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I regolamenti degli enti locali tra riserva di competenza e «preferenza» in un multilevel system of government

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le regioni / a. XXXVI, n. 1, febbraio 2008

«preferenza» in un multilevel system of government

di Marco Mancini

Sommario: 1. Premessa. Il riconoscimento costituzionale dei regolamenti degli enti locali e la distinzione tra regolamenti «generali di organizzazione» e regolamenti di «organiz-zazione e svolgimento delle funzioni amministrative». - 2. La teoria del multilevel consti-tutionalism e i suoi riflessi sul sistema delle fonti del diritto. - 3. Rapporti dei regolamenti locali con le leggi statali e regionali di allocazione delle funzioni amministrative. - 3.1. Il modello costituzionale di allocazione delle funzioni amministrative. - 3.2. Gli oggetti della disciplina. - 3.3. In ordine alla possibile esistenza di una riserva di regolamento. - 3.4. Conseguenze derivanti dal riconoscimento costituzionale dei regolamenti locali. - 3.5. Criteri di risoluzione delle antinomie tra leggi statali-regionali e regolamenti locali. - 4. Rapporti dei regolamenti locali con i regolamenti statali e regionali. - 5. La posizione dei regolamenti locali nel sistema delle fonti del diritto. - 6. Considerazioni conclusive.

1. Premessa. Il riconoscimento costituzionale dei regolamenti degli

enti locali e la distinzione tra regolamenti «generali di organizza-zione» e regolamenti di «organizzazione e svolgimento delle fun-zioni amministrative».

Tra i principali meriti della riforma del Titolo V della Costitu-zione va annoverato quello di avere provveduto al riconoscimento esplicito della potestà regolamentare degli enti locali1. I regolamenti 1 In ordine alla quale, nell’ormai sterminata letteratura, cfr., ex plurimis, V. An -giolini, Regolamenti degli enti locali (voce), in Enc. Giur., Roma 1991, Vol. XXVI;

R. ScARcigliA, I regolamenti comunali, Rimini 1993; F. Fenucci,

I regolamenti di au-tonomia locale, Milano 1994; T. gRoppi, Autonomia costituzionale e potestà

regola-mentare degli enti locali, Milano 1994; A. pizzoRuSSo,

Le fonti del diritto e l’ordina-mento degli enti locali, in Rass. Parl., 1994, 57 ss.; V. iTAliA, I regolamenti dell’ente

locale, Milano 2000; M. A, Regolamenti degli enti territoriali (voce), in Enc. Dir.,

Milano 2002, Agg. Vol. VI, 931 ss. Più di recente, cfr. g. Di coSiMo, I regolamenti

nel sistema delle fonti, Milano 2005; F. Fenucci, I regolamenti di autonomia locale,

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dei Comuni, delle Province e delle istituende Città metropolitane hanno ricevuto consacrazione costituzionale ad opera dell’art. 117, comma 6, della Carta novellata, che ha rappresentato il punto di ar-rivo della lunga, anche se relativamente recente, evoluzione che ha contraddistinto la loro disciplina.

Scorrendo le varie tappe che hanno contrassegnato tale evolu-zione è possibile cogliere l’esistenza di un filo conduttore, di un denominatore comune, vale a dire la piena consapevolezza dell’esi-stenza, all’interno dell’unico genus «regolamenti degli enti locali», di due species destinate a differenziarsi in ragione degli ambiti di disci-plina di rispettiva pertinenza. Accanto ai regolamenti che si potreb-bero definire di «organizzazione generale», in quanto volti a discipli-nare i principali profili di organizzazione e funzionamento degli enti, soprattutto quelli strutturali interni degli organi lato sensu politici degli enti locali (es. regolamento interno del Consiglio, della Giunta, ecc.)2, ve ne sono altri chiamati a disciplinare, almeno in parte, gli

aspetti organizzativi e procedimentali delle funzioni amministrative il cui esercizio spetta agli enti locali.

Tale distinzione veniva già tracciata, in nuce, dall’art. 5 della l. n. 142/903, che ha operato il primo (almeno dopo l’entrata in

vi-gore della Costituzione), esplicito riconoscimento di diritto positivo dei regolamenti degli enti locali, da sempre considerati atti di natura formalmente amministrativa e sostanzialmente normativa4. Questa

disposizione, infatti, indicava quali oggetti prevalenti della disci-plina regolamentare quelli attinenti ad aspetti di carattere organizza-tivo-istituzionale, ma si premurava di aggiungere, in un inciso finale e con una locuzione assai generica, che avrebbero formato oggetto di disciplina regolamentare anche i profili relativi all’«esercizio delle funzioni». Dal tenore della medesima disposizione si evinceva molto chiaramente la natura di fonti di grado sub-secondario attribuita ai regolamenti degli enti locali, stante la loro subordinazione gerarchica sia alle leggi che agli statuti locali.

Titolarità e ambiti di intervento, Milano 2005; M. Di Folco, La garanzia

costituzio-nale del potere normativo locale, Padova 2007.

2 Cfr. g. RollA, Diritto regionale e degli enti locali, Milano 2002, 101 ss.,

sud-divide i regolamenti di «organizzazione generale» in quattro grandi «famiglie».

3 «Nel rispetto della legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano

re-golamenti per l’organizzazione ed il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e l’esercizio delle funzioni»

4 Per un’ampia rassegna di dottrina sul punto cfr. V. iTAliA, Commento all’art. 5

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Una palese e non più ambigua espansione degli oggetti di di-sciplina anche all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni «conferite» agli enti locali si è avuta con l’art. 2 della l. n. 59/97. In seguito, l’art. 7 del d.lgs. n. 267/005 ha sancito il definitivo

allarga-mento dell’ambito oggettivo di disciplina delle fonti regolamentari, estendendolo a tutte le «materie di propria competenza» e confer-mando sostanzialmente, nell’elencazione esemplificativa seguente, la natura «duplice» dei possibili oggetti, richiamando sia le locuzioni relative agli aspetti organizzativo-istituzionali che quelle relative agli aspetti funzionali già contenute nell’art. 5 della l. n. 142/90. Sotto un altro, diverso profilo, tale disposizione ha accresciuto il grado di au-tonomia regolamentare degli enti locali tramite una riduzione dei li-miti cui era assoggettata prevedendone, da un lato, la subordinazione ai soli «principi fissati dalla legge» e non più, come in precedenza, alla legge in generale e mantenendo immutato, dall’altro lato, il ca-rattere gerarchico del «microsistema» delle fonti locali attraverso la previsione della sottoposizione dei regolamenti alle disposizioni sta-tutarie «di principio».

Nel 2001, come detto, i regolamenti degli enti locali hanno fatto il loro ingresso nella Costituzione, all’interno della quale a prima vi-sta parrebbero richiamati soltanto quelli relativi all’esercizio delle funzioni amministrative da parte dell’art. 117, comma 6. In realtà è possibile ritenere, sulla scorta di consolidata dottrina6, che la potestà

regolamentare degli enti locali riceva un implicito riconoscimento già ad opera di un’altra disposizione «cardine» della Costituzione novel-lata. Si allude all’art. 114, comma 2, che attribuisce a ciascuno degli enti ivi elencati la capacità di autodeterminare i profili generalissimi relativi alla propria organizzazione e al proprio funzionamento, indi-viduando quale fonte competente lo statuto, la cui disciplina, però, per prassi consolidata e risalente, necessita e anzi presuppone un’in-tegrazione da parte di una serie di specifici regolamenti. Aderendo a questa tesi, perciò, anche i regolamenti che abbiamo definito di

«or-5 «Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto, il comune e la

pro-vincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di parte-cipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle fun-zioni».

6 Cfr. g. TARli BARBieRi,

Appunti sul potere regolamentare delle Regioni nel pro-cesso di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, in Dir. Pubbl. 2002, 485

ss.; A. coRpAci, La potestà normativa degli enti locali. Commento all’articolo 4, in G.

Falcon (a cura di), Stato, Regioni ed enti locali nella Legge 5 Giugno 2003, n. 131, Bologna 2003, 106.

