio urbanizzato, sono introdotte semplificazioni per le procedure urbanistiche.
Altra innovazione riguarda la correttezza delle procedure ed efficacia delle norme di legge sotto forma di conferenza paritetica
11.
La legge previgente attribuiva una forte autonomia a ciascun ente territoriale nel procedimento di formazione degli strumenti della pianificazione comportando interpretazioni anche piuttosto divergenti delle norme di riferimento da parte dei singoli enti. La conferenza paritetica interistituzionale, unico strumento di trattazione dei conflitti previsto, per riconoscimento unanime di tutte le sue componenti, ha funzionato in modo apprezzabile, senza avere
della conferenza. Tutte le amministrazioni chiamate a partecipare alla conferenza danno avviso sul proprio sito istituzionale della data in cui si svolge, nonché dell’oggetto dalla stessa trattato. La conferenza si svolge presso la Regione. Ai soggetti partecipanti sono trasmessi gli elaborati relativi alla previsione in esame almeno quindici giorni prima della data fissata per la prima riunione della conferenza e le motivazioni della proposta.
Comma 5: La conferenza di copianificazione verifica che le previsioni proposte siano conformi al PIT, che non sussistano alternative sostenibili di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e infrastrutture esistenti, e indica gli eventuali interventi compensativi degli effetti indotti sul territorio.
11 Art. 47 L.R. n. 65, 10 novembre 2014.
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tuttavia il potere di rendere cogenti le proprie decisioni e mettendo così a rischio la stessa credibilità dello strumento.
In seguito alla valutazione positiva del suo funzionamento la regione ha scelto di mantenere la conferenza paritetica interistituzionale come strumento di riferimento per la regolazione dei conflitti, dotandola tuttavia dei poteri necessari ad assicurare il recepimento delle proprie conclusioni, e richiamando il ruolo di tutti i soggetti istituzionali nel far rispettare le norme di riferimento, pertanto i soggetti istituzionali, qualora ravvisino contrasti non solo tra gli strumenti della pianificazione ma anche rispetto alle disposizioni della presente legge, potranno adire la conferenza paritetica che valuterà gli adeguamenti prodotti a seguito delle proprie conclusioni e relative richieste, se gli adeguamenti saranno valutati negativamente, l’atto, o la parte di esso in questione, non assumerà efficacia.
Per quanto riguarda la tutela del territorio la legge parte dalla consapevolezza dell’assenza di una definizione chiara di «statuto»
del territorio e delle sue «invarianti strutturali», gran parte dei piani
redatti ai sensi delle leggi regionali 5/95 e 1/05 hanno interpretato lo
statuto come elencazione di beni culturali e aree protette, dunque
come vincoli anziché regole di corretta trasformazione dell’intero
territorio, rendendo inefficace la relazione tra componente statutaria
148 e componente strategica dei piani.
L’introduzione del concetto di patrimonio territoriale, quale bene comune costitutivo dell’identità collettiva regionale, costituisce il riferimento per contestualizzare le «invarianti strutturali» nello statuto del territorio e promuovere una più efficace relazione tra statuto e strategia dei piani. Con il concetto di patrimonio territoriale esteso all’intero territorio regionale si realizza un avanzamento culturale che sottolinea il passaggio, per la Toscana, da una concezione vincolistica per aree specifiche alla messa in valore progettuale del territorio e del paesaggio nel suo insieme.
A questo proposito, stante l’attuale frammentazione delle pianificazioni e la necessità di una scala adeguata ad affrontare le scelte progettuali e pianificatorie che producono effetti al di là dei singoli confini comunali, per ambiti territoriali significativi anche dal punto di vista del raccordo con gli ambiti di paesaggio previsti dal Codice dei Beni Culturali e del paesaggio, si è ritenuto necessario riconoscere formalmente e promuovere forme di pianificazione intercomunali
12.
È stato introdotto e valorizzato il piano strutturale intercomunale, in applicazione della normativa statale e regionale sulle autonomie locali che, insieme alla conferenza di copianificazione, diventa
12 L.R. n. 65, 10 novembre 2014, artt. 23, 24 e 94.
149
riferimento qualificante per garantire una progettazione unitaria e multi settoriale delle trasformazioni a livello d’area vasta.
