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UN MESTIERE DIFFICILE UN MESTIERE DIFFICILE. Serie di ANTONIO MULAS

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Academic year: 2022

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UN MESTIERE DIFFICILE

Serie di ANTONIO MULAS

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PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Copyright © 2021 Antonio Mulas

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Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non

autorizzata.

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René si gira e rigira nel letto, non riesce a dormire, si alza, in camera un brivido di freddo lo scuote, si mette la vestaglia, si avvicina alla finestra ancora aperta e per un po’ osserva il traffico affievolito lungo la strada sottostante, in quell’ora della notte.

Tra poche ore sarà mattino e non ha dormito niente, è nervoso, ma chiude la finestra e si risiede sul letto, riprende in mano il dossier del suo prossimo incarico, ha pochi giorni di tempo e questo sarà un lavoro più difficile del solito.

L’obbiettivo è una figura rilevante nel mondo bancario, ma la sua vita in questo momento è come blindata, casa lavoro, lavoro casa, è protetto, non si sposta mai da solo e i documenti che ha a disposizione e che lo riguardano non risolvono da soli il problema.

Ha in mente due opzioni, ma deve prima verificarne la fattibilità e così fa ricorso a tutta la sua esperienza passata, ai ricordi di tutte le situazioni, gli ostacoli e i pericoli che ha dovuto affrontare per trovare analo- gie con il caso attuale.

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Se fosse stato uno scrittore, quanti giorni sarebbero occorsi per descrivere il mestiere che aveva scelto, per narrare tutto quello che aveva fatto, per descrivere tutti i capitoli della sua vita? Sarebbero serviti mesi e mesi e, alla fine, sarebbe stato un libro molto, molto cupo e torbido.

Se invece fosse stato un regista, quante scene avrebbe dovuto girare per descrivere tutte le azioni con poca o nessuna possibilità di battere un secondo “ciack! Si gira”?, tutte scene riprese con lo stesso filo conduttore e tutte con lo stesso finale, la morte.

Si chiede il perché di questo pensiero. Ma, di fatto, l’immagine ultima di un’ipotetica sceneggiatura rimane l’inquadratura di una testa che si piega in modo innaturale, improvvisa, sotto l’effetto del colpo di un proiettile 7,62x51mm, vista attraverso un’ottica di puntamento Zeiss Victory V8 montata su un fucile di precisione semiautomatico, a cinquecento metri di distanza. Oppure una lotta mortale corpo a corpo, fino a sentire il colpo sordo di una vertebra del collo che si spezza o il rantolo

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strozzato di una persona soffocata. O un fremito, un ultimo tremore di un corpo abbracciato al suo, un solo sospiro, senza un lamento, mentre la lama di uno stiletto affilato penetra con forza nel cervello attra- verso un orecchio, un occhio o direttamente nel cuore. Un sistema veloce, immediato e con poco sangue versato. O l’improvviso cedimento di un corpo avvelenato da una tossina botulinica o radio isotopa, versata abilmente in un cocktail, magari seguito da un sorriso da un brindisi. O un’iniezione sovradosata di insulina. O l’utilizzo di uno spray nervino.

Decine e decine di capitoli, di sceneggia- ture simili nella sua vita di assassino professionista. Ha sempre operato, dove è stato possibile, affinché la morte arrivasse a spegnere una vita come un soffio, un alito leggero, come quello di un bambino su una candela accesa. Se ci pensa, è successo raramente che abbia dovuto infierire o torturare qualcuno, soprattutto non ha mai lasciato le cose al caso, non ha mai amato gli esplosivi per tutti gli effetti collaterali

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che comportavano o le azioni troppo eclatanti, non ha mai voluto complici, ma ha sempre operato da solo, direttamente, discretamente, silenziosamente e soprat- tutto velocemente.

Qual è veramente, si chiede, il motivo di quest’avventura che dura da così tanto tempo? Che cosa mi ha spinto a essere quello che sono?

Steso sul letto, pensa che l’essere quello che è, non sia stato frutto delle esperienze maturate nel tempo, ma sia dovuto principalmente alla sua natura più intima.