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ganizzazione generale» riceverebbero un’implicita copertura costitu-zionale ad opera dell’art. 114, comma 2, Cost.

Il fondamento costituzionale della cennata distinzione ha ricevuto conferma, da ultimo, anche ad opera della legge «La Loggia», che all’articolo 4 ha dedicato una peculiare, specifica disciplina rispetti-vamente ai regolamenti di organizzazione degli enti locali, da un lato (comma 3), e ai regolamenti di organizzazione e svolgimento delle funzioni loro attribuite, dall’altro (comma 4).

In questa sede mette conto occuparsi soltanto dei regolamenti degli enti locali relativi alla «organizzazione e (al)lo svolgimento delle funzioni loro attribuite», che trovano il proprio fondamento costitu-zionale nell’art. 117, comma 6, della Carta novellata.

A questa diversità di fondamento e di oggetti corrisponde anche una diversità di limiti, conseguente alla differente collocazione dei due tipi di regolamenti nel sistema complessivo delle fonti del diritto. Ciò vale soprattutto in riferimento agli statuti degli enti locali. Men-tre, infatti, nel caso dei regolamenti di cui all’art. 4, comma 3, l. n. 131/03, il rapporto con lo statuto si configura in termini di subordi-nazione gerarchica, atteso che le due fonti sono chiamate ad operare nel medesimo ambito di disciplina, i regolamenti di cui al comma im-mediatamente successivo intrattengono invece con lo statuto un rap-porto di assoluta «separazione di competenze», perché gli ambiti di disciplina di spettanza delle due fonti sono diversi ed estranei l’uno all’altro. Nel primo caso, infatti, gli statuti e i regolamenti locali con-dividono l’ambito di disciplina relativo all’organizzazione degli enti locali, per cui i principi dettati dai primi vincolano il contenuto dei secondi. Nel secondo caso, invece, ai regolamenti e soltanto ad essi è demandata, a livello locale, la disciplina relativa ai vari aspetti in cui si scompone l’esercizio delle funzioni amministrative «conferite», concernente, in estrema approssimazione, tutte le modalità operative che dovrebbero condurre all’emanazione dei provvedimenti ammini-strativi.

Ai fini dell’individuazione della corretta posizione da ascrivere ai regolamenti degli enti locali nel sistema complessivo delle fonti del diritto, si dovranno anzitutto indicare i principali mutamenti che hanno interessato tale sistema a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.

In secondo luogo, occorrerà procederà alla collocazione delle fonti in parola nella loro sedes materiae, che è quella dell’esercizio delle potestà amministrative, come si evince chiaramente dal combi-nato disposto degli artt. 117, comma 6 e 118, commi 1 e 2, Cost. Sotto questo profilo, particolare attenzione sarà rivolta ai rapporti

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che i regolamenti locali intrattengono, da un lato – in una dimen-sione «verticale» – con le leggi statali e regionali allocative delle fun-zioni amministrative di cui all’art. 118, comma 2, Cost. e, dall’altro – in una dimensione «orizzontale» – con i regolamenti statali e re-gionali, la cui sfera di operatività è delimitata dal medesimo art. 117, comma 6, Cost.

2. La teoria del multilevel constitutionalism e i suoi riflessi sul

si-stema delle fonti del diritto.

La modifica del Titolo V della Costituzione va inclusa tra i fat-tori che hanno maggiormente contribuito, nell’ultimo sessantennio, al mutamento non solo dell’assetto istituzionale complessivo ma anche del «sistema» delle fonti del diritto che era stato così faticosamente costruito dagli interpreti subito dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale7.

Quanto ai profili istituzionali, la dottrina ha evidenziato che la disposizione di apertura del Titolo V e che ne rappresenta l’incipit, vale a dire l’art. 1148 Cost. così come novellato, lascia presagire un

profondo ed incisivo mutamento nel modo di concepire l’assetto ordinamentale. Dalla disposizione in parola traspare infatti l’imma-gine di un «ordinamento repubblicano» distinto dall’ordinamento statale, che ne rappresenta soltanto uno degli elementi costitutivi assieme agli ordinamenti regionali, provinciali e comunali. La fonte

7 Gli altri fattori si debbono individuare nel rafforzamento del potere

norma-tivo dell’Esecunorma-tivo, nella progressiva penetrazione del diritto comunitario nel nostro ordinamento e nel fenomeno della globalizzazione. Quest’ultimo fenomeno ha ine-vitabilmente condotto all’erosione – se non addirittura alla scomparsa, in determi-nati ambiti- dei confini entro i quali si esercita la sovranità dello Stato e si esplica l’imperio della legge. In ordine all’influenza dei mercati sulla distribuzione delle competenze tra i pubblici poteri cfr. già M.S. giAnnini, Il pubblico potere, Bologna

1986. Quanto alla lex mercatoria come disciplina creata dal mercato al di fuori dai tradizionali centri di produzione normativa, cfr. F. gAlgAno, Lex mercatoria. Storia

del diritto commerciale, Bologna 1993; c. pinelli, Il momento della scrittura,

Bolo-gna 2002, 94 ss. Sul tema della crisi degli Stati nazionali e dell’erosione della sovra-nità cfr., nell’ormai sterminata letteratura sul punto, S. cASSeSe, La crisi dello Stato,

Roma-Bari 2002.

8 S. BARTole, R. Bin, g. FAlcon, R. ToSi, Diritto regionale, Bologna 2005,

24, sostengono che, nel contesto dell’articolo, al termine «Repubblica» deve essere ascritto il significato di «Stato-ordinamento», e al termine «Stato» il significato di «Stato-apparato», secondo le definizioni di M. S. giAnnini, Repubblica (voce), in

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ispiratrice, e il modello di riferimento di questa «suggestiva» lettura dell’art. 114 Cost. vanno ricercati nella teoria del multilevel

consti-tutionalism9.

L’ordinamento costituzionale si configura pertanto come un«sistema policentrico esploso delle autonomie»10, come un

si-stema multilivello scomposto al proprio interno in una pluralità di ordinamenti autonomi e separati ma tra loro reciprocamente interdi-pendenti ed interagenti. Ciò comporta, anzitutto, la necessità di un profondo ripensamento dei rapporti tra i diversi ordinamenti «reci-procamente autonomi, ma tra loro coordinati e comunicanti»11, che

si ricompongono nel più vasto «ordinamento repubblicano». La pari dignità che connota i livelli ordinamentali di governo suggerisce di impostare le loro relazioni non più secondo un modello «gerarchico-piramidale», bensì secondo un modello «policentrico»12 o «retico-9 Tale teoria è stata sostenuta per la pram volta, in riferimento ai rapporti tra

ordinamento comunitario e singoli ordinamenti statali, da i. peRnice, Constitutional

law implications for a State participating in a process of regional integration. German Constitution and «Multilevel Constitutionalism», in German reports on Public Law Presented to the XV. International Congress on Comparative Law, Riedel 1998, 43 ss.;

iD.,

Multilevel constitutionalism and the Treaty of Amsterdam: European Constitution-making revisited?, in Comm. Mark. L. Rev. 1999, 708 ss.; iD., Multilevel

constitu-tionalism in the European Union, in E.L. Rev. 2002, 514 ss. Nella dottrina italiana, il

più convinto assertore della lettura del sistema nell’ottica multilevel è senza dubbio g. RollA, L’autonomia dei Comuni e delle Province, in T. gRoppi, M. oliVeTTi (a

cura di), La Repubblica delle autonomie, Torino 2003, 207 ss.; iD., Relazioni tra

or-dinamenti e sistema delle fonti. Considerazioni alla luce della legge costituzionale n. 3 del 2001, in Le Reg. 2002, 330 ss.; iD., Incertezze relative al modello di regionalismo

introdotto dalla legge costituzionale 3/2001, in Quad. Reg. 2004, 629 ss. Per la verità,

molti dei concetti propri del multilevel constitutionalism emergono, non solo in nuce, bensì con ampio sviluppo e trattazione, dall’insegnamento di A. pReDieRi. Al

ri-guardo, è sufficiente il richiamo a due delle sue ultime opere. Si allude a L’erompere

delle autorità amministrative indipendenti, Firenze 1997, e a Euro poliarchie demo-cratiche e mercati monetari, Torino 1998.

