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(1)Gestione della segnalazione di un cluster di mortalità per neoplasie emolinfopoietiche Pagina 7 e sorveglianza epidemiologica nel territorio della Asl 11 di Empoli 1.1

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Gestione della segnalazione di un cluster di mortalità per neoplasie emolinfopoietiche Pagina 7 e sorveglianza epidemiologica nel territorio della Asl 11 di Empoli

1.1. InInttrroodduuzziiononee

Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), istituito dalla legge 833/78 e ispirato all’articolo 32 della Costituzione Italiana, è un sistema universalistico costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività in grado di rispondere ai bisogni di salute della popolazione secondo criteri di efficacia, efficienza, appropriatezza ed equità.

Esso negli anni ha visto avvicendarsi una serie di riforme sostanziali in un processo ancora oggi in profonda evoluzione.

Di tutte le diverse articolazioni funzionali che caratterizzano il SSN, il Dipartimento della Prevenzione è l’articolazione complessa istituzionalmente preposta “alla tutela della salute collettiva, perseguendo obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità, miglioramento della qualità della vita” (art. 7 D.Lgs. 502/92 e s.m.i.). In queste strutture trova infatti applicazione il DPCM 29 novembre 2001 per quanto concerne l’erogazione dei LEA di cui all’allegato 1 del medesimo decreto (“Livello Essenziale di Assistenza: Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica”), erogati autonomamente o in collaborazione con gli altri servizi e Dipartimenti aziendali, così come previsto dalla normativa. Questi obiettivi di salute vengono raggiunti attraverso interventi di prevenzione nella comunità e di controllo di agenti eziologici e fattori di rischio per la salute pubblica di natura chimica, fisica e biologica che provengono dall’ambiente di vita, dall’ambiente di lavoro, dagli alimenti, dagli stili di vita.

Il Dipartimento della Prevenzione è quindi la principale organizzazione dei servizi sanitari che lavora nell’ambito della Public Health, dall’OMS definita come “l’insieme di tutti i provvedimenti organizzati con la finalità di prevenire le malattie, promuovere la salute ed aumentare la sopravvivenza dell’intera popolazione. Le sue attività sono finalizzate a procurare alle popolazioni condizioni nelle quali esse possano essere sane e sono rivolte all’intera popolazione, non ai singoli pazienti o alle singole patologie”. [1]

Tra le aree di intervento in cui il suddetto LEA si articola, all’interno dell’area B “Tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati”, ed in particolare della B4, è presente come componente di programma l’elaborazione di “sistemi di monitoraggio dei principali rischi ambientali, la valutazione di possibili effetti sulla salute di esposizioni

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a fattori di rischio ambientale e la promozione di progetti/programmi di miglioramento dell’ambiente e di riduzione dell’impatto sulla salute”, da realizzarsi poi con attività di tipo comunicativo sui rischi ambientali, con controlli tecnici sugli inquinanti e con l’assistenza ad Enti e Istituzioni su rapporti ambiente e salute e su programmi di miglioramento ambientale. Dunque la sorveglianza epidemiologica, la conoscenza dei rischi ambientali cui è esposta la popolazione, la collaborazione con gli enti preposti, le attività di comunicazione specifica sui rischi ambientali sono tutte competenze richieste all’operatore di sanità pubblica, il quale è istituzionalmente chiamato, tra le varie altre responsabilità, a presidiare le conoscenze sulle interrelazioni tra ambiente e salute (sovente complesse, con una grande mole di conoscenze in continua evoluzione) e a farsene latore sia nelle dinamiche di relazione e di collaborazione tra Enti, sia nel confronto diretto con la cittadinanza, la quale sempre più spesso pone all’attenzione dei professionisti di sanità pubblica preoccupazioni su problematiche di questo tipo.

Una delle attività che gli operatori di sanità pubblica possono dover gestire è la segnalazione di un cluster di una neoplasia. Al di là di casi specifici, quali ad esempio le patologie asbesto-correlate dove sovente si può risalire a una comune esposizione professionale o le patologie epatiche (in particolare angiosarcoma) associate all’esposizione professionale a cloruro di vinile, lo studio dei cluster di patologie è molto complesso e spesso non è possibile identificare chiari eccessi di patologia o un fattore eziologico ambientale specifico. Proprio grazie a questo tipo di studi, tuttavia, è stato possibile in passato stabilire delle associazioni e poi dei nessi di causalità come nei due casi sopra menzionati.

Data la complessità dell’analisi è opportuno adottare un approccio metodologicamente robusto, che tenga conto delle specificità delle patologie indagate, delle connotazioni ambientali dell’area interessata e delle preoccupazioni della popolazione.

Nel presente elaborato saranno brevemente riportate le principali definizioni della letteratura su questo tema, l’approccio metodologico di gestione dei cluster proposto dal Center for Disease Control and Prevention di Atlanta, i principi di funzionamento e le coperture sul territorio nazionale dei Registri Tumori, che costituiscono una base conoscitiva fondamentale della frequenza delle patologie oncologiche, per poi descrivere

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un’ indagine specifica sulle neoplasie del sistema emolinfopoietico che è stata realizzata a partire dal 2008 da un gruppo di lavoro interistituzionale a seguito della segnalazione di un cluster di mortalità per leucemie in un comune della Asl 11 di Empoli. L’indagine prosegue tutt’oggi come attività di sorveglianza sanitaria della popolazione.

Saranno dunque presentati i principali risultati di questo studio a cui ho collaborato nell’ambito del tirocinio professionalizzante effettuato presso l’U.O. Ambiente e Salute del Dipartimento della Prevenzione della Asl 11 di Empoli.

