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PROFILI GENERALI DELLA
RESPONSABILITÀ CIVILE DEL PROFESSIONISTA
Prof. Pier Giuseppe Monateri
I professionisti devono esercitare una ragionevole diligenza adatta alla natura delle operazioni intraprese. Essi non assicurano un risultato positivo, ma di attenersi ad uno standard di abilità e competenza professionale.
Si tenga presente che la giurisprudenza è assolutamente costante nel ritenere che spetti al paziente non solo l'onere di provare il danno, ma anche la colpa del prestatore d'opera intellettuale1.
Sebbene gli artt. 2229 ss. c.c. si riferiscano alle professioni intellettuali, non esiste una definizione legislativa2 del termine. Per ricavare la nozione giuridica occor re, quindi, fare riferimento alla prassi, ed al concetto tradizionale che se ne è tramandato3.
Secondo la SC in Logar c. Ord. medici prov. Bari4 per aversi esercizio professionale di un'attività occorre che questa non sia saltuaria, e priva del carattere di abitualità, mentre non è necessario il fine di lucro. Allo stesso modo non è necessaria l'iscrizione ad un albo‐professionale5, ed inoltre l'esercizio di una attività professionale, in questo senso, può avvenire anche nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato.
Ciò che deve essere individuato è quindi il carattere oggettivo della prestazione d'opera professionale, indipendentemente dal tipo di rapporto che intercorre tra cliente e professionista, e indipendentemente dalla condizione di subordinazione, o meno, in cui la prestazione viene eseguita.
La principale conseguenza, sul piano formale, della qualificazione di una attività come professionale, è l'applicazione dell'art. 2236 c.c.6, il quale prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.
La ratio7 della norma sembra essere quella di non disincentivare il professionista che voglia
Articolo pubblicato in: I.P.S.E.G. “L’ODONTOIATRA E LA SUA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE. PROFILI GIURIDICI, MEDICO‐LEGALI E ASSICURATIVI”, ed. Marco Valerio srl.
Ordinario di Diritto Civile Università di Torino
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2 assumersi il rischio dell'esecuzione di tali operazioni particolarmente difficili, fissando un livello esonerativo di diligenza più basso di quello abituale. Sennonché la giurisprudenza, come vedre‐
mo, esige da chi sia esperto in una data professione una certa perizia, ed anzi maggiore è la sua specializzazione, maggiore deve essere la sua perizia nell'operare, e quindi, in realtà la soglia della diligenza esonerativa richiesta, come vedremo, si alza in pratica, invece di abbassarsi, proprio in presenza di operazioni specialmente difficili.
L'art. 2236 c.c. si applica alla responsabilità contrattuale come alla extracontrattuale8.
La responsabilità professionale è, quindi, sempre la medesima: è un genus peculiare di responsabilità, sia che il titolo da cui deriva sia un inadempimento contrattuale, sia che derivi da fatto illecito extracontrattuale. In entrambi i casi si applicano i medesimi criteri, la giurisprudenza ha praticamente annientato la differenza tra i danni risarcibili ex contractu e ex delicto, l'unica differenza residua consiste nella prescrizione. Peraltro La disposizione prevista dal 30 comma dell'art. 2947 c.c. va riferita tanto al danno da fatto illecito extracontrattuale, quanto al danno da fatto illecito precontrattuale e contrattuale, purché tale fatto sia considerato dalla legge come reato, nel qual caso l'azione contrattuale e delittuale hanno la medesima durata9. Per quanto attiene alla decorrenza, entrambe le azioni decorrono dal momento in cui si verifica il danno:
infatti l'azione di responsabilità contrattuale nei confronti del debitore (art. 1218 c.c.) presuppone la produzione del danno, non diversamente dall'azione di responsabilità extracontrattuale. Ne consegue, dunque, che la prescrizione dell'azione di responsabilità contrattuale non può iniziare a decorrere prima del~verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento, ancorché l'inadempimento del debitore sussista prima ed a prescindere dall'effetto dannoso10. Inoltre la deduzione degli estremi oggettivi e soggettivi della responsabilità è sufficiente ad indicare la causa petendi di entrambe le forme di responsabilità11. Chi agisce in responsabilità professionale non ha quindi l'onere di specificare il base a quale titolo (contrattuale o extra contrattuale) agisce, ma può allegare semplicemente i fatti dannosi di cui assume la contrarietà al diritto e la riconducibilità in capo al convenuto. Soltanto qualora il dibattito processuale finisca per vertere su un punto rilevante di differenza di prescrizione delle due azioni, allora il giudice dovrà qualificare i fatti allegati nel senso dell'applicazione delle norme relative alla prescrizione eventualmente intercorsa.