10 Secondo la formula di F. pizzeTTi, Le nuove esigenze di «governance» in un

sistema policentrico «esploso», in Le Reg. 2001, 1153 ss.

11 Per riprendere la formula adoperata dalla Corte costituzionale, in riferimento

ai rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento italiano, nella sentenza n. 389/91, in Giur. cost. 1991, 3103 ss.

12 Parla di «poliarchia» economica, normativa e politica A. pReDieRi, Euro

po-liarchie cit., il quale, alla fine (35), richiama la definizione di M. DelMAS MARTy,

Reinventer le droit commun, in Dalloz 1997, 1, secondo la quale «poliarchia»

signi-fica «pensare il multiplo senza ridurlo» e, vi aggiunge, senza scomporlo. In ordine all’immagine dello «Stato-arcipelago» che si è sostituita a quella tradizionale dello «Stato-piramide» cfr., ancora, A. pReDieRi, L’erompere delle autorità amministrative

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lare»13. Alla classica visione del rapporto tra istituzioni chiuse nella

propria individualità e incomunicabilità le une con le altre, impron-tato alla logica della gerarchia, si è gradualmente sostituita pertanto quella «relazionale-integrativa», che comporta l’instaurazione di rela-zioni di «complementarietà funzionale»14. All’interno dell’illustrato

si-stema «policentrico», inoltre, agli istituti e ai moduli del government si dovrebbero sostituire quelli della governance15.

13 Sul concetto di «rete», traduzione dell’inglese «network» e del francese

«re-seau», che ha ricevuto storicamente applicazione nel campo delle scienza sociali ed

economiche e soltanto negli ultimi anni è stato trasposto nel campo della scienza giuridica, cfr., per primo nella dottrina anglosassone M. cASTellS, The rise of the

Network society, Oxford 1996, con ampi riferimenti bibliografici sulla network so-ciety e sulla network analysis. Più di recente, cfr. A. pReDieRi, Euro poliarchie cit.,

140 ss.; F. BilAnciA, La crisi dell’ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo,

Padova 2000, 97; S. cASSeSe, La crisi dello Stato cit., 17, 21, 35, 65, 131. Parla di

«ragnatela» A. longo, Valori, principi e Costituzione. Qualche spunto sui meccanismi

di positivizzazione delle istanze assiologiche di base, in Dir. Soc. 2002, 75 ss. Parla di

«Costituzione reticolare» p. pinnA, La Costituzione e la giustizia costituzionale,

To-rino 1999, 99 ss., il quale afferma che «gli ordinamenti democratico-pluralisti non hanno una base, né un vertice. L’immagine che li esprime non è quella della pira-mide, dritta o rovesciata che sia, ma quella della rete... l’immagine cioè di una strut-tura che si compone di tanti nodi, che integrati fra loro, ciascuno per la sua parte, concorrono alla formazione delle decisioni del sistema. Il sistema è reticolare, è l’or-ganizzazione dei molteplici nodi che dialogano e interagiscono tra loro. È una rete interattiva, l’influenza reciproca tra i nodi genera decisioni di tutto il sistema». Ai fini del corretto inquadramento di queste tematiche nel più vasto ambito delle re-centi correnti del «neocostituzionalismo» si veda anche M. peRini, A proposito di

«neocostituzionalismo», in Studi Senesi 2003, 305 ss.

14 Secondo la definizione di R. ToniATTi, Il regionalismo relazionale e il governo

delle reti: primi spunti ricostruttivi, in S. gAMBino (a cura di), Il «nuovo»

ordina-mento regionale.Competenze e diritti, Milano 2003, 171 ss.

15 Sulla definizione di governance cfr. n.c. SiDeniuS, Business governance

struc-tures and the UE: the case of Denmark, in B. KohleR-Koch, R. eiSing (a cura di),

The transformation of Governance in the European Union, Londra 1999, 177; nonché

lo White Paper pubblicato dalla Commissione europea il 25 luglio 2001 e il rapporto

Our Global Neighbourhood elaborato dalla Commissione sulla governance globale

dell’ONU nel 1995. Tale espressione si deve ritenere più ampia e comprensiva della prima, perché include non soltanto l’attività delle istituzioni governative, ma anche l’insieme delle attività e dei meccanismi informali di negoziazione attraverso i quali le diverse componenti della «rete» partecipano all’azione di governo. Mentre infatti con il termine government si mantiene ferma la contrapposizione dialettica pubblico-privato, come espressione della contrapposizione autorità-libertà, propria dello Stato liberale ottocentesco, la governance, al contrario, favorisce e anzi presuppone l’inte-grazione pubblico-privato. Sulla differenza tra i due termini cfr. J.n. RoSenAu, e.o.

czeMpiel, Governance without government: order and ch’ange in world politics,

Cam-bridge 1992, i quali hanno appunto parlato, in riferimento alle relazioni internazio-nali, di «governance without government».

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Considerazioni analoghe a quelle svolte riguardo ai rapporti ordi-namentali valgono a maggior ragione riguardo al sistema delle fonti del diritto. In primo luogo, infatti, sono identiche le premesse dalle quali muovere. Il sistema delle fonti, nell’ultimo trentennio16, a causa

dei fattori all’inizio indicati, è stato interessato da un fenomeno di progressiva scomposizione e frammentazione, che ha indotto a par-lare di una vera e propria «crisi»17.

Tale sistema, nella sua immagine classica che vedeva la legge del Parlamento in una posizione di sovraordinazione e di preminenza ri-spetto ad una serie di altri atti normativi ad essa subordinati, ha su-bito infatti una duplice aggressione18. In primo luogo, quella

prove-niente «dall’alto», o «dall’esterno», ad opera delle fonti comunitarie che hanno mostrato il proprio carattere di «primazia» nei confronti della legge ordinaria e, tramite l’intermediazione dell’art. 11 Cost., in alcuni casi anche nei confronti delle disposizioni della stessa Carta costituzionale, per cui sono penetrate nel sistema quali vere e pro-prie fonti «superprimarie». L’attacco è stato portato però anche «dal basso», o «dall’interno», da parte dei molteplici «centri» che com-pongono il sistema «reticolare» e che costituiscono anche autonomi luoghi di produzione normativa.

La principale sfida che attende nel prossimo futuro il sistema delle fonti è pertanto quella della armonizzazione dei rapporti tra una pluralità di atti normativi prodotti dai diversi ordinamenti che compongono il più vasto «ordinamento repubblicano», all’interno di ciascuno dei quali è destinato a svilupparsi un «microsistema» di fonti del diritto. Armonizzazione che dovrà muovere non più dall’ot-tica gerarchico-piramidale, bensì da quella «integrativa» implicata dal modello multilevel.

È bene chiarire fin d’ora che un sistema delle fonti del diritto – seppur la sua esistenza, o meglio, la sua sopravvivenza sia stata messa

autorevolmente in dubbio19 – rimane assolutamente indispensabile. A

16 Riguardo alle tappe storiche che hanno contraddistinto l’evoluzione del

si-stema delle fonti, cfr., da ultimo, F. SoRRenTino, Le fonti del diritto, in Trattato di

diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova 2004, 2 ss.

17 Sulla «crisi delle fonti», quale conseguenza della ben più ampia «crisi dello

Stato», cfr., ex plurimis, F. MoDugno, Fonti del diritto (gerarchia delle) (voce), in

Enc. Dir., Agg., Milano 1997, 564 ss.

18 Parlano di «accerchiamento della legge da ogni lato» F. MoDugno, D. no -cillA, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. Soc. 1989, 424.

19 In senso problematico, subito dopo l’emanazione della legge costituzionale n.

3 del 2001, cfr. A. RuggeRi, La ricomposizione delle fonti in sistema nella Repubblica

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www.associazionedeicostitu-mutare, semmai, saranno i relativi criteri ordinatori, che si dovranno adattare alla nuova ratio ispiratrice dei rapporti interordinamentali multilivello, quella «collaborativo-integrativa»20.