1.1 I cluster di patologie: definizioni

In italiano il termine cluster è utilizzato in vari ambiti dello scibile: astronomico, militare, biologico e in generale indica un’aggregazione di materia: si può tradurre con

“grappolo”. [2] Aggregati o aumenti insoliti di casi di patologie nell’uomo si definiscono diversamente in epidemiologia a seconda della patologia di interesse. Essi sono stati storicamente oggetto di studio ed approfondimento da parte degli epidemiologi anche prima dell’individuazione dell’agente eziologico della patologia studiata; anzi, proprio dai lavori di approfondimento epidemiologico sono state acquisite nozioni su nuove associazioni causali, purtroppo non sempre recepite in breve tempo, come nei casi degli storici lavori di John Snow, James Lind e Ignàc Semmelweis. [3]

Nell’ambito delle malattie infettive si definisce epidemia, in termini probabilistici,

“un aumento statisticamente significativo della frequenza di infezione rispetto alla frequenza di infezione osservata precedentemente”. [4] Tale definizione sottolinea come il numero di casi necessari a decidere se si sia verificata o meno un’epidemia varî per ciascuna infezione e dipenda dalla frequenza endemica di quella specifica infezione in un determinato ambito territoriale o reparto o ospedale. Si definiscono invece cluster epidemici gli eventi caratterizzati dalla comparsa di alcuni casi di infezione, che condividono uno o più fattori di rischio. Non vi è in questo caso un aumento della frequenza di infezioni statisticamente significativo, motivo per il quale non si configura come una vera e propria epidemia, ma le caratteristiche epidemiologiche dei casi suggeriscono comuni fattori alla base della comparsa di infezione. [5]

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Caratteristica dello studio di eventi epidemici di natura infettiva è, in genere, una breve incubazione e quindi un breve tempo intercorrente tra l’esposizione al patogeno e lo sviluppo di una sintomatologia, elemento che consente agli epidemiologi di stimare con un certo grado di precisione la popolazione esposta al rischio e quindi di poter effettuare valutazioni circa la fonte di esposizione comune ai casi notificati, per interrompere quanto prima la catena di trasmissione del microrganismo implicato.

Anche alcune malattie non trasmissibili (noncommunicable diseases, NCDs) possono presentarsi all’attenzione delle autorità sotto forma di sospetti cluster. L’esatta definizione dei cluster di NCDs è stata dibattuta ed è mutata nel corso del tempo. Nel 1989 sono stati definiti come “un gruppo geograficamente circoscritto di eventi di dimensione e concentrazione tali da rendere improbabile che siano di natura casuale”. [6]

Un’altra definizione che si ritrova in letteratura, di poco successiva, è quella del documento “Guidelines for investigating clusters of health events”pubblicato dal Center for Disease Control and Prevention di Atlanta (CDC) del 1990: “un’aggregazione insolita, reale o percepita, di eventi di rilevanza sanitaria raggruppati nel tempo e nello spazio e che vengono segnalati ad un’autorità sanitaria”. [7] In questa definizione, quindi, venivano inclusi anche gli aggregati di casi percepiti come tali dalle comunità locali. In entrambe le definizioni, comunque, si enfatizza l’aspetto di aggregazione dei casi nelle due dimensioni dello spazio e del tempo.

Sono molteplici i cluster descritti in letteratura di patologie non trasmissibili, tra le quali si ricordano anomalie congenite, disturbi pervasivi dello sviluppo cognitivo nei bambini, SLA, suicidio, sclerosi multipla. [8-11] Senza dubbio, tuttavia, sono i cluster di neoplasie – ed in particolare di tumori dei tessuti emopoietici, come le leucemie - ad essere più frequentemente notificati e ad essere vissuti con la massima apprensione, specialmente in aree nelle quali sono presenti pressioni ambientali e massimamente se coinvolgono individui giovani. [12]

Notifiche di questo tipo tendono ad arrivare sempre più frequentemente all’attenzione delle autorità sanitarie da parte di comitati di cittadini o medici di medicina generale, soprattutto nelle aree sottoposte ad elevata pressione ambientale (siti di interesse nazionale per le bonifiche, siti di interesse regionale etc.) nelle quali si accresce la

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sensibilità e la consapevolezza della popolazione sulla relazione tra ambiente e salute, anche grazie alla disponibilità di nuovi mezzi di informazione.

Negli Stati Uniti si stima che le agenzie federali ricevano ogni anno circa 1000 segnalazioni di sospetti cluster neoplastici. [13] Il tema della gestione delle preoccupazioni della popolazione e del coinvolgimento di tutti gli attori in gioco fin dalle fasi iniziali diventa, quindi, di assoluta rilevanza per tutti gli operatori di sanità pubblica anche per finalità istituzionali di promozione ed educazione sanitaria, come sarà evidenziato in seguito.

Nel settembre 2013 sono state pubblicate le nuove linee guida CDC che definiscono nello specifico i cluster di neoplasie (e non più genericamente di eventi sanitari) e ne descrivono la metodologia di indagine e di risposta alle preoccupazioni della popolazione.

[14] Questo recente documento sarà quindi illustrato nei suoi principali contenuti per la sistematicità dell’approccio che viene proposto.

Innanzitutto, la definizione di cluster neoplastico viene così precisata:

Tale definizione può essere scorporata e analizzata nel dettaglio:







 Numero di casi superiore all’atteso: per stimare se il numero di casi osservati sia elevato in modo anomalo rispetto a quelli che ci si aspetterebbe di contare in un contesto simile (per densità di popolazione, livello socio-economico etc.) è necessario confrontarlo coi casi normalmente osservati nella popolazione oggetto di indagine.







 Casi di neoplasia: i casi di tumore devono afferire alla medesima nosologia. Talora si possono prendere in considerazione anche diverse nosologie oncologiche purché siano associate ad un fattore di rischio comune (es. radiazioni).







 Che insorge in un gruppo di persone: la popolazione all’interno della quale insorgono i casi è definita da fattori demografici (età, sesso etc.).



 In un’area geografica: i confini geografici selezionati per la valutazione della numerosità dei casi e quindi per calcolare il numero di casi attesi vanno scelti con attenzione; è possibile infatti creare o nascondere un cluster se si sceglie un’area in modo inadeguato. Questo punto è estremamente rilevante e sarà commentato in seguito.

“un numero di casi di neoplasia superiore all’atteso che insorge in un gruppo di persone in una area geografica in un definito periodo di tempo”.

