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PROFILI GENERALI DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEL PROFESSIONISTA

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* * * TAGETE 2 – 2003

Anno IX

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PROFILI GENERALI DELLA  

RESPONSABILITÀ CIVILE DEL PROFESSIONISTA

 

Prof. Pier Giuseppe Monateri 

     

I  professionisti  devono  esercitare  una  ragionevole  diligenza  adatta  alla  natura  delle  operazioni  intraprese. Essi non assicurano un risultato positivo, ma di attenersi ad uno standard di abilità e  competenza professionale. 

Si  tenga  presente  che  la  giurisprudenza  è  assolutamente  costante  nel  ritenere  che  spetti  al  paziente  non  solo  l'onere  di  provare  il  danno,  ma  anche  la  colpa  del  prestatore  d'opera  intellettuale1

Sebbene gli artt. 2229 ss. c.c. si riferiscano alle professioni intellettuali, non esiste una definizione  legislativa2  del  termine.  Per  ricavare  la  nozione  giuridica  occor  re,  quindi,  fare  riferimento  alla  prassi, ed al concetto tradizionale che se ne è tramandato3

Secondo la SC in Logar c. Ord. medici prov. Bari4 per aversi esercizio professionale di un'attività  occorre che questa non sia saltuaria, e priva del carattere di abitualità, mentre non è necessario il  fine di lucro. Allo stesso modo non è necessaria l'iscrizione ad un albo‐professionale5, ed inoltre  l'esercizio  di  una  attività  professionale,  in  questo  senso,  può  avvenire  anche  nell'ambito  di  un  rapporto di lavoro subordinato. 

Ciò  che  deve  essere  individuato  è  quindi  il  carattere  oggettivo  della  prestazione  d'opera  professionale,  indipendentemente  dal  tipo  di  rapporto  che  intercorre  tra  cliente  e  professionista,  e  indipendentemente  dalla  condizione  di  subordinazione,  o  meno,  in  cui  la  prestazione viene eseguita. 

La  principale  conseguenza,  sul  piano  formale,  della  qualificazione  di  una  attività  come  professionale, è l'applicazione dell'art. 2236 c.c.6, il quale prevede che se la prestazione implica la  soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se  non in caso di dolo o colpa grave. 

La  ratio7  della  norma  sembra  essere  quella  di  non  disincentivare  il  professionista  che  voglia 

 Articolo pubblicato in: I.P.S.E.G. “L’ODONTOIATRA E LA SUA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE. PROFILI GIURIDICI,  MEDICO‐LEGALI E ASSICURATIVI”, ed. Marco Valerio srl. 

 Ordinario di Diritto Civile Università di Torino 

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2 assumersi  il  rischio  dell'esecuzione  di  tali  operazioni  particolarmente  difficili,  fissando  un  livello  esonerativo di diligenza più basso di quello abituale. Sennonché la giurisprudenza, come vedre‐

mo, esige da chi sia esperto in una data professione una certa perizia, ed anzi maggiore è la sua  specializzazione, maggiore deve essere la sua perizia nell'operare, e quindi, in realtà la soglia della  diligenza esonerativa richiesta, come vedremo, si alza in pratica, invece di abbassarsi, proprio in  presenza di operazioni specialmente difficili. 

L'art. 2236 c.c. si applica alla responsabilità contrattuale come alla extracontrattuale8

La  responsabilità  professionale  è,  quindi,  sempre  la  medesima:  è  un  genus  peculiare  di  responsabilità, sia che il titolo da cui deriva sia un inadempimento contrattuale, sia che derivi da  fatto illecito extracontrattuale. In entrambi i casi si applicano i medesimi criteri, la giurisprudenza  ha  praticamente  annientato  la  differenza  tra  i  danni  risarcibili  ex  contractu  e  ex  delicto,  l'unica  differenza  residua  consiste  nella  prescrizione.  Peraltro  La  disposizione  prevista  dal  30  comma  dell'art. 2947 c.c. va riferita tanto al danno da fatto illecito extracontrattuale, quanto al danno da  fatto  illecito  precontrattuale  e  contrattuale,  purché  tale  fatto  sia  considerato  dalla  legge  come  reato,  nel  qual  caso  l'azione  contrattuale  e  delittuale  hanno  la  medesima  durata9.  Per  quanto  attiene  alla  decorrenza, entrambe  le  azioni  decorrono  dal  momento  in  cui  si  verifica  il  danno: 