Anzitutto, il criterio gerarchico in tutti gli Stati composti è sem-pre stato temperato con quello della «competenza», in modo da ga-rantire la piena operatività del principio di autonomia delle comunità territoriali21. Basti pensare al rapporto tra legislazione statale

esclu-siva e legislazione regionale residuale, unanimemente letto nell’ottica della separazione delle competenze.

Del resto, la dottrina più avveduta ha affermato che di «com-petenza» in senso stretto è possibile parlare soltanto quando ad un certo «tipo» di fonte, e ad esso soltanto, è riservata la disciplina di una determinata materia, con esclusione di tutte le altre. Ragion per cui il rapporto tra due fonti – dello stesso o di diverso tipo – chia-mate ad intervenire nella disciplina della medesima chia-materia non si configurerebbe in termini di «competenza pura»22.

Nei rapporti tra fonti emanate da diversi livelli territoriali di go-verno e chiamate ad insistere nei medesimi ambiti materiali si è per-ciò fatto gradualmente strada un criterio diverso, quello della c.d. «integrazione»23, che offre il vantaggio di favorire un assetto

sistema-zionalisti.it, 2002, il quale, comunque, dopo avere sottolineato il passaggio da un «si-stema delle fonti» ad un «si«si-stema della normazione» o ad un «si«si-stema dei processi di produzione», perviene alla fine alla conclusione che «un’idea di sistema rimane irrinunziabile, per la elementare ragione che al di fuori di esso non vi è nulla che possa garantire la identità e trasmissibilità dell’ordinamento nel tempo, anzi: la sua stessa pensabilità come ciò che è nel suo divenire».

20 Di enorme interesse, ai fini della ricostruzione del sistema complessivo delle

fonti a seguito della riforma costituzionale del 2001, anche lo scritto di g.u. ReSci -gno, Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in Dir. Pubbl. 2002, 767

ss.

21 In ordine alla non assolutezza del criterio gerarchico, cfr. V. cRiSAFulli,

Ge-rarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti, in Riv. Trim. Dir. Pubbl.

1960, 792 ss.

22 Si ricordi ancora una volta l’insegnamento di V. cRiSAFulli, Fonti del diritto

(diritto costituzionale) (voce), in Enc. Dir., Milano 1968, Vol. XVII, 956: «c’è

pro-priamente ripartizione secondo criterio di competenza, quando sussiste diversità di atti e corrispondente separazione delle materie, la fonte competente escludendo dal-l’ambito riservatole ogni altra fonte». Dello stesso avviso anche F. MoDugno, Fonti

del diritto cit., 569, il quale afferma che «esisterebbe vera e propria competenza

sol-tanto quando sussistano insieme differenziazione di atti e differenziazione di materie, nonché esclusiva attribuzione di una materia ad un determinato act-type».

23 Sull’«integrazione» e sul correlativo criterio della «preferenza» cfr. l. cAR -lASSARe, La «preferenza» come regola dei rapporti tra fonti statali e fonti regionali

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tico maggiormente armonico e meno dialettico24. L’applicazione di

questo criterio dovrebbe permettere di risolvere le antinomie norma-tive con modalità tali da evitare l’assoluta prevalenza, sempre e co-munque (nell’ottica della gerarchia), della fonte emanata dal livello territoriale di governo di più ampie dimensioni, e dovrebbe consen-tire di ridurre al minimo le aree di competenza riservata.

In pratica, in tutte le materie e in tutti gli ambiti in cui esiste la possibilità di un intervento contemporaneo di due o più fonti di spet-tanza di diversi livelli territoriali di governo, i loro rapporti reciproci si dovrebbero improntare, nell’ottica dell’«integrazione», secondo uno schema simile a quello sancito per le materie di competenza le-gislativa concorrente. La fonte emanata dal livello più ampio, quindi, dovrebbe porre una disciplina generale e di base ma, al contempo, nel rispetto dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti di minori dimensioni, dovrebbe lasciare alle fonti di pertinenza di questi ultimi la disciplina di sviluppo o di dettaglio25.

La soluzione prospettata consente peraltro di perseguire il fon-damentale obiettivo di coniugare il valore dell’unità dell’ordinamento – tutelato tramite la possibilità riconosciuta alle fonti degli enti di più ampie dimensioni di dettare una disciplina di «principio», che assu-merebbe un valore di base minima di conformazione ed omogeneiz-zazione – con quello dell’autonomia, valorizzato attraverso l’attribu-zione alle fonti delle autonomie territoriali della facoltà di emanare una disciplina dettagliata che, nel quadro del rispetto dei principi di base, consenta ad ognuna di esaltare le proprie peculiarità.

Il quesito intorno all’autonomia del criterio di «integrazione»

ri-24 È bene chiarire subito che, pur con l’affacciarsi di questo nuovo criterio di

risoluzione delle antinomie, la gerarchia e la supremazia della legge permangono im-mutati. Ciò in ossequio alla teoria del «concorso libero» di V. cRiSAFulli, Lezioni

cit., 235, secondo il quale, riportando le parole di F. MoDugno, Fonti del diritto

cit., 569, «finchè esistono rapporti fra fonti risolubili in chiave di concorso libero rimane la gerarchia, sia pure «convivendo» – ma appunto solo «convivendo» – con la competenza». Poco prima (567) lo stesso A. affermava che «sulla scia della lezione crisafulliana, la nostra dottrina è rimasta propensa ad ammettere la competenza, ma a ragionare, al tempo stesso, in termini di compresenza di gerarchia e competenza e anzi di prevalenza della prima sulla seconda. Il suggerimento che ne deriva, il con-vincimento più o meno esplicito su cui questa opinione si fonda è... che la gerar-chia prevalga sulla competenza se non altro perché sarebbe la «forza» gerarchica ad ordinare le competenze». Considerazione analoghe vengono sviluppate anche da A. pizzoRuSSo, Fonti (sistema costituzionale delle) (voce), in Dig. Disc. Pubbl., Torino

1991, vol. VI, 421.

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spetto ai due tradizionali26, la riconduzione sotto uno di essi in veste

di sottocriterio o la sua configurazione come un «ibrido» dotato delle caratteristiche di entrambi appare francamente di scuola e comunque non riveste alcun interesse ai fini del tema in oggetto. La posizione preferibile appare comunque quella di chi ritiene che tale criterio sia integrato tanto da una componente gerarchica, perché le norme di principio prevalgono su quelle di dettaglio con esse incompatibili provocandone l’invalidità, quanto da una componente di separazione atteso che, come detto, la competenza a dettare una disciplina di dettaglio spetterebbe all’ente di minori dimensioni, e potrebbe essere esercitata dall’ente maggiore – come vedremo di qui a poco – solo a titolo precario e provvisorio27.

Normativa «di principio» e normativa «di dettaglio» non si con-figurano come ambiti di competenza rigidamente separati, bensì come ambiti di «preferenza»28. Ciò comporta che le norme di base

dovrebbero essere preferibilmente contenute nelle fonti degli enti di maggiori dimensioni e quelle di sviluppo-dettaglio preferibilmente in quelle degli enti di minori dimensioni, senza che ciò precluda in ma-niera rigida che un ente possa dettare entrambi i tipi di disciplina in via transitoria, ad esempio in attesa che l’altro si risolva ad esercitare le proprie competenze.

Anche sotto questo profilo si perviene ad un importante risul-tato, che è quello di garantire la continuità dell’ordinamento giuri-dico e, conseguentemente, la certezza dei rapporti giuridici. Qualora infatti l’ente di maggiori dimensioni non emanasse per lungo tempo le norme di principio relative ad una determinata materia, queste po-trebbero essere desunte in via interpretativa dall’ente di minore

di-26 È la posizione sostenuta da F. SoRRenTino, Le fonti del diritto cit., 30 ss.,

il quale dimostra comunque, con dovizia di esemplificazioni, che tale criterio non opera mai da solo, e perciò alternativamente agli altri due, bensì congiuntamente con almeno uno di essi.

