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RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE

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Academic year: 2021

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RASSEGNA DELLA GIUSTIZIA MILITARE

BIMESTRALE DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE MILITARE

Direttore: dott. Maurizio BLOCK (Procuratore Generale Militare presso la Corte Suprema di Cassazione)

Comitato Scientifico: Francesco CALLARI, Domenico CARCANO, Paolo FERRUA, Luigi Maria FLAMINI, Ranieri RAZZANTE, Pierpaolo RIVELLO, Natalino RONZITTI, Antonio

SCAGLIONE, Giovanni Paolo VOENA

Comitato dei Revisori: Giulio BARTOLINI, Paolo BENVENUTI, Gaetano CARLIZZI, Enrico DE GIOVANNI, Lorenzo DEL FEDERCIO, Iole FARGNOLI, Alfonso FERGIUELE, Clelia, IASEVOLI, Giulio ILLUMINATI, Carlotta LATINI, Saverio LAURETTA, Carlo LONGOBARDO, Giuseppe MAZZI, Giuseppe MELIS, Domenico NOTARO, Gianluca PASTORI, Mariateresa POLI, Silvio, RIONDATO, Francesco SALERNO, Sergio SEMINARA, Giovanni SERGER, Giorgio, SPANGHER, Carmelo Elio TAVILLA, Gioacchino TORNATORE

Redazione: Sebastiano LA PISCOPIA (Capo Redattore), Andrea CONTI, Saverio SETTI, Pierpaolo TRAVAGLIONE

*** *** *** ***

RIEPILOGO DATI PER IL DEPOSITO PRESSO IL MINISTERO DEI BENI ARTISTICI E CULTURALI - SERVIZIO II - PATRIMONIO BIBLIOGRAFICO E DIRITTO D'AUTORE

Denominazione della Rivista Scientifica: Rassegna della Giustizia Militare ISSN: 0391-2787

Registrazione: Tribunale di Roma n. 16019, Decreto 9 agosto 1975 Periodicità: bimestrale (on-line)

Proprietario ed Editore: Ministero della Difesa Sede: Via degli Acquasparta 2 - 00186 Roma

ISP (Internet Service Provider): Comando C4 Esercito – www.difesa.it

Indirizzo web: http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Pagine/default.aspx Indirizzo e-mail: rassegnagiustiziamilitare@gm.difesa.it

Recapiti telefonici: 06.47355214 - 06.68806026 – 06.6861179

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INDICE DEL NUMERO 5 / 2020

Il quadro giuridico relativo allo sbarco dei naufraghi tra diritto internazionale, eurounitario e costituzionale.

di Davide Giovannelli p. 1

L’operazione di Soccorso internazionale Tomodachi in occasione dell’incidente nucleare di Fukushima ed i suoi seguito contenziosi: un caso di lawfare malriuscito?

di Jean Paul Pierini p. 52

Profili procedurali e problematici di polizia giudiziaria militare.

di Saverio Setti p. 59

Spacepower: oltre gli usi pacifici dello spazio?

di Antonio Zippo p. 74

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Il quadro giuridico relativo allo sbarco dei naufraghi tra diritto internazionale, eurounitario e costituzionale

The legal framework relating to the landing of castaways between international, euro-unit and constitutional law

di Davide Giovannelli1

Andreotti: È un caso che l'autorevole quotidiano, da lei fondato e diretto, sia stato salvato a suo tempo dal presidente del Consiglio? Quel presidente del Consiglio ero io. Il suo giornale stava per finire nelle mani di Silvio Berlusconi, un datore di lavoro a lei poco gradito. Io l'ho impedito, anche grazie alla mediazione del tanto vituperato Ciarrapico, consentendole così di riacquistare la sua autonomia e la sua libertà. Autonomia e libertà che le consentono di venire oggi qui a pormi domande sfrontate e capziose. È grazie a me se lei oggi può permettersi di essere così arrogante e presuntuoso e sospettoso nei miei confronti.

Scalfari: Guardi che le cose non stanno esattamente così: la situazione era un po' più complessa.

Andreotti: Ecco. Lei è abbastanza perspicace e l'ha capito da solo; la situazione era un po' più complessa. Ma questo non vale solo per la sua storia: vale anche per la mia.

(Dialogo immaginario tratto dal film “Il Divo” di Paolo Sorrentino del 2008)

Abstract: L’interazione tra il diritto degli Stati a tutelare i propri confini ed il dovere di salvaguardare la vita umana in mare costituiscono una questione spinosa e di stretta attualità. L’attività “non occasionale” di ricerca e soccorso in mare praticata, nella zona SAR (Search and Rescue) libica da navi appartenenti a ONG (organizzazioni non governative), sta determinando, quale effetto ulteriore al salvataggio in mare, la pretesa, da parte di alcune ONG, di sbarcare in Italia individui privi dei necessari requisiti per il legittimo accesso al territorio nazionale. Tale situazione, anche in ragione dell’emergenza sanitaria connessa al COVID-19, sta determinando non poche difficoltà al sistema italiano per l’accoglienza dei migranti. In tale contesto, il Governo Conte I ha adottato una politica energica di controllo dei confini marittimi, in particolare attraverso il Decreto Legge 14 giugno 2019, n. 53. Tale provvedimento legislativo, in particolare, ha assegnato al Ministro dell’interno il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica, ovvero quando, in un’ottica di prevenzione, ritenga necessario impedire il cosiddetto “passaggio pregiudizievole” o “non inoffensivo” ai sensi dell’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Nell’ambito del presente articolo, dunque, oltre al citato Decreto-Legge, verranno analizzati i diversi contenziosi in materia di sbarco dei naufraghi salvati in mare, in particolare, con riferimento all’annosa questione dell’applicabilità del diritto d’asilo a bordo delle navi e del diritto ad essere sbarcati in Italia a seguito di un’operazione di soccorso in mare. In aggiunta, il presente articolo tratterà la tematica dell’applicazione del regolamento di Dublino III nel contesto di una traversata via mare che da luogo ad un intervento di ricerca e soccorso che si conclude con lo sbarco dei naufraghi sul territorio di uno Stato membro dell’Unione europea.

Tale tematica infatti appare intimamente connessa con la “ritrosia” degli Stati del sud dell’Unione a concedere i propri porti per procedere allo sbarco dei migranti salvati in mare e, pertanto, la sua analisi appare indispensabile ai fini di una più compiuta comprensione delle vicende in esame.

Abstract: The interaction between the right of States to protect their borders and the duty to safeguard human life at sea are a thorny and topical issue. Search-and-rescue operations carried out on an not- occasional basis in the Libyan SAR (Search and Rescue) area by NGOs (non-governmental organizations) vessels, is determining, as a further effect to the rescue operations, the demand, from

1 L’autore - Ufficiale della Marina Militare in servizio presso lo Stato Maggiore della Marina (Ufficio Generale Affari Legali) - con il presente scritto intende svolgere un mero esercizio dottrinale di carattere personale, senza alcuna incidenza sulle posizioni e sugli orientamenti in materia dell’Amministrazione di appartenenza.