infatti l'azione di responsabilità contrattuale nei confronti del debitore (art. 1218 c.c.) presuppone  la  produzione  del  danno,  non  diversamente  dall'azione  di  responsabilità  extracontrattuale.  Ne  consegue, dunque, che la prescrizione dell'azione di responsabilità contrattuale non può iniziare a  decorrere  prima  del~verificarsi  del  danno  di  cui  si  chiede  il  risarcimento,  ancorché  l'inadempimento  del  debitore  sussista  prima  ed  a  prescindere  dall'effetto  dannoso10.  Inoltre  la  deduzione  degli  estremi  oggettivi  e  soggettivi  della  responsabilità  è  sufficiente  ad  indicare  la  causa petendi di entrambe le forme di responsabilità11. Chi agisce in responsabilità professionale  non ha quindi l'onere di specificare il base a quale titolo (contrattuale o extra contrattuale) agisce,  ma  può  allegare  semplicemente  i  fatti  dannosi  di  cui  assume  la  contrarietà  al  diritto  e  la  riconducibilità in capo al convenuto. Soltanto qualora il dibattito processuale finisca per vertere su  un punto rilevante di differenza di prescrizione delle due azioni, allora il giudice dovrà qualificare i  fatti  allegati  nel  senso  dell'applicazione  delle  norme  relative  alla  prescrizione  eventualmente  intercorsa. 

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3 Nella sostanza il campo della responsabilità professionale è quindi un campo unico, ed un'area in  cui tocca alle corti fissare quali sono gli obblighi non scritti cui deve sottostare il professionista. Si  può,  infatti,  vedere  come  l'obbligazione  risarcitoria  sorga  solo  in  occasione  di  certe  circostanze  che  la  giurisprudenza  viene  a  delineare.  Si  può,  pertanto,  comprendere  come  le  soluzioni  ope‐

rative siano condizionate dalla presenza di un  certo insieme di standard di creazione pretoria. Il  ché  è  perfettamente  congruente  con  una  teoria  concreta  del  Legal  process:  le  attività  professionali  sono  infatti  attività  in  continua  evoluzione,  che  non  possono  quindi  essere  am‐

ministrate  dalla  legislazione  se  non  in  linea  generale.  Viceversa  le  corti  possono  in  queste  circostanze delineare un diritto flessibile che tenga conto ex post delle circostanze concrete in cui  si verifica un danno. 

Tale  opera  giurisprudenziale  passa,  appunto,  tramite  la  definizione  della  colpa  e  dei  doveri  extracontrattuali del professionista. 

E' pacifico peraltro come la violazione degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia attribuiti in  campo contrattuale al "buon professionista"12 rilevino anche ai fini del riconoscimento della sua  responsabilità extracontrattuale. Inoltre, come abbiamo già accennato, sebbene l'art. 2236 c.c.,  sia collocato nell'ambito della regolamentazione del contratto d'opera professionale, tale norma è  applicabile,  oltre  che  nel  campo  contrattuale,  anche  in  quello  extracontrattuale,  in  quanto  prevede un limite di responsabilità per la prestazione dell'attività professionale in genere, sia che  essa si svolga sulla base di un contratto, sia che venga riguardata al di fuori di un rapporto con‐

trattuale vero e proprio. 

Secondo l'art. 43 cp la colpa professionale può consistere anche nella imperizia13

In base a varie definizioni giurisprudenzia1i l'imperizia corrisponde senz'a1tro alla situazione in cui  un professionista agisce pur sapendo di non essere capace ad operare14. Naturalmente costituisce  imperizia  anche  la  mancata  applicazione  delle  cognizioni  generali  e  fondamentali  attinenti  all'esercizio  della  professione15.  Si  tratta  quindi  dell'inosservanza  di  regole  tecniche  idonee  ad  evitare o diminuire il danno che, benché non tradotte in leggi o regolamenti, siano però entrate  nell'uso corrente ed abitualmente app1icate16

Secondo  la  posizione  assunta  dalla  SC  diviene  oggi  impossibile  effettuare  un  discorso  generale  intorno  all'imperizia,  infatti  per  la  SC  in  tale  materia  si  prescinde  dal  criterio  generale  della 

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4 diligenza del buon padre di famiglia e ci si adegua, invece, alla natura dell'attività esercitata; ne  consegue che l'imperizia professionale presenta un contenuto variabile, da accertare in relazione  ad  ogni  singola  fattispecie,  rapportando  la  condotta  effettivamente  tenuta  dal  prestatore  alla  natura e specie dell'incarico professionale ed alle circostanze concrete in cui la prestazione deve  svolgersi  e  valutando  detta  condotta  attraverso  l'esame  nel  suo  complesso  dell'attività  prestata  dal professionista17

Viceversa  si  ha  imprudenza,  ogni  qua1vo1ta  manchi  la  rappresentazione  da  parte  dell'agente,  secondo il criterio della media diligenza ed attenzione del cosiddetto bonus pater fami1ias, della  possibilità dell'evento dannoso, poi in concreto verificatosi18

Ora  è  bene  chiarire  che  la  disposizione  dell'art.  2236  c.c.,  non  trova  applicazione  per  i  danni  ricollegabili a negligenza o imprudenza, dei quali il professionista, conseguentemente, risponde  anche solo per colpa lievel9