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3 Nella sostanza il campo della responsabilità professionale è quindi un campo unico, ed un'area in cui tocca alle corti fissare quali sono gli obblighi non scritti cui deve sottostare il professionista. Si può, infatti, vedere come l'obbligazione risarcitoria sorga solo in occasione di certe circostanze che la giurisprudenza viene a delineare. Si può, pertanto, comprendere come le soluzioni ope‐
rative siano condizionate dalla presenza di un certo insieme di standard di creazione pretoria. Il ché è perfettamente congruente con una teoria concreta del Legal process: le attività professionali sono infatti attività in continua evoluzione, che non possono quindi essere am‐
ministrate dalla legislazione se non in linea generale. Viceversa le corti possono in queste circostanze delineare un diritto flessibile che tenga conto ex post delle circostanze concrete in cui si verifica un danno.
Tale opera giurisprudenziale passa, appunto, tramite la definizione della colpa e dei doveri extracontrattuali del professionista.
E' pacifico peraltro come la violazione degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia attribuiti in campo contrattuale al "buon professionista"12 rilevino anche ai fini del riconoscimento della sua responsabilità extracontrattuale. Inoltre, come abbiamo già accennato, sebbene l'art. 2236 c.c., sia collocato nell'ambito della regolamentazione del contratto d'opera professionale, tale norma è applicabile, oltre che nel campo contrattuale, anche in quello extracontrattuale, in quanto prevede un limite di responsabilità per la prestazione dell'attività professionale in genere, sia che essa si svolga sulla base di un contratto, sia che venga riguardata al di fuori di un rapporto con‐
trattuale vero e proprio.
Secondo l'art. 43 cp la colpa professionale può consistere anche nella imperizia13.
In base a varie definizioni giurisprudenzia1i l'imperizia corrisponde senz'a1tro alla situazione in cui un professionista agisce pur sapendo di non essere capace ad operare14. Naturalmente costituisce imperizia anche la mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti all'esercizio della professione15. Si tratta quindi dell'inosservanza di regole tecniche idonee ad evitare o diminuire il danno che, benché non tradotte in leggi o regolamenti, siano però entrate nell'uso corrente ed abitualmente app1icate16.
Secondo la posizione assunta dalla SC diviene oggi impossibile effettuare un discorso generale intorno all'imperizia, infatti per la SC in tale materia si prescinde dal criterio generale della
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4 diligenza del buon padre di famiglia e ci si adegua, invece, alla natura dell'attività esercitata; ne consegue che l'imperizia professionale presenta un contenuto variabile, da accertare in relazione ad ogni singola fattispecie, rapportando la condotta effettivamente tenuta dal prestatore alla natura e specie dell'incarico professionale ed alle circostanze concrete in cui la prestazione deve svolgersi e valutando detta condotta attraverso l'esame nel suo complesso dell'attività prestata dal professionista17.
Viceversa si ha imprudenza, ogni qua1vo1ta manchi la rappresentazione da parte dell'agente, secondo il criterio della media diligenza ed attenzione del cosiddetto bonus pater fami1ias, della possibilità dell'evento dannoso, poi in concreto verificatosi18.
Ora è bene chiarire che la disposizione dell'art. 2236 c.c., non trova applicazione per i danni ricollegabili a negligenza o imprudenza, dei quali il professionista, conseguentemente, risponde anche solo per colpa lievel9.
