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LA CASA SUL MARE LA CASA SUL MARE. Serie di ANTONIO MULAS

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Academic year: 2022

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LA CASA SUL MARE

Serie di ANTONIO MULAS

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Copyright © 2021 ANTONIO MULAS

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Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non

autorizzata.

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“Metameri in asse, indenni da lesioni ossee a focolaio, modeste note spondilosiche diffuse, discopatia L4-L5, conservati gli spazi intersomatici... guardi non sono un fisiatra ma, da quello che vedo, lei non ha niente di grave, la colonna è un po’ storta come dice lei, ma è normale in quasi tutte le persone, c’è solo una leggera compressione nelle ultime vertebre della zona lombare.

Entrando lei mi sembrava agitata, deve stare più tranquilla, alle volte lo stress sul lavoro o una postura sbagliata inconsapevole possono causare tutti i disturbi di cui mi parlava”

Lo ascolto seduta sul lettino e lo guardo, certo ha proprio una bella bocca e anche le mani sono lunghe e curate; poi, come se mi stesse leg- gendo nel pensiero:

“Sono certo che, con un ciclo di massaggi di almeno cinque sedute, andrà molto meglio, certo unitamente a una dieta sana ed equilibrata e un po’ di esercizio fisico anaerobico”

Mentre mi parla penso a un altro tipo di esercizio, al viso di lui che si avvicina al mio e mi bacia mentre le sue mani mi sollevano la gonna, ma è un attimo e mi riprendo.

“Se per lei va bene possiamo fissare la prima seduta per la settimana prossima, dopo le

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17.00”

“Un attimo, controllo l’agenda... martedì prossimo alle 18.30?”

“Sì, va bene. Allora a rivederla.”

Si alza, mi sorride e stringe deciso la mia mano che indugia a lasciare. Quest’uomo mi piace proprio, penso che se ne sia accorto da come lo guardo, credo che mi abbia letto dentro e non sono proprio pensieri innocenti.

Esco dallo studio nel sole della tarda matti- nata e non ho voglia di tornare a casa, anche se devo farlo, se non altro per cambiarmi.

Mi fermo a guardare le vetrine dei negozi lungo il viale alberato del centro, ma le guardo distrattamente, mi soffermo piuttosto sulla mia immagine riflessa.

Mi guardo in viso e mi chiedo che cosa vera- mente voglio, mi sento sempre inquieta e un po’

stanca, insoddisfatta... forse è questa la mia vera condizione.

Penso al fisioterapista che ho appena lasciato, penso al mio collega del piano di sotto che mi fa una corte discreta e che io immagino mentre mi prende da dietro sulla scrivania.

Penso al giovane che era seduto davanti a me sul tram che mi portava questa mattina in centro, che mi sorrideva e mi guardava fisso,

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penso al mio amante maturo... penso troppo agli uomini e al sesso; mi immagino amplessi con perfetti sconosciuti. Mi rendo conto che queste storie, solo pensate o veramente vissute brevemente, sono l’unica cosa che mi fa sentire viva; però bisogna che mi dia una regolata.

Forse ha ragione Anna quando dice che sono un po’ porca, che entro ed esco da storie continuamente e con una facilità straordinaria...

da irresponsabile mi dice; ma a me il sesso piace, e a chi non piace! Secondo lei, alla mia età dovrei sposarmi, iniziare almeno a frequentare seriamente Luigi che è una persona posata, ma quando l’ho conosciuto mi è sembrato un po’ noioso. E poi voglio vivere ancora la mia vita senza troppi legami, matrimonio, figli... Con quello che vedo in giro, se faccio un elenco delle coppie di amici che conosco, vedo solo problemi seri; e se da un compagno o marito ci si può separare, con i figli come si fa? Bravi o cattivi te li tieni tutta la vita, te la cambiano, te la stravolgono e adesso non riesco ancora a sentire lo spirito materno.

Che sia questa mancanza la causa della mia insoddisfazione o il fatto che non riesca a innamorarmi a fondo di nessun uomo? Uomini, farfalle, fino ad ora ho conosciuto solo farfalle

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che si posano sulla mia vita come fanno coi fiori, solo per pochi secondi, senza peso e senza spessore.

Senti i loro discorsi al lavoro, in mensa, agli aperitivi, nei bar… tutti uguali.

Giovani di trent’anni che sembrano ragazzini.

Il loro ego prevale su tutto e te lo impongono nei loro discorsi, ti parlano di quanto sport fanno, quali palestre frequentano, sono sempre aggiornati sui nuovi software, sui nuovi cellulari, ti raccontano delle auto che cambiano o ti parlano della loro sfiga sul lavoro che non trovano o, se ce l’hanno, di quanto sia stronzo il loro capo che non li merita o, ancora, ti raccontano dell’ultima tipa che li ha piantati perché non compresi a pieno. Sempre e solo di se stessi; qualunquisti e superficiali che alla prima brezza leggera, ma contraria, si dile- guano.

