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Mineralogia e costituenti delle rocce con laboratorio

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Academic year: 2021

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Guida al Corso di

Mineralogia e costituenti delle rocce con laboratorio

(Lezioni dettate dal Prof. Antonino Lo Giudice)

1

Anno Accademico 2009-10

(2)
(3)

Indice

Prefazione al corso. Pag. 2

I costituenti delle rocce " 3

Caratteri strutturali e morfologici dei minerali " 5

Considerazioni sui reticoli cristallini " 10

Introduzione strutturale alla cristallografia morfologica " 11

Cristallografia morfologica " 15

Cristallografia strutturale " 23

Richiami sui caratteri generali delle onde luminose " 24

La cristallografia X " 33

Applicazioni della cristallografia X " 42

Ottica Cristallografica " 46

Caratteristiche ottiche generali dei minerali " 46

Birifrangenza e segno ottico dei minerali " 52

Le indicatrici ottiche " 54

Definizione e costruzione delle indicatrici ottiche " 54 Forme e geometria delle indicatrici ottiche " 56 Orientazione delle Indicatrici Ottiche nei minerali " 59

Osservazioni ottiche sui minerali " 65

Il Microscopio da mineralogia " 66

I diversi tipi di osservazione al microscopio " 68 Osservazioni a luce parallela (ortoscopica) e ad un solo polaroide " 68 Osservazioni a luce parallela e a due polaroidi (Nicol’s incrociati) " 77

Riflessioni sull’equazione del ritardo e informazioni deducibili

dall’osservazione dei colori d’interferenza " 82

Riflessioni sulle posizioni d’estinzione " 85

I compensatori " 90

Osservazioni a luce convergente (conoscopica) e a due polaroidi (Nicol’s

incrociati) " 95

Figure d’interferenza dei minerali birifrangenti uniassici (dimetrici) " 96 Figure d’interferenza dei minerali birifrangenti biassici (trimetrici) " 100 Determinazione del segno ottico nei minerali uniassici e biassici " 104 Riconoscimento al microscopio delle principali fasi minerali costituenti le rocce " 108

Cristallochimica dei minerali " 128

I minerali e le loro strutture cristalline " 128

Le regole di Pauling " 131

Isomorfismo " 137

I tipi di isomorfismo " 141

Caratteristiche generali della cristallizzazione delle miscele isomorfe " 144

Polimorfismo " 157

I tipi di polimorfismo " 160

Rassegna dei principali minerali costituenti le rocce " 165

I silicati " 165

Nesosilicati " 170

Sorosilicati " 173

Inosilicati " 174

Fillosilicati " 182

Tectosilicati " 190

Carbonati, solfati, fosfati, alogenuri, solfuri, ossidi e idrossidi, elementi

nativi " 200

Appendice " 206

Peso specifico, Densità, Durezza, Suscettività magnetica, Piezoelettricità " 206

(4)
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Prefazione al corso.

Il corso di Mineralogia e costituenti delle rocce ha l’obbiettivo di fornire agli studenti del Corso di Laurea in Scienze Geologiche adeguate conoscenze e capacità di comprensione dei dati mineralogici ai fini della determinazione della composizione delle rocce. Il Corso si prefigge anche l’obbiettivo di sviluppare negli studenti le abilità nell’applicazione delle conoscenze acquisite con particolare riferimento alle tecniche e alle procedure per l’identificazione dei minerali costituenti le rocce.

Costituiranno pertanto oggetto dell’insegnamento i seguenti grandi capitoli:

- sistematica, composizione, descrizione e diffusione dei minerali.

- principali caratteristiche fisiche.

- caratteri cristallochimici, fisico-chimici e fisico-strutturali.

Il Corso, oltre alle lezioni frontali, comprenderà anche una estesa attività in laboratorio tesa alla applicazione dei principi e delle nozioni apprese dallo studente ed avente come obbiettivo il riconoscimento delle principali fasi minerali presenti nelle rocce.

La disciplina trattata ha un elevato contenuto scientifico e necessita di una adeguata conoscenza dei concetti basilari di chimica, fisica e matematica nonché della capacità dello studente di sapersi interrogare sul perché delle cose e di saper collegare quanto appreso nei diversi segmenti in cui la disciplina è necessariamente articolata.

La disciplina necessita, di ragionamento, apprendimento continuo e maturazione dei concetti appresi; pertanto si raccomanda agli studenti l’assidua frequenza alle lezioni ed il contemporaneo studio di quanto illustrato nel corso delle medesime.

Testi consigliati

F. Mazzi e G. P. Bernardini – Carobbi Mineralogia 1 – Fondamenti di cristallografia e ottica cristallografica – USES

W. A. Deer, R.A. Howie, J Zussman – Introduzione ai minerali che costituiscono le rocce – Zanichelli

P. F. Kerr – Optical Mineralogy – Mc Graw Hill G. Gottardi – I minerali – Boringhieri

S. Bonatti, M. Franzini – Cristallografia mineralogica – Boringhieri

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I costituenti delle rocce

Per roccia si intende un aggregato naturale di minerali, sostanze amorfe, particelle e solidi di vario tipo; le rocce sono costituite da miscugli di fasi (minerali ed altro) e la loro composizione non è esprimibile con una formula chimica univoca; esse generalmente formano masse ben individuabili.

Le rocce costituiscono la porzione esterna del pianeta Terra che viene chiamata litosfera.

Prescindendo dalle sostanze amorfe e dalle particelle e solidi di vario tipo che come avrete modo di conoscere sono riconducibili ancora a frammenti di rocce, di minerali, di fossili o di sostanze amorfe, focalizziamo la nostra attenzione sui componenti minerali che nella stragrande maggioranza delle rocce sono i costituenti essenziali.

Chiediamoci: cosa è un minerale? Cosa viene definito come minerale?

I minerali sono sostanze naturali generalmente inorganiche, generalmente allo stato solido, formatesi attraverso processi geologici che coinvolgono equilibri e processi di tipo fisico e chimico.

Una definizione di minerale, sufficientemente appropriata, benché datata e pertanto necessitante di opportune precisazioni, potrebbe essere la seguente: dicesi minerale un corpo solido, omogeneo, di origine naturale e componente della litosfera.

Solido

Il concetto di “solido” con riferimento alla definizione di minerale fa riferimento ad un corpo caratterizzato da una intima struttura reticolare (reticolo cristallino) in cui i componenti chimici che lo costituiscono risultano ordinati tridimensionalmente in modo omogeneo periodico e discontinuo.

Un pezzo di legno non può essere definito quale minerale in quanto pur essendo solido non presenta un reticolo cristallino cioè un ordinamento tridimensionale omogeneo periodico e discontinuo dei componenti chimici che lo costituiscono. Lo stesso vale per i vetri (liquidi sottoraffreddati), ancorché di origine naturale.

La modalità di transizione dello stato solido allo stato liquido, a pressione costante, può essere considerata come discriminante fra lo stato “solido cristallino” e lo stato “amorfo” ancorché apparentemente solido. Il passaggio di stato solido cristallino → liquido (e viceversa) avviene infatti in un intervallo di tempo (che è funzione della quantità di materia coinvolta nel processo e dalla

A B C

Figura 1. Diagrammi T°/tempo illustranti i cambiamenti di stato solido → liquido in un sistema costituito da un componente puro (A) o da una miscela isomorfa (B) al procedere del fornire calore uniformemente nel tempo.