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 In un periodo di tempo: il periodo di tempo scelto per l’analisi chiaramente influirà sul totale dei casi osservati e sul calcolo dell’incidenza attesa nella popolazione. Per la definizione dei confini temporali vale lo stesso concetto riportato sopra per quanto concerne la definizione dei confini geografici. Un periodo di osservazione troppo ampio tenderà ad oscurare un cluster; per contro, un periodo troppo breve tenderà a “crearlo”.

Quanto più piccola è la popolazione, tanto più ampio sarà il tempo di osservazione necessario a calcolare tassi di insorgenza di patologia stabili.

Al pari di altri documenti sul tema, emanati da agenzie governative, il CDC precisa che dietro la grande categoria di diagnosi di natura oncologica chiaramente vi sono numerosissime tipologie diverse di patologia, che come gruppo sono di comune riscontro, purtroppo, nella popolazione (tab. 1). [15] In Italia, ad esempio, si stima che oltre il 4%

della popolazione abbia ricevuto nel corso della vita una diagnosi di tumore. [16]

Tre considerazioni vengono quindi elicitate:

a. i fattori di rischio, le condizioni predisponenti, gli organi bersaglio e la frequenza di insorgenza nella popolazione, come noto, differiscono da tipologia a tipologia di neoplasia;

b. la frequenza di insorgenza aumenta con l’invecchiamento della popolazione, come sta accadendo nei paesi occidentali, e la genesi della patologia è complessa, sovente multifattoriale e derivante da interazioni multiple di fattori diversi, non ancora pienamente comprese;

c. per la maggior parte dei tumori, la lunga latenza rende complesso il tentativo di associare patologie insorte clinicamente nello stesso periodo ad eventuali esposizioni ambientali pregresse in una comunità.

Se si tratta di piccoli numeri (ad es. in caso di patologie rare), inoltre, bisogna tenere presente l’instabilità dei dati delle osservazioni e la possibilità che si verifichino fluttuazioni numeriche apparentemente cospicue tra un periodo di osservazione e l’altro per il solo effetto del caso (random fluctuations).

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REGIONE EUROPEA OMS (EURO)

Maschi Femmine Entrambi i sessi

Popolazione (in migliaia) 437141 465356 902497

N

Nuummeerroo didi nnuuoovvii ccaassii didi tutummoorree ((iinn m

miigglliiaaiiaa))

1987.2 1749.8 3737.0

Tasso standardizzato per età 292.1 219.3 248.5 Rischio di sviluppare un tumore

prima dei 75 anni (%)

29.7 21.6 25.2

NuNummeerroo ddii ddeecceessssii peperr tutummoorree (i(inn mimigglliiaaiiaa))

1080.3 851.9 1932.2

Tasso standardizzato per età 148.8 88.0 113.9 Rischio di morire per tumore

prima dei 75 anni (%)

15.6 9.2 12.2

CaCassii prpreevvaalleennttii inin 55 aannnnii,, popoppoollaazziioonnee aadduullttaa ((iinn mmiigglliiaaiiaa))

4857.5 4933.0 9790.5

Proporzione (per 100,000) 1363.8 1269.5 1314.6 5 tumori più frequenti (ordine

definito dal numero totale dei casi)

Prostata Mammella Mammella Polmone Colon-retto Colon-retto Colon-

retto

Polmone Polmone

Vescica Utero (corpo)

Prostata

Stomaco Ovaio Vescica

Tabella 1 - Incidenza, mortalità e prevalenza periodale della patologia oncologica nella regione europea dell'OMS. Fonte: WHO Summary Statistics 2012, http://globocan.iarc.fr/

Anche il National Cancer Institute (NCI) nel definire i cluster indica come elementi rilevanti nel far presumere una natura non casuale dell’evento:

a) un elevato numero di casi di una specifica nosologia;

b) l’insorgenza di più casi di un tumore raro;

c) un tipo di neoplasia che insorge in una fascia d’età non tipicamente interessata dalla stessa;

d) diverse tipologie di neoplasie che riconoscono comuni fattori di rischio che insorgono in un breve periodo di tempo. [17]

Aggregazioni di casi di NCDs possono essere individuati da sistemi di sorveglianza attiva o, più spesso, essere notificati da parte di gruppi di cittadini e costituiscono una fonte di grande preoccupazione nelle comunità, soprattutto quando si ammalano soggetti

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di giovane età. Molto spesso inoltre ingenerano grandi dibattiti nell’opinione pubblica, come recentemente accaduto anche a livello nazionale.

La maggior parte degli studi di cluster sono indagini su piccole aree coinvolgenti un numero molto piccolo di casi. [18] Questi numeri rendono l’analisi dei dati molto difficile;

per questo sono stati sviluppati vari metodi statistici specializzati per le analisi che possono aiutare nel decidere se, come e fino a che punto approfondire l’indagine. [7,19]

La distribuzione nello spazio dei casi all’interno di un’area geografica, la distribuzione nel tempo della manifestazione dei casi e, in qualche caso, l’aspetto spazio - tempo, devono quindi essere presi in esame per provare che la distribuzione dei casi non sia casuale e sia potenzialmente il risultato di una esposizione ambientale pericolosa. [20]

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1.2 Metodologia di gestione di un cluster neoplastico

Come già ricordato, è stato stimato che in un Paese come gli Stati Uniti giungano circa 1000 segnalazioni all’anno di sospetti cluster di NCDs, la maggior parte delle quali riguardano tumori; la tematica è quindi fortemente sentita dalla popolazione e si stima che richieste di indagini di questo tipo aumenteranno nei prossimi anni. [21] Anche in Italia, soprattutto nell’ultimo decennio, segnalazioni di questo tipo sono state effettuate spesso, conducendo ad indagini ad es. tra residenti in prossimità di impianti industriali, di telecomunicazione, di trattamento rifiuti o di linee elettriche. [22-24]

L’indagine su di un sospetto cluster di patologia neoplastica tenta di rispondere a due domande:

1) c’è un eccesso di patologia, che risponda a criteri statistici e di plausibilità biologica?