Per riassumere la questione, in base agli orientamenti attuali delle corti, occorre allora dire che la  responsabilità  del  professionista  per  i  danni  causati  nell'esercizio  della  sua  attività  postula  la  violazione dei doveri  inerenti  al  suo  svolgimento,  tra  i  quali  quello  della  diligenza  che  va  a  sua  volta  valutato  Con  riguardo  alla  natura  dell'attività20.  Si  tratta  ovviamente,  qui,  dell'attività  che  forma  oggetto  precipuo  della  preparazione  professionale  del  soggetto.  Ad  es.  l'obbligo  cui  è  tenuto  l'ingegnere  incaricato  della  redazione  del  progetto  di  costruzione  di  un  edificio,  consiste  nell'accertare  preventivamente  e  con  assoluta  precisione  le  dimensioni,  i  confini  e  le  altre  caratteristiche dell'area sulla quale debba eseguirsi la costruzione medesima21. Allo stesso modo  la  responsabilità  professionale  di  un  architetto  che  sia  incaricato  della  progettazione  e  della  direzione  dei  lavori  relativamente  alla  ristrutturazione  di  un  edificio  sarà  limitata  agli  errori  re‐

lativi  all'ideazione  del  progetto  o  alla  sua  attuazione,  ma  non  si  estenderà  agli  eventuali  errori  concernenti  la  interpretazione delle  autorizzazioni  giuridiche  necessarie  alla  realizzazione  del  progetto22

Pertanto  la  responsabilità  professionale  del  prestatore  d'opera  intellettuale,  ha  sempre  per  oggetto i soli errori tecnici della sua professione, dovuti cioè a mancanza di cognizioni tecniche  e/odi  esperienza  professionale.  Nella  sola  ipotesi  che  la  prestazione  implichi  "la  soluzione  di  problemi  tecnici  di  speciale  difficoltà",  la  legge  (art.  2236  c.c.)  prevede  un'attenuazione  della 

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5 normale  responsabilità,  nel  senso  che  il  professionista  è  tenuto  al  risarcimento  del  danno  unicamente per dolo o colpa grave, mentre, al di fuori di questa ipotesi, il professionista risponde,  secondo  le  regole  comuni  (art.  1176,  20  comma,  c.c.),  anche  per  colpa  lieve.  Si  tenga,  inoltre,  presente che la diligenza "media" a lui richiesta è quella posta nell'esercizio della propria attività  professionale da un professionista di preparazione ed attenzione media23. Nel nostro come in al‐

tri  ordinamenti  il  test  cui  sottoporre  il  professionista  è  quello  dell'“average  member  of  the  profession”. 

In questo modo le corti giungono, in realtà, anche in questo campo, ad una applicazione dei criteri  della res ipsa loquitur, onde la colpa lieve, in relazione alle ipotesi di routine, può essere presunta  ogni volta che venga accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del cliente24

Per  quanto  concerne  poi  i  soggetti  coinvolti  in  questa  ipotesi  di  RC,  è  evidente  come  la  responsabilità, anche extracontrattuale, del professionista debba in primo luogo essere affermata  nei  confronti  del  destinatario  della  prestazione,  sia  sorto  o  meno  un  vero  e  proprio  vincolo  contrattuale25.  Tale  responsabilità  può  però  valere  anche  nei  confronti  dei  terzi  estranei  che  abbiano  subito  danno  dallo  svolgimento  dell'attività  professionale26,  ed  anche  quando  il  committente  dell'attività  professionale  sia  un  ente  pubblico27.  Questo  danno  professionale  ai  terzi  si  realizza  naturalmente  soprattutto  nell'ipotesi  della  responsabilità  del  notaio28.  In  questi  casi  deve  essere  valutata  la  violazione  delle  norme  poste  dall'  ordinamento  professionale,  in  quanto siano riconducibili ad una estrinsecazione di doveri imposti a protezione della generalità  del pubblico29

Vedremo  ora  come  questi  vari  criteri  si  sostanziano  concretamente  in  riferimento  alle  varie  professioni.  In  questo  trattato  affronteremo  però  le  questioni  relative  alla  responsabilità  della  banca,  degli  amministratori  e  dei  revisori,  nel  capitolo  dedicato  alla  responsabilità..da  attività  economiche,  mentre  tratteremo  della  responsabilità  del  magistrato30  in  relazione  all'esercizio  delle  funzioni  giudiziarie  e  della  responsabilità  processuale,  ed  abbiamo  già  trattato  della  responsabilità  professionale  del  giornalista  in  correlazione  con  la  difesa  dei  diritti  della  perso‐

nalità31. Qui di seguito ci occuperemo quindi delle classiche professioni liberali, ed in particolare di  quelle tre che maggiormente hanno interessato la giurisprudenza: i medici, gli avvocati e i notai. 