(C) = Comportamento di una sostanza vetrosa.

quantità di calore fornita (o sottratta) nell’unità di tempo) durante il quale, al permanere dell’equilibrio bifase solido + liquido, la temperatura o permane costante (temperatura di fusione o temperatura di cristallizzazione) o cresce (o decresce) regolarmente per tutto l’intervallo di tempo in cui si mantiene l’equilibrio bifase solido + liquido. Quanto sopra non si realizza allorché scaldiamo una sostanza amorfa, ad es. un vetro che al procedere del riscaldamento diverrà sempre più plastico

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sino a quando, abbassatasi sufficientemente la sua viscosità, assumerà tutte le caratteristiche del liquido (Figura 1).

Omogeneo

Poiché un corpo si definisce omogeneo quanto presenta le medesime caratteristiche chimiche e fisiche in tutte le sue parti, il concetto di “omogeneità” va trattato con una certa cautela. Infatti esso può essere definito solo in funzione della scala (grandezza) a cui va verificato: più è piccola la scala a cui cerchiamo di verificare il concetto di omogeneità più ci accorgiamo che un corpo, che a scala più elevata ci appariva omogeneo, di fatto risulta eterogeneo.

Per quanto riguarda i minerali noi diremo che un corpo è omogeneo quando, anche a scala microscopica, presenta, in tutte le sue parti, le medesime caratteristiche chimiche e fisiche anche di tipo vettoriale.

Naturale

Con l’attributo “naturale” noi sottendiamo il fatto che il corpo in considerazione deve essere di origine naturale cioè, in altre parole, deve essere il prodotto di un processo naturale nel quale l’uomo non ha giocato alcun ruolo. Se prendiamo ad esempio il Diamante esso è certamente un minerale se si è formato in base a processi naturali mentre non lo è se è il prodotto del processo di trasformazione del Carbonio in condizioni di altissime pressioni e temperature messo in opera dall’uomo. In quest’ultimo caso si parla di minerali artificiali.

Componente della litosfera

Mentre appare assolutamente chiara la derivazione di questo attributo alla definizione di minerale (i minerali si trovano nella litosfera) il procedere dei progressi e delle conoscenze pone certamente dei limiti a questo concetto. Ci si potrebbe chiedere se i solidi cristallini che si ritrovano sulla superficie lunare e che si sono formati in base a processi naturali e presentano il carattere di omogeneità sopra ricordato siano o meno da considerare ancora dei “minerali” ancorché non sono componenti della litosfera intesa come la porzione esterna solida che circonda il pianeta Terra.

Ritengo che allorché si utilizzano delle definizioni che, inevitabilmente, possono divenire più o meno obsolete o perdere di validità assoluta, con il procedere delle conoscenze e delle capacità investigative e esplorative dell’uomo, occorre adoperare senso critico e saper interpretare lo spirito con cui ogni definizione è stata data e saper valutare il grado di conoscenze al momento della sua formulazione.

In calce alla presente introduzione vale la pena di porre attenzione ad un concetto che solitamente si accompagna a quello di minerale: il concetto di “cristallo”.

Con la lettura delle prossime pagine e dei prossimi capitoli impareremo che i minerali, caratterizzati come già detto da una intima struttura cristallina (reticolo cristallino), in forza di ciò, presentano costantemente proprietà fisiche di tipo anisotropo (cioè che si manifestano con intensità o modalità differenti in funzione della direzione e talora anche del verso in cui esse sono verificate). Tale anisotropia può realizzarsi con una variazione di tipo “continuo”1 così come di tipo “discontinuo”2.

1 Per una data proprietà fisica si ha una anisotropia con variazione “continua” quando l’intensità con cui detta proprietà si manifesta varia con continuità al variare continuo della direzione in cui essa viene misurata. L’intensità della suddetta proprietà assumerà quindi infiniti valori compresi fra un valore massimo ed un valore minimo: Imim ≤ I ≤ Imax .

2 Per una data proprietà fisica si ha una anisotropia con variazione “discontinua” quando l’intensità con cui detta proprietà si manifesta varia assumendo valori discreti al variare discreto della direzione in cui essa viene misurata.

L’intensità della suddetta proprietà assumerà quindi un numero “n” finito di valori compresi fra un valore massimo ed un valore minimo: Imim ≤ In ≤ Imax .

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Tutti i minerali presentano proprietà fisiche anisotrope a variazione discontinua; fra queste la velocità di accrescimento del minerale durante il proprio processo di formazione.

Conseguenza di ciò è che se un minerale in via di formazione ha la possibilità di svilupparsi in un mezzo fisicamente e chimicamente isotropo, in conseguenza dell’anisotropia a variazione discontinua della velocità d’accrescimento, assumerà una forma geometrica che è la manifestazione macroscopica ed esteriore della suddetta anisotropia. Tale forma geometrica sarà sempre un poliedro cioè un solido delimitato da facce, di origine naturale, che con le loro intersezioni determinano spigoli e vertici. Tale solido prende il nome di “cristallo”. In base a quanto sopra potremo pertanto dire che tutti i cristalli naturali sono dei minerali e che tutti i minerali, se si realizzano le opportune condizioni ambientali a contorno, possono dar luogo a cristalli (Figura 2).

A –FluoriteCaF2 B – Tormalina

Na(Li,Al)3(Al)6[(OH)4/(BO3)3/[Si6O18] C – Quarzo SiO2 Figura 2. Esempi di cristalli.

Caratteri strutturali e morfologici dei minerali.

Abbiamo già detto che lo stato solido cristallino e, pertanto, la presenza di reticoli cristallini caratterizza tutti i minerali.

Chiediamoci: cosa è un reticolo cristallino? Cosa significa che la materia costituente un minerale è distribuita ed allocata in un reticolo cristallino?

Proviamo a rispondere a queste domande partendo dal concetto di reticolo cristallino o meglio dalla definizione delle modalità in cui la materia deve disporsi nello spazio perché si possa parlare di distribuzione reticolare e quindi di reticolo cristallino.

Diremo che la materia (e per semplicità un oggetto) assume nello spazio una distribuzione reticolare quanto essa è distribuita nello spazio obbedendo alla legge della ripetizione omogenea, periodica e discontinua. Da ciò discende che con riferimento ad un qualsivoglia minerale la materia che lo costituisce (le diverse specie chimiche che lo compongono) si distribuisce nello spazio occupato dal minerale secondo una ripetizione omogenea, periodica e discontinua. L’insieme di questa distribuzione prende il nome di “reticolo cristallino”: ogni minerale ha un proprio reticolo cristallino che lo caratterizza; minerali della stessa specie hanno eguali reticoli cristallini; minerali di specie diversa hanno reticoli cristallini diversi.

Quanto detto necessita di alcune riflessioni. Occorre infatti precisare bene i concetti di omogeneità, periodicità e discontinuità che stanno alla base della definizione della distribuzione reticolare della materia.

Ripetizione omogenea. Diremo che la ripetizione di un oggetto (specie chimica, ione, radicale, gruppo ionico, ecc.) è omogenea allorché tutti gli oggetti che costituiscono la ripetizione sono fra loro identici per natura, posizione e orientazione (l’insieme dei libri eguali posti ordinatamente, uno adiacente all’altro, sul ripiano di uno scaffale, immaginato infinito, può rendere l’idea di una

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ripetizione omogenea: tutti i libri sono infatti fra loro eguali, posti nello stesso modo (stessa orientazione), e ognuno di essi è nella medesima posizione rispetto ai volumi che lo seguono o lo precedono).

Ripetizione periodica. Diremo che la ripetizione di un oggetto è periodica quando considerato come punto di partenza un qualsiasi oggetto appartenente all’insieme ripetuto ed una qualsiasi direzione da esso irradiantesi, si ha la certezza che, percorrendo la suddetta direzione, dopo un certo spazio (periodo di ripetizione) ritroveremo un oggetto identico (omogeneo) a quello di partenza e che ciò si ripete all’infinito sempre dopo aver percorso lo stesso spazio (periodo).