2) questo eccesso è associato ad una contaminazione ambientale?

Per rispondervi sono stati formulati numerosi protocolli di indagine in tutto il mondo negli ultimi 20 anni. [6,25-27] Uno di questi è quello già menzionato del CDC, recentemente rivisto, che sarà illustrato nei punti principali. Esso raccomanda un approccio stepwise che acclari la natura del fenomeno mediante approfondimenti progressivi; vengono infatti proposte quattro fasi di indagine e viene ribadito spesso che in ognuna di esse rimane di primaria importanza una comunicazione chiara, tempestiva e trasparente con la cittadinanza. Per la maggior parte delle segnalazioni, infatti, il contatto tempestivo con chi effettua la segnalazione, seguito da un appropriato follow-up nel tempo, risolve la notifica e sicuramente riveste un ruolo di grande importanza a prescindere dall’identificazione dell’eventuale agente eziologico, poiché consente di promuovere interventi di educazione sanitaria e di promozione della salute su una tematica così rilevante sulla vita di una comunità quale la prevenzione oncologica e la promozione di stili di vita salutari.

Considerando sia il cluster di eventi sanitari che un’esposizione ambientale, le situazioni che possono verificarsi sono riconducibili a 4 tipologie:

a. il cluster è riportato senza menzione di possibile causa ambientale b. sono riportati sia il cluster che la causa ambientale

c. il cluster non è notificato ma individuato da un eventuale sistema di sorveglianza

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d. sono effettuate notifiche su fattori ambientali che ingenerano preoccupazioni circa la possibilità di causare un eccesso di patologie; [28]

cui se ne può aggiungere una quinta:

e. è nota una potenziale associazione tra esposizione ambientale ed eventi sanitari, degna di approfondimento.[29]

Alcuni aspetti da tenere presenti in queste circostanze, in grado spesso di inficiare la capacità delle indagini di individuare una causa ambientale alla base degli eventuali eccessi di patologia, sono i piccoli numeri, i lunghi tempi di latenza che intercorrono tra l’esordio clinico della patologia e l’eventuale esposizione ambientale, la difficile quantificazione di quest’ultima in mancanza di dati di sorveglianza specifici e soprattutto il cambio di residenza delle persone esposte o delle persone affette.

La lunga latenza di gran parte delle neoplasie fa sì che se un individuo, per esempio, non ha vissuto nell’area oggetto di indagine nei 10 - 20 anni precedenti alla diagnosi ma si è trasferito di recente difficilmente il suo caso potrà essere riconducibile a specifiche pressioni ambientali dell’area. Per contro, in una popolazione mobile un cluster può essere misconosciuto se le persone esposte nel tempo si spostano prima della diagnosi.

[14] Lo stesso ragionamento vale anche per i casi in età pediatrica, malgrado i tempi di latenza relativamente più brevi.

Alla luce delle varie specificità brevemente riportate, vengono dunque descritte brevemente le quattro fasi di indagine.

1.2.1 1° step – Contatto iniziale e risposta

Questa prima fase prevede il reperimento di informazioni da colui che effettua la segnalazione e da Enti istituzionalmente preposti per valutare la situazione e l’opportunità di ulteriori accertamenti. L’autorità sanitaria per gestire efficacemente la segnalazione ha bisogno, in questa fase, di acquisire innanzitutto informazioni concernenti:

- il contesto demografico e ambientale da cui l’informazione proviene;

- la natura delle preoccupazioni di chi segnala un possibile cluster;

- eventuali precedenti contatti tra la comunità e le autorità sanitarie allo stesso proposito e loro esito.

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Si tratta, come le successive, di una fase interlocutoria da gestire con trasparenza e sensibilità anche nel caso in cui le preoccupazioni espresse non siano riconducibili a specifiche esposizioni. In molti casi, infatti, le indagini si concludono in questa fase, poiché l’acquisizione di informazioni sulla segnalazione può rivelare che non si tratta di un cluster neoplastico; è importante comunque mostrare empatia, saper ascoltare e cercare di comprendere a fondo le preoccupazioni ed il livello di tensione della comunità.

Le principali informazioni da acquisire invece dagli Enti istituzionalmente preposti sono finalizzate alla conoscenza della definizione e del numero dei casi, della popolazione interessata e della sua demografia, delle pressioni ambientali del contesto territoriale. A tal fine il CDC fa particolare riferimento al reperimento dei dati provenienti dai Registri Tumori, dai Registri di Mortalità, dalle Agenzie per la Protezione Ambientale e dai dati di censo.

a) Ai Registri Tumori (RT), il CDC si riferisce come “fonte vitale di dati” per queste indagini. In effetti si tratta della migliore fonte di dati per quanto riguarda le valutazioni della frequenza della patologia neoplastica nello spazio e nel tempo. [30] Le coperture della popolazione nei diversi Paesi sono eterogenee (vedi cap. 1.3): ad esempio negli USA la combinazione di due programmi federali consente la copertura pressoché della totalità della popolazione residente; analoghi livelli si raggiungono nei Paesi Scandinavi. [31]

La ricchezza e l’attendibilità delle informazioni di tali registri consente di avere il dato al numeratore per calcolare i rapporti standardizzati d’incidenza (SIR - Standardized Incidence Ratio) così come di poter effettuare adeguati paragoni tra popolazioni diverse. I Registri operano infatti secondo standard accreditati che rendono i loro dati molto affidabili e comparabili; oltre ad informazioni dettagliate sulla neoplasia (istotipo, organo, comportamento etc.) sono raccolte anche informazioni individuali che consentono la georeferenziazione dei casi per eventuali approfondimenti (da tenere presente però che spesso è presente solo il dato della residenza alla diagnosi di malattia).

Proprio per l’accuratezza della registrazione, che prevede la necessità di consultare varie fonti informative, ci può essere una latenza di alcuni mesi per quanto riguarda l’aggiornamento dei registri.