La responsabilità civile del medico32 è dominata dall'applicazione ad una miriade di fatti concreti 

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6 differenti  dello  standard  di  condotta  esigibile  dal  professionista.  Tutte  le  varie  questioni,  ivi  comprese  quelle  essenziali  relative  al  nesso  causale  nell'errata  prognosi  medica,  sono  in  realtà  dominate  dalla  necessità  pratica  di  costruire  giurisprudenzialmente  i  doveri  professionali  di  una  attività in costante evoluzione. 

Per  quanto,  allora,  attiene  alla  colpa  medica  in  Osp.  S.  Maria  degli  Angeli  (PN)  c.  Chiandussi33  la  S.C. ha cercato di condensare le posizioni che è andata elaborando negli ultimi anni, stabilendo  contemporaneamente  che  la  colpa  del  medico  non  deve  essere  necessariamente  grave,  e  che  normalmente si applica a favore del soggetto leso la dottrina della res ipsa loquitur. 

In  questo  modo  la  Corte  ha  proseguito  il  cammino,  sicuramente  rivoluzionario,  rispetto  all'impostazione tradizionale, già avviato con l'ormai risalente precedente di Bortolus c. Osp. civile  di Udine34 e varie volte ribadito35

Secondo la S.C. l'attenuazione di responsabilità prevista dall'art. 2236 non si applica a tutti gli atti  del medico, ma solo a quelli che trascendono la preparazione professionale media. Ne consegue  che oggi il professionista risponde solo se versa in colpa grave quante volte il caso affidatogli sia  di  particolare  complessità  o  perché  non  ancora  sperimentato  o  studiato  a  sufficienza,  o  perché  non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire36

Quando si è nell'ambito degli atti ordinari della professione medica il danneggiato deve provare il  nesso  causale,  e  che  l'atto  del  medico  era  per  sua  natura  di  facile  esecuzione37,  venendo  in  tale  ipotesi in considerazione la colpa lieve, da presumere sussistente ogni volta che venga accertato  un  risultato  peggiorativo  delle  condizioni  del  paziente38,  salvo  per  il  medico,  in  tal  caso,  di  provare  di  avere  eseguito  la  prestazione  con  diligenza39.  In  questi  casi  la  diligenza  richiesta  è  quella posta nell'esercizio della propria attività professionale da un professionista di preparazione  ed attenzione media 40

In caso di operazioni di routine la responsabilità del medico sfiora, quindi, ormai la responsabilità  oggettiva41. Nel caso delle operazioni di particolare complessità, in virtù dei principi sulla perizia  professionale  prima  ricordati,  le  corti  declamano  il  criterio  della  colpa  grave,  ma  richiedono  di  fatto una scrupolosa attenzione. Le corti, infatti, sono più esigenti con soggetti da cui si presume  di poter pretendere una preparazione superiore alla media. In questo senso quindi, il richiamo alla  colpa grave, non vale qui come criterio di grossolanza divergenza dalla diligenza media, ma come 

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7 scarto  dalla  diligenza  esigibile  da  uno  specialista;  grave,  in  quanto  si  può  pretendere  dallo  specialista uno standard di diligenza superiore al normale. In sostanza ciò significa che l'art. 2236  costituisce  oggi  una  direttiva  legislativa  a  favore  della  colpa  in  concreto  e  non  una  limitazione  della responsabilità. 

In questo senso è assolutamente emblematico il caso Di Biagio c. Cassa maritt. merid.42 laddove  la SC esplicitamente ammette che t/la locuzione usata dall'art. 2236 c.c. è da intendere nel senso  che l'impegno intellettuale richiesto da tale caso sia superiore a quello professionale medio, con  conseguente  presupposizione  di  preparazione  e  dispendio  di  attività  anch'esse  superiori  alla  media".  Pertanto  il  test  del  medico  medio  si  deve  applicare  al  medico  generico,  mentre  allo  specialista, andrà applicato un test modulato sul tipo particolare di competenze di quella classe di  specialisti. 

Secondo me è inoltre ammissibile che su problemi molto delicati, che ammettono alla luce delle  conoscenze attuali più possibilità di soluzione, un professionista appartenga ad una determinata 

"scuola" di pensiero. In questo caso se si tratta di una scuola rispettabile ed accreditata43 è giusto  che il sanitario sia giudicato in base ai criteri della scuola cui appartiene. 

E'  bene,  infatti,  rilevare  la  nozione  attuale  di  colpa  grave  nell'  ambito  professionale  medico  empiricamente in base alla casistica elaborata dalle corti.  