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some NGOs, to disembark in Italy castaways not having the necessary requisites for legitimate access to the national territory. This situation, also due to the health emergency related to COVID-19, is causing many difficulties to the Italian system for the reception of migrants. In this context, the first Government of the Prime Minister Conte has adopted an energetic policy of controlling maritime borders, in particular through the Decree Law of 14 June 2019, no. 53. Notably this piece of legislation assigned to the Minister of the Interior the power to limit or prohibit the entry, transit of ships in the territorial sea, for reasons of public order and safety, or to prevent the so-called prejudicial or not innocent passage, in accordance with the article 19 of the United Nations Convention on the Law of the Sea. Therefore, this article will analyzed the mentioned Decree-Law, together with the different litigations regarding the disembarkation of castaways, in particular, with reference to the vexed question of the applicability of the right of asylum on board of ships and the right to be disembarked in Italy following a rescue operation at sea. In addition, this article will touch also the application of the Dublin III Regulation in the context of a sea crossing that results in a search and rescue operation, which ends with the disembarkation of the castaways on the territory of a Member State of the European Union (EU). As a matter of fact, this last issue appears to be inherently connected to the "reluctance" of the southern States of the Union to grant their ports for the disembarkation of migrants rescued at sea and, therefore, its analysis appears essential for a more complete understanding of the topic under discussion.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il decreto legge 14 giugno 2019, n. 53 - disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. – 3. La giurisprudenza italiana in materia. – 4. La dottrina italiana in materia. – 5. Le norme di diritto internazionale in tema di ricerca e soccorso in mare: un possibile diverso approdo ermeneutico 6. Efficacia del diritto internazionale nell’ordinamento giuridico italiano. – 7. L’applicazione extraterritoriale dei diritti umani e del diritto d’asilo, in caso di operazioni di ricerca e soccorso in mare – 8. Il vero convitato di pietra:

il regolamento Dublino III. – 9. Diritto d’asilo e le operazioni di ricerca e soccorso in mare. – 10. Conclusioni. – 11. Post scriptum.

1. Introduzione

L’interazione tra il diritto degli Stati a tutelare i propri confini ed il dovere di salvaguardare la vita umana in mare costituiscono una questione spinosa e di stretta attualità. L’attività “non occasionale” di ricerca e soccorso in mare praticata, nella zona SAR (Search and Rescue) libica da navi appartenenti a ONG (organizzazioni non governative), sta determinando, quale effetto ulteriore al salvataggio in mare, la pretesa, da parte di alcune ONG, di sbarcare in Italia individui privi dei necessari requisiti per il legittimo accesso al territorio nazionale. Tale situazione, anche in ragione dell’emergenza sanitaria connessa al COVID-19, sta determinando non poche difficoltà al sistema italiano per l’accoglienza dei migranti.

Di converso, allo scopo di attuare un più efficace controllo del confine marittimo nazionale, il Governo italiano - in particolare il Governo Conte I (dal 1° giugno 2018 al 4 settembre 2019) quando il Ministro dell’Interno era il Sen. Salvini - ha fatto ricorso a misure eccezionali quali il divieto di ingresso nel mare territoriale, ai sensi del Decreto Legge 14 giugno 2019, n. 53 - Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica2. Tale provvedimento legislativo, in particolare, ha assegnato al Ministro dell’interno, nella sua qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana, il potere – da esercitarsi di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica, ovvero quando, in un’ottica di prevenzione,

2 Il citato d.l. è stato successivamente convertito in Legge, con modificazioni, con la Legge 8 agosto 2019, n. 77 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica.

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ritenga necessario impedire il cosiddetto “passaggio pregiudizievole” o “non inoffensivo” ai sensi dell’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione di Montego Bay – UNCLOS).

Parallelamente all’energica azione del Governo Conte I volta allo stretto controllo dei confini marittimi nazionali, si è assistito ad un proliferare di azioni giudiziarie, aventi sullo sfondo l’annosa questione dell’applicabilità del diritto d’asilo a bordo delle navi e del diritto ad essere sbarcati in Italia a seguito di un’operazione di soccorso in mare. È interessante notare che le questioni in esame, afferenti primariamente al diritto internazionale, sono state trattate tanto in procedimenti penali, quanto in procedimenti civili ed amministrativi; con esiti - come verrà mostrato nel seguito del presente studio - non sempre conciliabili. Le sentenze analizzate, come si potrà notare dalla disamina che verrà svolta, testimoniano infatti come il rapporto della giurisprudenza italiana con il diritto internazionale non sia sempre lineare e coerente, sussistendo una certa deriva monista, secondo la quale i giudici avrebbero, in ogni caso, la possibilità di applicare direttamente il diritto internazionale, come se quest’ultimo fosse una fonte del diritto interno.

Da ultimo, infine, verrà brevemente affrontata la tematica dell’applicazione del regolamento di Dublino III nel contesto di una traversata via mare che da luogo ad un intervento di ricerca e soccorso che si conclude con lo sbarco dei naufraghi sul territorio di uno Stato membro dell’Unione europea (UE). Tale tematica infatti appare intimamente connessa con la “ritrosia” degli Stati del sud dell’Unione a concedere i propri porti per procedere allo sbarco dei migranti salvati in mare e, pertanto, la sua analisi appare indispensabile ai fini di una più compiuta comprensione delle vicende in esame.

2. Il decreto legge 14 giugno 2019, n. 53 - disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica

In via preliminare, è opportuno analizzare il Decreto Legge 14 giugno 2019, n. 53 - Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. Per quanto qui d’interesse, detto Decreto Legge, come indicato nella relazione illustrativa al d.d.l. di conversione3, “attribuisce al Ministro dell’interno, nella sua qualità – riconosciutagli dall’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121 – di Autorità̀ nazionale di pubblica sicurezza … omissis … il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, con l’eccezione del naviglio militare e delle navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e di sicurezza pubblica, ovvero quando, in una specifica ottica di prevenzione, ritenga necessario impedire il cosiddetto

«passaggio pregiudizievole» o «non inoffensivo» di una specifica nave in relazione alla quale si possano concretizzare – limitatamente alle violazioni delle leggi in materia di immigrazione – le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 2 dicembre 1984, n. 689. La modifica apportata, in altri termini, esplicita, con specifico riferimento ai profili che più attengono al fenomeno migratorio via mare, competenze e prerogative che la vigente normativa già attribuisce al Ministro dell’interno in via generale”, prevedendo, tuttavia, che “i provvedimenti limitativi o impeditivi eventualmente assunti siano adottati di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, e che ne sia data informazione al Presidente del Consiglio dei ministri”. Al fine di rendere cogente il citato divieto d’ingresso nelle acque territoriali nazionali, il d.l. in parola - come modificato nella relativa Legge di conversione - ha stabilito il seguente regime sanzionatorio, di natura meramente amministrativa, ovvero la sanzione amministrativa da euro 150.000 a euro 1.000.000 a carico del comandante della nave (con responsabilità solidale dell’armatore), nonché la confisca della nave, procedendosi immediatamente a sequestro cautelare. Per completezza, inoltre, appare opportuno rammentare che il d.l. originario prevedeva il seguente differente trattamento

3 Il resto dalla relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del citato d.l. è disponibile al seguente link:

http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.1913.18PDL0064630.pdf

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sanzionatorio, ovvero il pagamento di una sanzione amministrativa da euro 10.000 a euro 50.000 e, in caso di reiterazione della violazione del divieto dell’ingresso nelle acque territoriali commessa con l'utilizzo della medesima nave, anche la sanzione accessoria della confisca della nave, procedendo immediatamente a sequestro cautelare.

