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3 – Notocorda artificiale, dispositivi di collegamento e involucro di tenuta

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3 – Notocorda artificiale, dispositivi di collegamento e involucro di tenuta

3 – Notocorda artificiale, dispositivi di collegamento e involucro di tenuta

3.1 Presentazione del capitolo

In questo terzo capitolo si mostra come è stata ricreata la struttura scheletrica della lampreda partendo dai moduli precedentemente costruiti.

Per riprodurre la corda spinale, si è utilizzato un cavo d’acciaio avente le stesse proprietà meccaniche dell’animale, al quale sono stati successivamente fissati i moduli.

Il primo paragrafo descrive come si è giunti a questi risultati mostrando il dimensionamento eseguito per rispettare le specifiche relative alla rigidezza flessionale, mentre il secondo spiega il dispositivo ideato per connettere la serie di fasci muscolari artificiali adiacenti utilizzati in natura per la generazione del moto.

Altro aspetto discusso nel capitolo è l’involucro esterno di tenuta da inserire sul robot

per renderlo impermeabile, in quanto destinato a sperimentazioni in ambiente

acquatico. Viene descritto come il rivestimento è stato ideato sia relativamente alla

forma da conferire che al materiale da utilizzare evidenziando diverse possibili soluzioni

realizzative.

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3.2 Notocorda artificiale

La flessibilità del robot è stata affidata ad una corda spinale artificiale. In natura è proprio grazie a questa struttura anatomica che la lampreda riesce a compiere i movimenti ed è appunto con questo apparato che il corpo della lampreda acquista rigidezza evitando anche compressioni del corpo durante l’attivazione dei muscoli e svolgendo un ruolo fondamentale nell’adempimento delle funzioni dinamiche.

Dagli esperimenti effettuati in vitro durante la locomozione di lamprede reali [7] sono stati calcolati il valore della rigidezza flessionale e dello smorzamento delle varie parti costituenti questo essere, a cominciare dall’intero corpo fino a giungere alla notocorda.

I risultati ottenuti si sono rivelati molto interessanti. I ricercatori che si sono occupati di questo aspetto sono giunti alla conclusione che la notocorda presenta una rigidezza flessionale molto superiore rispetto al resto del corpo e ad essa è affidata la quasi totalità della resistenza alla curvatura del corpo.

Figura 3.1 : schema della sezione del corpo della lampreda

In figura 3.1 si mostra come dall’intero corpo si giunge, attraverso la successiva

rimozione delle varie parti elencate, fino al solo cuore della notocorda.

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Procedimento questo utilizzato durante le fasi della sperimentazione per comprendere il peso ricoperto nel moto da ciascun apparato costituente la sezione dell’essere.

Per analizzare la funzione che ognuna delle parti menzionate ricopre nella dinamica del moto, si riportano una sequenza di grafici relativi ai risultati ottenuti in merito agli esperimenti svolti da neuroscienziati su un ampio campione di lamprede, correlati da un commento sul significato fisico che gli esiti ottenuti hanno rivelato.

Nei grafici sottostanti si nota, in relazione alla rigidezza flessionale, come passando dal corpo intatto sino alla notocorda ci sia un notevole decremento di tale parametro.

Figura 3.2 : EI, E, C delle varie parti del corpo della lampreda

EI infatti diminuisce sensibilmente quando il cuore della notocorda viene isolato. Al

contrario il modulo di Young apparente incrementa il proprio valore quando i muscoli

assiali vengono rimossi dalla notocorda, mentre lo smorzamento C riduce di valore

quando viene rimossa la pelle e successivamente quando si ottiene l’isolamento del

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cuore della notocorda. La rigidezza flessionale del corpo intatto non decresce significativamente con la rimozione della pelle o dei muscoli assiali.

Sebbene le differenze non siano significative, EI della notocorda contenuta nell’intero corpo viene ridotta del 25% se paragonata a quella del corpo con notocorda rimossa.

Da ciò si evince che la notocorda provvede a coprire il 75% dell’intera rigidezza flessionale della lampreda. Essa ha quindi un’elevata rigidezza flessionale nonostante abbia una significativa riduzione di momento d’inerzia a causa della piccola sezione, questo dovuto ad un considerevole valore del modulo di elasticità se paragonato a quello dell’intero corpo.

La rigidezza flessionale e lo smorzamento sono correlati. Incrementando C, EI decresce rapidamente durante il moto. Le proprietà visco-elastiche dell’intero corpo della lampreda sono dominate da quelle della notocorda che provvede a ricoprire l’80%

dello smorzamento flessionale totale. Queste conclusioni si sono rivelate sorprendenti per questi motivi : era atteso un sostanziale contributo alle proprietà del corpo da parte della muscolatura laterale in quanto occupante l’area maggiore della sezione del corpo.

La notocorda occupa invece una posizione prossima a quella dell’asse neutro di curvatura e di conseguenza dovrebbe fornire un piccolo contributo a EI anche a causa del ridotto valore del momento d’inerzia I. Queste aspettative sono state invece violate per effetto del grande valore del modulo di Young che la notocorda possiede.