Ripetizione discontinua. Diremo che la ripetizione di un oggetto è discontinua quando considerato un qualsiasi oggetto appartenente all’insieme ripetuto tutti gli altri ad esso identici (omogenei) sono distanti da esso di una lunghezza finita non nulla. Nel sopra visto esempio dei libri disposti nello scaffale la distribuzione è continua in quanto ogni libro è adiacente a quello che lo precede e a quello che lo segue e pertanto è con essi a contatto: la distanza (periodo di ripetizione) fra un libro ed il precedente o il susseguente è nulla. Perché la distribuzione dei libri possa essere considerata discontinua dovremmo disporli in modo che fra un libro ed il precedente o il susseguente vi sia sempre interposto uno spazio vuoto sempre eguale.

Chiarito quanto sopra vediamo come può essere descritta o rappresentata una distribuzione reticolare di tipo omogenea, periodica e discontinua.

In geometria e in cristallografia ciò può essere fatto attraverso i reticoli di Bravais, dal francese Auguste Bravais che per primo li descrisse.

Un reticolo di Bravais è generato da operazioni di traslazione.

Riferendo il reticolo nello spazio ad un sistema di assi cartesiani avente origine in un qualsiasi punto del reticolo, ogni suo punto è individuato da un vettore della forma:

dove

n

1,

n

2,

n

3 sono numeri interi e

a

1,

a

2,

a

3 sono tre vettori detti “vettori primitivi” del reticolo.

I vettori primitivi sono non complanari e la loro scelta può non essere univoca. La caratteristica del reticolo di Bravais è che per ogni punto scelto del reticolo quale sua origine, il reticolo appare esattamente lo stesso.

Proviamo a rappresentare graficamente quanto detto.

Reticolo di Bravais monodimensionale (filare).

La costruzione di un reticolo Bravaisiano monodimensionale (filare) avviene nel seguente modo:

fissata una qualsiasi direzione

a

dello spazio, un qualsiasi punto su di esso quale origine ed un vettore

a

di modulo

|a|

, un qualsivoglia oggetto (nodo) si ripeterà, per traslazione infinite volte, omogeneamente periodicamente e discontinuamente lungo la direzione

a

con un intervallo di ripetizione pari a

|a|

. Ogni nodo è individuato rispetto all’origine da un vettore

R

= n

a

(dove n è un numero intero ed il vettore

a

con il suo

modulo individua il periodo di ripetizione o periodo d’identità lungo il filare).

La Figura 3 esemplifica quanto detto. Fig. 3. Filare di nodi con periodo di ripetizione a.

Reticolo di Bravais bidimensionale (piano reticolare).

(10)

Figura 4. Piano reticolato.

La costruzione di un reticolo Bravaisiano bidimensionale (piano reticolare) avviene nel seguente modo:

fissato un qualsiasi piano nello spazio e definite su di esso due qualsivoglia direzioni

a

e

b

fra loro non parallele e formanti fra loro l’angolo

γγγγ

, definito quale origine del sistema il punto d’intersezione fra dette direzioni e fissati due vettori

a

e

b

di modulo rispettivamente

|a|

e

|b|

, un qualsiasi oggetto (nodo) si ripeterà nel piano, per traslazione infinite volte, in modo omogeneo periodicoe discontinuo lungo la direzione

a

con un intervallo di ripetizione pari a

|a|

e lungo la direzione

b

con un intervallo di ripetizione pari a

|b|

. Ogni nodo è individuato rispetto all’origine da un vettore

R

= n

a

+ m

b

(dove n ed m sono numeri interi).

La figura 4 esemplifica quanto detto.

Un piano reticolare è adeguatamente descritto dalla geometria delle maglie elementari3 che lo compongono.

Se si prendono in considerazione le possibili orientazioni reciproche delle due direzioni

a

e

b

e i moduli dei due vettori

a

e

b

, si possono individuare solo cinque tipi di reticoli piani di Bravais caratterizzati da cinque tipi di maglie elementari: obliqua, rettangolare, rettangolare centrata, esagonale e quadrata.

M. Obliqua M. Rettangolare M. Rettangolare centrata M. Quadrata M. Esagonale Figura 5. Reticoli piani di Bravais e maglie elementari semplici e multiple.

Reticolo di Bravais tridimensionale.

La costruzione di un reticolo Bravaisiano tridimensionale avviene nel seguente modo:

fissate nello spazio tre qualsivoglia direzioni

a

e

b

e

c

fra loro non parallele e non complanari e formanti fra loro gli angoli

αααα

,

ββββ

e

γγγγ

, definito quale origine del sistema il punto d’intersezione fra dette direzioni e fissati tre vettori

a, b

e

c

di modulo rispettivamente

|a|

,

|b|

e

|c|

un qualsivoglia oggetto (nodo) si ripeterà nello spazio, per traslazione infinite volte, omogeneamente periodicamente e discontinuamente lungo la direzione

a

con un intervallo di ripetizione pari a

|a|

, lungo la direzione

b

con un intervallo di ripetizione pari a

|b|

e lungo la direzione

c

con un intervallo di ripetizione pari a

|c|.

Ogni nodo è individuato rispetto all’origine da un vettore

R

= n

a

+ m

b

+ p

c

(dove n, m e p sono numeri interi).

3 Si definisce maglia elementare la più piccola porzione del piano, individuata da quattro nodi equivalenti posti a due a due su filari paralleli, che risulti capace di descrivere la distribuzione planare dei nodi. Se i quattro nodi equivalenti giacciono su filari contigui la maglia è di tipo semplice, diversamente si dice multipla.

(11)

La figura 6 esemplifica quanto detto.

Figura 6. Esempio di reticolo tridimensionale.

Se si prendono in considerazione le possibili orientazioni reciproche delle tre direzioni

a

,

b

e

c

e i moduli dei tre vettori

a

,

b

e

c

si possono individuare solo i quattordici tipi di reticoli di Bravais di seguito illustrati.

Caratteristiche del reticolo

Reticoli (celle) di Bravais e loro denominazione

a = b = c αααα = ββββ = γγγγ = 900

Cubico

Primitiva (P) Corpo centrato (I) Facce centrate (F)

a = b ≠≠≠≠ c αααα = ββββ = γγγγ = 900

Tetragonale

Primitiva (P) Corpo centrato (I)

a = b ≠≠≠≠ c αααα = ββββ = 900

γγγγ = 1200 Esagonale

Base centrata (A)

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a = b = c αααα = ββββ = γ ≠γ ≠γ ≠γ ≠ 900

Romboedrico

Primitiva (P)

a ≠≠≠≠ b ≠≠≠≠ c αααα = ββββ = γγγγ==== 900

Rombico

Primitivo (P)

Corpo centrato (I)

Base centrata (C) Facce centrate (F)

a ≠≠≠≠ b≠≠≠≠ c αααα = γγγγ = 900

ββββ ≠ ≠ ≠ ≠ 900 Monoclino

Primitivo (P) Base centrata (C)

a ≠≠≠≠ b ≠≠≠≠ c αααα≠≠≠≠ββββ≠≠≠≠γγγγ≠≠≠≠ 900

Triclino

Primitivo (P)

I reticoli di Bravais si classificano in base alla forma della cella elementare4 e della presenza o meno di punti del reticolo al centro del corpo o delle facce di questa.

• Una cella si dice primitiva (P) se essa non presenta nessun punto oltre quelli ai vertici della cella.

• Una cella si dice a corpo centrato (I) se essa presenta un punto al centro della cella.

• Una cella si dice a facce centrate (F) se essa presenta un punto al centro di ogni faccia.