Alcuni casi possono sfuggire al registro o essere recuperati dal certificato di morte; si tratta solitamente di forme che insorgono clinicamente in fase molto avanzata in persone

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che per questo non vengono ospedalizzate per sottoporsi ad interventi, oppure patologie diagnosticate ambulatorialmente o in fase precoce o “smouldering”. [14,32] In certe situazioni inoltre, come nel caso insorga un cambio di codifica di una neoplasia, può verificarsi la circostanza di una variazione apparente da un periodo all’altro dell’insorgenza di quella nosologia in un’area.

La modalità di identificazione e classificazione dei casi da parte dei Registri e le coperture in Italia saranno comunque brevemente descritte nel paragrafo 1.3.

b) Sono fonte preziosa di informazione anche i Registri di Mortalità (RM). Si tratta di uno strumento di raccolta di dati, in Italia previsto dal D.P.R. n. 285/1990 “Approvazione del Regolamento di Polizia Mortuaria”. In adempimento a quanto stabilito dalla suddetta norma il RM viene costruito con la raccolta delle “schede di morte”, che vengono compilate in duplice copia, sia dal medico certificatore (medico curante o necroscopo) relativamente ai dati sanitari, in particolare la “causa di morte”, sia dall’ufficiale di stato civile del comune dove è avvenuto il decesso, relativamente ai dati socio/anagrafici . Si hanno in tal caso due raccolte parallele di dati, in quanto la prima copia (originale) della scheda viene inviata all’ISTAT, mentre la seconda (copia sovrascritta) viene inviata all’Asl di residenza. Nella scheda sono riportate le tre cause del decesso: causa iniziale, ossia la condizione morbosa che, attraverso eventuali complicazioni o stati morbosi intermedi – causa intermedia – determina la causa terminale del decesso, dunque lo stato morboso che ha direttamente causato la morte. È importante la completezza e l’accuratezza della compilazione della scheda per avere dati di buona qualità.

Nella compilazione della scheda potrebbero essere ignorate patologie legittimamente considerate ininfluenti nella determinazione del decesso. Possibili ulteriori limitazioni di questi dati sono legati alla non perfetta conoscenza da parte del compilatore della storia clinica del paziente, dunque della sequenza esatta di condizioni morbose che ha portato al decesso. Ad esempio, nel caso di eventi accidentali, imprevisti ed inattesi (ad esempio, incidenti stradali in località lontane dalla residenza del deceduto) il medico certificatore che registra il “fatto contingente” può non essere a conoscenza della eventuale pre- esistenza di patologie, che potrebbero anche avere interferito nello svolgimento dei fatti.

[60] Le informazioni derivabili da questa tipologia di fonte informativa sono maggiormente utilizzabili per lo studio di patologie gravate da elevata letalità e bassa

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sopravvivenza; sono meno utili per lo studio di fenomeni morbosi caratterizzati da ridotta letalità. [14]

c) I dati di censimento consentono di descrivere la popolazione attraverso vari parametri (demografici, socio-economico, etc. ) e, in questo caso, avere un denominatore di riferimento per le indagini epidemiologiche. In Italia, l’ISTAT aggiorna e diffonde i dati geografici (formato shapefile) del sistema delle basi territoriali ovvero dell’insieme delle seguenti partizioni e zonizzazioni a fini statistici del territorio italiano: sezioni di censimento; aree di censimento (ACE) (solo nella versione 2011 e per i comuni maggiori di 20.000 abitanti o capoluogo di provincia al 1 gennaio 2008); aree sub comunali ASC (municipi, quartieri, ecc. dei 34 comuni di maggiore dimensione demografica e con popolazione non inferiore a 100.000 abitanti); località (con almeno 200 abitanti nella versione 2011); comuni. [33] Una possibile limitazione di questi dati è la presenza di popolazioni “mobili” e quindi la non adeguatezza della stima della numerosità tra un censimento e l’altro. Per ovviare a questa possibile limitazione ed avere stime affidabili della popolazione, l’ISTAT effettua la ricostruzione intercensuaria della popolazione residente per sesso ed età nei comuni italiani.

d) Per quanto riguarda i dati ambientali, essi possono essere richiesti agli Enti preposti alla vigilanza e al monitoraggio ambientale, come le Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale, istituite con la Legge 61 del 28/01/1994. Esse riconoscono, tra le varie competenze istituzionali, quelle del controllo e monitoraggio dello stato dell’ambiente e delle diverse matrici (acqua, aria, suolo, agenti fisici…) e le cospicue informazioni in loro possesso possono pertanto essere la base della valutazione di pericoli e rischi ambientali nelle aree oggetto di approfondimento. Inoltre, gli operatori dei servizi anche a livello locale dispongono di un patrimonio conoscitivo sulle storiche esposizioni ambientali dell’area, essenziale nella ricostruzione delle pressioni ambientali del passato.

Le informazioni così ottenute vengono a questo punto valutate complessivamente per decidere se si sia davanti ad un possibile cluster e se sia biologicamente plausibile che i casi notificati condividano una comune eziologia (ad es. molti casi di un tumore raro, o una distribuzione demografica atipica dei casi).

Elementi che non supportano il proseguimento delle indagini sono, a titolo di esempio:

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- casi di neoplasie per cui sia nota l’associazione con particolari varianti geniche all’interno di membri di una stessa famiglia (es. alterazioni ereditarie dei geni BRCA 1 e 2 e tumori mammari o ovarici);

- patologie di diverso tipo, non correlate;

- pochi casi di tumori molto comuni;

- casi insorti tra persone che non vivevano nello stesso contesto geografico nella finestra temporale presa a riferimento;

- la mancanza di una causa ambientale plausibile.

Raccomandazioni formulate per la prima fase di indagine dal CDC sono il mantenimento di una stabile ed efficace comunicazione con chi esprime preoccupazione sul cluster. A tal fine risulta importante un background formativo sia sull’epidemiologia ambientale sia sulle peculiarità comunicative concernenti il rischio ambientale. [21,34,35]

Se non si decide di proseguire l’indagine a causa della bassa probabilità che si sia davanti ad un cluster (giudizio formulato sulla base delle informazioni collezionate nel primo step), infatti, la comunità può essere rassicurata sulla problematica specifica e avere informazioni utili sulla prevenzione ambientale e oncologica, nonché venire a conoscenza delle attività condotte di routine dagli operatori dei servizi come elemento di ulteriore fiducia e trasparenza.