27 È la tesi di T. MARTineS, A. RuggeRi, c. SAlAzAR, Lineamenti di diritto

re-gionale, Milano 2005, 189, secondo i quali la distinzione tra «principi» e «regole»

configura una separazione «per modi di disciplina» e non per «campi materiali».

28 Circa la differenza tra «preferenza» e «riserva», cfr. per tutti V. cRiSAFulli,

Fonti del diritto cit., 956, ad avviso del quale «nella prima ipotesi, vi è concorso

li-bero di fonti di vario tipo sulla medesima materia, quelle inferiori incontrando tut-tavia il limite costituito dalla normazione già posta da fonti superiori; mentre, nella seconda ipotesi, una sola fonte essendo autorizzata a regolare la materia, l’invalidità di norme di altra fonte prescinde dal loro eventuale contrasto con quelle della fonte competente, che possono anche mancare, e si configura come semplice conseguenza della incompetenza della fonte».

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mensioni, che sarebbe così in grado di porre le norme di dettaglio. La soluzione contraria condurrebbe al paradosso che l’ente maggiore con la propria inerzia potrebbe impedire all’ente minore, in maniera del tutto arbitraria ed anche per un tempo indefinito, di esercitare una propria competenza costituzionalmente garantita.

Allo stesso modo l’ente maggiore, per evitare che gli enti minori rimangano inerti impedendo così l’effettiva applicazione della di-sciplina emanata, potrebbe corredare la normativa di principio con una normativa di dettaglio, suscettibile di sostituzione in ogni mo-mento ad opera della fonte che ha la «preferenza» sulle norme di dettaglio, vale a dire la fonte dell’ente di minori dimensioni. In tal modo si evita che, soprattutto nelle fasi di transizione, l’inerzia di un ente possa determinare dei vuoti normativi suscettivi di ridon-dare in danno della certezza del diritto e della continuità dell’ordi-namento.

Emergono così due nuovi principi, che si configurano come co-rollari del criterio di «preferenza» e che si trovano in un rapporto reciproco di alternatività: quello di «suppletorietà» e quello di «cede-volezza»29.

In base al primo, si ha la vigenza provvisoria della disciplina det-tata da una fonte non preferita fino al momento in cui interviene la fonte preferita. In base al secondo, che interviene di seguito, si ha la sostituzione della disciplina dettata dalla fonte preferita a quella con-tenuta nella fonte non preferita.

Questo modello non è sconosciuto nel nostro ordinamento, nel quale ha anzi trovato ingresso in riferimento alle materie di compe-tenza legislativa concorrente fin dall’avvio della prima fase del regio-nalismo. Già allora, infatti, era stata riconosciuta al legislatore statale la possibilità di corredare la disciplina di principio, avente carattere inderogabile, anche con norme di dettaglio, destinate a rimanere transitoriamente in vigore per poi cedere nel momento in cui le Re-gioni avessero esercitato la propria competenza. La «cedevolezza», però, almeno nei rapporti tra leggi statali e leggi regionali nelle ma-terie di competenza concorrente, parrebbe essere ritenuta dalla Corte

29 Sottolinea F. MeRloni,

Il destino dell’ordinamento degli enti locali (e del rela-tivo Testo unico) nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Reg. 2002, 438, che la

«cedevolezza» è comunque sottoposta alla condizione che la fonte «preferita» decida di attivarsi, perché questa è una «possibilità connessa ad una posizione di autono-mia, non un obbligo di diversamente normare o anche soltanto di rinnovare la fonte, magari conservando il contenuto sostanziale delle norme».

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non più conforme al quadro costituzionale novellato30, ad eccezione

del caso in cui lo Stato decida di «attrarre in sussidiarietà» alcune funzioni amministrative31.

Di contro, la dottrina e il legislatore32 avevano riconosciuto alle

Regioni la facoltà di adottare la normativa di dettaglio anche in as-senza e/o in attesa di una legge-quadro che contenesse i principi fon-damentali, purchè rispettassero i principi comunque desumibili dalla normativa vigente. Tale soluzione ha ricevuto conferma, pur a fronte di una dottrina discorde sul punto33, anche a seguito della riforma

co-stituzionale del 2001. Dapprima ad opera della Corte coco-stituzionale che, con la sentenza n. 282/0234, ha ribadito che le Regioni possono

legiferare nel dettaglio anche in assenza di leggi-quadro di nuovo co-nio, desumendo i principi fondamentali della materia dalla norma-tiva vigente (in molte materie rappresentata da leggi-quadro emanate in attuazione del vecchio art. 117 Cost.). In seconda battuta è inter-venuta la l. n. 131/03 che, all’art. 1, ha cristallizzato la soluzione de

qua a livello legislativo35. Sotto questo profilo, semmai, si pongono 30 Cfr. sentenza n. 303/03 cit., al Punto 16 del Considerato in diritto:

«l’inver-sione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente».

31 Sempre nella sentenza n. 303/03, al Punto 16 del Considerato in diritto, si

legge che, in tal caso, «la disciplina di norme di dettaglio a carattere suppletivo de-termina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività».

32 Si allude all’art. 17 l. n. 281/70.

33 In senso favorevole, cfr. M. luciAni, Le nuove competenze legislative delle

Regioni a statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della l. cost. n. 3 del 2001, in F. cARinci (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche

amministra-zioni. Il nuovo Titolo V della Costituzione. Stato-Regioni e diritto del lavoro, Milano

2002, 19; A. D’ATenA, La difficile transizione. In tema di attuazione del Titolo V, in

Le Reg. 2002, 311 ss.; iD., Legislazione concorrente, principi impliciti e delega per la

formulazione di principi fondamentali, in Forumcost. 2002. Di avviso contrario,

in-vece, l. eliA, Introduzione, in T. gRoppi, M. oliVeTTi (a cura di), La Repubblica

delle autonomie cit., 14; M. oliVeTTi, Le funzioni legislative regionali, ivi, 95; S. pA -nunzio, Intervento, in Costituzione, Regioni e autonomie locali. Indagine conoscitiva

sugli effetti nell’ordinamento della revisione del Titolo V parte seconda della Costitu-zione, I, Senato della Repubblica, 2002, 131.

34 Cfr. in Giur. Cost. 2002, 2012 ss., punto 4 del Considerato in diritto, con

os-servazione di A. D’ATenA, La Consulta parla... e la riforma del Titolo V entra in

vi-gore, ivi, 2027 ss.

35 Sul punto, cfr. R. Bin, La delega relativa ai principi fondamentali della

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problemi di diritto intertemporale nel caso di sopravvenienza di una legge statale contenente nuovi principi rispetto ai quali le norme re-gionali di dettaglio già in vigore risultino incompatibili. Si prospettano al riguardo due possibili soluzioni36. Nel caso in cui le disposizioni

manifestino agli occhi dell’interprete un puntuale ed insanabile con-trasto, scatterebbe l’effetto abrogativo differito, secondo quanto pre-vedeva l’art. 10 l. n. 62/5337, la cui permanenza in vigore anche a

se-guito della Novella costituzionale è stata ribadita dalla Corte costitu-zionale38. Nella diversa ipotesi in cui il contrasto non fosse manifesto

e comunque nei casi di maggiore difficoltà interpretativa, rimarrebbe comunque aperta allo Stato la strada del giudizio principale attraverso la quale pervenire ad una pronuncia di invalidità sopravvenuta39.

A questo punto occorre individuare l’ambito entro il quale i re-golamenti degli enti locali vengono chiamati ad operare e conseguen-temente ricostruire, con l’ausilio degli indicati criteri derivanti dall’in-troduzione del sistema multilivello, i rapporti che intrattengono con le altri fonti e la posizione che occupano nel sistema complessivo. 3. I rapporti dei regolamenti locali con le leggi statali e regionali di

allocazione delle funzioni amministrative.

3.1.

Il modello costituzionale di allocazione delle funzioni amministra-tive.