• Una cella si dice con una faccia centrata (A, B o C) se essa presenta un punto al centro delle due facce in una sola direzione (

a

,

b

o

c

)

4 Si definisce cella elementare la più piccola porzione di spazio isolabile da otto punti equivalenti del reticolo giacenti a quattro a quattro su piani reticolari paralleli, che risulti capace di descrivere la distribuzione tridimensionale dei nodi.

Se gli otto nodi equivalenti giacciono su piani contigui la cella è di tipo semplice, diversamente si dice multipla.

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In qualsiasi minerale la cui composizione è data da

n

elementi il reticolo cristallino è dato dalla compenetrazione di almeno

n

reticoli bravaisiani dello stesso tipo ai cui nodi sono rispettivamente presenti gli

n

elementi che compongono il minerale.

In ogni minerale la più piccola parte del proprio reticolo cristallino che comprende gli

n

reticoli bravaisiani fra loro compenetrati prende il nome di “cella elementare del minerale” i valori di

|a|, |b|, |c|, α, β e γ di detta cella elementare sono detti costanti reticolari del minerale.

La figura 7 illustra l’esempio di quanto detto nel caso del Salgemma (NaCl). Per NaCl

n

= 2 ed il tipo di reticolo Bravaisiano in giuoco è quello di tipo Cubico a facce centrate (F). Un reticolo ha ai suoi nodi il Cl (sfere Verdi), l’altro ha ai suoi nodi il Na (sfere azzurre). I due reticoli sono mutuamente compenetrati lungo la direzione dello spigolo della cella per una quantità pari ad

½

dello spigolo. La sopra descritta struttura va

intesa estesa all’infinito. Figura 7

La figura 8 illustra l’esempio di quanto detto nel caso del Diamante (C).

Nell’esempio

n

= 1 ed il tipo di reticolo Bravaisiano in giuoco è quello di tipo Cubico a facce centrate (F). Nel caso in questione si ha la compenetrazione di 2 reticoli ai cui nodi si trova sempre il C. I due reticoli sono mutuamente compenetrati lungo la direzione della diagonale della cella per una quantità pari ad

¼

della lunghezza della diagonale stessa. La sopra descritta struttura va intesa estesa all’infinito.

Figura 8

Considerazioni sui reticoli cristallini

Se consideriamo il reticolo cristallino possiamo affermare che sono elementi del reticolo: i nodi, i filari di nodi, i piani reticolari di nodi. Definiamo i suddetti elementi.

Nodi. Per un dato minerale intenderemo per nodi del suo reticolo cristallino tutte le posizioni dello spazio da esso occupato in cui si trova collocata la materia (elementi, gruppi di elementi, ioni, gruppi ionici, ecc.) che concorre alla costituzione del minerale. In un minerale la materia che lo costituisce è collocata nelle posizioni definite dai nodi del suo reticolo cristallino e si ripete nello spazio in modo omogeneo, periodico e discontinuo.

Filari di nodi. Per un dato minerale intenderemo per filari di nodi del suo reticolo cristallino tutte quelle direzioni dello spazio da esso occupato in cui si ha una successione monodimensionale omogenea, periodica e discontinua di nodi. In un minerale la materia che lo costituisce è collocata sui filari di nodi del suo reticolo cristallino. Dato un qualsiasi filare di nodi la materia che costituisce il minerale è disposta sugli infiniti filari, ad esso paralleli, presenti nel suo reticolo cristallino; tali filari tutti fra loro paralleli si giustappongono nello spazio in modo omogeneo periodico e discontinuo.

Piani reticolari di nodi. Per un dato minerale intenderemo per piani reticolari di nodi tutti quei piani dello spazio da esso occupato in cui si ha una successione bidimensionale omogenea, periodica e discontinua di nodi. In un minerale la materia che lo costituisce è collocata sui piani reticolari di nodi del suo reticolo cristallino. Dato un qualsiasi piano reticolare di nodi la materia che costituisce il minerale è disposta sugli infiniti piani reticolari, ad esso paralleli, presenti

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nel suo reticolo cristallino; tali piani reticolari, tutti fra loro paralleli, si susseguono nello spazio in modo omogeneo periodico e discontinuo distanziandosi ognuno da quello ad esso immediatamente successivo di una distanza d (d = distanza interplanare fra i piani considerati).

Introduzione strutturale alla cristallografia morfologica

Abbiamo già accennato al fatto che qualsiasi minerale che cresca e si sviluppi in condizioni idonee (assenza o scarsa anisotropia dell’ambiente in cui si sviluppa), può dare luogo a dei cristalli cioè a solidi naturali con forma poliedrica delimitata da facce che con le loro intersezioni determinano spigoli e vertici. Appare evidente che, data la intima natura reticolare dei solidi cristallini, facce, spigoli e vertici di un cristallo altro non sono che la trasposizione macroscopica rispettivamente dei piani reticolari, dei filari di particelle e dei nodi.

È da chiedersi a questo punto: come mai fra gli infiniti insiemi di piani fra loro paralleli solo alcuni daranno macroscopicamente luogo alle facce presenti in un cristallo? di quali caratteristiche godono in generale questi piani? quali sono i caratteri dei filari di nodi che si traspongono negli spigoli presenti nei cristalli?

La risposta alle sopra viste domande risiede nella natura dei legami che ancorano la materia nei nodi reticolari e nella densità di nodi esistente per unità di superficie o di lunghezza rispettivamente nei piani reticolari o nei filari.

La figura che segue cerca di illustrare con una trattazione bidimensionale quanto facilmente estensibile ad un reale tridimensionale.

Immaginiamo una distribuzione bidimensionale omogenea, periodica e discontinua di nodi ed applichiamo ad essa quanto gia detto nelle considerazioni sui reticoli cristalli. L’intera distribuzione può essere descritta da un qualsiasi insieme infinito di filari fra loro paralleli fra loro giustapposti nel piano in modo omogeneo periodico e discontinuo.

Figura 9

La figura 9 rappresenta quanto detto. Si può immediatamente notare che tutti i punti del piano a – b giacciono su insiemi infiniti di filari fra loro paralleli (nella figura l’insieme è limitato a 4) e ciò vale sia per i piani 1, che per i piani 2 che per i piani 3; infiniti altri con diversa orientazione ne potrebbero essere determinati e disegnati. Si può parimenti notare che la densità della presenza dei nodi (numero di nodi per unità di lunghezza) sui diversi tipi di filare è differente risultando d1 > d2 > d3 (dn = densità dei nodi relativa ai filari di tipo n).

Parimenti si può notare che anche la distanza fra i filari (df) nel fascio di filari di tipo 1 è differente da quella nel fascio di filari di tipo 2 e da quella nel fascio di filari di tipo 3 risultando df1 > df2 > df3 (in altre parole i filari di tipo 1 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli di tipo 2; parimenti i filari di tipo 2 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli di tipo 3).

Trasponendo queste semplici osservazioni dal piano allo spazio (quindi passando da un reticolo bidimensionale ad un reticolo tridimensionale) e sostituendo a quanto osservato per i filari quanto potremmo osservare per i piani reticolari, potremo dire che non solo tutti i nodi di un reticolo tridimensionale giacciono su insiemi infiniti di piani reticolari fra loro paralleli (fasci di piani) ma che fasci di piani diversamente orientati sono caratterizzati da densità di nodi diversi e che più per un dato fascio di piani è alta la densità di nodi più, per esso, risulta elevata la distanza fra i piani (dp) presenti nel reticolo (in altre parole i piani corrispondenti ai sopra visti filari di tipo 1 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli corrispondenti ai

(15)

sopra visti filari di tipo 2; parimenti i piani corrispondenti ai sopra visti filari di tipo 2 si susseguono nello spazio più distanziati fra loro di quanto non avvenga per quelli corrispondenti ai sopra visti filari di tipo 3). Poiché, come è facilmente intuibile dall’esame della figura 9 ad una maggiore densità (dp) corrisponde una maggiore distanza interplanare (di) fra piani reticolari paralleli e contigui; per serie diverse di piani 1, 2, 3, 4, ………, n per cui risulti che dp1 > dp2 > dp3 > dp4 >

……….. > dpn si avrà che di1 > di2 > di3 > di4 > …….. > din .