Come già osservato in dottrina4, il d.l. in parola non costituisce una novità assoluta. Il codice della navigazione infatti già prevede una disposizione in parte analoga. L’articolo 83 (Divieto di transito e di sosta) del codice della navigazione prevede infatti che “il Ministro dei trasporti e della navigazione può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell'ambiente, per motivi di protezione dell'ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende”.

L’intervento normativo in parola, dunque, trae origine dalla necessità di rendere più efficiente la procedura per l’adozione del divieto d’ingresso nelle acque territoriali, ove sia in gioco la tutela dei confini e la gestione dei fenomeni migratori, riconoscendo nel Ministro dell’Interno l’Autorità competente a promuovere l’adozione dei provvedimenti del caso (con il concerto di colleghi dei Trasporti e della Difesa). Attesa la natura speciale del d.l. in esame, che è limitata unicamente alla tutela dei confini e alla gestione del fenomeno migratorio, appare coerente che il ruolo centrale/d’impulso sia assegnato al Ministro dell’Interno. Ove, in ipotesi, sussistano ragioni differenti per l’adozione del divieto d’ingresso nell’acque territoriali, il Ministro dei Trasporti potrà comunque adottare i provvedimenti del caso ai sensi dell’articolo 83 del codice della navigazione, ove necessario, di concerto con il Ministro dell’ambiente.

Dal punto di vista del diritto internazionale del mare, il d.l. in esame fornisce concreta attuazione alla previsione di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 2 dicembre 1984, n. 689. Secondo la citata disposizione, il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero - e dunque può essere legittimamente vietato - se, nel mare territoriale, la nave è impegnata nel carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero.

Relativamente al trattamento sanzionatorio, la disciplina in esame, nella sua versione definitiva adottata in sede di conversione del d.l., ha suscitato alcune perplessità. Più in particolare, il Presidente della Repubblica, all’atto della promulgazione della Legge di conversione del d.l. in parola, ha inviato una lettera ai Presidenti del Senato e della Camera in cui ha evidenziato che “che, con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Non appare ragionevole – ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto – fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”. La lettera del Presidente della Repubblica, inoltre, sottolinea che la Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 112 del 2019, ha ribadito la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti5. Il richiamo al rapporto di proporzionalità appare collegato anche alla circostanza che “per effetto di un emendamento, nel caso di violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali - per motivi di ordine e sicurezza pubblica o per violazione alle norme sull’immigrazione - la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile è stata aumentata di 15 volte nel minimo e di 20 volte nel massimo, determinato in un milione di euro, mentre la sanzione

4 Cfr. Marco Benvenuti, Audizione resa il 30.07.2019 innanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione 1^ (Affari Costituzionali) del Senato della Repubblica nell’ambito dell’esame del D.D.L. “Conversione in Legge del d.l. 14 giugno 2019, n. 53, recante disposizioni urgenti in materia di ordine sicurezza pubblica”. Il testo completo dell’intervento del prof. Benvenuti è disponibile al seguente link:

http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/file s/000/022/101/PROF._BENVENUTI.pdf.

5 Il testo della lettera del Presidente della Repubblica è disponibile al seguente link:

https://www.quirinale.it/elementi/32103.

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amministrativa della confisca obbligatoria della nave non risulta più subordinata alla reiterazione della condotta”.

In relazione alla proporzionalità del trattamento sanzionatorio, al fine di fornire un quadro esaustivo in merito, appare altresì rilevante sottolineare che la disciplina speciale stabilita dal d.l. in esame non prevede l’applicazione di sanzioni di natura penale, come, viceversa, è previsto nel caso di provvedimenti di divieto emessi ai sensi dell’articolo 83 del codice della navigazione. In tale ultimo caso infatti l’inottemperanza al divieto d’ingresso delle acque territoriali è punibile ai sensi dell’art.

1102 (Navigazione in zone vietate) del codice della navigazione, che così dispone: “Fuori dei casi previsti nell'articolo 260 del codice penale, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire cinquemila:

1° il comandante della nave o del galleggiante, nazionali o stranieri, che non osserva il divieto o il limite di navigazione stabiliti nell'articolo 83;

2° il comandante dell'aeromobile nazionale o straniero, che viola il divieto di sorvolo stabilito nell'art. 793”.

Da ultimo, prima di passare alla disamina della giurisprudenza italiana in materia, è interessante menzionare la Convenzione e lo Statuto (con annesso) sul regime internazionale dei porti marittimi del 9 dicembre 1923, che hanno avuto esecuzione nell’ordinamento interno ai sensi del Regio Decreto 8 maggio 1933, n. 1270. In base all’articolo 16 dello Statuto citato, a titolo eccezionale per un tempo limitato allo stretto necessario, è lecito derogare alle disposizioni sulla libertà d’accesso ai porti, mediante provvedimenti particolari “in caso d’avvenimenti gravi che toccassero la sicurezza dello Stato o gli interessi vitali del Paese”, inoltre, ai sensi dell’articolo 17 dello Statuto citato, ogni Stato contraente ha “il diritto di prendere le misure di precauzione necessarie relative al trasporto di merci pericolose o simili, come pure le misure di polizia generale, compresa la polizia degli emigranti che entrano ed escono da’ suoi territori, restando inteso che tali misure non dovranno avere per effetto di stabilire distinzioni contrarie ai principi del presente Statuto”.

Il d.l. n. 53/2019, se letto alla luce della citata Convenzione sul regime internazionale dei porti marittimi, sembra essere un provvedimento coerente con il quadro giuridico di riferimento stabilito dal diritto internazionale. Con riserva di maggiori riflessioni nel successivo paragrafo dedicato all’efficacia del diritto internazionale nell’ordinamento giuridico italiano, si evidenzia che il Regio Decreto 8 maggio 1933, n. 1270 è stato abrogato dal Decreto Legislativo 13 dicembre 2010, n. 212.