Innanzitutto, per quanto concerne i rapporti tra responsabilità civile e responsabilità penale del  sanitario,  secondo  Tommasini  e  Fini  44  il  criterio  dettato  dall'art.  2236  c.c.  deve  essere  interpretato nell'ambito dei criteri fissati dal 43 cp, e cioè appunto come criterio di responsabilità  per  imperizia  professionale,  onde  peraltro  la  norma  civilistica  può  valere  come  riferimento  all'obbligazione  risarcitoria,  "ma  in  nessun  caso  può  ritenersi  che  detta  norma  sia  estendibile  all'ordinamento  penale,  onde  determinare  un'ipotesi  di  non  punibilità  per  fatti  commessi  con  colpa media o lieve"45

Per quanto attiene al sindacato delle scelte diagnostiche46 operato dalle corti civili si veda come in  Terenzio  c.  Pannella  e  Irelli47  è  stata  individuata  la  colpa  grave  in  una  mancanza  di  aggiornamento, ed in una trascuratezza attinente al trattamento post‐operatorio. 

Molto  severe  le  corti  per  quanto  attiene  alle  delimitazioni  dei  vari  campi  professionali.  Si  è  sostenuto,  infatti,  che  il  chirurgo  libero  docente  con  lunga  esperienza  operatoria,  ma  privo  di 

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8 specifica  esperienza  per  il  tipo  di  intervento  svolto  (chirurgia  midollare)  realizza  un  com‐

portamento  colposo  per  imprudenza48.  Il  medico  ostetrico  è  stato  condannato  per  non  aver  richiesto  l'intervento  di  un  pediatra  in  un  caso  di  nascita  di  una  bimba  asfittica49.  Il  Tribunale  di  Torino ha affermato esplicitamente50 che "sarebbe insensato che proprio negli interventi di mag‐

gior  rischio  tecnico  il  professionista  fosse  liberato  dal  dovere  di  prudenza,  potesse  essere  negligente  e  potesse  non  osservare  le  norme  di  condotta  che  disciplinano  la  sua  attività" 

condannando un medico di un nosocomio pubblico per l'uccisione di un feto nascente. 

Inoltre la SC predilige che il medico che effettua la diagnosi post‐operatoria, sia lo stesso che ha  eseguito personalmente l'intervento, altrimenti ritiene colposa la diagnosi errata51

Numerose sono poi le sentenze che attribuiscono a colpevole imperizia la mancata percezione di  un quadro clinico facilmente riconoscibile con conseguente effettuazione di terapie errate52Per  quanto  attiene  agli  interventi  chirurgici  si  ritiene,  in  linea  con  l'impostazione  sopra  ricostruita,  che  l'intervento  che  sia  ben  codificato  da  anni  di  approfondito  studio  anche  se  richiede elevate capacità ed esperienza, non riveste carattere di eccezionale rischiosa complessità  tale da giustificare l'applicazione del 2236 c.c.53

Insomma  dal  punto  di  vista  pratico  è  ovvio  constatare  come  la  consulenza  tecnica  dovrà  indirizzarsi su questi punti: atto facile o non facile del professionista, peggioramento o meno  delle condizioni del paziente, nesso causale, e quindi sussistenza o meno della colpa (lieve se  operazione  di  routine  o  comunque  ben  codificata,  grave  ‐ma  nel  senso  summenzionato‐  se  operazione che trascende la preparazione media, ovvero non ancora completamente studiata  o sperimentata). 

  

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9 BIBLIOGRAFIA 

  

1. Bortolus c. Ospedale Civile di Udine, Cass. 18.601975, no2439; Clamunen c. Com. di Melfa, Cass. 28.10.1976 n. 

3965; Anguillari e altro C. Santesso, Cass. 11.5.1977, n.1831; Rainone c. Ospedale S. Gennaro, Cass. 21.12.1978,  n. 6141; Fascetto c. Rapisarda, Cass. 17.3.1981, n. 1544; Di Biaggio c. Cassa Marittima, Cass. 7.8.1982, n. 4437; 

De Vito. c. Russi, Cass. 5.4.1984, n..2222; Barigozzi c. Salvadè, Cass. 27.7.1985, n.4386; Anzaldi c. Albeffi, Cass. 

5.12.1985, n. 6109.  

  

2. Varia la normativa a riguardo: artt. 2222‐2228 c.c. sul contratto d'opera; artt. 2229‐2238 c.c. sulle professioni  intellettuali;  artt.  30,  31,  35,  380‐383,348  cp;  artt.  61‐64,  12‐37.82‐89,  409,  441,  463,  cpcp  108  disp  att.;  L. 

1395/23  su  esercizio  professione  ingegneri  e  architetti;  RD  861/30  sulla  qualifica  di  specialista;  L  1578/33  ordinamento professioni avvocato e procuratore; RDL 184/35 disciplina esercizio professioni sanitarie; L 897/ 

38 iscrizione albi professionali; ecc.  

  

3. Ricordiamo che nella società gentilizia romana l'equivalente del moderno lavoro intellettuale professionale  non  formava  oggetto  di  contratto  di  scambio  a  titolo  oneroso.  La  prestazione  professionale  era  fornita  gratuitamente, e spontaneamente il favorito si sdebitava. In questo senso si proseguì nel medioevo e oltre a  parlare di professioni libere o liberali. Naturalmente date queste premesse la resp. professionale non poteva  essere  contrattuale,  ma  era  eventualmente  necessariamente  aquiliana  (cfr.  DE  ROBERTlS,  La  resp. 

contrattuale  nel  sistema  della  grande  compilazione,  I,  Bari,  1981;  CATTANEO,  La  resp.  del  professionista,  Milano, 1958,21 ss.).  