Certo ricorda, dopo Lisbona, l’esaltazione, il senso d’onnipotenza, la vitalità esplosiva per aver eliminato l’assassino di suo padre e quello che poteva essere anche il suo assas- sino, un uomo forte, esperto, ed averlo fatto solo con le proprie mani. Della morte di Maria Veloso, che era tornata adesso prepo- tente nei suoi pensieri, non aveva avuto al- lora nessun rimorso, anzi era stato contento di aver fatto fuori una serpe velenosa come quella. Ricorda che, dopo quella prima esperienza, aveva accettato la proposta e

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garantito tutto l’impegno necessario per diventare un vero uomo di intelligence.

Aveva sempre snobbato e visto con poco entusiasmo un lavoro sedentario, ma lo aveva colpito e sorpreso l’ulteriore cono- scenza dei software per contrastare il cyber threat legato al mondo dell’industria, dell’alta finanza o della politica.

Fu un percorso affascinante per prendere coscienza delle dinamiche nell’ambito della sicurezza, per leggere i vari processi, pianificare, reagire, anticipare un evento, o attaccare per disinformare. Poi l’addestra- mento operativo, che per lui non fu una grande sorpresa, fu solo un completamento per quella che era già stata la sua grande passione: le armi e le migliori tecniche di combattimento corpo a corpo attraverso le arti marziali, unita a una disciplina che era già nel suo carattere. A questo si erano aggiunti corsi di elettronica, chimica e meccanica di precisione. Doveva ricono- scerlo, era stato un corso proficuo, era entrato in un mondo, o meglio era entrato nel mondo conosciuto solo da un élite, una

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specie di collegio per adepti, un club esclusivo lontano anni luce dai comuni problemi del resto dell’umanità. Ma anche se l’idea all’inizio l’aveva sfiorato, si era reso conto che un agente che insegue all’impazzata un’altra vettura, pilota un bolide per le strade cittadine, gioca in smoking seduto al tavolo verde di un casinò vincendo una fortuna, spara senza mai sbagliare un colpo e fa cadere ai suoi piedi donne bellissime, faceva parte solo del mondo del cinema.

In quel mondo si era fatto strada veloce- mente per le sue capacità, ma non si sentiva libero, non amava lavorare in team e, come aveva temuto, si sentiva ingabbiato in un’attività di intelligence prettamente intellettuale.

Ripensa al momento, dopo pochi mesi dalla fine del corso, quando aveva annun- ciato di ritirarsi e al disappunto di chi l’aveva contattato, ma stavolta era lui che li aveva usati e certamente avrebbe fatto tesoro di quello che aveva imparato. Voleva l’azione, l’avventura, per questo gli fu facile,

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visto il suo curriculum, farsi ingaggiare come libero professionista, aveva dovuto solamente digitare due parole:“recruitment contractors”, per avere un’ offerta allettante.

Quattro anni, tanti, troppi, su terreni di guerra sparsi per il mondo, Africa, Medio Oriente, Asia, in attività militari o paramilitari, un lavoro molto ben retribuito, perfettamente legale, ma tutto già preconfezionato. A che cosa era servita la sua intelligenza, le sue capacità organizza- tive, deduttive, la sua cultura, finite nella noia per la protezione degli interessi di qualche compagnia multinazionale o nella sicurezza di qualche faccendiere miliardario?

E anche la sua capacità di usare le armi aveva perso fascino, anche se poteva centrare un bersaglio a novecento metri, come aveva fatto più volte, doveva solo appostarsi, aspettare, inquadrare, mirare e premere un grilletto.

Però l’esperienza di quegli anni, la sua provata serietà e capacità, gli servirono a farsi un nome a livello internazionale, e non tardò molto tempo prima che ricevesse il

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suo primo contratto da un privato, per il mestiere che avrebbe continuato a fare fino a oggi.

Sono passati più di vent’anni.