Relativamente alla tutela paesaggistica la legge del 2005 risentiva di una stesura precedente il Codice dei beni culturali e del paesaggio attualmente vigente e dunque non era adeguata ai contenuti dello stesso.
Sono stati quindi perfezionati i riferimenti alla normativa nazionale vigente in materia di tutela del paesaggio, specificando la valenza del PIT come piano paesaggistico ai sensi del Codice per i Beni Culturali e il Paesaggio. (Piano paesaggistico la cui approvazione è attualmente in corso di completamento, e che prevede azioni non solo di tutela ma anche di valorizzazione e riqualificazione dei paesaggi regionali).
Sono stati inoltre specificati i compiti dell’osservatorio regionale del paesaggio, che avrà il compito, tra l’altro, di promuovere in attuazione della Convenzione europea sul paesaggio la partecipazione delle popolazioni alla tutela e valorizzazione del patrimonio paesaggistico regionale.
Sono state previste inoltre le modalità per l’adeguamento e la
conformazione dei piani comunali al PIT con valenza di Piano
paesaggistico, dopo aver sottoscritto con il MiBACT un’importante
intesa semplificatoria.
150
6.5 – Proposta di legge «Norme in materia di cave».
In concomitanza al PIT con valenza di piano paesaggistico e alle nuove norme per il governo del territorio, è stata adottata dalla Giunta Regionale, in data 8 agosto 2014, la proposta di legge
«Norme in materia di cave». Si tratta di un atto di estrema importanza con il quale il legislatore vuole realizzare una revisione del sistema pianificatorio e recepire le indicazioni comunitarie e nazionali in materia ambientale e di semplificazione delle procedure, attribuendo alla Regione un ruolo più importante in materia di valutazione di impatto ambientale e nel controllo delle attività di cava.
È questa una proposta che punta a tutelare e valorizzare la risorsa mineraria ed a incrementare l’occupazione legata alla attività estrattiva. Tra i vai problemi che questo atto intende risolvere troviamo anche la questione dei cosiddetti «beni estimati» di Massa e di Carrara, che vengono ricondotti al patrimonio indisponibile dei comuni dopo un periodo transitorio
13.
13 Art. 32. Agri marmiferi di proprietà dei Comuni di Massa e Carrara:
Comma 1: Fermo restando quanto previsto dall’articolo 1 della legge regionale 5
151
Per quanto riguarda il nuovo sistema di pianificazione la regione diventa competente per le funzioni di pianificazione, prima spettanti anche alle province, al fine di garantire, grazie ad una visione di insieme, regole univoche per il corretto uso delle risorse minerarie sia sotto il profilo della tutela del territorio che in riferimento alle pari opportunità per le imprese di settore.
Con la creazione del PRC (piano regionale delle cave) previsto dall’articolo 6 della proposta di legge la regione intende incentivare lo sviluppo economico attraverso la stima dei fabbisogni su scala regionale delle varie tipologie di materiali, individuando i giacimenti potenzialmente sfruttabili escludendoli da attività che possano compromettere il fine estrattivo a questi riservato, individuando inoltre i comprensori estrattivi in modo da assegnare a ciascuno di essi degli obbiettivi di produzione. Un importante novità si può registrare in riferimento all’avviso pubblico, che i comuni emetteranno per la localizzazione dei siti, così da invitare i soggetti
dicembre 1995, n. 104 (Disciplina degli agri marmiferi dei Comuni di Massa e Carrara) le concessioni livellarie di agri marmiferi già rilasciate dai Comuni di Carrara e di Massa e le soppresse "vicinanze" di Carrara nonché i beni estimati di cui all’Editto della Duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina del 1 febbraio 1751, appartengono al patrimonio indisponibile comunale.
Comma 2: Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, i comuni interessati comunicano ai titolari delle concessioni e delle autorizzazioni dei beni di cui al comma 1 che gli stessi sono classificati al patrimonio indisponibile comunale e provvedono agli adempimenti finalizzati alla relativa acquisizione.