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Ryle Terza lezione: il dibattito sulla coscienza dal Positivismo a

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Academic year: 2021

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Terza lezione: il dibattito sulla coscienza dal Positivismo a Ryle

La coscienza secondo il Positivismo e Marx

Intorno alla metà dell’800 trionfa il Positivismo che rigetta l’introspezione in quanto procedimento puramente soggettivo privo di verificabilità sperimentale. Il

Positivismo dà un’interpretazione meccanicista della coscienza considerandola un lavoro meccanico delle cellule nervose dovuto a processi chimici e fisici.

Marx (1818-1883) considera la coscienza soprattutto nella sua dimensione sociale: nasce come coscienza collettiva inscindibilmente legata al linguaggio. La

coscienza degli uomini è determinata dal loro essere sociale, ovvero dall’attività materiale e dalle relazioni materiali degli uomini. La coscienza può essere falsa a

causa della divisione del lavoro e della prospettiva di classe. 1

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La coscienza per Nietzsche e Freud

Per il maestro del sospetto Nietzsche la coscienza è falsa: tutto ciò che ci diventa cosciente è completamente costruito a bella posta, semplificato, schematizzato,

spiegato … poiché il processo effettuale della «percezione» interna,

l’unificazione causale di pensieri, sentimenti, desideri, come quella di soggetto e oggetto, sono per noi del tutto nascosti – e probabilmente pura immaginazione.

Per Freud la coscienza ci offre soltanto informazioni lacunose e distorte dei nostri processi psichici, che sono per la maggior parte inconsci; ma, nel contempo, ritiene decisivo portare alla coscienza, prendere coscienza delle dinamiche dell’inconscio. L’analisi della psiche ha proprio questo intento: far

emergere ciò che è nascosto.

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La coscienza per James, Bergson, Husserl e Wittgenstein

Per James (1842-1910) la coscienza è un flusso di pensieri, emozioni e sentimenti che dà luogo all'io nella sua paradossalità di identità cangiante,

qualcosa che permane senza mai essere uguale a se stesso.

Per Bergson (1859-1941) la sua essenza è la durata reale, che si oppone al tempo spezzato e omologato della fisica, un fluire continuo di impressioni

qualitative che sfumano l’una nell’altra senza mai cristallizzarsi in stati.

Per Husserl (1859-1938) la coscienza è intenzionalità, vale a dire il suo

orientarsi o volgersi ad altro da sé. Tutte le nostre esperienze, o vissuti, sono sempre coscienza di qualche cosa.

Wittgenstein (1889-1951), assume un orientamento comportamentista riducendo la coscienza al comportamento. 3

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Ryle sulla coscienza

Ryle (1900-1976) esamina gli usi più comuni del termine “coscienza”. Sono 7: il rendersi conto, l’imbarazzo di chi si sente osservato, la consapevolezza delle proprie qualità, la sensibilità, il fare attenzione, l’essere informati, la conoscenza.

Egli nota che questi usi hanno poca affinità con il concetto elaborato dai filosofi, soprattutto da Cartesio in poi. Da Cartesio la coscienza è intesa come teatro della

mente in cui gli eventi che vi accadono sono di natura mentale, non fisica. In questo teatro la coscienza deve accompagnare infallibilmente tutti gli eventi della

mente. Locke impiegò il termine ottico di riflessione al riguardo.

Per Ryle questa concezione è un mito. Noi solitamente sappiamo quello che facciamo, ma spesso sbagliamo nel giudicare i nostri presunti stati mentali. Va

dunque respinta la tesi che gli eventi mentali sono autentici in quanto la coscienza ce ne offrirebbe testimonianza diretta e infallibile. 4

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La coscienza come disposizione a commentare i comportamenti

L’io denoterebbe la cosiddetta “interiorità”, che è il frutto di un processo appreso di “interiorizzazione”, che crea l’illusione del cosiddetto “accesso privilegiato” alla coscienza, da alcuni infatti intesa come il teatro in cui si ha

accesso privilegiato, ovvero aperto solo al sé e chiuso agli altri.

L’autocoscienza, la forma più elevata della coscienza, è ricondotta alla

disposizione ad esaminare e commentare i nostri comportamenti, una prassi essenziale nelle società umane, che non potendo sottoporre a controllo le azioni di tutti i cittadini hanno bisogno che siano da loro interiorizzate delle

regole di comportamento. Siamo coscienti, appunto, se esaminiamo e commentiamo i nostri comportamenti. Infatti definiamo “incoscienti” o

“irresponsabili” certi atti che divergono dalle suddette regole.

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