No, se ci pensa anche adesso, l’esperienza militare l’aveva deluso, quello non sarebbe mai stato il suo mondo. Voleva qualcosa di più raffinato, se doveva uccidere una per- sona su commissione doveva essere lui stesso a organizzare il tutto e doveva essere un’opera d’arte.

Entrare nella vita di questa persona, uomo o donna che fosse, giovane o vecchio, entrare nei suoi affetti più cari, nelle sue abitudini e nel suo lavoro, farlo in maniera discreta, invisibile, trovare il tarlo, la debolezza, anche una piccola breccia, un punto su cui fare leva e poi studiare il sistema migliore per organizzare la trappola, l’incidente, la morte: questa veramente era la sua più grande soddisfazione. E subito dopo scomparire, vivere una vita invisibile agli altri, alla società, allo Stato, un’esi- stenza mai banale, lontana da ogni clichè, senza obbligo alcuno, famiglia, figli, parenti,

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senza pendenze o scadenze contrattuali, ritirarsi dopo ogni missione a riposare nell’agiatezza di ville anonime, nascoste o lontano dai grossi centri abitati, immerse nella natura e mantenute da persone fidate del luogo, tutte in diversi paesi sparsi per il mondo: Seychelles, Belize, Liberia, Principato di Andorra, Svizzera, lontano da tutti, lì solo per ritemprarsi in attesa di un altro incarico, di un’altra storia da chiudere.

Quanti morti, se ci pensa non li ha mai contati veramente, anche perché è sempre rimasto asettico, indifferente, senza rabbia, emozione o rimorso nei loro confronti, non li ha mai giudicati e non gli sono mai interessate le motivazioni per le quali dovevano essere eliminati ed è anche per questo che, dentro di sé, non si sente una persona cattiva; un po’ misogino forse e, invecchiando, anche un po’ misantropo, ma la cattiveria implica un sentimento e un atteggiamento d’odio verso l’umanità in generale che lui non ha mai avuto, non è mai stato tanto arrogante da sentirsi superiore, né ha mai disprezzato il maggior valore, le

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capacità o l’intelligenza di altri, che anzi sono stati solo stimoli per apprendere e fare meglio. E poi non c’è bisogno di essere cattivi per uccidere un uomo. Forse qualche volta lo era stato, la prima volta senz’altro, anche se era durata solo pochi minuti e poi quando aveva conosciuto Séline.

René si ricorda tutto, vivido come se fosse ieri.

Si trovava a Parigi dove il giorno prima aveva terminato una commissione. Tutti i giornali del mattino riportavano con evidenza la notizia della morte per infarto di un noto esponente politico. In realtà, era stata una dose letale di potassio cloruro in endovena a causarne il decesso. Era stato un lavoro preparatorio lungo che l’aveva te- nuto impiegato per quasi due mesi, rivela- tosi alla fine molto pulito, facile, anche perché l’uomo, come lui sapeva, soffriva già di cuore e le notizie non accennavano a indagini o illazioni sul fatto che fosse stato assassinato.

Amava Parigi, ed erano belle giornate di

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maggio, contrariamente alle sue abitudini decise che si sarebbe fermato ancora un paio di giorni. Tornato in albergo, si cambiò, mise scarpe e abiti leggeri, in spalla il suo zainetto con dentro il cellulare ed altre poche cose, documenti esclusi; nelle tasche dei pantaloni, oltre a un piccolo fermacarte con delle banconote ripiegate, mise un rasoio a mano libera, piccolo e leggero, uno strumento ormai desueto nelle mani di un barbiere moderno ma un’arma micidiale in caso di bisogno. Inforcò un paio di occhiali da sole e uscì dall’albergo per fare una lunga passeggiata a piedi. Da rue Saint Lazare si diresse verso la Senna, prese i grandi boulevards rue du Havre, percorse tutta rue Tronchet, costeggiò a sinistra Place de la Madeleine e s’incamminò verso l’elegante rue Saint Florentin. Erano quasi le due del pomeriggio e lì si fermò a mangiare in un ristorante che aveva già frequentato in passato e che sapeva non l’avrebbe deluso, dove indugiò e si trattenne cordialmente con il proprietario fino al primo pomeriggio. Poi si diresse verso i giardini delle Tuileries, li

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attraversò quasi tutti, si sedette su una sedia di fronte al Grand Bassin Rond a rilassarsi osservando il via vai dei turisti attraverso questo largo spazio verde, circondato dalle facciate dei grandi palazzi che avevano fatto di Parigi una delle città più belle del mondo.