Senza entrare in più o meno complesse trattazioni fisiche e fisico–chimiche che esulano dalle finalità che il corso si prefigge, possiamo anche facilmente intuire che tanto più è alta la densità dei nodi su un determinato piano reticolare, tanto più intense saranno le forze di legame con cui la

“materia” costituente il minerale si aggrega lungo quel piano. Possiamo facilmente intuire che durante il processo di crescita di un cristallo (supposto svilupparsi in un mezzo chimicamente e fisicamente isotropo cioè privo di gradienti) si avrà l’aggregazione della materia ed il suo ordinamento nel reticolo cristallino, tale aggregazione ed ordinamento avverrà con lo sviluppo preferenziale di quei piani (facce) e quei filari (spigoli) al cui interno più alte risultano le forze di legame.

A seguito di quanto sopra possiamo affermare che in un cristallo si possono sviluppare solo le facce la cui orientazione ripete quella di un piano reticolare individuabile nel proprio reticolo cristallino. Possiamo parimenti affermare che in un cristallo sarà tanto più probabile che una faccia possibile si sviluppi quanto più alta è la densità di nodi del corrispondente piano reticolare e, pertanto, quanto più alta è la distanza interplanare che caratterizza il fascio di piani associato al suddetto piano.

Figura 10

Da quanto detto possiamo desumere la seguente affermazione:

il processo di crescita di un cristallo si esplica mediante lo spostamento parallelo a se stessi delle facce e degli spigoli del cristallo; pertanto un cristallo ideale (cresciuto in un ambiente perfettamente isotropo) avrà sempre la medesima forma geometrica indipendentemente dal suo maggiore o minore sviluppo. Questa affermazione fu dedotta già nella seconda metà del XVII° secolo da Niels Stensen (Niccolò Stenone (1638 – 1696) sulla base delle misure angolari fatte fra facce omologhe di cristalli diversi e della stessa specie che portarono alla formulazione della prima legge della cristallografia nota con nome di Legge della costanza dell'angolo diedro o di Stenone. Tale legge afferma che “in tutti i cristalli della stessa sostanza, a parità di condizioni di pressione e temperatura, gli angoli diedri che le stesse facce formano tra loro sono uguali” .

Quanto detto ci fa inoltre comprendere perchè in natura i “cristalli” siano oggetti sufficientemente rari e che “cristalli” della stessa specie pur presentando le medesime facce le espongono con differenti sviluppi. In un cristallo reale, comunque sproporzionato, l'angolo formato da

due facce qualsiasi è sempre uguale a quello che

Figura 11

formano le due corrispondenti facce del cristallo ideale5.

5 Per forma ideale di un cristallo si intende la forma geometrica che il cristallo assumerebbe se si sviluppasse in un mezzo assolutamente isotropo. La figura a fianco mostra un cristallo nella sua forma ideale (a) e in varie forme sproporzionate (b, c, d).

(16)

Quanto sinora detto ci consente di pienamente comprendere, su base strutturale, quanto postulato da Haüy (1743 – 1822) nel 1784 con la sua “legge di razionalità degli indici” al fine di determinare un metodo univoco per l’individuazione degli elementi morfologici di un cristallo.

La legge di Haüy (o legge di razionalità degli indici) è una legge fondamentale della cristallografia e regola la giacitura reciproca delle facce dei cristalli e venne formulata, sulla base di misure sperimentali, quale logica conseguenza della legge della costanza dell’angolo diedro. Il suo enunciato può essere espresso in questo modo: “se in un cristallo si assumono come terna di assi di riferimento (croce assiale) tre rette parallele a tre spigoli presenti o possibili nel cristallo, convergenti e non complanari, i rapporti fra le lunghezze dei segmenti omologhi (parametri) staccati da due facce qualsiasi del cristallo su detti assi stanno tra loro come tre numeri razionali, interi, primi tra loro e generalmente piccoli”. Pertanto se si indicano con a, b e c ed a’, b’ e c’ rispettivamente i parametri dalla faccia di riferimento e quelli della faccia da individuare e con h, k ed l tre numeri interi primi fra loro, la legge di Hauy trova la seguente espressione matematica

Figura 12

La figura 12 esplicita, su base reticolare quanto formulato dalla legge di Hauy. Poiché infatti agli spigoli e alle facce di un cristallo corrispondono su base reticolare filari e piani reticolari e poiché qualsiasi fascio di filari o piani definito da uno qualsiasi di essi contiene tutti i nodi del reticolo, potremo affermare che i tre spigoli (assi) di riferimento potrebbero essere individuati dai tre filari

a, b

e

c

e che le due facce qualsiasi potrebbero essere individuate nelle facce ABC ed A’B’C’. Si può notare che la la faccia ABC stacca sugli assi di riferimento i parametri OA, OB e OC

mentre la faccia A’B’C’ stacca sui medesimi assi i parametri OA’, OB’ e OC’. Appare evidente dalla figura 12 che: OA = 4

a

, OB = 3

b

, OC = 3

c

, OA’ = 2

a

, OB’ = 2

b

e OC’ = 4

c

( in generale OA = n

a

, OB = m

b

, OC = p

c

, OA’ = n’

a

, OB’ = m’

b

e OC’ = p’

c

dove n, m, p, n’, m’, p’ sono numeri interi). Se sulla scorta di tali dati applichiamo la legge di Hauy alle due facce ABC e A’B’C’

avremo:

Appare evidente che essendo i rapporti fra i parametri omologhi individuati dalle facce considerate rapporti fra numeri interi essi staranno fra loro come numeri interi. Nel caso in questione avremo:

(17)

Figura 13

Si può osservare che se si assumono come assi di riferimento i tre filari più densi di nodi e come piano di riferimento costante (a cui corrisponde la faccia fondamentale) il piano reticolare che incontrando i suddetti filari risulta il più denso di nodi tali numeri interi risultano generalmente piccoli.

Nel caso esemplificato nella figura a lato si ha:

Con riferimento alla figura 13, si noti come se consideriamo il piano ABC che stacca sugli assi di riferimento i segmenti (OA, OB, OC) definiti dall'intersezione del piano con la terna di filari

a

,

b

e

c

, detto piano corrisponde alla "faccia fondamentale" o

"faccia parametrica" in quanto individua il rapporto parametrico OA : OB : OC =

a

:

b

:

c

dove

a

,

b

e

c

sono le lunghezze dei segmenti OA, OB e OC corrispondenti ai periodi di traslazione lungo i filari

a

,

b

e

c

.

I tre numeri interi, primi fra loro, (in generale h k ed l) secondo cui stanno fra loro i rapporti fra i parametri di una qualsiasi faccia e quelli della faccia fondamentale sono chiamati indici di Miller della faccia e sono idonei ad individuarne la posizione rispetto alla terna assiale di riferimento; essi vanno scritti fra parentesi tonde e senza alcun segno di interpunzione interposto: (h k l).

Considerato che la posizione di una faccia (piano) rispetto ad una terna di riferimento può assumere un numero limitato di tipologie di orientazione (in totale pari a 7) ne consegue che saranno solo 7 le tipologie di indici che una qualsiasi faccia potrà assumere. Si ha infatti che una data faccia rispetto al sistema di riferimento dato da tre assi convergenti e non complanari (assi cristallografici:

x

,

y

e

z

corrispondenti ai tre filari

a

,

b

e

c

) potrà assumere solo una delle seguenti orientazioni:

1. La faccia incontra tutti e tre gli assi;

2. La faccia incontra due assi ed è parallela al terzo (tale asse potrà essere l’asse

x

,

y

o

z

);

3. La faccia potrà essere parallela ad due dei tre assi ed incontrare solo il terzo (tale asse potrà essere l’asse

x

,

y

o

z

).