Per individuare l’ambito di intervento dei regolamenti degli enti locali ex art. 117, comma 6 occorre anzitutto operare un chiarimento

Regioni ed enti locali cit., 21 ss.; p. cAVAleRi, Commento all’art. 1, in p. cAVAleRi, e.

lAMARque (a cura di), L’attuazione del nuovo Titolo V, Parte seconda, della

Costitu-zione. Commento alla legge «La Loggia» (legge 5 giugno 2003, n. 131), Torino 2004,

13 ss.

36 Sul punto cfr. p. cAReTTi, g. TARli BARBieRi, Diritto regionale, Torino 2007,

69 ss.

37 La disposizione in parola statuiva infatti che le leggi statali abrogavano quelle

regionali con esse contrastanti, ma subordinava l’effetto abrogativo al mancato inter-vento correttivo-adeguativo delle Regioni entro i novanta giorni successivi all’entrata in vigore.

38 Cfr. sent. n. 302/03, in Giur. Cost. 2003, 2650 ss., con nota redazionale di g.

D’AleSSAnDRo, ivi, 2673 ss.

39 Per quanto riguarda lo ius superveniens e il quadro complessivo dei rapporti

tra le fonti che esso determina, cfr. lo schema di sintesi elaborato da g. RollA,

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in ordine al modello di distribuzione delle competenze amministra-tive tra i diversi livelli territoriali di governo che compongono la Repubblica. L’analisi del procedimento indicato dal legislatore costi-tuzionale per l’allocazione delle funzioni amministrative e dei criteri che vi presiedono risulta infatti propedeutica all’esatta individuazione di quelle funzioni «conferite» agli enti locali rispetto alle quali i re-golamenti sono chiamati a dettare la disciplina di «organizzazione e svolgimento».

In ordine alla corretta lettura dell’art. 118 Cost. – che pur rap-presenta la disposizione della Costituzione novellata che ha suscitato i maggiori dilemmi interpretativi, derivanti in gran parte dal «rovo terminologico»40 in essa contenuto – sono sufficienti alcune brevi

no-tazioni di carattere generale.

40 La paternità della locuzione è di R. Bin, La funzione amministrativa nel

nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Reg. 2002, 369. Parla invece di «balletto

delle qualificazioni» A. D’ATenA, La difficile transizione cit., 308. Di «guazzabuglio

terminologico» parlano invece S. BARTole, R. Bin, g. FAlcon, R. ToSi, Diritto

re-gionale cit., 187. Queste locuzioni alludono al problema riguardante l’esatta portata

delle diverse qualificazioni con le quali sono connotate le funzioni amministrative nei primi due commi dell’articolo de quo. Al primo comma, infatti, si parla di funzioni «attribuite» ai Comuni e di funzioni «conferite» agli altri enti territoriali di maggiori dimensioni, a partire dalle Province fino ad arrivare allo Stato. Al secondo comma, di contro, si ascrivono alla titolarità degli enti locali (Comuni, Province e Città me-tropolitane) funzioni «proprie» e funzioni «conferite» con legge statale o regionale. Il quadro si complica ulteriormente in virtù del fatto che l’art. 117, comma 2, let-tera p), Cost. parla di funzioni «fondamentali» degli enti locali. Sono state avanzate al riguardo le interpretazioni più disparate. Tra le molte, occorre indicare almeno quelle di S. MAngiAMeli, Riassetto dell’amministrazione locale, regionale e statale tra

nuove competenze legislative, autonomie normative ed esigenze di concertazione, in La riforma del regionalismo italiano, Torino 2002, 259 ss.; g. FAlcon, Funzioni

ammi-nistrative ed enti locali nei nuovi artt. 118 e 117 della costituzione, in Le Reg. 2002,

385 ss.; F.S. MARini, Il nuovo Titolo V: l’epilogo delle garanzie costituzionali

sull’al-locazione delle funzioni amministrative, in Le Reg. 2002, 403 ss.; g. RollA,

L’auto-nomia dei Comuni e delle Province cit., 218 ss.; g.A. SAlA, Sui caratteri

dell’ammi-nistrazione comunale e provinciale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Le Reg. 2004, 22 ss. Chi scrive ritiene di aderire alla tesi sostenuta, da ultimo, da

A. celoTTo, A. SARAnDReA, Le funzioni amministrative, in T. gRoppi, M. oliVeTTi

(a cura di), La Repubblica delle autonomie cit., 185 ss., ad avviso dei quali le fun-zioni «proprie» coinciderebbero con quelle «fondamentali», e sarebbero quelle che connotano tutti gli enti appartenenti al medesimo genus e che, trovando la propria fonte allocativa nella legge statale ex art. 117, comma 2, lettera p), sono sottratte al principio di «differenziazione». Le funzioni «conferite», di contro, sarebbero quelle per cosi dire «non fondamentali», che spetterebbe alle leggi statali e regionali allo-care in capo ai diversi livelli territoriali di governo sulla base dei principi distributivi di cui al primo comma dell’art. 118 Cost. Con la locuzione funzioni «attribuite», infine, il primo comma del medesimo art. 118 Cost. indicherebbe un mero

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«conte-Anzitutto, è possibile operare una sorta di scissione tra i primi due commi della disposizione in esame. Il primo comma, infatti, con-tiene una norma di carattere sostanziale, che indica i criteri che deb-bono presiedere al riparto delle competenze amministrative tra i di-versi livelli territoriali di governo. Il secondo comma, di contro, con-tiene una norma di carattere «procedurale», con la quale si indicano i soggetti titolari della potestà di «conferimento» delle funzioni e gli strumenti normativi che debbono utilizzare per provvedervi41.

Diversamente dal passato, la Carta costituzionale non attribuisce direttamente le funzioni in capo alle diverse autonomie territoriali. I principi contenuti nel vecchio testo dell’art. 118 Cost., infatti (primo tra tutti quello del «parallelismo tra funzioni legislative e funzioni amministrative»), permettevano all’interprete di individuare – almeno con un certo grado di approssimazione, stante l’esistenza di deroghe al principio – l’ente territoriale titolare di una determinata funzione amministrativa42. Di contro, l’attuale art. 118 non opera

un’attribu-nitore vuoto», destinato a riempirsi di contenuto attraverso le funzioni «proprie» e «conferite» di cui al comma 2. Tale ricostruzione parrebbe suffragata, almeno im-plicitamente, anche da una pronuncia della Corte, la sent. n. 379/04, in Giur. cost. 2004, 4161 ss.

41 Per primo, sul punto, cfr. g. RollA, L’autonomia dei Comuni e delle Province

cit., 168, ad avviso del quale il comma 2 sarebbe «il profilo procedurale ed attuativo del principio sancito dal 1o comma del medesimo articolo». g. FAlcon, Funzioni

amministrative ed enti locali. cit., 2002, 391, sostiene acutamente che il principio di

sussidiarietà è il «criterio regolatore dell’attribuzione della titolarità», mentre l’inciso del comma 2 «secondo le rispettive competenze» indica il «criterio di competenza per il relativo conferimento delle funzioni».