In questo luogo così ampio si sentiva protetto ed era in pace con se stesso. Rimase lì a lungo, osservando le coppie di giovani che, verso sera, andavano via via sosti- tuendo le famiglie con i bambini e i ragazzi al seguito o le frotte di turisti che, attraversavano i giardini, frettolosi, un po’

smarriti da quello spazio così aperto nel cuore della città. A pochi metri da lui, due giovani si baciavano appassionatamente, lei seduta sulle ginocchia di lui, incuranti della scomodità della sedia, della gente intorno, del mondo, si baciavano e ridevano felici.

Nel vedere la scena gli salì al petto un senso di calore, si rese conto che da quando aveva iniziato l’ultima operazione non aveva toccato una donna.

Si alzò e riprese a passeggiare con l’inten- zione di non cenare in albergo, vi sarebbe

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tornato più tardi dove avrebbe contattato un’agenzia di escort.

Attraversò il fiume al Pont Royal e s’incamminò verso il lungosenna fino a Île de la Cité, poi, con la cattedrale di Notre- Dame alle spalle, camminò a lungo per tutta rue Monge, lontano dal percorso turistico solito e dai grandi boulevards, con l’inten- zione di arrivare fino alla zona universitaria, dove aveva scoperto dei buoni e piccoli ristoranti in cui avrebbe mangiato un boccone e da cui avrebbe poi chiamato un taxi per rientrare in albergo.

Erano quasi le nove di sera e in rue Mouffetard aveva visto da fuori un bistrot semideserto, dove entrò e si accomodò in un angolo in fondo al locale. Mentre aspettava quello che aveva ordinato, René vide entrare due donne ed un uomo che si diressero al banco del bar. Dovevano essere avventori abituali, a giudicare dal tono confidenziale con cui l’uomo parlava con il barista, ed aveva notato, in più di un’occa- sione, che entrambi si erano girati a guar- darlo per poi tornare a confabulare.

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L’uomo, che aveva ordinato da bere solo per sé, era alto, magro, i capelli lunghi legati all’indietro in un codino, aveva lineamenti tipici magrebini, indossava pantaloni attil- lati, una camicia chiara sotto un gilet nero, al polso sinistro ciondolava un grosso bracciale d’oro e, su entrambe le mani, por- tava grossi anelli. Mentre l’uomo e il barista parlavano, le donne stavano in piedi, mute, una magra, molto giovane, un po’ nervosa, lo sguardo strafottente, capelli biondi tinti, gonna corta a mostrare due gambe snelle su tacchi alti, l’altra era mora, più alta e decisamente più bella; contrariamente all’altra, aveva uno sguardo triste, un po’

spento, capelli neri, mossi, portati lunghi sulle spalle, un seno prosperoso che la camicetta faceva fatica a contenere, fianchi e gambe perfette, poteva avere trent’anni.

René portava ancora gli occhiali da sole, ma il locale era più illuminato dal lato del bar, così da consentirgli di non perdere una mossa, un gesto, uno sguardo del terzetto appoggiato al bancone che un po’ lo incuriosiva.

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Vide l’uomo col codino parlare all’orec- chio della mora e, mentre questa taceva o non dava segno di aver capito, lui le prese il mento obbligandola a guardarlo mentre le diceva qualcosa, poi allungò il suo braccio sinistro sulle sue spalle. René notò che la carezza che la mano dell’uomo faceva sul collo della donna si stava trasformando in una morsa decisa. Allora la donna si mosse e venne verso di lui. Notò i suoi grandi occhi neri, il bel viso e una bocca ben disegnata, lei trafficò un attimo nella borsetta, prese un pacchetto di sigarette e poi disse: “Ha da accendere per favore?”