A ciascuno dei casi sopra elencati corrisponde una specifica tipologia di indici.

Caso 1: Appare già evidente da quanto si qui esposto che nel caso in questione i tre numeri h k l saranno interi e tutti ≠ da 0.

Caso 2: Essendo la faccia parallela ad un asse avremo che sarà pari ad

il parametro relativo all’asse cui la faccia risulta parallela e precisamente OC’ se la faccia risulta parallela a

z

, OB’ se la faccia risulta parallela a

y

o OA’ se la faccia risulta parallela a

x

. Poiché qualsiasi numero fratto

può essere posto eguale a 0, applicando la legge di Hauy avremo che uno dei rapporti fra i parametri omologhi della faccia considerata rispetto a quella fondamentale sarà eguale a 0.

Sarà pertanto nullo uno degli indici della faccia: h se la faccia risulta parallela a

x

, k se la faccia risulta parallela a

y

, l se la faccia risulta parallela a

z

.

Caso 3: Essendo la faccia parallela a due assi avremo che saranno pari ad

i parametri relativi agli assi cui la faccia risulta parallela. Poiché qualsiasi numero fratto

può essere posto eguale a 0, applicando la legge di Hauy avremo che due dei rapporti fra i parametri omologhi della faccia considerata rispetto a quella fondamentale saranno eguali a 0. Da ciò discende che dati tre numeri che stanno fra loro come h : k : l, se due di essi sono nulli, ad esempio h e k, si avrà:

h : k : l = 0 : 0 : l ; dividendo per l otterremo h : k : l = 0 : 0 : 1. Potremo dire che gli indici di

(18)

una faccia che risulti parallela a due assi cristallografici ed intersechi solo il terzo saranno due eguali a 0 ed il terzo eguale ad 1. Sarà pari ad 1 l’indice relativo all’asse incontrato; saranno pari a 0 gli indici relativi agli assi cui la faccia risulta parallela.

Da quanto sopra si ricava che i possibili indici di una faccia sono riferibili alle seguenti tipologie:

1 (h k l) La faccia incontra tutti tre gli assi (essa è inclinata rispetto a tutti gli assi) 2 (h k 0) La faccia incontra gli assi

x

e

y

mentre risulta parallela a

z

3 (h 0 l) La faccia incontra gli assi

x

e

z

mentre risulta parallela a

y

4 (0 k l) La faccia incontra gli assi

y

e

z

mentre risulta parallela a

x

5 (1 0 0) La faccia incontra l’asse

x

mentre risulta parallela a

y

e a

z

6 (0 1 0) La faccia incontra l’asse

y

mentre risulta parallela a

x

e a

z

7 (0 0 1) La faccia incontra l’asse

z

mentre risulta parallela a

x

e a

y

È intuitivo che qualora una faccia risultasse orientata in modo da incontrare uno o più assi cristallografici lungo le loro direzioni negative, essa presenterebbe uno o più parametri negativi e pertanto anche i corrispondenti indici saranno negativi. La negatività di un indice viene espresso sovrapponendo il segno – all’indice corrispondente (cfr. Figura 19).

Figura 14

Considerazioni geometriche (che non riportiamo perché esulano dagli obiettivi del corso) consentono di utilizzare gli indici di Miller per individuare anche gli spigoli di un cristallo e quindi, in generale, le direzioni cristallografiche. Diciamo che il simbolo di una direzione viene espresso dagli indici di Miller posti fra parentesi quadre e senza interposti segni di interpunzione [h k l ] dove h k l sono tre numeri interi. Tali numeri individuano nel reticolo cristallino le coordinate del primo nodo, diverso dall’origine del sistema di riferimento, appartenente al filare individuato dall’origine del sistema di riferimento e dal suddetto nodo. La figura 14 esplicita quanto detto.

In base a quanto esposto potremo avere pertanto le seguenti tipologie di direzioni cristallografiche:

1 [h k l] La direzione si pone nell’ottante positivo (essa è inclinata rispetto a tutti gli assi) 2 [h k 0] La direzione si pone nel piano

x

y

3 [h 0 l] La direzione si pone nel piano

x

z

4 [0 k l] La direzione si pone nel piano

y

z

5 [1 0 0] La direzione è parallela all’asse

x

6 [0 1 0] La direzione è parallela all’asse

y

7 [0 0 1] La direzione è parallela all’asse

z

Cristallografia morfologica

La cristallografia morfologica studia e descrive le forme geometriche dei cristalli. Per far ciò si fa riferimento alle forme ideali dei cristalli (cfr. quanto detto in precedenza).

Dall’osservazione di un cristallo ideale si ricava immediatamente che la distribuzione nello spazio dei suoi elementi (facce, spigoli e vertici) non avviene in modo casuale ma, al contrario, risponde a

(19)

un determinato ordine dettato dalla simmetria che il cristallo nel suo complesso manifesta. In altre parole (tranne in un caso6) qualsivoglia elemento morfologico del cristallo si presenta in esso (si ripete) un numero

n

di volte sempre identico a se stesso.

Un esempio valga per tutti: se consideriamo un cristallo di salgemma (NaCl) esso nella sua forma ideale assumerà la forma poliedrica di un cubo (Fig. 15). Osservando detta forma poliedrica noteremo immediatamente che un qualsiasi vertice di esso si ripete nello spazio per un totale di 8 volte (

n

= 8); un qualsiasi spigolo invece si ripete nello spazio per un totale di 12 volte (

n

= 12); una qualsiasi faccia si ripete complessivamente 6 volte (

n

=

6). Figura 15

Ci chiediamo: come mai ciò avviene? Il quesito trova risposta nell’affermazione che tutti i cristalli (tranne che in un caso) presentano l’associazione di un determinato numero di operatori di simmetria (elementi di simmetria) che impongono che qualsiasi elemento del cristallo si ripeta nello spazio, sempre identico a se stesso,

n

volte.

Gli operatori di simmetria, macroscopicamente rilevabili in un cristallo, sono: Il piano di simmetria (P), l’asse di simmetria (An) ed il centro di simmetria (C). Un punto, una retta, un piano, si dicono rispettivamente centro, asse e piano di simmetria di un solido S se il simmetrico P’ di ogni punto P di S rispetto a quel punto, a quella retta o a quel piano appartiene al solido S.

Il piano di simmetria.

Dato un piano

α

, si dice simmetrico di un punto qualunque P dello spazio rispetto ad

α

il punto P’, tale che il segmento PP’ sia perpendicolare ad

α

e sia intersecato da

α

nel suo punto medio. Il piano

α

si dice piano di simmetria (Fig. 16). Il piano di simmetria è pertanto un operatore che produce la ripetizione di qualsiasi oggetto in un altro che ne sia l’immagine speculare.

Diremo che in un cristallo esiste un piano di simmetria allorché esiste un Figura 16

piano interno al cristallo che lo divide in due parti specularmente eguali.

Figura 17: Piano di simmetria

Nell’esempio riportato in figura 17 sono specularmente eguali le due porzioni in cui, idealmente, il cubo può essere suddiviso da un piano (P) che lo interseca passando per i punti medi di quattro spigoli fra loro paralleli. Il piano (P) in questione è un piano di simmetria del cubo.

L’asse di simmetria.