42 Sul vecchio art. 118 Cost. cfr. l. VAnDelli, Art. 118, 2° e 3° comma, in g.

BRAncA, A. pizzoRuSSo (a cura di), Commentario della Costituzione,

Roma-Bolo-gna 1984, 267 ss.; A. D’ATenA, Funzione, III) Funzioni amministrative delle regioni

(voce), in Enc. Giur., Roma 1989, Vol. XIV. In ordine al principio del parallelismo, per cui «lì dove c’è la legislazione c’è anche l’amministrazione», e al suo collega-mento con il principio di legalità, cfr. la sentenza n. 65/82 della Corte costituzionale, in Giur. cost. 1982, 646 ss., ove si legge, al punto 3 del Considerato in diritto, che «la Corte ha più volte riaffermato... la regola del parallelismo tra funzioni amministra-tive e legislaamministra-tive regionali, senza di che rimarrebbe insoddisfatta la stessa esigenza di legalità dell’amministrazione». Sull’istituto della delega, cfr. M. cAMMelli,

De-lega amministrativa (voce), in Enc. Giur., Roma 1988, Vol. X; g. RollA, Delega di

funzioni e sistema dei rapporti tra regione ed enti locali, in Le Reg. 1990, 1050 ss.;

T. MARTineS, A. RuggeRi, Le deleghe agli enti infraregionali: modello costituzionale

e modelli di sperimentazione-attuazione, in l. AMMAnnATi, S. gAMBino (a cura di),

Deleghe amministrative e riassetto dei poteri locali nel quadro della legge 142/1990,

Rimini 1992, 22 ss. Sull’avvalimento, cfr. u. poToTSchnig,

La delega di funzioni am-ministrative regionali agli enti locali, in Foro Amm. 1971, III, 428 ss. In ordine alla

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zione diretta di funzioni, ma rimette al legislatore statale e a quello regionale, ciascuno nelle materie di rispettiva competenza, il compito di provvedere alla distribuzione delle stesse, limitandosi soltanto a dettare (e conseguentemente a costituzionalizzare), al primo comma, i criteri che essi sono tenuti ad osservare nel corso del procedimento allocativo. In pratica, si passa da un sistema in cui era la Costituzione a predeterminare gli ambiti di competenza amministrativa attraverso l’elencazione delle relative materie ad uno in cui la Carta si limita ad esplicitare le fonti del procedimento allocativo e i criteri che vi pre-siedono.

Il modello costituzionale necessita pertanto, ai fini del suo pieno inveramento, di un’intermediazione legislativa43, in assenza della

quale l’art. 118 conserverebbe il carattere di norma meramente in-dicativa di principi44, di una mera «pagina bianca». Spetta pertanto

al legislatore statale, in forza della competenza riservata di cui all’art. 117, comma 2, lettera p), Cost., attribuire agli enti locali le loro fun-zioni «fondamentali-proprie», vale a dire quel nucleo, quello «zoc-colo duro» di funzioni che connotano «ontologicamente» tutti gli enti del medesimo tipo, costituendone quasi degli elementi distintivi,

M.S. giAnnini, Il decentramento amministrativo nel quadro dell’ordinamento

regio-nale, in Atti del III convegno di studi regionali, Milano 1962, 185 ss. Circa le tappe

che hanno caratterizzato la vicenda attuativa del vecchio art. 118 Cost., con parti-colare riferimento alle leggi Bassanini, cfr. T. MARTineS, A. RuggeRi, c. SAlAzAR,

Lineamenti di diritto regionale cit., 225 ss.; g. FAlcon (a cura di), Lo Stato

auto-nomista. Funzioni statali, regionali e locali nel decreto legislativo n. 112 del 1998 di attuazione della legge Bassanini n. 59 del 1997, Bologna 1998.

43 In ordine alla tesi della necessità di un’intermediazione legislativa ai fini della

concreta attuazione dell’art. 118 Cost., cfr. S. pAnunzio, Intervento cit.; R. Bin,

La funzione amministrativa cit., 374; g. pASToRi, Intervento, in g. BeRTi, g.c. De

MARTin (a cura di), Il sistema amministrativo

dopo la riforma del Titolo V della

Co-stituzione, Roma 2002, 120; g. FAlcon, Funzioni amministrative ed enti locali cit.,

383 ss.; B. cARAViTA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino 2002, 128;

e. FollieRi, Le funzioni amministrative nel nuovo Titolo V della parte seconda della

Costituzione, in Le Reg. 2003, 441 ss.; g. FAlcon, L’autonomia amministrativa e

re-golamentare, in Le Reg. 2004, 393 ss.; A. coRpAci,

Attribuzione delle funzioni ammi-nistrative e titolarità della potestà legislativa di disciplina delle stesse, in Le Reg. 2004,

422; l. AnTonini,

L’attuazione dell’art. 118 Cost. e la questione delle funzioni ammi-nistrative, in B. cARAViTA (a cura di), I processi di attuazione del federalismo in Italia,

Milano 2004, 234, il quale parla di «nuovo parallelismo, ma solo tra competenze le-gislative e potere di allocazione delle funzioni. Si tratterebbe cioè di un parallelismo «strumentale» ad attivare, in via ricognitiva, il criterio di imputazione della titolarità delle funzioni stabilito dal I comma dell’art. 118 Cost.».

44 F.S. MARini, Il nuovo Titolo V cit., 399 ss., il quale definisce il primo comma

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e la cui titolarità deve perciò essere ascritta, uniformemente e indi-stintamente, in capo a tutti gli enti appartenenti al medesimo genus. Una volta assolto tale compito residua il mare magnum delle funzioni «non fondamentali-conferite», all’interno del quale il legislatore sta-tale e regionale, ciascuno nel proprio ambito di competenza mate-riale, possono allocare le funzioni in capo ai diversi livelli territoriali di governo senza doversi attenere ad un rigoroso criterio di «unifor-mità», ma anzi ispirandosi alla massima elasticità e flessibilizzazione in considerazione delle diverse caratteristiche che connotano ciascun ente locale.

I criteri ai quali devi ispirarsi il legislatore, infatti, sono quelli enucleati al primo comma dell’art. 118 Cost. Il primo a ricevere ap-plicazione è quello della sussidiarietà verticale45 in senso

«discen-dente» o di «prossimità», in virtù del quale le funzioni dovrebbero essere esercitate, preferibilmente, dal livello territoriale di governo più «prossimo» ai cittadini che ne sono i destinatari. Del resto, tale accezione della sussidiarietà è stata esplicitamente recepita nella Carta, sub specie del principio di «preferenza per il livello comu-nale»46 sancito al primo comma dell’art. 118 Cost. Da ciò consegue

che il legislatore – tanto statale quanto regionale – nel momento in cui si appresta ad allocare le funzioni deve prospettarsi, quale prima «opzione mentale» praticabile, quella della loro attribuzione in capo al Comune47.

Il principio di sussidiarietà verticale, però, non opera in senso unidirezionale, vale a dire soltanto verso il basso, bensì in senso bidi-rezionale, anche verso l’alto. Non tutte le funzioni amministrative, in-fatti, possono essere effettivamente ascritte alla titolarità dei Comuni, stante la difficoltà, per molti di essi, di esercitarle efficacemente.

Pro-45 Sulle origini di tale principio, soprattutto all’interno della dottrina sociale

della Chiesa, cfr. l. Violini, Il principio di sussidiarietà, in g. ViTTADini (a cura di),

Sussidiarietà: la riforma possibile, Milano 1998, 53 ss.; F. pizzolATo, Il principio di

sussidiarietà, in T. gRoppi, M. oliVeTTi (a cura di), La Repubblica delle autonomie

cit., 197. Quanto alla tesi per cui tale principio fosse già presente nella Carta del ’48, in quanto implicitamente desumibile dall’art. 5 Cost., cfr. p. RiDolA, Diritti di

libertà e costituzionalismo, Torino 1997, 84; A. D’ATenA, Costituzione e principio di

sussidiarietà, in Quad. Cost. 2001.

46 Tale locuzione appartiene a S. BARTole, R. Bin, g. FAlcon, R. ToSi, Diritto

regionale cit., 215.

47 I Comuni rappresentano pertanto nel nuovo sistema costituzionale, secondo

la definizione di g. D’AuRiA, Funzioni amministrative e autonomia finanziaria delle

regioni e degli enti locali, in Foro It. V, 2001, c. 215, il «cuore amministrativo della

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prio nel caso dell’impossibilità, per un Comune, di esercitare una o più funzioni, il principio di sussidiarietà viene chiamato nuovamente ad operare, ma stavolta in senso «ascendente», per cui la funzione viene spostata verso il livello superiore che interviene appunto, in via adiutoria, quale subsidium. A determinare l’operatività del principio di sussidiarietà in un senso oppure nell’altro concorrono gli altri due sottocriteri indicati dall’art. 118, comma 1, Cost., quelli di «differen-ziazione» ed «adeguatezza»48.