“Mi dispiace, non fumo”

Lei lo guardò indecisa, seria, un sorriso appena accennato. Quella donna aveva del fascino, ma c’era qualcosa che strideva nel suo atteggiamento rispetto a quella che poteva essere la sua professione, poteva definirlo un senso di impaccio in lei e questo stimolò il suo interesse. Quasi con provoca- zione le disse: “Perché non si siede, vuole mangiare qualcosa? Le garantisco che questa omelette alle erbe è deliziosa, mi

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faccia compagnia, vuole?”

Detto questo, senza aspettare una risposta, fece cenno a un giovane cameriere, ma lei lo trattenne. René si stava eccitando, oltre che per la figura di lei, anche per l’uomo col codino al bancone che continuava a girarsi verso di loro con uno sguardo decisamente cattivo. Questo lo divertiva.

“Almeno prenda qualcosa da bere, cosa posso offrirle?”

La donna rimase un po’ spiazzata, ma fece finta di non mostrarlo, d’altronde doveva fare il suo mestiere e accettò.

“Un bicchiere di Beaujolais”, disse alla fine sedendosi di fianco a lui con un sorriso stavolta più accattivante.

“Bene, ottima scelta”

Mentre il cameriere la serviva, lui conti- nuò tranquillo la sua cena spostando lo sguardo dalla donna al bancone e guardando l’uomo che sembrava sempre più spazien- tito. Si accorse che il suo silenzio mentre mangiava la indisponeva e pensò che forse non sapesse come agganciarlo, se farlo direttamente o meno. D’altronde, René

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avrebbe potuto essere un turista, ma anche un poliziotto.

Lei aveva finito il suo calice e anche lui la cena.

A René non sfuggì il cenno perentorio che fece l’uomo al banco, rivolto alla donna come per invitarla a fare in fretta.

“Io prendo un caffè, lo vuole anche lei o preferisce un liquore?”

La donna gli disse piano: “Vorrei la sua compagnia, abito in un appartamento a pochi passi da qui”

René si tolse gli occhiali e li mise nello zainetto, guardò fisso la donna e pensò che forse non era il caso di aspettare ancora, tornare in albergo, cercare una escort, lei era già lì, giovane, disponibile, bella e procace.

“Va bene, andiamo”

René pagò il conto uscirono senza salutare nessuno. Lui la prese sottobraccio come se fosse una compagna, camminarono in silen- zio e per un breve tratto, perché, in effetti, l’abitazione della donna era in una via laterale lì vicino.

Davanti al portone d’ingresso, prima di

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entrare, l’uomo si guardò attorno e le disse dandole del tu: “Dove andiamo adesso è casa tua?”

“Sì”

“A che piano?”

Lei lo guardò sorpresa: “È al terzo piano, ma c’è l’ascensore”

“Va bene fammi strada, ma andiamo a piedi”

Entrando registrò tutto, osservò l’unica finestra che dava sulla strada e illuminava l’androne, l’ampiezza di quest’ultimo, il tipo di ascensore, il numero di appartamenti che si affacciavano a ogni piano e, soprat- tutto, il movimento lento, sinuoso, dei fianchi, dei glutei e delle belle gambe di lei mentre salivano le scale.

L’appartamento era piccolo, con un arredamento modesto, in ordine e molto pulito. La donna lo invitò ad accomodarsi e si rivolse a lui con un sorriso confidenziale:

“Vuoi qualcosa da bere?”

“No, ma fa parte del servizio?”

“Non necessariamente... vado in bagno un momento”

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René, che era rimasto in piedi vicino all’ingresso, si mosse veloce per tutto l’appartamento entrando nella piccola cu- cina, in camera da letto e poi di nuovo in sala, scostando le tende e guardando le finestre degli appartamenti dalla parte opposta della via e la strada sottostante.

