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INTERVENTO DEL PROF. BRUNELLI DAVID

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Academic year: 2021

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INTERVENTO

DEL PROF. BRUNELLI DAVID

IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2020

DELLA CORTE MILITARE DI APPELLO (28 FEBBRAIO 2020)

Signor Presidente, signore e signori, è per me un onore rappresentare in questa sede il Consiglio della Magistratura militare e portare i più cordiali saluti di benvenuto alle autorità civili, militari, religiose, che prendono parte a questa cerimonia.

Come ha ricordato il Presidente, lo scorso anno abbiamo celebrato il 30 anniversario dell’istituzione del CMM ed è ancora vivo in me il ricordo delle battaglie che i magistrati militari hanno dovuto combattere per veder affermata in pieno la loro indipendenza, con il completamento della riforma della Giustizia militare e l’istituzione dell’organo di autogoverno.

Sono stati 30 anni importanti perché durante questo periodo si è finalmente potuto sperimentare a fondo il modello di giustizia militare che aveva in mente il Costituente; quello di un settore della giurisdizione distinto e separato dalla giurisdizione ordinaria sul piano organizzativo, ma identico quanto a principi e criteri ispiratori, strumenti processuali e procedimentali, garanzie soggettive; dove la specialità della materia non ammette la minima deroga alla direttiva della sottoposizione del giudice unicamente alla legge, all’esigenza primaria della sua indipendenza e terzietà, dove non trovano spazio privilegi o considerazioni di opportunità o di necessità o di convenienza. Dove, in fondo, l’aggettivo militare descrive solo il campo operativo, ma non la peculiarità dei contenuti della giurisdizione penale.

Si è trattato, però, anche di un periodo in cui il legislatore ordinario ha sostanzialmente contraddetto la scelta del Costituente, da un lato, riducendo l’operatività e il numero dei Tribunali militari, d’altro lato, sistematicamente dimenticando in ogni occasione che accanto ai codici penale e di procedura penale esistono i codici penali militari, che quanto meno occorrerebbe corrispondentemente aggiornare e innovare.

Sicché il traguardo conseguito con l’istituzione del Consiglio e, dunque, il perfezionamento di un organismo giudiziario in linea con i principi costituzionali, ha conciso paradossalmente con l’inizio di un declino dell’ambito operativo dello stesso organismo. Il legislatore l’ha perfezionato, per poi ridurne al lumicino il suo funzionamento.

Si dirà e si è detto che tale scelta - o meglio “non scelta” - dipende dal fatto che l’aver creato un organismo perfettamente a immagine e somiglianza della giustizia ordinaria ha dimostrato l’inutilità dell’operazione del Costituente e finanche la sua scarsa convenienza sul piano economico.

A questa osservazione - ora che mi è capitato di ritornare ad occuparmi di giustizia militare dopo tanti anni - vorrei replicare con due argomenti.

Il primo. Se davvero si ritiene che la giustizia militare così come immaginata dal Costituente e finalmente realizzata dal legislatore ordinario costituisca un inutile e dispendioso doppione della giurisdizione ordinaria, perché tenerla in vita per trent’anni e continuare e farla lavorare a scartamento ridotto, progressivamente sottraendo ambiti di competenza e risorse operative? Si sarebbe già da tempo dovuto prendere atto della realtà e staccare la spina.

Ma l’argomento che maggiormente mi preme evidenziare è un altro. Io non credo che la scelta del Costituente di mantenere la giustizia militare e di adeguarla agli standard garantistici comuni di ogni altra giurisdizione sia stata frutto di pigrizia mentale o di un rigurgito di conservatorismo da parte di quel consesso così profondamente innovatore e proiettato al futuro; io credo piuttosto che dietro quella scelta si scorga una forte carica ideale, che deve rappresentare l’orgoglio di una matrice identitaria per la magistratura militare.