3. La giurisprudenza italiana in materia

a. La prima sentenza da analizzare è la sentenza del Tribunale di Agrigento del 7 ottobre 2009, n. 954, relativa al caso della nave Cap Anamur6. In tale vicenda il capitano della citata nave (appartenetene ad un’ONG), fu rinviato a giudizio per il reato p. c. p. dell’art. 110 c.p. e dell’art. 12 I°, III° e III° bis d.l.vo 286/98 così come modificato dalla Legge 189/2002 perché, “al fine di procurarsi un profitto sia diretto che indiretto – anche consistito nella pubblicità e risonanza internazionale ottenuta ed inoltre un profitto relativo alla vendita ai terzi delle immagini e delle informazioni relative ai fatti per cui è processo – utilizzando la motonave Cap Anamur battente bandiera tedesca nonché prospettando falsamente alle Autorità dello Stato [italiano n.d.r.]

competenti una situazione di emergenza anche sanitaria a bordo della nave, compivano attività diretta a favorire l’ingresso clandestino nel territorio nazionale di 37 cittadini extracomunitari di nazionalità mista, consistita nel trasporto nelle acque territoriali italiane e quindi allo sbarco sul territorio nazionale dei 37 clandestini”. In punto di fatto, la nave Cap Anamur, il 20 giugno 2004 effettuò un salvataggio di alcuni migranti in difficoltà, “nella posizione Lat. 33° 46.5 Nord e Long.

012° 15.2 Est ossia in un tratto di mare in acque internazionali sito a 46 miglia dalla coste della Libia, a 90 miglia dall’Isola di Lampedusa e a 160 miglia da Malta” (fuori, pertanto, dalla zona SAR

6 Il testo della sentenza è disponibile al seguente link: http://www.giureta.unipa.it/Tribunale_Agrigento.pdf . Per una sommaria descrizione della vicenda oggetto della sentenza vds. https://it.wikipedia.org/wiki/Cap_Anamur

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italiana7). La Cap Anamur, dopo aver salvato i naufraghi, dirigeva, autonomamente, verso l’isola italiana di Lampedusa. A tal riguardo, nella sentenza del Tribunale di Agrigento, la scelta fare rotta verso l’isola di Lampedusa era motivata dal fatto che detta “località era ritenuta dagli imputati il porto più “sicuro” secondo la normativa internazionale ovvero un luogo in cui fossero garantiti il rispetto dei diritti dell’uomo”. La possibilità di sbarcare i naufraghi a Lampedusa, tuttavia, veniva scartata dal capitano della Cap Anamur in quanto il piccolo porto dell’isola italiana non era idoneo all’attracco della nave e, quindi, d’iniziativa, optava per procedere allo sbarco nel porto siciliano di Porto Empedocle; che tuttavia veniva negato dalle autorità italiana. In seguito, come riporta la citata sentenza, risulta che la Cap Anamur “in data 25 giugno stazionava nei pressi del porto di Marsaxlokk (Malta)”. In tale situazione, tuttavia, non risulta che i naufraghi siano stati sbarcati, né che le loro posizioni siano state valutate ai fini della concessione del diritto d’asilo. A seguito di interlocuzioni politico-diplomatiche tra l’Italia, Germania e Malta, come riportato nel portato nel provvedimento in esame, “la mattina del 12 luglio 2004 la motonave Cap Anamur, dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalla Guardia Costiera, attraccava nel porto di Porto Empedocle”. In base alla sentenza del Tribunale di Agrigento del 7 ottobre 2009, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contestato al capitano della nave Cap Anamur è stato ritenuto non sussistente, in ragione del

“riconoscimento della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere imposto da una norma di diritto internazionale”.

Al fine di motivare tale conclusione, il collegio agrigentino ha percorso il seguente ragionamento:

in premessa, ha osservato che, in base all’art. 10 della Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Tra queste rientrano quelle poste dagli accordi internazionali in vigore in Italia, le quali assumono, in base al principio fondamentale pacta sunt servanda, un carattere di sovraordinazione rispetto alla disciplina interna ai sensi dell’art. 117 Cost., secondo cui la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali;

• relativamente al quadro giuridico internazionale applicabile nel caso di specie, dopo aver accennato a diverse Convenzioni internazionali in tema di ricerca e soccorso in mare8, ha evidenziato che va considerata, infine, la Convenzione SAR (Search and Rescue) – Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 e resa esecutiva in Italia con Legge 3 aprile 1989, n. 47. Tale Convenzione, riguardante la ricerca e il salvataggio marittimo, si

7 L’area SAR di competenza dell’Italia è stabilita nel d.P.R. 28 settembre 1994, n. 662 - Regolamento di attuazione della legge 3 aprile 1989, n. 147, concernente adesione alla convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 (cfr. art. 6) e dal successivo D.R.P. 13 febbraio 2007, n. 29 - Regolamento per l'aggiornamento delle aree di giurisdizione dei centri secondari di ricerca e salvataggio marittimo.

8 Più in particolare, secondo la sentenza del Tribunale di Agrigento “in primo luogo, va fatto riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (c.d. UNCLOS – United Nations Convention of the law of the sea), ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 2 dicembre 1994, n. 689, che costituisce testo normativo fondamentale in materio di diritto della navigazione. L’art. 98 della Convenzione UNCLOS impone al comandante di una nave di prestare assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare nonché di recarsi il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà qualora venga informato che tali persone abbiano bisogno di assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento. Il secondo comma del detto articolo prevede che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nel quadro di accordi regionali. La predetta disposizione normativa è espressione del principio fondamentale della solidarietà in mare e rientra – in base all’art. 311 della Convenzione medesima – tra le norme che non possono essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche mediante accordi con altri Stati. Vanno evidenziate altre convenzioni internazionali, egualmente vigenti in Italia, che contengono disposizioni di completamento della norma sopra citata. L’art. 10 della Convenzione sul soccorso in mare (e nelle acque in genere) del 1989 cd. SALVAGE dispone che “ogni comandante è obbligato, nella misura in cui ciò non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, a soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare. Gli Stati adotteranno tutte le misure necessarie per far osservare tale obbligo”. Anche la Convenzione cd. SOLAS firmata a Londra nel 1974 e resa esecutiva in Italia con Legge 23 maggio 1980, nr. 313 (e successivi emendamenti) impone al comandante della nave di prestare assistenza alle persone che si trovino in pericolo”.