Dal testo novellato dell’art. 118 Cost. emerge pertanto un sistema di distribuzione delle funzioni amministrative differenziato, dinamico e flessibile49 sia sotto il profilo spaziale che sotto il profilo

tempo-rale. Quanto al primo profilo, è sufficiente rilevare che enti apparte-nenti al medesimo genus, in tempi diversi, possono risultare titolari di funzioni amministrative diverse sia quantitativamente (numero di funzioni esercitate) sia qualitativamente (tipo di funzioni esercitate). Quanto al secondo profilo, il principio di sussidiarietà (così come quelli di «differenziazione» ed «adeguatezza» che lo accompagnano e lo indirizzano), appare ictu oculi suscettibile di continui ed anche profondi mutamenti che, nel corso del tempo, possono determinare frequenti cambiamenti di valutazione legislativa con conseguenti ri-volgimenti nell’assetto di distribuzione delle funzioni. L’immagine che risulta è quella di un sistema delle funzioni amministrative ani-mato al proprio interno da un moto incessante – il cui propellente è dato dal mutevole equilibrio degli interessi – che provoca il loro

48 L’art. 4, comma 3, l.n. 59/97 la definisce come «idoneità organizzativa

del-l’amministrazione ricevente a garantire, anche in forma associativa con altri enti, l’esercizio delle funzioni».

49 In ordine alla natura «procedurale» del principio di sussidiarietà e alle

con-seguenze che ne derivano sul riparto delle competenze legislative cfr. la pronuncia n. 303/03 della Corte costituzionale, in Giur. cost. 2003, 2675 ss., con nota redazionale di R. AleSSe, ivi, 2774 ss., e con osservazioni di A. D’ATenA,

L’allocazione delle fun-zioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, ivi, 2776 ss.;

A. Anzon, Flessibilità dell’ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato

e Regioni, ivi, 2782 ss.; A. MoScARini, Sussidiarietà e Supremacy Clause sono davvero

perfettamente equivalenti?, ivi, 2791 ss.; A. genTilini, Dalla sussidiarietà

amministra-tiva alla sussidiarietà legislativa, a cavallo del principio di legalità, ivi, 2805 ss. In

or-dine alla pronuncia citata, cfr. anche A. MoRRone, La Corte costituzionale riscrive il

Titolo V?, in www.forumcostituzionale.it, 2003; A. RuggeRi, Il parallelismo «redivivo»

e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare...) in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia. Nota a Corte cost. n. 303/2003, in

www.forumcostitu-zionale.it, 2003; S. BARTole, Collaborazione e sussidiarietà nel nuovo ordine regionale,

in Le Reg. 2004, 578 ss.; l. Violini, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa

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continuo spostamento da un livello all’altro, e che è stato felicemente ed efficacemente rappresentato con l’ormai ben nota immagine del-l’«ascensore»50.

Una volta delineato il modello di distribuzione delle funzioni am-ministrative51, occorre a questo punto – per tornare al tema che ci

inte-ressa- affrontare la questione del quantum e del quomodo di disciplina che spetta ai regolamenti locali in merito all’«organizzazione» e allo «svolgimento» delle funzioni che il legislatore statale e quello regionale hanno attribuito come «proprie-fondamentali» o come «conferite-non fondamentali» ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane. 3.2. Gli oggetti della disciplina.

Preliminarmente, è opportuno individuare gli ambiti entro i quali si esplica la potestà regolamentare locale di disciplina delle funzioni am-ministrative. Sul punto, l’art. 117, comma 6, Cost. si limita a parlare di «organizzazione» e «svolgimento» delle funzioni senza ulteriori specifi-cazioni. Indicazioni utili al riguardo si traggono dall’art. 4, comma 4, della legge La Loggia che, oltre a riprodurre testualmente i due termini menzionati nella Carta, vi aggiunge anche la «gestione» delle funzioni52.

Il legislatore ordinario, con i sostantivi «organizzazione», «svolgimento» e «gestione», pare aver fatto riferimento ai tre momenti fondamentali in cui si scompone l’esercizio di ciascuna funziona amministrativa.

Resta da chiarire il significato di ciascuno dei termini adoperati. L’«organizzazione» di una funzione attiene alla predisposizione di tutti gli strumenti necessari per il suo esercizio53. Spetta pertanto ai

50 Evocata da R. Bin, g. piTRuzzellA, Diritto costituzionale, Torino 2001, 96. 51 E che dovrà ricevere attuazione secondo le modalità e tramite le procedure

prefigurate dagli artt. 2 e 7 della l.n. 131/03, in ordine ai quali cfr. F. pizzeTTi, Le

deleghe relative agli enti locali. Commento all’art. 2, in g. FAlcon (a cura di), Stato,

Regioni ed enti locali cit., 62 ss.; M. cARli, Esercizio delle funzioni amministrative.

Commento all’art. 7, commi 1-6, ivi, 147 ss.

52 Gli oggetti di disciplina risultano pertanto più ampi rispetto a quelli

indi-cati dall’art. 7 del d.lgs. 267/00 sotto due profili. In primo luogo, la disciplina re-golamentare può riguardare tutte le funzioni degli enti locali, e non più soltanto gli «istituti e organismi di partecipazione», gli «organi» e gli «uffici». In secondo luogo, i profili di intervento attengono, oltre che all’«organizzazione», anche allo «svolgi-mento» e alla «gestione» delle funzioni.

53 Secondo G. pAleologo, Organizzazione amministrativa (voce), in Enc. Dir.,

Milano 1981, Vol. XXXI, 135, per «organizzazione» si intende «la predisposizione di strumenti per il raggiungimento di dati risultati».

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regolamenti il compito di individuare e di quantificare, per ciascuna funzione conferita ai singoli enti locali, le risorse umane, strutturali e finanziarie all’uopo necessarie tra quelle di cui dispone l’ente. È bene ribadire che gli aspetti organizzativi in parola sono quelli «dinamici», suscettibili cioè di venir meno ogni qual volta la legge statale e regio-nale, in ossequio alla fluidità che caratterizza il modello costituzionale di riparto delle funzioni amministrative, decida di spostare la funzione in capo ad un diverso livello territoriale di governo. In pratica, si tratta di tutti gli apparati che, presentando un carattere di mera strumenta-lità rispetto all’esercizio di una determinata funzione, non conservano alcuna ragion d’essere nel momento in cui la funzione medesima viene sottratta all’ente cui accedono. Quanto agli aspetti organizzativi «sta-tici», che connotano ciascun ente in modo tendenzialmente stabile in-dipendentemente dal tipo e dalla quantità di funzioni di cui dispone, si ribadisce che la loro disciplina è rimessa in primo luogo agli statuti e, in seconda battuta, all’opera di specificazione e sviluppo da parte dei regolamenti sin dall’inizio definiti di «organizzazione generale».

Il termine «svolgimento» allude ad aspetti più propriamente proce-dimentali, relativi alle varie fasi in cui si esplica l’azione amministrativa a livello locale. Si può ipotizzare pertanto l’emanazione di regolamenti che, in relazione alle diverse funzioni di spettanza degli enti locali, di-sciplinino minuziosamente i relativi procedimenti amministrativi.

Di difficile determinazione è infine il significato del termine «ge-stione». Da un lato, infatti, parrebbe riferirsi alle concrete modalità di esercizio delle funzioni e agli strumenti di cui gli organi ammini-strativi competenti si possono avvalere nel perseguimento delle fina-lità pubbliche loro attribuite. Dall’altro, vi è chi54 ritiene che la

«ge-stione» non possieda una propria, autonoma configurazione e che al relativo ambito appartenga pertanto tutto ciò che residua al di fuori dell’«organizzazione» e dello «svolgimento», di modo che i regola-menti locali potrebbero disciplinare tutti i rimanenti profili connessi all’esercizio delle funzioni amministrative.

3.3. In ordine alla possibile esistenza di una riserva di regolamento. Occorre a questo punto occuparsi dei limiti che derivano a ca-rico dei regolamenti de quibus dalla disciplina prodotta dalle fonti

54 G. BoTTino, Commento all’art. 4, comma 4, in AA.VV., Il nuovo ordinamento della

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