All’inizio di quest’anno ho avuto la fortuna di rappresentare il Consiglio in occasione del viaggio della memoria, organizzato dal Ministero della pubblica istruzione nei luoghi dello sterminio

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degli ebrei e tra le tante storie che abbiamo ascoltato vorrei qui ricordare quella di HANS ALEXANDER giovane ebreo tedesco, figlio di uno dei medici più famosi di Berlino, costretto prima della guerra ad abbandonare il paese con tutta la sua famiglia e a rifugiarsi giusto in tempo a Londra.

Egli si arruolò nell’esercito inglese, insieme con il suo fratello gemello, giurando che non sarebbe più tornato in Germania. Invece ci tornò quando, subito dopo la fine della guerra, fu incaricato di far parte di una sparuta squadra investigativa dedita alla ricerca dei criminali di guerra nazisti. Dopo aver stanato uno dei più famosi ricercati, va a dire il Comandante di Auschwitz Rudolf Hoess, considerato uno dei più grandi criminali della storia dell’uomo, pur avendo ormai piena consapevolezza di ciò che era potuto accadere in quel lager, dello sterminio sistematico e pianificato degli ebrei - tra cui di alcuni suoi parenti -, lo catturò, lo protesse dalla folla e lo condusse dapprima a Norimberga e poi in Polonia a Varsavia, affinché venisse sottoposto a processo (marzo 1947).

Pensate quale rabbia incontenibile albergasse in quell’uomo, quando odio protesse provare per quell’aguzzino! Eppure egli rinunciò alla vendetta perché trionfasse la giustizia e il diritto, in nome della civiltà e contro la barbarie; capì che di là passava la differenza enorme tra civiltà e barbarie.

Ho ricordato questa storia - e ce ne sono tante altre analoghe - perché credo che la scelta che in quello stesso periodo ha compiuto il Costituente italiano si ricolleghi in definitiva alla volontà di coniugare la forza delle armi con la forza del diritto, e più in generale alla necessità che ogni nazione civile risponda con la sola forza del diritto a qualunque genere di crimine, il più efferato, il più spietato il più disumano; di affidare alle future generazioni il messaggio che quella è la reazione della civiltà alla barbarie e all’orrore, la possibilità di contrapporre un valore come quello della giustizia anche a un disvalore così incommensurabile come lo sterminio lucido e programmato di una razza umana.

Nel mantenere la giustizia militare, trasformandola in un organismo realmente giudiziario e non più in una propaggine del potere disciplinare dei comandanti militari, il Costituente ha allora inteso conquistare un nuovo terreno alla giurisdizione, un terreno che prima le era sottratto. La giustizia dei Tribunale militari è stata concepita come un avamposto giudiziario in una delicatissima zona di confine tra il diritto e la forza, tra la legge e la ragione di Stato.

Né si può pensare che l’idea della legalità nell’ordinamento militare si ponga con connotati speciali soltanto nelle situazioni di crisi o di conflitto, poiché anche in tempo di pace, seppur con minor evidenza, la tensione tra legge e necessità militare genera esigenze di composizione e bisogno di attento controllo.

La soluzione di comporre organismi giudiziari dove al contempo possa regnare la garanzia dell’indipendenza del giudizio e il riconoscimento della specialità e della delicatezza della materia, incarnato dalla presenza di uomini delle forze armate all’interno dei collegi, spicca allora come soluzione non compromissoria o di comodo, ma equilibrata e fortemente incisiva.

Se la ricostruzione che ho proposto è condivisibile, non resta che cogliere ora, in questa prospettiva, dopo il trentennio dell’oblio, gli attuali incoraggianti segnali di risveglio di attenzione verso la giustizia militare. Il recente bando di concorso per nuovi magistrati militari e soprattutto la messa in moto di iniziative legislative volte a rivitalizzare la sfera giurisdizionale e a rendere razionale il riparto di compiti rispetto alla giustizia ordinaria sono passi positivi da incoraggiare.

Il Consiglio, nell’ambito delle sue competenze, è intenzionato a supportare qualunque iniziativa si muova nella prospettiva che ho indicato, nella ferma convinzione che siano maturi di tempi per una riflessione aperta e costruttiva sulla funzione della giustizia militare e sul ruolo che le compete, nell’ambito del disegno costituzionale.

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