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fonda sul principio della cooperazione internazionale e stabilisce che il riparto delle zone di ricerca e salvataggio avvenga d’intesa con gli altri Stati interessati;

per quanto precede in base alla normativa sopra richiamata, i poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell’area di competenza non escludono (anzi, in un certo senso impongono in base all’obbligo sopra delineato) che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo per le vite umane. L’obbligo di diritto internazionale incombente sul comandante di una nave di procedere al salvataggio (del natante e, quando ciò non sia possibile, delle persone che vi si trovino a bordo) trova, in particolare nel diritto interno, un rafforzamento di tipo penalistico nell’art. 1158 Codice della Navigazione che sanziona penalmente l’omissione da parte del comandante di nave, nazionale o straniera, di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne sussiste l’obbligo a norma dell’art. 490 del codice medesimo ossia allorquando la nave in difficoltà sia del tutto incapace di effettuare le manovre;

in aggiunta, alla luce delle norme suddette, non vi può essere dubbio che l’imputato, in qualità di capitano/primo ufficiale della Cap Anamur, avesse l’obbligo (giuridico) di trarre in salvo le trentasette persone occupanti il natante in pericolo di affondamento. A questo punto va precisato che la doverosa operazione di salvataggio non poteva considerarsi esaurita con il trasbordo dei naufraghi sulla nave soccorritrice, ma doveva necessariamente caratterizzarsi (anche) dalla conduzione delle persone soccorse in una “località sicura”. Invero, secondo l’interpretazione delle norme internazionali sopra richiamate sorretta anche da argomentazioni di senso comune, la nave soccorritrice costituisce un luogo puramente provvisorio di salvataggio in quanto le persone tratte in salvo debbono essere condotte in un luogo (sicuro) della terraferma e la nave soccorritrice deve essere, al contempo, sollevata dall’incombenza di tenere a bordo i naufraghi non appena possono essere intraprese soluzioni alternative. Tale interpretazione ha trovato, peraltro, uno specifico riconoscimento in altri interventi giuridici. Con l’entrata in vigore (1 luglio 2006) degli emendamenti all’annesso della Convenzione SAR 1970 e alla Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) nonché con le linee guida adottate in sede IMO (International Maritime Organization) è stato definito chiaramente il concetto di place of safety (località di sicurezza). Si fa riferimento alla risoluzione MSC (Maritime Safety Committee) 155 del 20 maggio 2004, alla risoluzione MSC 153 del 20 maggio 2004 nonché, per quanto riguarda il requisito di place of safety, alla risoluzione MSC 167 adottata sempre in data 20 maggio 2004 (Guidelines on the treatment of persons rescued at sea).

Il concetto di place of safety è definito come “la località in cui le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non sia minacciata; dove le necessità umane primarie (cibo, alloggio, servizi medici) possano essere soddisfatte e possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale”. Le linee-guida stabiliscono, inoltre, che “lo Stato responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati i sopravvissuti deve occuparsi di fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito”.

In definitiva, le linee guida chiariscono espressamente che la nave soccorritrice costituisce soltanto un luogo di ricevimento dei naufraghi di natura temporanea e che la nave debba essere sollevata dall’incombenza, insistendo in modo particolare sul ruolo attivo che lo Stato costiero deve assumere per liberare la nave soccorritrice dal “peso” di gestire a bordo le persone soccorse, “peso” che, anche in base ad una valutazione di comunissimo senso, non è indifferente in termini di mantenimento, vitto, assistenza medica, etc. È parimenti evidente che il fondamento della obbligatorietà giuridica della operazione di salvataggio complessivamente intesa riposi non soltanto sulla esigenza di liberare la nave dal “peso” della gestione dei naufraghi, ma, anche e soprattutto, sulla necessità di garantire a questi ultimi il diritto universalmente riconosciuto di essere condotti sulla terraferma. Anche prima dell’entrata in vigore degli strumenti internazionali sopra richiamati (emendamenti e linee guida approvati il 20 maggio 2004, vigenti dal 1 luglio 2006 e ratificati dall’Italia) poteva pervenirsi alla medesima conclusione attraverso un’interpretazione logico- sistematica della normativa internazionale sopra esplicitata.

La sentenza del Tribunale di Agrigento del 7 ottobre 2009, inoltre, risulta particolarmente interessante in quanto valuta l’eventuale imputabilità del capitano Cap Anamur in ragione della

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decisione di non aver condotto i naufraghi a Malta (o in Libia) e di non aver avvisato le autorità maltesi della presenza a bordo degli stessi. Al riguardo, l’ordito motivazionale adottato dal Tribunale di Agrigento è il seguente:

in primo luogo, non risulta che la Libia abbia ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 28 luglio 1951 (ratificata, invece, dall’Italia con legge 722/1954), né che abbia preso parte alle principali Convenzioni internazionali in materia di diritti umani (Patti Internazionali sui diritti civili e politici, Convenzione ONU contro la tortura o altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti). Era certamente ragionevole allora ritenere che la Libia non fosse considerato dagli imputati un luogo di sicurezza ove sbarcare i naufraghi/migranti peraltro non risultando al capitano che le persone soccorse fossero cittadini di quel paese. In una tale situazione, il criterio della vicinanza dello Stato costiero all’area di salvataggio cede il passo al criterio del “luogo di sicurezza”;

una volta esclusa la Libia, Malta non costituiva il porto più vicino al luogo del salvataggio essendo tale l’isola di Lampedusa (Italia). Allorquando la Cap Anamur passava di nuovo nei pressi di Malta in data 25 giugno, si fermava nella zona di ancoraggio denominata Hard Bank situata a 16 miglia dal porto de La Valletta e, quindi, non entrava in acque nazionali maltesi riprendendo poi la navigazione – e quindi non sostando nella zona predetta – alle ore 08.00 del 26 giugno. Per quanto riguarda la situazione maltese, vanno evidenziate le risultanze contenute nelle Risoluzione del Parlamento Europeo sulla gestione dei flussi migratori straordinari a Malta adottata in data 6 aprile 2006.

Da ultimo, si evidenzia che il Tribunale di Agrigento da conto, incidentalmente, dell’annosa questione relativa allo Stato competente a ricevere le domande di asilo politico dei migranti. Al riguardo il collegio agrigentino, a prescindere da quale fosse nel caso di specie lo Stato competente a ricevere le domande di asilo politico dei migranti in base alle norme del Regolamento di Dublino II (testo normativo che prevede non soltanto il criterio relativo all’ingresso-illegale-in uno Stato membro, ma più criteri e, per di più, non vincolanti), la situazione di fatto imponeva, comunque, di procedere allo sbarco dei naufraghi in una località più vicina e più sicura della terraferma sollevando la nave soccorritrice dall’incombenza. La questione relativa alla individuazione dello Stato competente ad esaminare le domande di asilo – la cui presentazione, peraltro, è una circostanza meramente eventuale del fatto contestato – opera su un piano nettamente separato rispetto a quello relativo al riconoscimento della esistenza dei presupposti dell’obbligo giuridico di trasportare i naufraghi in una località più vicina e sicura, previa individuazione di essa da parte del comandante della nave. La risoluzione in un senso o in un altro della predetta questione (Germania, Italia o Malta) non può avere alcuna incidenza sulla esistenza e operatività del suddetto obbligo giuridico di carattere internazionale, il quale, essendo espressione delle convenzioni sopra richiamate, costituisce un dato normativo a cui deve conformarsi anche l’interpretazione delle norme comunitarie (cfr. art. 63, comma 1, del Trattato delle Comunità europee secondo cui la legislazione comunitaria adottata dagli Stati membri dell’Unione deve essere applicata in conformità alla Convenzione di Ginevra e ad altri trattati internazionali). È evidente che la individuazione dello Stato costiero qualificabile come place of safety non passa attraverso i criteri stabiliti dal Regolamento di Dublino II destinati, invece, alla individuazione dello Stato competente a esaminare le richieste di asilo politico. Ed allora, anche qualora si ritenesse, in applicazione del criterio del varco (illegale) della frontiera dello Stato membro, che lo Stato competente ad esaminare le domande di asilo presentate da persone soccorse in mare sia quello della bandiera della nave soccorritrice (in quanto la nave è da considerare territorio dello Stato di cui batte bandiera), da ciò non potrebbe derivare automaticamente la conclusione che il territorio di quello stesso Stato costituisca, al contempo, il luogo di sicurezza ove sbarcare i naufraghi/migranti. Una siffatta conclusione, assolutamente da escludere sulla base della normativa internazionale sopra richiamata, potrebbe condurre, per di più, a situazioni di impossibile risoluzione o persino assurde: si pensi ai casi in cui la nave soccorritrice batta bandiera di uno Stato terzo e quindi non aderente al Regolamento di Dublino ovvero si tratti di nave senza bandiera o con bandiera di convenienza o, ancora, i casi in cui la nave batta bandiera