Per riassumere la questione, in base agli orientamenti attuali delle corti, occorre allora dire che la responsabilità del professionista per i danni causati nell'esercizio della sua attività postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello della diligenza che va a sua volta valutato Con riguardo alla natura dell'attività20. Si tratta ovviamente, qui, dell'attività che forma oggetto precipuo della preparazione professionale del soggetto. Ad es. l'obbligo cui è tenuto l'ingegnere incaricato della redazione del progetto di costruzione di un edificio, consiste nell'accertare preventivamente e con assoluta precisione le dimensioni, i confini e le altre caratteristiche dell'area sulla quale debba eseguirsi la costruzione medesima21. Allo stesso modo la responsabilità professionale di un architetto che sia incaricato della progettazione e della direzione dei lavori relativamente alla ristrutturazione di un edificio sarà limitata agli errori re‐
lativi all'ideazione del progetto o alla sua attuazione, ma non si estenderà agli eventuali errori concernenti la interpretazione delle autorizzazioni giuridiche necessarie alla realizzazione del progetto22.
Pertanto la responsabilità professionale del prestatore d'opera intellettuale, ha sempre per oggetto i soli errori tecnici della sua professione, dovuti cioè a mancanza di cognizioni tecniche e/odi esperienza professionale. Nella sola ipotesi che la prestazione implichi "la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà", la legge (art. 2236 c.c.) prevede un'attenuazione della
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5 normale responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave, mentre, al di fuori di questa ipotesi, il professionista risponde, secondo le regole comuni (art. 1176, 20 comma, c.c.), anche per colpa lieve. Si tenga, inoltre, presente che la diligenza "media" a lui richiesta è quella posta nell'esercizio della propria attività professionale da un professionista di preparazione ed attenzione media23. Nel nostro come in al‐
tri ordinamenti il test cui sottoporre il professionista è quello dell'“average member of the profession”.
In questo modo le corti giungono, in realtà, anche in questo campo, ad una applicazione dei criteri della res ipsa loquitur, onde la colpa lieve, in relazione alle ipotesi di routine, può essere presunta ogni volta che venga accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del cliente24.
Per quanto concerne poi i soggetti coinvolti in questa ipotesi di RC, è evidente come la responsabilità, anche extracontrattuale, del professionista debba in primo luogo essere affermata nei confronti del destinatario della prestazione, sia sorto o meno un vero e proprio vincolo contrattuale25. Tale responsabilità può però valere anche nei confronti dei terzi estranei che abbiano subito danno dallo svolgimento dell'attività professionale26, ed anche quando il committente dell'attività professionale sia un ente pubblico27. Questo danno professionale ai terzi si realizza naturalmente soprattutto nell'ipotesi della responsabilità del notaio28. In questi casi deve essere valutata la violazione delle norme poste dall' ordinamento professionale, in quanto siano riconducibili ad una estrinsecazione di doveri imposti a protezione della generalità del pubblico29.
Vedremo ora come questi vari criteri si sostanziano concretamente in riferimento alle varie professioni. In questo trattato affronteremo però le questioni relative alla responsabilità della banca, degli amministratori e dei revisori, nel capitolo dedicato alla responsabilità..da attività economiche, mentre tratteremo della responsabilità del magistrato30 in relazione all'esercizio delle funzioni giudiziarie e della responsabilità processuale, ed abbiamo già trattato della responsabilità professionale del giornalista in correlazione con la difesa dei diritti della perso‐
nalità31. Qui di seguito ci occuperemo quindi delle classiche professioni liberali, ed in particolare di quelle tre che maggiormente hanno interessato la giurisprudenza: i medici, gli avvocati e i notai.
La responsabilità civile del medico32 è dominata dall'applicazione ad una miriade di fatti concreti
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6 differenti dello standard di condotta esigibile dal professionista. Tutte le varie questioni, ivi comprese quelle essenziali relative al nesso causale nell'errata prognosi medica, sono in realtà dominate dalla necessità pratica di costruire giurisprudenzialmente i doveri professionali di una attività in costante evoluzione.
Per quanto, allora, attiene alla colpa medica in Osp. S. Maria degli Angeli (PN) c. Chiandussi33 la S.C. ha cercato di condensare le posizioni che è andata elaborando negli ultimi anni, stabilendo contemporaneamente che la colpa del medico non deve essere necessariamente grave, e che normalmente si applica a favore del soggetto leso la dottrina della res ipsa loquitur.