Data una retta r, si dicono simmetrici di un punto qualunque P dello spazio rispetto ad r l’insieme di punti P1, P2, ., ., ., ., Pn che congiuntamente a P determinano un piano perpendicolare alla retta r, godono della proprietà di essere equidistanti da r e sono angolarmente intervallati fra loro di un angolo

α

costante. La retta r si dice asse di simmetria.

6 Come sarà visto più avanti esiste una classe di simmetria caratterizzata dall’assenza di elementi di simmetria (classe pediale). Nei cristalli appartenenti alla suddetta classe ciascun elemento morfologico è presente identico a se stesso solo una volta (n = 1) cioè non appare ripetuto in quanto il cristallo è privo di elementi di simmetria.

(20)

Diremo che in un cristallo esiste un asse di simmetria allorché esiste una direzione, interna al cristallo, che gode della proprietà che facendo ruotare il cristallo intorno ad esso ogni suo elemento si ripete (ricopre)

n

volte nel giro di 360° ad intervalli

α

pari a 360°/

n

, tutti eguali fra loro. Il valore di

n

individua l’ordine dell’asse e l’asse si dirà “asse di simmetria di ordine

n

(An)”.

Nei cristalli il valore di

n

può essere eguale solo a 2, 3, 4 o 6; non possono esistere assi di simmetria di ordine diverso da 2, 3, 4 o 67.

Il Centro di simmetria.

Dato un punto C, si dice simmetrico di un punto qualunque P dello spazio rispetto a C il punto P’

tale che C sia il punto medio del segmento PP’. C si dice centro di simmetria.

Diremo che in un cristallo esiste il centro di simmetria (C) allorché esiste un punto, interno al cristallo, che gode della proprietà di essere il punto medio comune a tutti i segmenti che congiungono elementi identici del cristallo.

Tenuto conto di quanto sopra esposto possiamo dire che in un cristallo:

- possono esistere diversi piani di simmetria diversamente orientati fra loro;

- possono esistere diversi assi di simmetria del medesimo ordine diversamente orientati fra loro;

- possono esistere assi di simmetria di ordine diverso;

- se esiste potrà esistere solo un centro di simmetria.

La coesistenza (contemporanea presenza) di diversi elementi di simmetria in un cristallo risulta regolata dal loro reciproco condizionamento geometrico. Possono essere enunciate diverse “leggi di coesistenza degli elementi di simmetria”. Fra queste ricordiamo:

1a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: Asse di simmetria di ordine pari An (n = 2, 4 o 6), Piano di simmetria (P) ortogonale ad An e Centro di simmetria (C), sono elementi tali per cui

7 La ragione dell’affermazione trova spiegazione nella intima struttura reticolare dei cristalli. Poiché un asse di simmetria è una direzione razionale del cristallo esso ha quale suo equivalente reticolare un filare; ne discende che nessun filare potrà coincidere con un asse di simmetria se non esiste un fascio di piani, perpendicolare al filare, i cui nodi rispondono alla simmetria dell’asse. Consideriamo un qualsiasi piano appartenente al suddetto fascio e consideriamo due qualsiasi nodi fra loro consecutivi (fra loro distanti p) e giacenti sul piano, se la perpendicolare al piano è un asse di ordine n ciascun nodo del piano (in quanto intersezione del piano con il filare coincidente con l’asse) ripeterà l’altro dopo una rotazione intorno a se stesso di un angolo α = 360°/n. Con riferimento alla figura

Figura 18

18 il punto A per rotazione di α intorno a B si ripeterà in D ed analogamente il punto B per rotazione di α intorno ad A si ripeterà in C. Poiché il quadrilatero ABCD risulta essere un trapezio isoscele sarà AB // CD e CD = k AB = k p dove k è un numero intero positivo, negativo o nullo (ciò in quanto il filare CD è parallelo a quello AB e pertanto ad esso equivalente).

Poiché CD = p + 2pcos(180– α) = p – 2pcosα = p(1 – 2 cosα) si avrà: p(1 – 2 cosα) = kp; cioè : 1 – 2 cosα = k; da cui: (1- k) / 2 = cosα.

Si osserva che gli unici valori che k può assumere perché la vista equazione ammetta soluzioni per α sono:

k = - 1 cos α = 0 α = 0° oppure 360° n = 1 (non ha significato)

k = 0 cos α = ½ α = 60° n = 6

k = 1 cos α = 0 α = 90° n = 4

k = 2 cos α = - ½ α = 120° n = 3

k = 3 cos α = - 1 α = 180° n = 2

(21)

la presenza di due di essi condiziona necessariamente la presenza del terzo.

2a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: Asse di simmetria di ordine dispari A3, Piano di simmetria (P) ortogonale ad A3 e Centro di simmetria (C), sono elementi tali per cui la presenza di due di essi esclude necessariamente la presenza del terzo.

3a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: se in un piano giacciono

n

assi di simmetria di ordine pari formanti fra loro angoli α = 180° /

n

la perpendicolare a detto piano è un asse di simmetria di ordine

n

(An). Questa legge è invertibile nel senso che potremo dire che: se perpendicolarmente ad un asse di ordine

n

(An) esiste un asse di ordine pari nel piano perpendicolare ad An esisteranno altri

n

– 1 assi di ordine pari formanti fra loro angoli α = 180° /

n

.

4a legge di coesistenza degli elementi di simmetria: se

n

piani di simmetria (P) si intersecano lungo una direzione comune, tale direzione risulta essere un asse di simmetria di ordine

n

(An);

ciascun piano formerà con il suo successivo un angolo α = 180° /

n

. Anche questa legge è invertibile nel senso che potremo dire che: se un piano di simmetria (P) contiene un asse di ordine

n

(An) esisteranno altri

n

– 1 piani (P) passanti per detto asse di ordine

n

; ciascuno di detti piani formerà con il suo successivo un angolo α = 180° /

n

.

Si chiama grado di simmetria di un cristallo l’insieme degli elementi di simmetria in esso presenti.

In ogni cristallo, caratterizzato dal grado di simmetria che gli è proprio, una faccia si ripete complessivamente

n

volte dando luogo ad un insieme di facce tutte fra loro equivalenti in base alla simmetria del cristallo; detto insieme di facce viene chiamato “forma semplice”.

In un cristallo si dice forma semplice l’insieme di

n

facce fra loro equivalenti in base al grado di simmetria; tale insieme di facce si ottiene dalla ripetizione di una qualsiasi di esse operata da tutti gli elementi di simmetria presenti nel cristallo.

Una forma semplice si dice “chiusa” se essa chiude compiutamente lo spazio; viceversa, se da sola non riesce a chiudere lo spazio, si dirà “aperta”. La morfologia complessiva di un cristallo è data dall’associazione e contemporanea presenza di una o più forme semplici. Mentre una “forma chiusa” può essere sufficiente a determinare la morfologia di un cristallo (es: cubo, ottaedro, tetraedro, ecc) è necessaria l’associazione di più “forme aperte” se sono solo queste ultime quelle presenti nel cristallo.

Figura 19

Noto il grado di simmetria di un cristallo, una sua forma semplice può essere identificata dagli indici di Miller relativi ad una qualsiasi faccia appartenente alla forma scritti fra parentesi graffe ( ad es: {h k l} ); per convenzione viene assunta quale faccia generante la forma quella che, fra tutte quelle appartenenti alla forma, ha in maggior numero gli indici positivi e posti in ordine decrescente (se ad esempio consideriamo la forma semplice “cubo” il suo indice sarà {1 0 0} dal simbolo della faccia (1 0 0) che risponde ai sopra visti requisiti – Figura 19).