  

4. Logar c. Ordine dei Medici Prov. Bari, Cass. 17.10.1961, n. 2185.  

  

5. Soc. ed. Periodici c. ENASARCO, Cass. 18.6.1965, 1226.  

  

6. Orientamento giurisprudenziale presalente e ormai pacifico, cfr. Scopesi c. Romano, Cass. 6.3.1971, n.1282,  in GC, 1971, I, 1417; Fascetto c. Rapisarda, 17.3.1981, n.1544.  

  

7. Cfr. Relazione del Gardasigilli, n. 917.  

  

8. Fascetto c. Rapisarda Cass., 17.3.1981, n.1544; Terenzio c. Pannella, Cass. 8.3.1979, n.1441; Scopesi c Romano  e Univ. degli Studi di Firenze, Cass. 6.5.1971, n. 1282.  

  

9. Valvano c. Frusci, Cass., sez. III, 01.3.1994, n. 2012, Resp.Civ., 1995, 322.  

  

10. Fenoaltea c. Soc. nuova Riserva immob., Cass., 29.8.1995, n. 9060.  

  

11. Capitani c. Soc. Scac, Cass., sez. lav., 23‐06‐1994, 6064/1994, Foro it., 1995, 1,201; Giur. it., 1995, I, l, 412, nella  specie, di lamentato danno da ipoacusia, la cassazione ha ammesso a carico del datare di lavoro il cumulo tra  rc aquiliana per infortunio sul lavoro e quella contrattuale propria del rapporto di lavoro subordinato.  

  

12. Colognari c. Sampaolesi, Cass. 15.4.1982, n. 2274, Riv Giur. Edilizia, 1983, I, 162; Pattis c. Cassa di Risparmio  Prov  Bolzano,  Cass.  30.1.1982  n.588,  BBTC,  1983,  li,  311;  FI,  1983,  I,  1394;  Nava  c.  Gaetani,  15.11.1982,  n. 

6101.  

  

13. La  norma  recepisce  sia  il  brocardo  imperitia  culpae  aequiparatur  sia  il  principio  per  cui  "si  quelqu'un  fait  profession publique d'un art ou d'un métier, il est censé avoir la capacité nécessaire pour l'exercer".  

  

14. App. Milano, 15.11.1960.  

  

15. App. Genova 1.6.1983; Cass. 1441/79.  

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16. Mammoli c. Soc. Fincrinos, T. Napoli, 9.10.1986, Resp. civ., 1988,407, n. TASSONI.  

  

17. Bellantonio c. Gioia, Cass., 9.11.1982, n.885, Arch. civ., 1983, 496; Nava Gaetani, Cass., 15.11.1982, n.6101.  

  

18. Soc. immob. S. Rita alla Barona c. Soc. Rettagliata, Cass., 21.3.1981, n.1656.  

  

19. Usl Venezia c. Petix, Cass., 8.7.1994, n.6464, Corriere giur.: 1995,91, nota BATÀ; Giust civ., 1995, I, 767; Giur it.,  1995, I, l, 790, nota FASCELLA, VENTURELLO, Resp. civ, 1994, 1029; nota GORGONI, Zacchia, 1995, 89 Cm),  nota TURILLAZZI, SERI, Ragiusan, 1995, fasc. 129,235.  

  

20. Com. Montevarchi c. Usi 20/ A, Montevarchi, Cass., 12.8.1995, n. 8845.  

  

21. Pellegrino  c.  Coppola,  Cass.,  21.7.1989,  n.3476,  si  ricordi  comunque  che  ale  obbligo  inerisce  al  corretto  espletamento  del  mandato  professionale  ed  ha  quindi,  per  la  nostra  giurisprudenza,  natura  puramente  contrattuale.  

  