In questo modo la Corte ha proseguito il cammino, sicuramente rivoluzionario, rispetto all'impostazione tradizionale, già avviato con l'ormai risalente precedente di Bortolus c. Osp. civile di Udine34 e varie volte ribadito35.
Secondo la S.C. l'attenuazione di responsabilità prevista dall'art. 2236 non si applica a tutti gli atti del medico, ma solo a quelli che trascendono la preparazione professionale media. Ne consegue che oggi il professionista risponde solo se versa in colpa grave quante volte il caso affidatogli sia di particolare complessità o perché non ancora sperimentato o studiato a sufficienza, o perché non ancora dibattuto con riferimento ai metodi terapeutici da seguire36.
Quando si è nell'ambito degli atti ordinari della professione medica il danneggiato deve provare il nesso causale, e che l'atto del medico era per sua natura di facile esecuzione37, venendo in tale ipotesi in considerazione la colpa lieve, da presumere sussistente ogni volta che venga accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del paziente38, salvo per il medico, in tal caso, di provare di avere eseguito la prestazione con diligenza39. In questi casi la diligenza richiesta è quella posta nell'esercizio della propria attività professionale da un professionista di preparazione ed attenzione media 40.
In caso di operazioni di routine la responsabilità del medico sfiora, quindi, ormai la responsabilità oggettiva41. Nel caso delle operazioni di particolare complessità, in virtù dei principi sulla perizia professionale prima ricordati, le corti declamano il criterio della colpa grave, ma richiedono di fatto una scrupolosa attenzione. Le corti, infatti, sono più esigenti con soggetti da cui si presume di poter pretendere una preparazione superiore alla media. In questo senso quindi, il richiamo alla colpa grave, non vale qui come criterio di grossolanza divergenza dalla diligenza media, ma come
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7 scarto dalla diligenza esigibile da uno specialista; grave, in quanto si può pretendere dallo specialista uno standard di diligenza superiore al normale. In sostanza ciò significa che l'art. 2236 costituisce oggi una direttiva legislativa a favore della colpa in concreto e non una limitazione della responsabilità.
In questo senso è assolutamente emblematico il caso Di Biagio c. Cassa maritt. merid.42 laddove la SC esplicitamente ammette che t/la locuzione usata dall'art. 2236 c.c. è da intendere nel senso che l'impegno intellettuale richiesto da tale caso sia superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch'esse superiori alla media". Pertanto il test del medico medio si deve applicare al medico generico, mentre allo specialista, andrà applicato un test modulato sul tipo particolare di competenze di quella classe di specialisti.
Secondo me è inoltre ammissibile che su problemi molto delicati, che ammettono alla luce delle conoscenze attuali più possibilità di soluzione, un professionista appartenga ad una determinata
"scuola" di pensiero. In questo caso se si tratta di una scuola rispettabile ed accreditata43 è giusto che il sanitario sia giudicato in base ai criteri della scuola cui appartiene.
E' bene, infatti, rilevare la nozione attuale di colpa grave nell' ambito professionale medico empiricamente in base alla casistica elaborata dalle corti.
Innanzitutto, per quanto concerne i rapporti tra responsabilità civile e responsabilità penale del sanitario, secondo Tommasini e Fini 44 il criterio dettato dall'art. 2236 c.c. deve essere interpretato nell'ambito dei criteri fissati dal 43 cp, e cioè appunto come criterio di responsabilità per imperizia professionale, onde peraltro la norma civilistica può valere come riferimento all'obbligazione risarcitoria, "ma in nessun caso può ritenersi che detta norma sia estendibile all'ordinamento penale, onde determinare un'ipotesi di non punibilità per fatti commessi con colpa media o lieve"45.
Per quanto attiene al sindacato delle scelte diagnostiche46 operato dalle corti civili si veda come in Terenzio c. Pannella e Irelli47 è stata individuata la colpa grave in una mancanza di aggiornamento, ed in una trascuratezza attinente al trattamento post‐operatorio.