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di uno Stato il cui territorio si trovi a notevole distanza dal luogo di salvataggio ovvero sia privo di sbocco marino.

b. In secondo luogo, merita di essere analizzata la vicenda relativa al capitano della nave Sea Watch 3 (battente bandiera olandese), Carola Rackete. I fatti contestati al capitano della nave Sea Watch 3 riguardano – in sintesi9 – l’ingresso della citata nave nel porto di Lampedusa, il giorno 29

9 Sulla scorta del provvedimento del GIP del Tribunale di Agrigento in data 02.07.2019 i fatti rilevanti del procedimento de quo possono sintetizzarsi come segue. La comandante della nave Sea Watch 3, il giorno 12.06.2019, segnalava “la presenza della imbarcazione in stato di distress ai centri di coordinamento dei soccorsi in mare dell’Italia, Malta, Olanda e Libia”. Successivamente “la Guardia Costiera libica inviava alla “Sea Watch 3″ una comunicazione via mail con cui dichiarava di assumere il coordinamento dell’evento SAR. La Sea Watch 3, contestualmente, trovandosi molto vicina al luogo dell’evento SAR, procedeva a soccorrere le persone in pericolo, informando di ciò le autorità precedentemente allertate. Al termine delle operazioni di soccorso giungeva una motovedetta libica, che preso atto di quanto accaduto si allontanava senza dare indicazioni al comandante della ″Sea Watch 3″ che procedeva immediatamente a richiedere alle autorità Italiane, Maltesi, Olandesi e Libiche, l’indicazione di un POS [place of safety / posto sicuro]”. A questo punto,

“il competente MRCC [Maritime Rescue Coordination Centre / Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo] libico comunicava l’assegnazione del POS nel porto di Tripoli”. A fronte della positiva risposta del MRCC libico – competente in quanto il salvataggio dei naufraghi avveniva nella zona di responsabilità SAR [Search and Rescue / Ricerca e Soccorso]

dichiarata dalla Libia ai sensi della Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 – la capitana della Sea Watch 3 decideva invece di non dirigersi a Tripoli, bensì di fare rotta verso le coste italiane. In base alle dichiarazioni dell’indagata riportate nell’ordinanza in esame, quest’ultima, pur avendo in un primo momento richiesto il POS alle autorità libiche, decideva di non dirigere verso Tripoli “perché non sicuro perché lì vi erano stati, per altri casi diverse violazioni dei diritti umani” ed anche perché “la Commissione europea ci dice che il porto di Tripoli non è sicuro9”. Al riguardo, inoltre, il GIP osserva che tale decisione assunta dalla capitana della nave Sea Watch 3 “risultava conforme alle raccomandazioni del Commissario per i Diritti umani del Consiglio di Europa e a recenti pronunce giurisprudenziali (v. sentenza del GUP di Trapani, n. del 23 maggio 2019)”. In merito alla decisione di dirigere proprio verso l’Italia, l’ordinanza de quo precisa che “venivano, altresì, esclusi i porti di Malta, perché più distanti, e quelli tunisini, perché secondo la stessa valutazione del Comandante della nave, “in Tunisia non ci sono porti sicuri”. Circostanza che riferiva risultarle” da informazioni di Amnesty International″; sapeva, inoltre “di un mercantile con a bordo rifugiati che stavano da 14 giorni davanti al Porto della Tunisia senza potere entrare”. Tra l’altro, Malta non ha accettato le previsioni che, derivano dalle modifiche alla convenzione SAR introdotti nel 2004”9. Sulla scorta dell’ordinanza in commento, risulta altresì che giunta “nei pressi delle acque territoriali italiane, il Comandante [della Sea Watch 3] scriveva continue e-mail alle Autorità competenti [italiane], reiterando le richieste di sbarco ed evidenziando “casi medici urgenti” a bordo. Esperiva ricorsi giurisdizionali, prima al TAR9 [del Lazio] poi alla Corte Europea dei Diritti Umani9, con esiti sfavorevoli”. Sulla scorta della CNR citata, inoltre, risulta che il 13.06.2019 “il Ministero dell’Interno inviava, a valore di notifica, una e-mail alla motonave “Sea Watch 3″ con la quale ribadiva l ‘obbligo di rivolgersi alla Autorità SAR competente per territorio e con la quale la intimava a non entrare in acque di competenza italiane, in quanto l’eventuale ingresso sarebbe stato pregiudizievole per l’ordine pubblico ed il passaggio in acque nazionali sarebbe stato considerato non inoffensivo”. A seguire, il 15.06.2019, “veniva formalizzato il Provvedimento Interministeriale a firma del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della Difesa e con il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, con il quale veniva disposto il divieto di ingresso, transito e sosta della nave

″Sea Watch 3″ nel mare territoriale nazionale”, ai sensi dell’art. 1 del Decreto Legge 14 giugno 2019, n. 53 - Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. Inoltre, prosegue ancora la CNR, “nel frattempo, veniva autorizzato un sopralluogo della nave [Sea Watch 3] da parte dei medici del CISOM [Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta]

di stanza a Lampedusa, al fine di accertare le condizioni sanitarie dei migranti, a seguito del quale veniva effettuata l’evacuazione di n. 10 migranti, di cui n. 8 necessitanti cure mediche e n. 2 in qualità di accompagnatori, trasferiti sull’isola con una motovedetta della Capitaneria di Porto. Nei giorni successivi, la motonave Sea Watch 3 inoltrava diverse e-mail al Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo delle Capitanerie di Porto rinnovando le richieste di assegnazione di un POS in Italia, allegando dettagliati report medici sulla situazione medico-sanitaria dei migranti. A seguito di parecchi giorni trascorsi dalla M/N [Motonave] “Sea Watch 3″ al limite delle acque territoriali, costantemente monitorata da unità navali del Corpo e della Guardia Costiera, nonché di frequenti contatti via e-mail con l’Autorità Marittima, tesi ad ottenere lo sbarco dei migranti, che producevano, in data 22 giugno 2019, una ulteriore evacuazione medica per un soggetto di sesso maschile bisognoso di urgenti cure, alle ore 14.25 del 26 giugno 2019, la 11/1/N ″Sea Watch 3″ si dirigeva verso le acque territoriali italiane. Immediatamente veniva inviata sul posto la Vedetta della GDF V808, congiuntamente alla motovedetta CP312, che le intimavano l’alt e la invitavano ad uscire dalle acque italiane nel rispetto del divieto emanato dal Ministro dell’Interno, di concerto con quello della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti. Tali intimazioni venivano disattese dal comando della motonave che continuava nella navigazione verso l’isola di Lampedusa, invocando lo stato di necessità. Giunta a poche miglia dalle ostruzioni portuali, la nave rallentava il moto in attesa di ricevere disposizioni su dove ormeggiare all’interno del porto di Lampedusa.