22. Colognori c. Sampaolesi, Cass., 15.4.1982, n.2274. Questa soluzione è forte e condivisibile per più aspetti. lo  però mi sentirei di dissentire dal punto di vista pratico, infatti il cliente che si rivolge ad un professionista, in  un  certo  senso,  vuole  acquistare  una  peace  of  mind  per  tutto  quel  che  riguarda  la  pratica  affidata  al  professionista.  Orbene  gli  architetti  sono  oggi  in  realtà  più  qualificati  degli  stessi  avvocati  a  informarsi  e  comprendere quali sono i vari atti amministrativi necessari alla buona realizzazione di un progetto, onde mi  sembra verosimile dire che tale conoscenza deve rientrare nella preparazione media dell'architetto. Ma se  anche  non  fossero  versati  in  tali  pratiche  amministrative,  imporre  l'obbligo  giuridico  correlativo  sarebbe  efficiente,  in  quanto  semplicemente  trasferirebbe  dal  cliente  all'architetto  l'onere  di  consultare  eventualmente  un  avvocato,  permettendo  quindi  una  maggiore  tutela  del  non  professionista.  Una  cosa  inoltre mi sento di dire: l'architetto dovrebbe comunque informare il cliente sulla necessità di consultare un  avvocato,  e  se  omette  di  farlo,  e  accetta  l'incarico  di  occuparsi  anche  delle  autorizzazione  relative  all'espletamento  dell'incarico  dovrebbe  ‐a  mio  parere  ‐rispondere  per  imperizia.  Dico  questo  a  proposito  degli  architetti,  ma  ritengano  naturalmente  il  discorso  estensibile  a  qualsiasi  professione.  Per  quanto  riguarda  simili  problemi  di  determinazione  dell'ambito  dell'attività  professionale  rispetto  ad  altre  pro‐

fessioni.  

  

23. Landi c. Traldi, Cass., sez. II, 28.3.1994, n.3023; Pugnali ‐Fiorelli, Cass., 7.5.1988, n.3389, Dir. e pratica assic.,  1989,497 (m), nota ANTINOZZI.  

  

24. Arcuti c Pascarelli, Cass., 18.10.1994, 8470.  

  

25. Le due responsabilità, contrattuale ed extra contrattuale, possono infatti concorrere in molte ipotesi.  

  

26. Fontana c Savarese, Cass. 20.11.1970, n.2448. Nella specie un geometra aveva assunto la direzione dei lavori  in sostituzione (illecita) di un ingegnere, facendo costruire un balcone poi crollato su un terzo estraneo.  

  

27. Trib. Larino, 27.12.1975, GM, 1977 I 290. Nel qual caso la rc del professionista concorre con quella dell'ente. 

Tale concorso non si attua invece quando il professionista sia un dipendente dell'ente pubblico.  

  

28. Nencioni c Cenoli, Cass. 24.5.1960, n.1322 specifica la distinzione tra attività svolta dal notaio nell'esecuzione  dell'incarico  specifico  affidatogli  dal  cliente,  e  attività  cui  è  tenuto  quale  professionista  investito  di  un  pubblico ufficio.  

  

29. Cfr.  Soc.  Logra  c.  Candiani,  Cass.,  1l.5.1957,  n.  1659,  BBTC,  1957,  II,  336;  Merendoni  c.  Marinucci,  Cass. 

16.2.1957, n. 553, CC, 1957, I, 812; FI, 1957, I, 744; T. Roma, 9.3.55,TR, 1955, I, 74, nonché Albano c. Benedetti, 

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Cass.,  25.5.1981,  n.3433,  et  amplius  infra.  Lo  scopo  di  "protezione  dell'onorabilità  della  professione"  delle  norme violate sarà ovviamente rilevante ai soli fini della resp. disciplinare del professionista.  

  

30. Non  riteniamo  infatti  che  la  resp.  del  magistrato  sia  una  resp.  da  attività  professionale,  ma  una  forma  particolare di resp. eccezionale rispetto al principio generale della judicial immunity. Riteniamo inoltre che la  resp.  della  banca,  o  degli  amministratori  (extracontrattuale  ben  si  intende)  tragga  profitto  dall'essere  considerata  in  relazione  alle  attività  economiche  di  mercato,  piuttosto  che  dall'accostamento  con  medici,  avvocati e notai.  

  

31. Peraltro come si vede distinguiamo in questo modo le ipotesi in cui il richiamo all'art. 2236 c.c. è sensato, da  quelle in cui questo richiamo in realtà di fatto non avviene.  

  

32. Giustamente si definisce ormai la responsabilità medica come un sottosistema della responsabilità civile, cfr. 

DE MATTEIS, La responsabilità medica, Padova, 1995 e riff. In tema vastissima la bibliografia sui vari aspetti  pratici e teorici negli ultimi anni: MONATERI, BONA e CASTELNUOVO, La responsabilità da attività medico‐

sanitarie, in AA. VV., n danno alla persona, Torino, 2000, Tomo I BILANCETTI, La responsabilità penale e civile  del medico, Padova, 1995; DE MATTEIS, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenze  giurisprudenziali, Contratto e impr., 1995, 489; GIANNINI, La responsabilità del medico e dell'ente ospedaliero  per  protesi  difettosa,  Dir  ed  economia  assicuraz.,  1994,  683;  ZENO  ZENCOVICH,  La  sorte  del  paziente  ‐La  responsabilità  del  medico  per  l'errore  diagnostico,  Padova,  1994;  ZAMBRANO,  Interesse  del  paziente  e  responsabilità medica nel diritto civile italiano e comparato, Napoli, 1993.  