Molto severe le corti per quanto attiene alle delimitazioni dei vari campi professionali. Si è sostenuto, infatti, che il chirurgo libero docente con lunga esperienza operatoria, ma privo di
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8 specifica esperienza per il tipo di intervento svolto (chirurgia midollare) realizza un com‐
portamento colposo per imprudenza48. Il medico ostetrico è stato condannato per non aver richiesto l'intervento di un pediatra in un caso di nascita di una bimba asfittica49. Il Tribunale di Torino ha affermato esplicitamente50 che "sarebbe insensato che proprio negli interventi di mag‐
gior rischio tecnico il professionista fosse liberato dal dovere di prudenza, potesse essere negligente e potesse non osservare le norme di condotta che disciplinano la sua attività"
condannando un medico di un nosocomio pubblico per l'uccisione di un feto nascente.
Inoltre la SC predilige che il medico che effettua la diagnosi post‐operatoria, sia lo stesso che ha eseguito personalmente l'intervento, altrimenti ritiene colposa la diagnosi errata51.
Numerose sono poi le sentenze che attribuiscono a colpevole imperizia la mancata percezione di un quadro clinico facilmente riconoscibile con conseguente effettuazione di terapie errate52. Per quanto attiene agli interventi chirurgici si ritiene, in linea con l'impostazione sopra ricostruita, che l'intervento che sia ben codificato da anni di approfondito studio anche se richiede elevate capacità ed esperienza, non riveste carattere di eccezionale rischiosa complessità tale da giustificare l'applicazione del 2236 c.c.53.
Insomma dal punto di vista pratico è ovvio constatare come la consulenza tecnica dovrà indirizzarsi su questi punti: atto facile o non facile del professionista, peggioramento o meno delle condizioni del paziente, nesso causale, e quindi sussistenza o meno della colpa (lieve se operazione di routine o comunque ben codificata, grave ‐ma nel senso summenzionato‐ se operazione che trascende la preparazione media, ovvero non ancora completamente studiata o sperimentata).
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9 BIBLIOGRAFIA
1. Bortolus c. Ospedale Civile di Udine, Cass. 18.601975, no2439; Clamunen c. Com. di Melfa, Cass. 28.10.1976 n.
3965; Anguillari e altro C. Santesso, Cass. 11.5.1977, n.1831; Rainone c. Ospedale S. Gennaro, Cass. 21.12.1978, n. 6141; Fascetto c. Rapisarda, Cass. 17.3.1981, n. 1544; Di Biaggio c. Cassa Marittima, Cass. 7.8.1982, n. 4437;
De Vito. c. Russi, Cass. 5.4.1984, n..2222; Barigozzi c. Salvadè, Cass. 27.7.1985, n.4386; Anzaldi c. Albeffi, Cass.
5.12.1985, n. 6109.
2. Varia la normativa a riguardo: artt. 2222‐2228 c.c. sul contratto d'opera; artt. 2229‐2238 c.c. sulle professioni intellettuali; artt. 30, 31, 35, 380‐383,348 cp; artt. 61‐64, 12‐37.82‐89, 409, 441, 463, cpcp 108 disp att.; L.
1395/23 su esercizio professione ingegneri e architetti; RD 861/30 sulla qualifica di specialista; L 1578/33 ordinamento professioni avvocato e procuratore; RDL 184/35 disciplina esercizio professioni sanitarie; L 897/
38 iscrizione albi professionali; ecc.
3. Ricordiamo che nella società gentilizia romana l'equivalente del moderno lavoro intellettuale professionale non formava oggetto di contratto di scambio a titolo oneroso. La prestazione professionale era fornita gratuitamente, e spontaneamente il favorito si sdebitava. In questo senso si proseguì nel medioevo e oltre a parlare di professioni libere o liberali. Naturalmente date queste premesse la resp. professionale non poteva essere contrattuale, ma era eventualmente necessariamente aquiliana (cfr. DE ROBERTlS, La resp.
contrattuale nel sistema della grande compilazione, I, Bari, 1981; CATTANEO, La resp. del professionista, Milano, 1958,21 ss.).
4. Logar c. Ordine dei Medici Prov. Bari, Cass. 17.10.1961, n. 2185.
5. Soc. ed. Periodici c. ENASARCO, Cass. 18.6.1965, 1226.
6. Orientamento giurisprudenziale presalente e ormai pacifico, cfr. Scopesi c. Romano, Cass. 6.3.1971, n.1282, in GC, 1971, I, 1417; Fascetto c. Rapisarda, 17.3.1981, n.1544.