Quindi, alle ore 16.35, militari della V 808 e della CP312 salivano a bordo della M/N ″Sea Watch 3″ per effettuare un controllo documentale ed acquisire la crew list. Terminato il controllo, si invitava la motonave ad attendere disposizioni

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giugno 2019, in violazione delle disposizioni (di non fare ingresso nel porto) impartite della Guardia di Finanza. Tale comportamento, ben limitato e circoscritto nel tempo e nello spazio, in base alla qualificazione dei fatti operata dalla Procura di Agrigento, integrava due fattispecie di reato: l’art.

1100 del codice della navigazione (resistenza o violenza contro nave da guerra) e l’art. 337 del c.p.

(resistenza a un pubblico ufficiale). Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale di Agrigento, con ordinanza del 2 luglio 201910, poi confermata dalla Corte di Cassazione, ha negato la convalida dell’arresto richiesto dalla locale Procura della Repubblica. Per quanto qui d’interesse, è

interessante analizzare il ragionamento seguito dal G.I.P. in merito all’insussistenza del reato di cui all’art. 337 (la motivazione relativa all’insussistenza del reato di cui all’art. 1100 cod. nav. non si ritiene rilevante ai fini della presente analisi). In via preliminare, si rileva che il giudice agrigentino non negava la commissione del fatto di reato da parte dell’indagata. In merito, infatti, il GIP riteneva che “l’avere posto in essere una manovra pericolosa nei confronti dei pubblici ufficiali a bordo della motovedetta della Guardia di Finanza, senz’altro costituente il portato di una scelta volontaria seppure calcolata, permette di ritenere sussistente il coefficiente soggettivo necessario ai fini della configurabilità concettuale del reato in discorso”. A detta del GIP, tuttavia, non caso di specie era sussistente la causa di giustificazione di cui all’art. 51 del c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere). Per quanto precede risulta di centrale importanza ricostruire il percorso che ha portato il giudice ha ritenere applicabile nel caso di specie l’art. 51 c.p.. Secondo il GIP “l’attività del capitano della nave Sea Watch 3, di salvataggio in mare di soggetti naufraghi, deve, infatti, considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo [di diritto internazionale] che si è sopra richiamato” (e che è analogo a quello già richiamato nel caso Cap Anamur). In aggiunta, il giudice precisava altresì che “su tale quadro normativo non si ritiene possa incidere l’art. 11 comma ter del Dlgs 286-98 (introdotto dal d.l. n. 53/2019): difatti, ai sensi di detta disposizione, il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione delle leggi vigenti nello Stato Costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio. Peraltro, l’eventuale

e, contestualmente, si dava inizio ad un monitoraggio visivo dell’imbarcazione per prevenire possibili azioni di forza”.

Il 28.06.2019, come indicato nell’ordinanza, la Procura di Agrigento, all’esito della ricezione dell’annotazione di polizia giudiziaria redatta il giorno precedente dalla GdF, “apriva un fascicolo a carico del comandante della M/N in relazione alle ipotesi di reato di cui all’art.12, comma 1 e 3 lett. a) del T.U.I. [i.e. d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 - Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero] ed all’art. 1099 del Codice della Navigazione ed emanava per la stessa un invito a presentarsi in qualità di persona sottoposta ad indagini ex art. 375 c.p.p. oltre ad un decreto di perquisizione locale e personale della nave e dei soggetti a bordo” che veniva eseguito il giorno stesso dal personale della GdF salito a bordo della Sea Watch 3. Preso atto del perdurare del rifiuto della Autorità italiane di concedere l’autorizzazione ad entrare in porto per sbarcare i naufraghi, la situazione a bordo della Sea Watch 3 – secondo quanto emerge dalle dichiarazioni dell’indagata riportate nell’ordinanza in esame –

“evidenziava lo scoramento, la frustrazione le sempre più precarie condizioni di salute dei naufraghi a bordo”. A detta dell’indagata “la situazione psicologica stava peggiorando ogni giorno, molte persone soffrivano lo stress post traumatica, quindi quando abbiamo detto alle persone che l’esito era negativo la pressione psicologica era diventata intensa perché non avevamo nessuna soluzione e le condizioni mediche peggioravano. Abbiamo deciso di dichiarare lo stato di necessità e di entrare nelle acque territoriali. Questo il 26 giugno, quindi noi abbiamo cercato per 14 giorni di non infrangere la legge”. Inoltre, in relazione al lasso di tempo trascorso nelle acque territoriali italiane prima di procedere a forza la mano per entrare nel porto di Lampedusa (oltre due giorni), l’indagata ha precisato di aver “aspettato per una soluzione politica che mi era stata promessa dalla Guardia di Finanza”. Giunti al 29 giugno 2019, come riportato nell’ordinanza de quo, l’indagata “dopo aver sentito l’equipaggio e rilevato il superamento delle linee rosse che un comitato ristretto dello stesso equipaggio si era dato, decideva di sollevare l’ancora ed iniziare la manovra di ingresso nel porto di Lampedusa, dandone immediata comunicazione alle autorità portuali ed alla Guardia di Finanza, e portando avanti le manovre di attracco, nonostante l’espresso diniego verbale proveniente dalle Autorità italiane”. Da ultimo – preso atto dell’esecuzione delle manovre di ormeggio da parte della Sea Watch 3 in contrasto con le espresse indicazioni ricevute – risulta, come indicato nella predetta CNR, che “l’unità della GDF V808 si dirigeva verso la banchina commerciale, così frapponendosi fra la detta banchina e la motonave, nel tentativo di impedire l’attracco della Sea Watch 3, che alle ore 01:45, durante le manovre di ormeggio presso la suddetta banchina, urtava l’imita della GDF V808 che, però riusciva a sfilarsi ed ad ormeggiare poco distante dalla nave”.

10 Il testo dell’ordinanza è disponibile al seguente link: https://www.giurisprudenzapenale.com/wp- content/uploads/2019/07/Rachete-Carola-Ordinanza-sulla-richiesta-di-convalida-di-arresto.pdf.