Quando lei uscì dal bagno indossava solo una leggera vestaglia semitrasparente, aperta davanti che accentuava la sua nudità;

vide la donna andare in cucina e poi tornare in camera, René rimase colpito da quanto era bella, nessuna delle escort che aveva conosciuto, per quanto giovane, esperta e bella era paragonabile a lei.

“Pensavo già di trovarti in camera da letto”

“Abbiamo tempo”

“Un paio d’ore, e sono cento euro”

L’uomo sfilò di tasca due banconote che lasciò su un mobile e le disse: “Quell’uomo al bar è il tuo mac?”

Lei lo guardò sorpresa.

“Strano, mac è un nome che usano poco anche i francesi. Da quando al bar mi hai parlato avevo sentito un accento strano,

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pensavo che tu non lo fossi, mi sembravi straniero, comunque che t’importa?”

“Così, per chiedere... non mi sembravi molto a tuo agio accanto a lui”

Lei non rispose ma lui notò un velo di tristezza nel suo sguardo, solo un attimo, poi la donna, prendendo la sua mano, lo condusse in camera da letto, accese la luce di una lampada a stelo, si tolse la vestaglia e si sdraiò sul letto, di fianco.

“Dai, spogliati”

Lui si tolse i vestiti e si stese sul letto accanto a lei, l’accarezzò molto lentamente, fece scorrere tra le dita i suoi lunghi capelli, le sfiorò piano le spalle, il collo e indugiò sulla schiena e sui fianchi morbidi, si stupì della sua pelle di seta e si eccitò subito.

“Sei molto bella”

“Aspetta”

Lei si girò e prese dal cassetto del como- dino un preservativo.

“No, non ancora, voglio prima guardarti, vieni su di me”

Lei si mise a cavalcioni sopra di lui, gli mise il preservativo e accompagnò la sua

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penetrazione.

Era molto eccitato, per la lunga astinenza avrebbe potuto finire il rapporto in fretta, per lei poi sarebbe stato anche meglio, prima finiva, prima poteva portare in casa un altro cliente, ma si trattenne, si tirò su a sedere cingendo a sua volta le gambe intorno a quelle di lei e l’abbracciò forte.

“Fermati, così, non ti muovere, non fare versi inutili e stai in silenzio”

La guardava dritto negli occhi, le labbra a un centimetro dalle sue, sentiva la pressione forte del suo seno contro il petto e il suo profumo e si stupì di come fosse buono, pulito nonostante fosse solo quello della sua pelle. Tuffò il viso nell’incavo tra la spalla e il collo respirando il suo odore e, dimentico del suo mestiere, le leccò il collo fino all’orecchio, ma a quel punto lei fece per ritrarsi.

“Ferma”

“No”

Solo allora, così da vicino, René si accorse che aveva una brutta ferita netta, rossastra, anche se in via di guarigione, lunga tre

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centimetri subito dietro l’orecchio sinistro, nascosta dai lunghi capelli. Lui l’assecondò staccando il suo viso, ma sempre più ecci- tato le strinse forte i fianchi muovendo piano il bacino, invitando lei ad avere il suo stesso ritmo per finire il rapporto. Dopo alcuni minuti sentì il piacere pervaderlo e, tuffando il viso tra i suoi seni, strinse ancora di più la donna ma lei si lamentò.

“Mi stai facendo male”

“Come ti sto facendo male?”

Lui alzò il viso e vide che lei era impalli- dita e aveva gli occhi lucidi di pianto.

Lei si staccò e si rimise di fianco a lui.

“Scusa, sono caduta e ho battuto la schiena in basso, ma a te è piaciuto lo stesso no?”

René con un gesto deciso la girò supina e si accorse che sulla schiena la donna aveva dei lividi vistosi che partivano dalle ultime due costole fino al centro vicino all’osso sacro.

“Cosa ti è successo?”

