Proposta di svolgimento del compito di storia sul nazionalismo
Il nazionalismo non è (solo) patriottismo. Il nazionalismo ha una specifica componente aggressiva di tipo competeitivo, che il patriottismo non ha. Così, si crede nella preminenza, già data come fatto (e non da acquisire come conseguenza di effettivi conseguimenti), della propria nazione-Stato sulla scena del mondo e si richiede che essa sia riconosciuta dagli altri Stati, anche a prezzo di atti di forza, Oppure si ha coscienza di bisogni specifici della propria nazione, e si ritiene che il soddisfacimento di tali bisogni sia una giustificazione sufficiente per atti di conquista dei mezzi a ciò necessari, anche a costo di violare dirtiti di altri popoli.
Il nazionalismo nella seconda metà del 1800 aveva promosso una politica di potenza fra gli Stati europei principali, espressasi p.es. nell’imperialismo coloniale, e in tempi successivi (a cavallo dei due secoli) in una protratta politica di riarmo.
A fianco a queste spinte nazionaliste, istanze più patriottiche erano quelle che premevano per il completamento dei singoli territori nazionali: p.es l’irredentismo italiano e le spinte che portarono alle guerre balcaniche, contro entità ‘imperiali’, ossia multi-nazionali, quali erano l’Impero austro-ungarico e l’Impero ottomano. Per reazione si desta una sentimento patriottico e nazionalista nelle classi dirigenti degli Stati colpiti nel loro orgoglio imperiale: p.es. il movimento dei Giovani turchi.
Una politica anti-nazionalistica, a favore del mantenimento del multinazionalismo proprio dell’Impero austro-ungarico, fu il progetto trialistico perseguito dall’erede al trono Francesco Ferdinando, il quale anche per questo motivo divenne oggetto dell’ositlità del nazinalismo serbo, impersonato dall’attentatore che lo uccise, nazionalismo che era volto a costituire una ‘grande Serbia’ che avrebbe dovuto aggregare attorno a quello serbo tutti gli altri popoli slavi del sud (un nazionalismo serbo che è stato alla radice anche di più recenti tragedie che hanno accompagnato la fine della Jugoslavia negli scorsi anni 90).
La Chiesa cattolica ha patito alcune lacerazioni interne a motivo dell’atteggiamento richiesto ai fedeli coinvolti nel conflitto bellico. Da una parte il papa Benedetto XV (ancor prima della sua amara condanna della “intuile strage” quando la guerra si era ormai trasformata in un massacro privo di giustificazione) aveva instintemente operato affinché la partecipazione dei militari si contesse nei limiti dell’assolvimento a un dovere civico di fedeltà alla propria patria e del conseguimento di obiettivi propria di una ‘guerra giusta’. Dall’altra parte, numerosi capellani militari e organizzazione religiose a supporto dell’azione militare tendevano, contravvenendo al desiderio papale, a enfatizzare aspetti chiaramente nazionalistici, propri di una ‘guerra santa’, immolandosi alla qualei il soldato avrebbe per ciò stesso ricavato particolari benefici spirituali. Il pontefice, sia per il ruolo svolto sia per il suo personale orientamento, aveva ben presente che la guerra era comunque una sconfitta per ciascuna delle parti coinvolte, specie quando, come nel caso presente, erano affratellate dalla comune tradizione cattolica.
Il nazionalismo si accompagna ad un senso di esclusivismo etnico: così si possono spiegare le forme di pulizia etnica dura, come lo stemrinio degli armeni, o soffice, come gli spostamenti di popolazione a seguito dei plebisciti previsti dai trattati di fine guerra.
A questo proposito il principio wilsoniano di autodeterminazione dei popoli ha mostrato un duplice aspetto: quello esplicito, di tipo democratico-patriottico, ma anche, come conseguenza non direttamente intesa, rigurgiti di tipo nazionalistico in quelle vaste regione dell’Europa specie centro-orientali, nelle quali popolazioni di diverse etnie e appartenenze nazionali da lungo tempo condividevano i medesimi territori, in una mescolanza a ‘macchia di leopardo’ e che ora, grazie agli strumenti democratici, erano abilitate a tradurle in progetti politici.
Al nazionalismo si oppone l’internazionalismo, proprio della tradizione socialista: solidarietà fra i ‘proletari di tutto il mondo’. Fu questa motivazione a spingere all’interventismo alcuni socialisti italiani. E non si può imputare al movimento rivoluzionario di Lenin, nel momento in cui chiede e accetta quasi senza condizione la pace e l’uscita dalla guerra, alcun intento prettamente nazionalistico: tutt’al più una premura patriottica per venire incontro alle richieste del popolo russo ormai stremato da anni di guerra, ma anche il desiderio di consolidare un regime nuovo, quello bolscevico, ancora precario. Antinazionalisti sono gli appelli che giungono durante la guerra dalle due riunioni di Zimmerwald e Kienthal a cui prendono parti socialisti antibellicisti delle nazioni belligeranti, che si concludono con la richiesta di una pace senza annessioni e senza indennità.
E fu dunque invece una motivazione prettamente nazionalista quella dello scioglimento di fatto della Seconda internazionale all’inizio della guerra.
Chiaramente nazionalista, perché acceso dal desiderio di cambiamenti geo-politici che avrebbero potuto favorire la propria nazone, fu l’entusiastica mobillitazione popolare, e la
disponibilità ad arruolarsi, dell’agosto 1914: non era una sentita come una mera chiamata alle armi per difendere i confini della patria, piuttosto la prospettiva di colpira al cuore i propri competitori.
La fine dei grandi Stati multi-nazionali, come l’Impero austro-ungarico, fu favorita dal riemergere delle istanze nazionalistico-patriottiche negli ultimi mesi dell’impegno bellico: p.es. la vittoria italiana di Vittorio veneto fu resa possibile anche da una repentina disgregazione di parte dell’esercito austriaco in ragione delle diverse appartenenze nazionali, con cechi e croati portati a disertare mentre il nucleo austriaco teneva ancora duro.
Di stampo nazionalistico fu, a guerra conclusa, la retorica della vittoria mutilata, che si estese ad una porzione ampia della pubblica opinione italiana e fornì la spinta per l’impresa fiumana, in cui l’annessione di Fiume servì come pretesto patriottico per coprire aspirazioni chiaramente nazionalistiche di acquisizioni territoriali ulteriori al perimetro nazionale (dalla Dalmazia all’Egeo), promesse dal patto di Londra.