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violazione del citato art. 11 comma 1 ter – si ribadisce sanzionata in sola via ammnistrativa – non fa venir meno l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del Dlgs 286/98, avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso, prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi”. A tal riguardo, giova richiamare l’ordinanza in esame laddove si precisa che “l’attracco da parte della Sea Watch 3 alla banchina del Porto di Lampedusa – che, si ribadisce, era già da due giorni in acque territoriali — appare conforme alla previsione dell’art. 10 ter d.lgs. 286/98, nella parte in cui fa obbligo — al Capitano ed alle Autorità nazionali indistintamente — di prestare soccorso e prima assistenza allo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare”. In conseguenza di quanto sopra evidenziato, il GIP concludeva precisando che il “segmento finale della condotta dell’indagata, come detto integrativo del reato di resistenza a pubblico ufficiale, costituisce il prescritto esito dell’adempimento del dovere di soccorso, il quale – si badi bene – non si esaurisce nella mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione fino al più volte citato porto sicuro”.

Secondo il GIP che ha deciso il caso Sea Watch 3, al fine di valutare la legittimità dell’azione posta in essere dall’indagata “in primo luogo, va fatto riferimento alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (c.d. UNCLOS – United Nations Convention of the law of the sea), ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge 2 dicembre 1994, n.

689, che costituisce testo normativo fondamentale in materio di diritto della navigazione. L’art. 98 della Convenzione UNCLOS impone al comandante di una nave di prestare assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare nonché di recarsi il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà qualora venga informato che tali persone abbiano bisogno di assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento. Anche la Convenzione cd. SOLAS firmata a Londra nel 1974 e resa esecutiva in Italia con Legge 23 maggio 1980, nr. 313 (e successivi emendamenti) impone al comandante della nave di prestare assistenza alle persone che si trovino in pericolo. Va considerata, infine, la Convenzione. SAR (Search and Rescue) – Convenzione sulla ricerca e il soccorso in mare, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979 e resa esecutiva in Italia con Legge 3 aprile n. 47. Tale Convenzione, riguardante la ricerca e il salvataggio marittimo, si fonda sul principio della cooperazione internazionale e stabilisce che il riparto delle zone di ricerca e salvataggio avvenga d’intesa con gli altri Stati interessati”. Secondo il predetto GIP, inoltre, “in base alla normativa sopra richiamata, i poteri-doveri di intervento e coordinamento da parte degli apparati di un singolo Stato nell’area di competenza non escludono (anzi, in un certo senso impongono in base all’obbligo sopra delineato) che unità navali di diversa bandiera possano iniziare il soccorso allorquando lo richieda l’imminenza del pericolo per le vite umane”. Infine, l’ordinanza relativa al caso Sea Watch 3 precisa altresì che dalla lettura congiunta degli articoli 1811 (Significato del termine «passaggio») e 1912

11 Di seguito il testo dell’art. 18 (significato del termine «passaggio») dell’UNCLOS:

1. Per «passaggio» si intende la navigazione nel mare territoriale allo scopo di:

a) attraversarlo senza entrare nelle acque interne né fare scalo in una rada o installazione portuale situata al di fuori delle acque interne;

b) dirigersi verso le acque interne o uscirne, oppure fare scalo in una rada o installazione portuale.

2. Il passaggio deve essere continuo e rapido. Il passaggio consente tuttavia la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di naviga- zione o sono resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà, oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà.

12 Di seguito il testo dell’art. 19 Significato dell’espressione «passaggio inoffensivo» dell’UNCLOS:

1. Il passaggio è inoffensivo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero. Tale passaggio deve essere eseguito conformemente alla presente convenzione e alle altre norme del diritto internazionale.

2. Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività:

a) minaccia o impiego della forza contro la sovranità, l'integrità territoriale o l'indipendenza politica dello Stato costiero, o contro qualsiasi altro principio del diritto internazionale enunciato nella Carta delle Nazioni Unite;

b) ogni esercitazione o manovra con armi di qualunque tipo;

c) ogni atto inteso alla raccolta di informazioni a danno della difesa o della sicurezza dello Stato costiero;

d) ogni atto di propaganda diretto a pregiudicare la difesa o la sicurezza dello Stato costiero;

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(Significato dell’espressione «passaggio inoffensivo») della citata Convenzione UNCLOS “si desume il principio della libertà degli stati di regolare i flussi di ingresso nel suo territorio nazionale (espressione di sovranità) con i limiti-tuttavia – derivanti dal diritto consuetudinario e dai limiti che lo Stato stesso si impone mediante adesione ai trattati internazionali - idonei a conformare la stesa sovranità nazionale, e tra detti limiti figurano (art.18 sopra richiamato), il dovere di pronto soccorso alle navi in difficoltà e di soccorso ai naufraghi”.

Per quanto precede, la Corte di cassazione – con la sentenza n. 6626 del 202013, che ha confermato il predetto provvedimento del G.I.P. di Agrigento – ha evidenziato che “la verosimile esistenza della causa di giustificazione è stata congruamente argomentata. In questo ambito, il provvedimento ripercorre, necessariamente, le fonti internazionali (Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, SOLAS- Safety of Life at Sea, Londra, 1974, ratificata dall'Italia con la legge n. 313 del 1980; Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall'Italia con la legge n. 147 del 1989 e alla quale è stata data attuazione con il .P.R. n. 662 del 1994; Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita dall'Italia dalla legge n. 689 del 1994), sia allo scopo di individuare il fondamento giuridico della causa di giustificazione, identificata nell'adempimento del dovere di soccorso in mare, sia al fine di delinearne il contenuto idoneo a scriminare la condotta di resistenza. Proprio le citate fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l'obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell'ordinamento interno, in forza del disposto di cui all'art. 10 comma 1 Cost. - tutte disposizioni ben conosciute da coloro che operano il salvataggio in mare, ma anche da coloro che, per servizio, operano in mare svolgendo attività di polizia marittima -, sono il parametro normativo che ha guidato il Giudice nella valutazione dell'operato dei militari per escludere la ragionevolezza dell'arresto della Rackete, in una situazione nella quale la citata causa di giustificazione era più che

"verosimilmente" esistente. Nè si potrebbe ritenere, come argomenta il ricorrente, che l'attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L'obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. "place of safety"). Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall'Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile». Le Linee guida sul trattamento delle persone

e) il lancio, l'appontaggio o il recupero di aeromobili;

f) il lancio, l'appontaggio o il recupero di apparecchiature militari;

g) il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero;

h) inquinamento intenzionale e grave, in violazione della presente convenzione;

i) attività di pesca;

j) la conduzione di ricerca scientifica o di rilievi;

k) atti diretti a interferire con i sistemi di comunicazione o con qualsiasi altra attrezzatura o installazione dello Stato costiero;

l) ogni altra attività che non sia in rapporto diretto con il passaggio.

13 Il testo della sentenza della sentenza n. 6626 del 2020 della Corte di cassazione è disponibile al seguente link:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20200220/snpen@s30

@a2020@n06626@tS.clean.pdf.

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