7. Cfr. Relazione del Gardasigilli, n. 917.
8. Fascetto c. Rapisarda Cass., 17.3.1981, n.1544; Terenzio c. Pannella, Cass. 8.3.1979, n.1441; Scopesi c Romano e Univ. degli Studi di Firenze, Cass. 6.5.1971, n. 1282.
9. Valvano c. Frusci, Cass., sez. III, 01.3.1994, n. 2012, Resp.Civ., 1995, 322.
10. Fenoaltea c. Soc. nuova Riserva immob., Cass., 29.8.1995, n. 9060.
11. Capitani c. Soc. Scac, Cass., sez. lav., 23‐06‐1994, 6064/1994, Foro it., 1995, 1,201; Giur. it., 1995, I, l, 412, nella specie, di lamentato danno da ipoacusia, la cassazione ha ammesso a carico del datare di lavoro il cumulo tra rc aquiliana per infortunio sul lavoro e quella contrattuale propria del rapporto di lavoro subordinato.
12. Colognari c. Sampaolesi, Cass. 15.4.1982, n. 2274, Riv Giur. Edilizia, 1983, I, 162; Pattis c. Cassa di Risparmio Prov Bolzano, Cass. 30.1.1982 n.588, BBTC, 1983, li, 311; FI, 1983, I, 1394; Nava c. Gaetani, 15.11.1982, n.
6101.
13. La norma recepisce sia il brocardo imperitia culpae aequiparatur sia il principio per cui "si quelqu'un fait profession publique d'un art ou d'un métier, il est censé avoir la capacité nécessaire pour l'exercer".
14. App. Milano, 15.11.1960.
15. App. Genova 1.6.1983; Cass. 1441/79.
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16. Mammoli c. Soc. Fincrinos, T. Napoli, 9.10.1986, Resp. civ., 1988,407, n. TASSONI.
17. Bellantonio c. Gioia, Cass., 9.11.1982, n.885, Arch. civ., 1983, 496; Nava Gaetani, Cass., 15.11.1982, n.6101.
18. Soc. immob. S. Rita alla Barona c. Soc. Rettagliata, Cass., 21.3.1981, n.1656.
19. Usl Venezia c. Petix, Cass., 8.7.1994, n.6464, Corriere giur.: 1995,91, nota BATÀ; Giust civ., 1995, I, 767; Giur it., 1995, I, l, 790, nota FASCELLA, VENTURELLO, Resp. civ, 1994, 1029; nota GORGONI, Zacchia, 1995, 89 Cm), nota TURILLAZZI, SERI, Ragiusan, 1995, fasc. 129,235.
20. Com. Montevarchi c. Usi 20/ A, Montevarchi, Cass., 12.8.1995, n. 8845.
21. Pellegrino c. Coppola, Cass., 21.7.1989, n.3476, si ricordi comunque che ale obbligo inerisce al corretto espletamento del mandato professionale ed ha quindi, per la nostra giurisprudenza, natura puramente contrattuale.
22. Colognori c. Sampaolesi, Cass., 15.4.1982, n.2274. Questa soluzione è forte e condivisibile per più aspetti. lo però mi sentirei di dissentire dal punto di vista pratico, infatti il cliente che si rivolge ad un professionista, in un certo senso, vuole acquistare una peace of mind per tutto quel che riguarda la pratica affidata al professionista. Orbene gli architetti sono oggi in realtà più qualificati degli stessi avvocati a informarsi e comprendere quali sono i vari atti amministrativi necessari alla buona realizzazione di un progetto, onde mi sembra verosimile dire che tale conoscenza deve rientrare nella preparazione media dell'architetto. Ma se anche non fossero versati in tali pratiche amministrative, imporre l'obbligo giuridico correlativo sarebbe efficiente, in quanto semplicemente trasferirebbe dal cliente all'architetto l'onere di consultare eventualmente un avvocato, permettendo quindi una maggiore tutela del non professionista. Una cosa inoltre mi sento di dire: l'architetto dovrebbe comunque informare il cliente sulla necessità di consultare un avvocato, e se omette di farlo, e accetta l'incarico di occuparsi anche delle autorizzazione relative all'espletamento dell'incarico dovrebbe ‐a mio parere ‐rispondere per imperizia. Dico questo a proposito degli architetti, ma ritengano naturalmente il discorso estensibile a qualsiasi professione. Per quanto riguarda simili problemi di determinazione dell'ambito dell'attività professionale rispetto ad altre pro‐
fessioni.