“Non importa... e poi non hai pagato per vedere piangere una puttana, scusami an- cora”

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“Ma no, non ti preoccupare, non devi scusarti sono stato bene... però sono curioso e mi sembra di avere pagato per aver più di un’ora a mia disposizione. Ti devo confes- sare che a me piacciono le storie, le vicende delle vite altrui, così, fai conto che sia un collezionista e la tua mi interessa... è strano che una donna bellissima come te faccia la prostituta, anche se non sembra che lo sia, e poi sono curioso di sapere come hai fatto a cadere battendo la schiena così rovinosa- mente da avere, oltre ai lividi, una ferita da coltello dietro l’orecchio... dai, dimmi, abbiamo tempo”

Lei lo guardò incuriosita, asciugandosi una lacrima. “Se vuoi possiamo fare ancora l’amore”

“Ma no, sto bene così... dimmi, è stato quel pappa giù al bar a pestarti, è così che ti protegge?”

“Lascia perdere”

“Come ti chiami o come posso chiamarti?”

“Séline”

“Che cosa gli hai fatto di così grave per picchiarti così?”

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“Niente... ma tu cosa c’entri, non farai mica parte di quelli che girano di notte e avvicinano quelle come me per invitarle a redimersi e a cambiare vita”

“Cambiare vita non sarebbe un’idea sba- gliata, non trovi?”

Si asciugò gli occhi in lacrime con il dorso di una mano e tristemente gli disse: “Ho provato a farlo... mio marito è morto in un incidente meno di due anni fa, io non avevo mai lavorato, lui non voleva, soprattutto dopo che abbiamo avuto un figlio, stavamo bene, non ci mancava niente” Lei s’inter- ruppe e si mise seduta sul letto, appoggiata a un braccio, rimanendo in silenzio come se riflettesse, e lui la incalzò: “Continua”

“Dovevo mantenere me e mio figlio in qualche maniera, ho provato a fare la cameriera in un paio di locali, avevo sempre le mani addosso di qualcuno, per non parlare dei commenti, ho provato a fare la commessa, ma il più volte dovevo fare gli straordinari, inginocchiata davanti al titolare. Sono andata avanti mesi così e poi non ce l’ho fatta più, ho pensato che se

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faccio questo effetto agli uomini, tanto valeva sfruttarli e farmi pagare. Questa casa è mia, avevo pensato di portarli qui in maniera discreta, sono sana, l’ambiente è pulito, uso sempre precauzioni, poteva essere un’alternativa, fino a che non avessi trovato qualcosa di meglio, più onesto se vuoi”

“E tuo figlio? Non hai parenti che pote- vano aiutarti?”

“No, a parte mia madre che vive in un altro distretto della città e bada a mio figlio da quando faccio questo mestiere. Riesco comunque a vederlo e a stare con lui un po’

di tempo tutte le settimane”

“Dimmi allora, cosa è successo?”

“È successo sei mesi fa, avevo iniziato a portare in casa clienti rimorchiati nei bar e nei bistrot della zona, i più erano studenti delle università qui vicino, quando un sabato sera mentre rientravo sono stata aggredita alle spalle. Ero appena uscita dall’ascensore, loro hanno aspettato nasco- sti che aprissi la porta, mi hanno messo una mano intorno alla bocca e mi hanno spinta

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dentro casa. Erano in tre, non scendo nei particolari tanto te lo immagini, mi hanno pestata e violentata in due, persone che poi non ho più visto, mentre lui stava a guardare sorridendo, mi hanno rotto due costole, sono stata male tre settimane, ma quello che più mi ha ferita e spaventata è il fatto che lui sapeva tutto su mio figlio, dove andava a scuola e dove abitava mia madre. Mi ha detto chiaramente che nella zona era solo lui che controllava il mestiere e che non tollerava iniziative private. Per evitare che io facessi altri errori ha minacciato di fare del male a me e a mio figlio se non mi fossi accordata con lui su orari e compensi. È una storia nota”

Nello sfogo si leggeva l’amarezza, ma lei non aveva più gli occhi lucidi di pianto, anzi erano vividi e pieni di rabbia.

“È stato lui a ferirti dietro l’orecchio?”