1.2.2 2° step – Valutazione

La seconda fase di lavoro ha come principale finalità comprendere se il sospetto cluster rappresenta eccessi di patologia statisticamente significativi. Con il proseguire dell’indagine è richiesta una expertise epidemiologica sempre più pronunciata dato che in questa fase vanno prese decisioni rilevanti circa la definizione della popolazione in studio, i tassi di patologia da confrontare e la scelta delle opportune analisi statistiche.

Innanzitutto, al pari di tutti gli altri step, il CDC propone di rafforzare la comunicazione con esponenti della comunità indagata, in questo caso formalizzandola mediante un community panel: dunque, a maggior ragione se l’indagine proseguirà, è opportuno prevedere il coinvolgimento dei leader della comunità e di altri portatori di interesse in un panel che si incontrerà regolarmente con le autorità per mantenere un flusso comunicativo a doppia via, per condividere le preoccupazioni della comunità nonché far riportare anche dai partecipanti le informazioni sulle indagini agli altri membri della

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cittadinanza. Nelle comunità dove la fiducia nelle istituzioni è già incrinata, un panel costituito solo da membri delle istituzioni potrebbe non essere percepito come affidabile;

invece prevedere il coinvolgimento di cittadini residenti nell’area indagata, rappresentanti istituzionali a vario titolo della comunità, rappresentanti dei media locali e delle aziende sanitarie può contribuire a corroborare credibilità e fiducia nelle istituzioni e rinforzare la percezione della trasparenza delle attività svolte. Questo gruppo deve darsi appuntamenti a cadenza regolare nel tempo; la comunicazione infatti dovrà essere strutturata mediante un piano che preveda scambi regolari, frequenti, trasparenti.[21]

Sul rilevante tema della partecipazione e della comunicazione efficace con le comunità sono stati emanati numerosi documenti e linee guida anche da associazioni scientifiche nazionali ed internazionali (ad es. le linee guida etiche dell’associazione internazionale di epidemiologia ambientale, che raccomandano il coinvolgimento della comunità nella progettazione, conduzione, analisi e disseminazione dei risultati della ricerca epidemiologica). [21,36] Una indicazione trasversale che in definitiva emerge da tali documenti (al di là della costituzione del panel) è di essere proattivi nella comunicazione.

Alcune utili condotte da seguire, proposte per condividere informazioni con la comunità, sono tra le altre:

- usare un linguaggio chiaro;

- essere empatici e offrire supporto;

- preoccuparsi della gestione delle aspettative, comunicando con chiarezza il razionale sotteso alle decisioni inerenti lo studio e non promettendo nessuna azione che non verrà effettuata;

- pianificare le strategie comunicative in relazione alle necessità dei destinatari: se gli interessati usano soprattutto media tradizionali come giornali e radio, privilegiare quei canali e non limitarsi alla comunicazione via web;

- essere aperti, trasparenti e attenti al feedback dell’utenza;

- essere estremamente precisi nella comunicazione, soprattutto se i cittadini sono poco fiduciosi: informazioni ambigue potrebbero infatti rinforzare la scarsa fiducia;

- evitare discorsi o azioni che inquadrino chi parla e chi ascolta come un “loro” (i cittadini) vs. “noi” (i professionisti impegnati nello studio) delineando una spaccatura ed una sorta di dualismo.

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Per quanto attiene agli approfondimenti epidemiologici, il dato descrittivo più rilevante da calcolare in prima battuta è il rapporto standardizzato di incidenza (SIR), dunque il rapporto tra i casi osservati e gli attesi per specifica neoplasia e/o specifico gruppo di popolazione (ad es. donne, uomini, adulti o giovani), ed il relativo intervallo di confidenza, per poter valutare se rispetto all’incidenza di base nella popolazione di riferimento si abbiano eccessi significativi dal punto di vista statistico in quella in studio.

Di solito si assume un errore alfa pari a 0,05, esprimendo l’IC al 95%. Talora può essere opportuno anche assumere un errore alfa diverso, a seconda dell’ipotesi a priori e del contesto. [37,38,76]

I casi attesi si stimano come numero da aspettarsi nella popolazione in studio se questa avesse lo stesso tasso di incidenza della popolazione di riferimento (standardizzazione indiretta). I casi osservati sono invece quelli effettivamente registrati nel periodo di riferimento preso in analisi. I SIR possono essere aggiustati per fattori quali età, sesso etc. ad esempio mediante stratificazione, calcolando i diversi SIR per gruppi. I SIR si possono interpretare alla stregua di rischi relativi poiché danno la misura di quanto un rischio sia aumentato o diminuito relativamente ad un valore di riferimento 1 corrispondente al tasso di incidenza della popolazione di riferimento.[39]

La complessità di questo tipo di analisi risiede in alcuni punti chiave, i principali dei quali sono di seguito elencati:







 la definizione del periodo di riferimento;







 la definizione dell’area geografica;







 l’incidenza di base di quel tipo di neoplasia, i cui dati inerenti la popolazione di riferimento sono desumibili dalla disponibilità dei registri.

Le scelte compiute in questa fase circa la definizione di caso, la popolazione da studiare, l’area indagata e la finestra temporale andranno esaustivamente esplicitate, anche per far capire ai diversi portatori di interesse il razionale sotteso all’indagine. Sarà opportuno tener conto anche degli eventuali fattori di pressione ambientali e della loro presenza nel territorio negli anni precedenti per scegliere un periodo adeguato.

Come già ricordato, se l’analisi riguarda microaree scarsamente popolate l’instabilità delle osservazioni su piccoli numeri porta ad una scarsa potenza. Indagando su piccole

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aree bisogna inoltre tutelare con particolare accortezza la riservatezza dei casi indagati, non consentendone l’identificazione.