  

33.  Chiaranda c. Osp. S Maria degli Angeli, Cass., 1.2.1991, n. 977, Giur. it, 1991, I, l, 1379. Nella specie si trattava  di danni derivanti da una saccoradiodolografia, e l'esame medico aveva provocato una invalidità permanente  nell'attore  che  lo  aveva  costretto  a  cessare  l'attività  lavorativa.  Il  Tribunale  aveva  respinto  la  domanda  di  danni, e così pure la Corte d'Appello, ritenendo che non vi fosse stata negligenza del medico, ma che il danno  fosse connesso al caso fortuito rientrante nel normale rischio operativo. La Corte ha cassato tale decisione  perché non era stata richiesta al medico la prova della dovuta diligenza.  

  

34. Bortolus  c.  Ospedale  Civico  Udine  e  Ceccotto,  Cass.  18.6.1975,  n.  2439,  Giur.  it.,  1976,  1,  1,  953  nota  LEGA,  nonché, Lentini c. Rosa, Cass., 16.11.1988, n 6220.  

  

35. Cfr. ad es. Vella c. Modisso, Cass. 11.8.1990, n. 8218, in Rep. Giur. it.,1990, voce "Professioni intellettuali", n. 

43.  

  

36. Com. Montevarchi c. Usl20/A, Montevarchi, Cass. 12.8.1995, n.8845; Onesto c. Min. difesa, Cass., 22.2.1988,  n.1847,  Arch.  civ.,  1988,  684.  Capostipite di  tale  linea  è Rainone  c.  Osped.  S.  Gennaro,  Cass.  21.12.1978,  n. 

6141, GI, 79, l, l, 953.  

  

37. Chiaranda ‐Osp. S. Maria degli Angeli, Cass., 1.2.1991, n. 977, Giur. it., 1991, l, l, 1379 e Rainone c. Osped. S. 

Gennaro, Cass. 21.12.1978, n. 6141, GI, 79, l, l, 953, cit.; contra, Vella c. Modisso, Cass. 11.8.1990, n. 8218, in  Rep. GiU1: it., 1990, voce "Professioni intellettuali", n. 43. Sul punto cfr. Bortolus c. Ospedale Civile di Udine,  Cass. 18.6.1975, n.2439, FI, 1976, I, 745 e, ancora, Rainone c. Ospedale S. Gennaro, Cass. 21.12.1978, n. 6141,  cit. nonché T. Verona 11 marzo 1989, FI, Rep. 1990, voce cit., n. 117.  

  

38. Arcuti c Pascarelli, Cass., 18.10.1994, n. 8470.  

  

39. Bossi c. Marconi, Cass., 1l.4.1995, n. 4152.  

  

40. Landi c. Traldi, Cass., 28.3.1994, n. 3023.  

  

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41.  La conseguenza, evidente in Chiaranda c. Osp. S. Maria degli Angeli, Cass., 1.2.1991, n. 977, Giur. it, 1991, I, l,  1379, è, infatti, che il medico risponde di un evento che, secondo il vecchio criterio, era stato imputato a caso  fortuito dal Tribunale e dalla Corte d'Appello.  

  

42. Cass., 7.8.1982, n.4437, Resp civ., 1984, 78, n. SOMARÈ.  

  

43.  Secondo la definizione consueta in America di scuola come "respectable minority" della professione.  

  

44. Tommasini e Fini, Cass. pen. 9.6.81.  

  

45. Nello stesso senso, giurisprudenza ormai consolidata, cfr. Cass. 24.1.1984, RP, 1985,923; Cass. 24.6.88, RP,  1988,404; Cass., 2.6.1987,RP, 1988,906.  

  

46. Su cui cfr. ZENO‐ZENCOVICH, La sorte del paziente La rep. Del medico per l'errore diagnostico, Padova, 1994.  

  

47. Terenzio c. Pannella e Irelli, Cass. 8.3.1979, n. 1441, GI, 1979, I, l, 1494.  

  

48. A. Bari 21.4.1983, CBLP, 1983, 221. Nello stesso senso Caiaffa c. Usl 3, Bari, Cass., 26.3.1990, n.2428, rc d'un  medico‐chirurgo, con esperienza in ortopedia, che aveva eseguito un intervento al midollo.  

  

49. A. Milano 30.6.1987.  

  

50. T. Torino 14.9.1978.  

  

51. Così Badoglio, Cass. Pen. 24. l.1985, RP, 1935, 796.  

  

52. Cfr. ad es. Patriarca, T. Roma 6.4.1984 e A Roma 9.11.1985, GM, 1987,712 nota SCIARAFFIA, Riv. It. Medicina  Legale, 1987, 616; A Roma 27.11.1986, ND, 88, 437.  

  

53. Fiorini c. Tomaino, Cass. 18.4.1978, n. 1845, RCP, 1978, 591.  

  

*   *   *   *    

TAGETE n.2 Giugno 2003  Anno IX  

   

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