“Sì, soltanto perché tempo fa, in una settimana, non avevo portato su nessun cliente, in quei giorni avevo avuto la febbre alta, lui è entrato in casa urlando che lo stavo fregando, che lo prendevo in giro, mi

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ha presa per i capelli minacciandomi che mi avrebbe tagliato un orecchio e, quando mi sono ribellata, ha tirato fuori un coltello e mi ha ferita, solo per avvertirmi che faceva sul serio. È un pazzo bastardo, ha già sfregiato un’altra donna... lo sai che non ha mai avuto rapporti con me e a quanto so, neanche con le altre? Dicono che sia impotente, per questo odia le donne, gode solo a fare loro del male.”

“Come si chiama?”

“Non lo so, lo chiamano l’Anguille, forse perché è magro e viscido”

“Hai il suo cellulare?”

“No, è sempre lui che ci chiama se ha bisogno, ma tutte le sere è qui intorno, fa il giro dei locali e degli alberghi a ore dove ha piazzato le donne... ma poi cosa mi chiedi, cosa vuoi fare?”

“Sai, come ti ho già detto, mi piace ascol- tare la storia della vita degli altri, la tua non è una storia nuova, ce ne sono a migliaia come la tua, ma se vuoi ti posso aiutare”

“Ma perché, non mi conosci, cosa t’im- porta? E poi, cosa pensi di fare?” La donna

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lo guardava sorpresa con un sorrisetto incredulo.

“Devo essere sincero, di quello che fai o quello che vorrai fare in futuro della tua vita non mi interessa, però non mi piace la violenza gratuita su chi non si può difendere, mi fa imbestialire! E poi è così stupido, banale e di una cattiveria ignorante. Mi sei piaciuta subito, dal momento che sei entrata nel bistrot: sei molto bella, femminile e sicuramente intelligente e penso che tu capisca cosa sto dicendo... forse mi hai colto in un momento particolare, non lo so spiegare bene neanche io, però sono disposto ad aiutarti per porre fine a questa violenza e, credimi, io certi problemi li risolvo in maniera radicale”

A queste parole, Séline rimase con la bocca e gli occhi spalancati, come se avesse davanti a sé un alieno, ma René continuo:

“Dimmi che abitudini ha con te, oltre che pestarti e riscuotere, quando vi vedete di solito e a che ora?”

“Quasi tutte le sere, ci vediamo qui sotto, in strada o al bistrot dove mi hai incontrata,

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qualche volta sale direttamente, soprattutto la sera tardi, come adesso, se pensa che mi trattenga troppo con un cliente, per questo mi ha obbligata a tenere le tende della finestra della cucina aperte e la luce accesa, come segnale che sto lavorando”

“Chi abita nello stabile, voglio dire che tipo di gente?”

“Famiglie normali, qualche studente in affitto, vecchi proprietari ormai in pensione, gente così... ma cosa vuoi fare?”

“Finire il mio tempo... vieni, stavolta non ti faccio male”

René abbracciò Séline e le baciò il viso dappertutto, il collo, il petto, lentamente e con dolcezza, lei lo lasciò fare in silenzio, ma poi l’abitudine del mestiere o la tensione amara dello sfogo sulla sua vita lasciarono il posto a un abbandono languido, tenero, che era da molto tempo che lei non provava, fino a che la sua eccitazione si unì a quella di lui e fecero l’amore come due giovani innamorati. Quando René si staccò da lei, vide che la donna lo guardava con occhi diversi, lieti, allungò una mano e gli fece

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una carezza sul viso.

Lui si scostò in fretta, si alzò, si rivestì e le disse: “Ascoltami, adesso vado, tu questa notte lascia in cucina la luce accesa e la tenda aperta, forse per te domani potrebbe essere un giorno migliore”

Era già sulla porta quando Séline si alzò dal letto e gli andò incontro. Lo guardò incredula riguardo a quello che pensava di aver capito, e gli disse: “Non so neanche il tuo nome”

“Non ha importanza”

E poi con un tono sincero gli chiese: “Ci rivedremo un giorno?”

“Chissà”

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