Alcune considerazioni meritano di essere accennate in questa fase rispetto alla realtà italiana. Come spiegato nel cap. 1.3, non tutta la popolazione italiana è coperta dalla registrazione dei casi incidenti di neoplasia ad opera di un RT. Esiste inoltre una disomogeneità per quanto riguarda la popolazione coperta, che non si distribuisce equamente tra Nord, Sud e Isole ma è maggiormente rappresentata al Nord. Questo elemento va considerato assieme alla frequente diversità di incidenza tumorale tra aree urbane e aree rurali, poiché nel caso delle aree ad alto rischio ambientale non coperte dall’attività di un RT, la scelta della popolazione di riferimento per confronti di incidenza è complessa e l’interpretazione di qualsiasi stima emergente dal confronto richiede una attenta considerazione di tutti i possibili fattori di confondimento. Una scelta quindi opportuna per individuare una popolazione di riferimento per i residenti in una zona ad alto rischio ambientale è quella di un’altra popolazione, ad essa il più simile possibile per una serie di parametri: vicinanza geografica, livello di urbanizzazione, indice di deprivazione (o altro indicatore di livello socio-economico), mortalità generale e per cause diverse dal cancro. [40]

Una volta calcolati i SIR specifici, gli IC 95% e altre statistiche descrittive, bisogna valutare criticamente le informazioni ottenute:

- un SIR > 1,0 indica un numero di casi in eccesso rispetto a quelli che ci si aspetterebbe se l’insorgenza della patologia fosse la medesima di quella della popolazione presa a riferimento;

- oltre alla valutazione del SIR è importante valutare altri aspetti, quali la plausibilità della condivisione da parte dei casi di una medesima eziologia, i flussi migratori nella popolazione o la presenza di eventuali confondenti. Per far ciò è imprescindibile una revisione della letteratura scientifica esistente sia sui fattori di rischio generali e più specificatamente ambientali della patologia in studio, nonché ricostruire le esposizioni storiche dell’area grazie anche alla “local knowledge” (desumere dai rappresentanti della comunità informazioni circa il passato in termini sociali e ambientali) per prendere una decisione ponderata circa l’eventuale avanzamento ad una fase successiva.

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Anche in questa fase di lavoro, le informazioni così ottenute vengono valutate complessivamente per decidere se proseguire o meno l’indagine. Saranno presi in considerazione il valore assoluto del SIR, l’ampiezza dell’intervallo di confidenza, la numerosità campionaria, la presenza/assenza di contaminanti ambientali, i flussi migratori della popolazione, la presenza di eventuali trend.

Tra gli ulteriori importanti approfondimenti per descrivere i cluster è descritta l’analisi microgeografica mediante georeferenziazione per studiare la distribuzione spaziale dei casi, riportandoli e visualizzandoli su una mappa e applicando tecniche analitiche per rilevare addensamenti significativi. Allo stesso modo si può procedere per gli eventuali fattori di rischio ambientali, sempre consapevoli del rischio di incappare nell’errore noto come “metafora del pistolero texano” (che prima spara e poi disegna il bersaglio intorno al foro del suo proiettile), ovvero senza trascurare l’importanza della decisione sull’ambito di osservazione (temporale, spaziale, spazio-temporale), per evitare l’uso scorretto dell’approccio post-hoc nel sostenere la non casualità di cluster di casi segnalati spontaneamente, indipendentemente da ipotesi di rischio, non distinguendo da situazioni con ipotesi a priori basate sulla presenza di possibili esposizioni ambientali.[29,14,41,42]

È opportuno quindi effettuare analisi spaziali e temporali su ambiti di osservazione appropriati per disporre dell’adeguata evidenza che si sia in presenza di un cluster e definirne più precisamente la distribuzione dei casi. Scopo delle analisi spaziali è testare se un certo pattern di patologia sia distribuito nello spazio in maniera casuale dopo aver aggiustato per una nota disomogeneità spaziale. Più di 100 tecniche di analisi sono state proposte da diversi ricercatori in campi diversi (dall’epidemiologia alla botanica, archeologia, sociologia etc). Tali tecniche sono state recentemente descritte in rassegne esaustive; la scelta di quella più adatta necessita di una specifica expertise. [43] Alcuni test sono da scegliersi in caso di ipotesi non focalizzate o generiche per distribuzione diffusa di inquinanti (come per sversamento diffuso di rifiuti) e altri in caso di sorgenti di inquinamento puntuali (come un impianto di incenerimento rifiuti o impianti di telecomunicazione). Vi sono test non focalizzati utilizzabili con dati individuali (ad es.

funzione K di Ripley, statistica Scan di Kulldorff) o con dati aggregati (ad es. metodi bayesiani empirici e gerarchici, Besag&Newell, Statistica di Moran). Alcuni test focalizzati utilizzabili con dati individuali sono la regressione logistica o il metodo di Diggle, mentre

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con dati aggregati sono utilizzabili il test di Stone, lo score di Waller, il metodo di Bithell.

[29]

Una delle metodologie di cluster detection più utilizzata in ambito epidemiologico è la Spatial Scan Statistic, che consente sia di localizzare le aggregazioni spaziali di un fenomeno che di valutarne la significatività statistica attraverso opportune procedure inferenziali.[43]

Sono state anche sviluppate metodiche di analisi di cluster spazio-temporali, che hanno la finalità di valutare se gli eventi malattia siano più vicini tra loro di quanto ci si aspetterebbe per solo effetto del caso, per l’approfondimento delle quali esiste una vasta letteratura specialistica. Il concetto di vicinanza implica una dimensione geografica, temporale o sia geografica che temporale.