E se non sono giovani, anche se hanno successo nel lavoro, soldi e ti affascinano con regali, le cene di lusso, le scopate in barca sotto le stelle, ti illudono facendoti promesse che sanno di non poter mantenere, e alla fine scopri, dopo mesi, che esistono moglie e figli e che ti hanno usata solo come un decorativo accesso- rio; ne conosco uno così che, fra l’altro,

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pretende l’esclusiva... lui si illude se pensa solo di usarmi, mi conosce veramente poco.

Forse sono troppo severa con me stessa, o forse è colpa dell’ambiente o delle compagnie sbagliate che frequento se non trovo la persona giusta, ma solo farfalle… ma io, in fin dei conti, come mi comporto? Che cosa voglio? Vera- mente non lo so.

Mi lascio trascinare per assecondare, alla fine, il loro desiderio di fondo, sempre nascosto nei loro discorsi vacui; se loro sono farfalle io sono il fiore che, impotente, si lascia succhiare e, attratta dal sesso come sono, mi comporto come una falena che si posa sullo stesso lampione solo per qualche notte, prima di scoprire un lungo viale pieno di lampioni illuminati.

Anna… lei tutto questo non lo capisce e, come mi dice spesso, non approva questo mio galleggiare sulla vita; ma non sono un sughero in un mare in tempesta come lei crede, in fin dei conti mi diverto e non devo rendere conto a nessuno.

È vero, forse sono leggera, sto a galla, ma su una calma piatta, se ci fosse una tempesta vera nella mia vita mi lascerei trascinare volentieri insieme a quello che l’ha saputa scatenare.

Lei ha il suo Guido e le basta, ma non tutte

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siamo uguali, anche se lei è la mia unica amica vera ed è anche fin troppo sincera.

Le ho detto una mezza bugia, ma questa mat- tina non avevo voglia di accompagnarla, mi avrebbe parlato solo di Guido e non mi sem- brava neanche importante dirle di Paolo, chissà cosa avrebbe pensato.

Già si è scandalizzata quando, tempo fa, le ho accennato che ero uscita con un uomo di cinquant’anni e mi ha fatto la solita sceneggiata, non so come avrebbe reagito se le avessi detto che lo vedo da mesi.

Indugio davanti a una piccola boutique dove vedo un vestito di cotone leggero, stampato a disegni pastello, che mi piace, che mi distrae e non so se entrare a provarlo; guardo l’orologio e mi accorgo che tra un’ora mi devo incontrare con Paolo per un aperitivo, così mi avvio verso casa per cambiarmi.

*****

Sono in macchina nel traffico della tangenziale che mi porta fuori città. Sono un po’

teso, guardo l’ora rendendomi conto che non sono in ritardo.

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Rallento facendomi trascinare come un automa dal flusso delle auto, estraniandomi, pensando a lei, ai suoi grandi occhi verdi, al suo corpo snello che mi fa impazzire.

Lascio la tangenziale, mi avvio verso il paese dove di solito ci incontriamo sempre più di frequente ormai.

La strada provinciale brutta, piena di insegne, cartelloni e piccole industrie, lascia il posto a un bel viale ombreggiato da platani e, dopo alcuni chilometri, arrivo al paese.

In realtà un piccolo borgo dove alla fine, attraversando l’unico ponte, imbocco a sinistra la strada che costeggia la darsena fino al mare.

La giornata è stupenda, assolata e calda, abbasso un po’ il finestrino per respirare l’odore salmastro che sento avvicinarsi.

Le sponde della darsena, prima naturali e rigogliose di cannelle, lasciano il posto, man mano che mi avvicino alla foce, a bassi argini di cemento dove sono attraccate piccole barche da diporto, poi, in fondo, la strada gira a destra costeggiando la foce che si allarga a formare un porticciolo dove ormeggiano barche più grandi e una piccola flotta di pescherecci. Un piccolo ristorante fa da cornice al porto insieme all’edificio basso che ospita gli uffici della

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marina; dietro si vede il mare, calmo, di un azzurro particolare, un colore che solo le belle giornate di settembre sanno regalare.

Ormai è da questa primavera che vengo qui e mi chiedo sempre come mai, da questo lato, il paese non si sia sviluppato; ci sono poche case, qualche capannone per l’alaggio e la ripara- zione delle barche, poca gente in giro; ed è forse per questo che lei ha scelto questo posto per i nostri incontri.