23. Landi c. Traldi, Cass., sez. II, 28.3.1994, n.3023; Pugnali ‐Fiorelli, Cass., 7.5.1988, n.3389, Dir. e pratica assic., 1989,497 (m), nota ANTINOZZI.
24. Arcuti c Pascarelli, Cass., 18.10.1994, 8470.
25. Le due responsabilità, contrattuale ed extra contrattuale, possono infatti concorrere in molte ipotesi.
26. Fontana c Savarese, Cass. 20.11.1970, n.2448. Nella specie un geometra aveva assunto la direzione dei lavori in sostituzione (illecita) di un ingegnere, facendo costruire un balcone poi crollato su un terzo estraneo.
27. Trib. Larino, 27.12.1975, GM, 1977 I 290. Nel qual caso la rc del professionista concorre con quella dell'ente.
Tale concorso non si attua invece quando il professionista sia un dipendente dell'ente pubblico.
28. Nencioni c Cenoli, Cass. 24.5.1960, n.1322 specifica la distinzione tra attività svolta dal notaio nell'esecuzione dell'incarico specifico affidatogli dal cliente, e attività cui è tenuto quale professionista investito di un pubblico ufficio.
29. Cfr. Soc. Logra c. Candiani, Cass., 1l.5.1957, n. 1659, BBTC, 1957, II, 336; Merendoni c. Marinucci, Cass.
16.2.1957, n. 553, CC, 1957, I, 812; FI, 1957, I, 744; T. Roma, 9.3.55,TR, 1955, I, 74, nonché Albano c. Benedetti,
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Cass., 25.5.1981, n.3433, et amplius infra. Lo scopo di "protezione dell'onorabilità della professione" delle norme violate sarà ovviamente rilevante ai soli fini della resp. disciplinare del professionista.
30. Non riteniamo infatti che la resp. del magistrato sia una resp. da attività professionale, ma una forma particolare di resp. eccezionale rispetto al principio generale della judicial immunity. Riteniamo inoltre che la resp. della banca, o degli amministratori (extracontrattuale ben si intende) tragga profitto dall'essere considerata in relazione alle attività economiche di mercato, piuttosto che dall'accostamento con medici, avvocati e notai.
31. Peraltro come si vede distinguiamo in questo modo le ipotesi in cui il richiamo all'art. 2236 c.c. è sensato, da quelle in cui questo richiamo in realtà di fatto non avviene.
32. Giustamente si definisce ormai la responsabilità medica come un sottosistema della responsabilità civile, cfr.
DE MATTEIS, La responsabilità medica, Padova, 1995 e riff. In tema vastissima la bibliografia sui vari aspetti pratici e teorici negli ultimi anni: MONATERI, BONA e CASTELNUOVO, La responsabilità da attività medico‐
sanitarie, in AA. VV., n danno alla persona, Torino, 2000, Tomo I BILANCETTI, La responsabilità penale e civile del medico, Padova, 1995; DE MATTEIS, La responsabilità medica tra prospettive comunitarie e nuove tendenze giurisprudenziali, Contratto e impr., 1995, 489; GIANNINI, La responsabilità del medico e dell'ente ospedaliero per protesi difettosa, Dir ed economia assicuraz., 1994, 683; ZENO ZENCOVICH, La sorte del paziente ‐La responsabilità del medico per l'errore diagnostico, Padova, 1994; ZAMBRANO, Interesse del paziente e responsabilità medica nel diritto civile italiano e comparato, Napoli, 1993.
33. Chiaranda c. Osp. S Maria degli Angeli, Cass., 1.2.1991, n. 977, Giur. it, 1991, I, l, 1379. Nella specie si trattava di danni derivanti da una saccoradiodolografia, e l'esame medico aveva provocato una invalidità permanente nell'attore che lo aveva costretto a cessare l'attività lavorativa. Il Tribunale aveva respinto la domanda di danni, e così pure la Corte d'Appello, ritenendo che non vi fosse stata negligenza del medico, ma che il danno fosse connesso al caso fortuito rientrante nel normale rischio operativo. La Corte ha cassato tale decisione perché non era stata richiesta al medico la prova della dovuta diligenza.