Le linee guida CDC presentano a questo punto esempi di situazioni concrete che si possono verificare e le più opportune decisioni relative: per esempio, un SIR significativamente superiore a 1 (supponiamo >4) , con un intervallo di confidenza che non comprende l’unità, con un numero di casi non esiguo (≥10) e un trend di incidenza in crescita nel tempo per una patologia in un’area con un’esposizione ambientale “sospetta”

sono dati decisamente a favore del proseguimento dell’analisi. Il caso opposto potrebbe essere un SIR < 2 con un basso numero di casi (<10) e un IC95% che comprende l’unità, associato ad una debole relazione con l’eventuale pressione ambientale dell’area.

Situazioni intermedie tra queste due polarità, come modesti aumenti del SIR che coinvolgono un piccolo numero di casi al limite della significatività statistica rendono la decisione da prendere più complessa.

Per il secondo step di indagine il CDC raccomanda di avvalersi della collaborazione di un team di esperti multidisciplinare (epidemiologi, esperti in comunicazione, tossicologi) e di indagare nel corso dell’indagine trend anche di altri tipi di patologie, ad esempio di una neoplasia nota per non avere alcuna relazione col sospetto fattore di rischio ambientale in questione. Questa valutazione parallela è funzionale all’individuazione di altri possibili fattori in grado di condizionare i trend di patologia (come ad esempio un’inusuale quota di popolazione dedita a comportamenti nocivi per la salute).

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1.2.3 3° step – Determinare la fattibilità di uno studio epidemiologico

La terza fase di lavoro ha come finalità la valutazione della fattibilità di uno studio epidemiologico, per valutare la presenza di associazioni tra specifici contaminanti ambientali ed il cluster. Questa fase offre l’occasione inoltre per attuare interventi di promozione della salute e di prevenzione sia secondaria (screening) sia primaria, ad esempio mediante la rimozione di pericoli ambientali. È opportuno che queste attività, se si stima che abbiano positive ricadute sulla salute pubblica, siano attuate senza ritardo e senza dover aspettare il completamento dello studio epidemiologico e siano intraprese anche per situazioni (contaminazioni, inquinamenti etc) che non hanno un legame specifico con le patologie studiate.

Anche per questo step sono proposti dal CDC una serie di attività, globalmente finalizzate ad una valutazione della disponibilità di informazioni necessarie per poter effettuare uno studio epidemiologico di buona qualità. Coloro che infatti effettuano l’approfondimento epidemiologico in questa fase dovrebbero:

a. identificare delle ipotesi a priori, avvalendosi della letteratura scientifica reperibile in proposito e della collaborazione con i membri della comunità (il community panel) e gli operatori sanitari del territorio, anche per comprendere la portata delle aspettative della cittadinanza e la possibilità di andare incontro realisticamente alle stesse nonché condividere aspetti legati ai costi, ai tempi, agli obiettivi e alle limitazioni di eventuali studi. Può essere opportuno avvalersi della collaborazione di esperti per la scelta e il disegno dello studio, anche dato il verosimile piccolo numero di casi e le particolari condizioni ambientali dell’area. Dunque vanno valutate le risorse disponibili per condurre lo studio (persone, fondi a disposizione), la finestra temporale e l’area geografica, va scelto il disegno, la dimensione campionaria e il tipo di test statistico da usare in relazione anche all’ipotesi in studio.

b. identificare le principali caratteristiche della popolazione che devono essere indagate (fattori di rischio, dati di salute, statistiche descrittive), prima di tutto confermando le diagnosi dei casi e valutando quante di esse rientrano nella definizione di caso oggetto di studio. Deve essere poi identificato un gruppo di confronto o selezionando controlli liberi da malattia (come in uno studio caso-controllo) o studiando un gruppo di non esposti (come negli studi longitudinali), valutando la possibilità di

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ottenere dati relativi ai gruppi di controllo. Di grande importanza è infine valutare la possibilità di ottenere dai singoli individui informazioni relative alle condizioni di salute, a fattori di rischio individuali e in generale a tutti i possibili fattori di confondimento.

c. accertarsi che vi sia una plausibile associazione tra l’insorgenza dei casi e le esposizioni ambientali. A tal fine è opportuno verificare che la letteratura confermi come cancerogeni certi o possibili gli specifici contaminanti ambientali, valutare le possibili vie di esposizione dei casi e soprattutto cercare di ricostruire le esposizioni ambientali pregresse, allo scopo di stimare la plausibilità della relazione tra l’insorgenza del caso, la dose assorbita e il tempo di latenza. Le condizioni ambientali infatti mutano nel tempo, quindi bisogna valutare in questa fase se si possa disporre di dati circa l’inquinamento ambientale (uso di sostanze chimiche, contaminazioni..) a ritroso nel tempo prima di intraprendere lo studio vero e proprio. Per lo stesso motivo è opportuno valutare la disponibilità dei dati storici sia occupazionali che di residenza di casi e controlli, per il concetto già ricordato di popolazione “mobile”.

d. per quanto riguarda lo studio di esposizioni ambientali il CDC sconsiglia un generico approfondimento su qualunque tipo di contaminante ma consiglia di concentrarsi sulle specifiche esposizioni connesse alla formulazione dell’ipotesi a priori. Le esposizioni vanno ricostruite a ritroso per un periodo anche superiore ai venti anni, dunque bisogna valutare in questa fase la possibilità di caratterizzarle a livello individuale in modo preciso anche avvalendosi della collaborazione di tossicologi, chimici e professionisti delle scienze ambientali. Utile anche ricostruire la storia della comunità nel tempo, per valutare le fonti di preoccupazione maggiore nel corso degli anni anche allo scopo di corroborare trasparenza e fiducia in questa indagine.

e. gestire efficacemente la relazione con la comunità locale, considerando che in questa fase la notizia di un eccesso di patologia sarà stata diffuse da cittadini e media e quindi ci sarà un’elevata pressione e aspettativa nei confronti di chi conduce l’approfondimento ad esempio riguardo all’effettuazione di estensivi campionamenti ambientali. Quindi, ciò che viene deciso circa il condurre o meno approfondimenti di questo tipo deve essere comunicato e spiegato con chiarezza.

In determinate situazioni, malgrado la rilevazione di un SIR elevato in modo statisticamente significativo può essere opportuno interrompere l’indagine in questa fase.

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