Tutte le “forme semplici chiuse” danno luogo a poliedri che potranno essere sia di tipo regolare8 che di tipo irregolare. Ad esempio sono poliedri regolari: il cubo, il tetraedro, l’ottaedro, il

8 Un poliedro si dice regolare quando tutti gli angoli diedri formati fra facce contigue sono eguali e tutte le sue facce sono poligoni eguali. Alcune forme semplici compatibili con le simmetrie possibili nelle classi di simmetria del sistema cubico (cfr. più avanti) sono poliedri regolari.

(22)

rombododecaedro, il pentagonododecaedro ed altri. Sono ad esempio poliedri irregolari la bipiramide, il trapezoedro, lo scalenoedro, il bisfenoide tetragonale, il bisfenoide rombico, ecc.

Fra le “forme semplici aperte” sono da ricordare tutti i prismi, le piramidi, lo sfenoide, il doma, il pinacoide, il pedione.

Esempi di Forme semplici date da poliedri regolari

Cubo

Facce:

Quadrati N° Facce = 6 N° Vertici = 8 N° Spigoli =

12 Tetraedro

Facce: Triangoli equilateri N. Facce: 4 N.Vertici: 4 N.Spigoli: 6

Ottaedro

Facce:

Triangoli equilateri N° Facce = 8 N° Vertici = 6 N.Spigoli = 12

Rombododecaedro

Facce: Rombi N° Facce = 12 N° Vertici = 24 N° Spigoli = 14

Pentagonododecaedro

Facce: Pentagoni N° Facce = 12 N° Vertici = 20 N° Spigoli = 30

Esempi di Forme semplici date da poliedri irregolari

Bipiramide esagonale, tetragonale e trigonale Facce: triangoli isosceli.

N° Facce = 12, 8, 6 (2n) N° Vertici = 8, 6, 5 (n + 2) N° Spigoli = 18, 12, 9 (3n)

Trapezoedro esagonale, tetragonale e trigonale.

Facce: quadrilateri irregolari.

N° Facce = 12, 8, 6 (2n) N° Vertici = 14, 10, 8 (2n + 2) N° Spigoli = 24, 16, 12 (4n)

Romboedro e scalenoedro trigonale e tetragonale.

Facce: Losanghe e triangoli scaleni.

N° Facce = 6, 12, 8 N° Vertici = 8, 8, 6 N° Spigoli = 12, 18, 12

(23)

Bisfenoide tetragonale e rombico

Facce: triangoli isosceli e triangoli scaleni.

N° Facce = 4, 4 N° Vertici = 4, 4 N° Spigoli = 4, 4

Si intende per prisma un insieme n (n = 3, 4, 6, 8, 12) di facce equivalenti e parallele ad una direzione comune (asse del prisma).

Si intende per piramide un insieme n (n = 3, 4, 6, 8, 12) di facce equivalenti convergenti in un punto.

Si intende per doma un insieme di due facce specularmente equivalenti e convergenti su uno spigolo.

Si intende per sfenoide un insieme di due facce equivalenti convergenti su uno spigolo e simmetriche rispetto ad un asse di simmetria di ordine 2 (A2) orientato ortogonalmente a detto spigolo.

Si intende per pinacoide un insieme di due facce parallele equivalenti.

Si intende per pedione una sola faccia.

+ =

Figura 20

L’assetto morfologico di un cristallo è determinato dalla contemporanea presenza di diverse forme semplici fra loro compatibili in base al grado di simmetria del cristallo.

La figura 20 mostra l’assetto morfologico di un cristallo di Zolfo dato dall’associazione di due bipiramidi rombiche.

Considerazioni sugli assi cristallografici e sul grado di simmetria: definizione dei “gruppi”, dei “Sistemi cristallini” e delle “Classi di simmetria”.

Come si è avuto modo di dire per descrivere morfologicamente un cristallo si fa riferimento ad una terna assiale di riferimento (assi cristallografici) che ha il suo corrispondente strutturale in tre filari del reticolo; tali filari in relazione alla “opportunità” con cui si individuano gli assi cristallografici corrispondono a quelli a più alta densità di nodi. Con riferimento a ciò, considerati essere a, b e c i periodi d’identità lungo i suddetti filari, per un dato cristallo si potrà realizzare una delle seguenti evenienze: a = b = c; a = b ≠ c; a ≠ b ≠ c. Ci chiediamo se di ciò esiste una qualche manifestazione macroscopica che possa essere rilevata dall’esame morfologico dei cristalli.

Le verifiche strutturali svolte sui cristalli evidenziano che in qualsivoglia cristallo a direzioni cristallografiche “equivalenti” corrispondono nel reticolo filari caratterizzati da periodi d’identità eguali. Pertanto, scelta in un cristallo la terna di assi cristallografici

x

,

y

e

z

, se rileveremo che essi sono fra loro “equivalenti” potremo dire che a = b = c; se rileveremo che solo due di essi sono fra loro “equivalenti”, ponendo che siano “equivalenti le direzioni

x

e

y,

potremo dire che a = b ≠ c;

infine se rileveremo che tutti e tre gli assi sono fra loro “non equivalenti” potremo dire che a ≠ b ≠ c.

Resta da comprendere a questo punto con quale criterio si può dedurre se due direzioni cristallografiche sono fra loro “equivalenti”.

(24)

Diremo che due direzioni cristallografiche sono fra loro morfologicamente “equivalenti se osservando il cristallo attraverso le direzioni considerate e scambiando le suddette fra loro non appaiono distinguibili i due modi di presentarsi del cristallo (in altre parole è come che si continuasse ad osservare solo da una delle due direzioni).

La figura 21 (a e b) esemplifica quanto detto: Dato un cristallo individuata la terna di riferimento data da tre assi (x, y e z) paralleli a tre spigoli presenti nel cristallo convergenti e non complanari notiamo che se osserviamo il cristallo lungo x o lungo y esso ci appare col medesimo aspetto: gli assi x e y sono equivalenti (Fig. 21a). Se viceversa il cristallo si mostrerà con aspetto differente gli assi x e y non sono equivalenti (Fig. 21b).

Figura 21a

Figura 21b

In relazione alla equivalenza o meno degli assi cristallografici tutti i cristalli (minerali) vengono inseriti in tre “gruppi” rispettivamente chiamati:

Gruppo Monometrico, Dimetrico e Trimetrico le cui caratteristiche sono di seguito riportate:

Gruppo Assi equivalenti Periodi di identità

Gruppo Monometrico x equivalente a y equivalente a z a = b = c Gruppo Dimetrico x equivalente a y non equivalente a z a = b ≠ c Gruppo Trimetrico x non equivalente a y non equivalente a z a ≠ b ≠ c Si è già detto che i 3 assi cristallografici formano fra loro tre angoli che abbiamo chiamato α, β e γ;

per convenzione essi vengono individuati nel modo seguente: α è l’angolo formato fra le direzioni dell’asse y e dell’asse z cioè y^z; β è l’angolo formato fra le direzioni dell’asse x e dell’asse z cioè

Figura 22

x^z; γ è l’angolo formato fra le direzioni dell’asse x e dell’asse y cioè x^y (Fig. 22).

Con riferimento ad αααα, ββββ, γγγγ si osserva che nei cristalli (cfr. reticoli Bravaisiani) si realizzano le seguenti combinazioni di valori angolari:

- αααα =ββββ =γγγγ = 90°

- αααα =ββββ =γγγγ ≠ 90°

- αααα =ββββ = 90° ; γγγγ = 120°

- αααα =γγγγ = 90° ; ββββ ≠ 90°

- αααα ≠ ββββ ≠ γγγγ ≠ 90°

Associando dette combinazioni con quelle già viste in merito all’equivalenza o meno degli assi cristallografici x, y e z si producono le seguenti possibili orientazioni reciproche degli assi cristallografici da cui discendono i sette possibili sistemi cristallini.

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