34. Bortolus c. Ospedale Civico Udine e Ceccotto, Cass. 18.6.1975, n. 2439, Giur. it., 1976, 1, 1, 953 nota LEGA, nonché, Lentini c. Rosa, Cass., 16.11.1988, n 6220.
35. Cfr. ad es. Vella c. Modisso, Cass. 11.8.1990, n. 8218, in Rep. Giur. it.,1990, voce "Professioni intellettuali", n.
43.
36. Com. Montevarchi c. Usl20/A, Montevarchi, Cass. 12.8.1995, n.8845; Onesto c. Min. difesa, Cass., 22.2.1988, n.1847, Arch. civ., 1988, 684. Capostipite di tale linea è Rainone c. Osped. S. Gennaro, Cass. 21.12.1978, n.
6141, GI, 79, l, l, 953.
37. Chiaranda ‐Osp. S. Maria degli Angeli, Cass., 1.2.1991, n. 977, Giur. it., 1991, l, l, 1379 e Rainone c. Osped. S.
Gennaro, Cass. 21.12.1978, n. 6141, GI, 79, l, l, 953, cit.; contra, Vella c. Modisso, Cass. 11.8.1990, n. 8218, in Rep. GiU1: it., 1990, voce "Professioni intellettuali", n. 43. Sul punto cfr. Bortolus c. Ospedale Civile di Udine, Cass. 18.6.1975, n.2439, FI, 1976, I, 745 e, ancora, Rainone c. Ospedale S. Gennaro, Cass. 21.12.1978, n. 6141, cit. nonché T. Verona 11 marzo 1989, FI, Rep. 1990, voce cit., n. 117.
38. Arcuti c Pascarelli, Cass., 18.10.1994, n. 8470.
39. Bossi c. Marconi, Cass., 1l.4.1995, n. 4152.
40. Landi c. Traldi, Cass., 28.3.1994, n. 3023.
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41. La conseguenza, evidente in Chiaranda c. Osp. S. Maria degli Angeli, Cass., 1.2.1991, n. 977, Giur. it, 1991, I, l, 1379, è, infatti, che il medico risponde di un evento che, secondo il vecchio criterio, era stato imputato a caso fortuito dal Tribunale e dalla Corte d'Appello.
42. Cass., 7.8.1982, n.4437, Resp civ., 1984, 78, n. SOMARÈ.
43. Secondo la definizione consueta in America di scuola come "respectable minority" della professione.
44. Tommasini e Fini, Cass. pen. 9.6.81.
45. Nello stesso senso, giurisprudenza ormai consolidata, cfr. Cass. 24.1.1984, RP, 1985,923; Cass. 24.6.88, RP, 1988,404; Cass., 2.6.1987,RP, 1988,906.
46. Su cui cfr. ZENO‐ZENCOVICH, La sorte del paziente La rep. Del medico per l'errore diagnostico, Padova, 1994.
47. Terenzio c. Pannella e Irelli, Cass. 8.3.1979, n. 1441, GI, 1979, I, l, 1494.
48. A. Bari 21.4.1983, CBLP, 1983, 221. Nello stesso senso Caiaffa c. Usl 3, Bari, Cass., 26.3.1990, n.2428, rc d'un medico‐chirurgo, con esperienza in ortopedia, che aveva eseguito un intervento al midollo.
49. A. Milano 30.6.1987.
50. T. Torino 14.9.1978.
51. Così Badoglio, Cass. Pen. 24. l.1985, RP, 1935, 796.
52. Cfr. ad es. Patriarca, T. Roma 6.4.1984 e A Roma 9.11.1985, GM, 1987,712 nota SCIARAFFIA, Riv. It. Medicina Legale, 1987, 616; A Roma 27.11.1986, ND, 88, 437.
53. Fiorini c. Tomaino, Cass. 18.4.1978, n. 1845, RCP, 1978, 591.
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TAGETE n.2 Giugno 2003 Anno IX