Posteggio vicino a una vecchia casa di due piani, noto sulla porta il cartello che indica che è in vendita.

Prima di scendere dalla macchina prendo il telefono e chiamo a casa, lei non risponde, chiamo sul suo cellulare, attendo pochi squilli, poi, prima che mi risponda, le mando veloce un messaggio:

“Anna ciao... guarda che non riesco a venire a pranzo... sarò impegnato fino al primo pomeriggio... ciao”; e poi lo spengo.

Passo rasente un muro screpolato ed eroso dal salmastro dove, in alto, spuntano rami di tame- rici di un giardino che presumo faccia parte della casa in vendita.

Pochi metri più avanti c’è un piccolo albergo

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su due piani, anonimo tanto da non avere inse- gne particolari se non quella del BAR all’ingresso con, all’esterno, quattro sedie e due tavolini di ferro smaltati, bianchi, opachi, deserti, racchiusi da una bassa siepe di pitosforo.

Dentro il locale ci sono solo un paio di avventori che chiacchierano con il proprietario mentre asciuga dei bicchieri dietro il bancone di un bar senza troppe pretese.

Il gestore mi dà un’occhiata appena entro, un’occhiata complice ormai. Lui è una persona discreta, non tanto per il carattere o una partico- lare simpatia per me, ma solo perché affittare le camere in nero, ad ore o per pochi giorni du- rante la stagione estiva, gli rende bene, forse più del bar.

Non dice niente, mi fa solo un cenno, che i due clienti non sembrano notare, per indicarmi che Lidia è già in camera che mi aspetta.

Faccio le scale che in fondo alla sala portano al piano di sopra a due a due, busso alla porta della solita camera ed entro.

Lei è in piedi, di spalle, davanti alla finestra aperta della camera.

Mi avvicino e l’abbraccio forte, affondo il mio viso nei suoi lunghi capelli biondi; lei non si

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muove, socchiude gli occhi e piega il collo di lato per farsi baciare, stiamo un po’ in silenzio senza parlare, guardo fuori distrattamente e vedo un grande giardino e la casa in vendita dove sono passato prima, e lei come se mi avesse letto nel pensiero: “Non ci può vedere nessuno, credo sia disabitata”

Inconsciamente allunga un braccio e tira una tenda, poi lentamente si gira e mi bacia.

Sento il suo profumo e il suo sapore mi eccita mentre la stringo forte. “Sono troppe due setti- mane, divento matto se non posso stare con te”

Cerco di sbottonarle la camicetta, ma lei mi mette una mano sul petto come a respingermi;

rimanendo abbracciata scosta il suo viso e mi guarda dritto negli occhi seria: “Gliel’hai detto?”

“Che cosa?”, balbetto.

“Hai capito benissimo”

Si stacca da me, fa pochi passi, poi si siede sul bordo del letto senza rivolgermi uno sguardo.

“Eravamo d’accordo che gliel’avresti detto... mi prendi in giro?”

Mi siedo accanto a lei cingendole le spalle.

“Sì, hai ragione... ma non è facile, credimi:

uno di questi giorni...”

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Non mi lascia finire la frase, si alza di scatto e mi guarda arrabbiata. “Non essere patetico, ne abbiamo discusso a lungo, abbiamo fatto dei progetti, ti ricordi?”

La sua veemenza mi lascia stupito, non l’avevo mai vista così alterata, mi alzo dal letto, mi avvicino e cerco di abbracciarla.

“Lidia vieni qua, non ti arrabbiare... guarda avevo in mente di dirglielo anche questa mattina, ma lei appena alzata è uscita subito di casa. Uno di questi giorni lo farò senz’altro, non sarà un giorno o due a cambiare...”

“No! Invece per me è importante.”

“È vero, ne abbiamo parlato, ma in fin dei conti neanche tu mi sembra che l’abbia detto a tuo marito... sono due settimane che non ti vedo...”

“Ma cosa dici? Forse se lo lasciassi gli farei solo un piacere, sono mesi che non mi tocca;

con la scusa che Luca mi cerca di notte, per non disturbarlo, abbiamo deciso di dormire in letti separati.

È sempre via per lavoro, non mi considera, non mi stima, non ci parliamo e se lo facciamo litighiamo invariabilmente per ogni banalità, ormai siamo due estranei che vivono nella stessa casa”

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Gli sorrido sornione guardandola fisso e mi avvicino ancora a lei.

“Senti, ne parliamo dopo, abbracciami, ho bisogno di te, ognuno dell’altro, abbiamo poco tempo...”

Lei si scosta nuovamente e si risiede sul letto con la testa tra le mani.

La guardo, mi sto innervosendo, avevo immaginato una mattinata diversa: “Ma cosa hai oggi?”

Si gira bianca in viso, i suoi occhi verdi sono una fessura, mi sibila quasi urlando: “Sono incinta, cazzo! Capisci? Incinta”

Rimango interdetto, quel briciolo di passione che mi era rimasta si scioglie come neve al sole.

Lei incalza: “Questo ti sembra un motivo suffi- ciente per parlare con tua moglie e prendere qualche decisione... o no?”

Non riesco a dire niente se non: “Ma come è successo?”

Lei mi guarda allibita, si alza, scuote la testa, mi si avvicina, mi prende per le spalle e mi fissa con rabbia: “Mi sarei aspettata da te stupore sì, ma anche comprensione, affetto, magari feli- cità. Che ingenua che sono, ma non mi aspet- tavo di sentirmi chiedere ‘come è successo?’

Scopando è successo; con una a cui hai sempre

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detto ‘quanto è stato bello incontrarti’… guar- dami! Sono ancora io, quella con cui volevi ri- farti una nuova vita, quella che ami ‘vera- mente’… Adesso hai l’occasione per dimo- strarlo, perché non abbiamo più molto tempo”

I suoi occhi sono pieni di lacrime, ma non piange, mi guarda soltanto mestamente in attesa di qualche mia parola; cerco di abbracciarla e lei si lascia stringere, la sento singhiozzare tra le mie braccia, le dico piano: “Calmati adesso...

parliamone, lo sai che ti amo, vedrai che troviamo una soluzione”

Agitata com’è non mi lascia finire, mi parla, ma è come se parlasse a sé stessa.

“Dobbiamo chiedere la separazione al più presto, credo che mio marito la concederebbe, ma devo stare attenta perché, se viene a sapere che aspetto un figlio non suo, mi rovina, solo per il gusto di farmi del male; di me non gli importa più niente, ma diventerebbe cattivo, lo sai anche tu, è potente e conosce avvocati importanti, potrebbe allontanarmi da Luca, ha solo tre anni e ha ancora bisogno di me; e tu devi parlare con tua moglie... se ne farà una ra- gione”

“Mi hai sempre detto che prendevi la pillola...

come è possibile? Di quanto sei?”

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“Anch’io non ci credevo, ma può succedere.

Mi sono informata, un’interazione con altri medicinali, un tipo di pillola sbagliata... non so, forse una mia dimenticanza; ma ero in ritardo di una decina di giorni, così, la settimana scorsa, ho fatto il test ed è risultato positivo... non volevo dirtelo per telefono”

Le bacio piano il viso bagnato di lacrime e lei sembra calmarsi, si asciuga gli occhi e mi guarda seria.

“Dimmi che glielo dirai”

“Ma certo, lo farò al più presto; devo solo trovare il modo. Anna non è come tuo marito, per me è più difficile”

In quel momento sento che tra noi si è incri- nato qualcosa, sento di amarla come non mai, ma non riesco a dirglielo, mi fa tenerezza ma, allo stesso tempo, sono preoccupato e non so se, più per me stesso, per noi o solo per lei, e in quell’istante mi rendo conto che penso al nostro rapporto non più come un unicum.

Lei sembra accorgersi del mio mutamento, si allontana da me, si ricompone, prende la borsa e si avvia verso la porta, si volta, con uno sguardo che in lei non avevo mai visto e mi dice: “Guido oggi sono venuta al nostro

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appuntamento solo per dirtelo, non avevo vo- glia di altro, sono troppo agitata e mi rendo conto che tu, in questo momento, non sia troppo d’aiuto, comunque voglio rivederti al più presto... parla con tua moglie”

Dopo pochi minuti lascio la camera anch’io, saluto, pago il consueto al gestore ed esco.

Mi ritrovo nel sole di questa stupenda gior- nata e mi sento completamente vuoto, non rie- sco a pensare a niente, guardo l’ora distratta- mente; potrei tornare a casa per il pranzo, ma solo l’idea mi fa stare male, passeggio fino alla fine del porto e mi siedo su un masso della scogliera frangiflutti a guardare il mare.

Mi si avvicina una gatta magra, fa per stru- sciarsi alla mia gamba in cerca di carezze o di qualche cosa da mangiare, ma la scaccio con una pedata.

Mi pento subito del mio gesto, ma lei, senza un lamento, mi guarda da poco distante con un’espressione rabbiosa, e i suoi grandi occhi verdi mi rimandano allo stesso sguardo che mi ha dato Lidia mentre usciva.

Il grido di un gabbiano mi riscuote da questo pensiero, da questo torpore e mi avvio alla macchina, ci salgo sopra, la accendo e parto, senza sapere dove andare.

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