La predominanza della notocorda sulle proprietà meccaniche ha importanti implicazioni : alcune delle peculiari capacità motorie della lampreda sono ad essa riconducibili come la possibilità di amplificare e stabilizzare il moto ondulatorio dell’intero corpo. Questa capacità dinamica è stata omessa in tutti i modelli robotici esistenti allo stato dell’arte, per ciò si è deciso di dedicare un ampio spazio a queste considerazioni. Lo scenario dell’evoluzione della colonna vertebrale passa anche attraverso la comprensione delle capacità meccaniche che la notocorda ricopre durante il moto.

Il valore medio del modulo di Young apparente calcolato si aggira intorno a 6·10

6

Nm

-2

.

Nel nostro robot si è stabilito di ottenere la notocorda artificiale utilizzando un cavo di

acciaio armonico che presentasse analoghe proprietà meccaniche. Uguagliando le due

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rigidezze flessionali, quella dell’acciaio e quella ottenute sperimentalmente, si ricava il raggio del cavo di acciaio necessario allo scopo.

n n a

a

I E I

E ⋅ = ⋅ (3.1)

4 4 4

4

4 a

n n a n

n a

a E

r E r r

E r

E

π

=

π

⇒ =

(3.2)

Valutando E

a

= 210 GPa e r

n

= 5 ⋅ 10

3

m si ottiene un valore di r

a

≅ 0 . 4 mm .

Per incrementare l’effetto smorzante del cavo si è poi deciso di rivestire il cavo con della guaina termoformante in grado una volta scaldata di aderire perfettamente alla superficie dell’acciaio.

Da un preliminare assemblaggio del robot, si è dedotto che questo cavo risulta troppo flessibile perché il resto del robot non presenta alcun tipo di resistenza a flessione. Si è perciò deciso di sostituire il cavo con uno di maggior diametro, ma prima di effettuare tale sostituzione si è stabilito di attendere la creazione dell’involucro di rivestimento del modello, per valutare se sia in grado con la propria resistenza alla curvatura, di riportare i valore di rigidezza flessionali a livelli più verosimili ottenendo così una naturale resistenza del robot ai movimenti durante le varie fasi del moto.

Figura 3.3 : confronto tra notocorda reale e artificiale

Poiché la notocorda ha elasticità

maggiore del filo d’acciaio e resistenza

più bassa, il cavo d’acciaio ha una

sezione molto ridotta

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Da mettere in evidenza la scelta di fissare la notocorda ai moduli attraverso un cilindretto irrigidito di piccola lunghezza presente sugli stessi moduli. Questa soluzione si è resa necessaria a causa della possibile interazione tra il dispositivo di ancoraggio e la flessibilità del cavo. Se infatti fosse stato ideato un meccanismo di bloccaggio maggiormente ingombrante dal punto di vista del volume di cavo occupato, sarebbero sorte notevoli incongruenze in relazione alla libera flessione della colonna vertebrale riprodotta, ottenendo un andamento delle ondulazioni non corretto dal punto di vista della rigidezza globale del robot. È stato quindi importante ricercare una soluzione che ovviasse a tale possibile inconveniente.

3.3 Dispositivo di collegamento tra i moduli

Un problema verificatosi durante il lavoro svolto si è rivelato quello della realizzazione del collegamento tra gli attuatori riproducenti la serie dei quattro muscoli artificiali.

L’obiettivo di questo collegamento è quello di ottenere un connessione seriale tra le varie file di attuatori montate sui dischi creati. Si vuole cioè riprodurre un fascio muscolare artificiale con una successione di parti che possono a scelta contrarsi o rilassarsi e sfruttando la notocorda artificiale realizzare un andamento ondulatorio del robot.

Avendo l’intenzione di ricreare un moto tridimensionale è necessario effettuare un meccanismo che non sia di impedimento ai possibili movimenti e che inoltre non vada ad interagire con la curvatura che deve essere affidata esclusivamente al cavo centrale d’acciaio appositamente progettato. Si deve quindi evitare qualsiasi dispositivo che possa condizionare con la propria rigidezza la struttura ideata. La soluzione più semplice ed immediata si è rivelata quella di un cavo miniaturizzato di acciaio inossidabile in grado di trasmettere la trazione degli attuatori senza tuttavia essere alterato da sollecitazioni dovute ad eventuali contrazioni del modello.

Si ottiene cioè un comportamento attivo durante la movimentazione degli attuatori

riproducendo il muscolo contratto, ed un comportamento passivo se non ho

alimentazione degli attuatori ricreando il muscolo rilassato.

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Problema seguente è individuare il modo di collegare il cavetto agli attuatori a disposizione per il robot.

Si è cercato di sfruttare i possibili ancoraggi già presenti sugli stessi. Il collegamento va effettuato tra il nucleo mobile dell’attuatore e la parte posteriore dell’armatura dell’attuatore successivo.

Per il collegamento con il nucleo mobile si decide di utilizzare un foro ed una scanalatura orizzontale parallela all’asse del pistoncino, già presenti sul nucleo mobile al momento dell’acquisto.

Per il fissaggio si vuole progettare un dispositivo che assicuri un solido ancoraggio senza permettere cedimenti del cavetto e allo stesso tempo dia la possibilità di variare in modo rapido la lunghezza del cavo per una eventuale modifica della distanza tra i moduli nel caso risulti necessario mutare l’ampiezza delle ondulazioni prodotte durante il moto.

Si crea quindi un meccanismo costituito da una rondella, una vite ed una boccola prodotti nelle officine dei laboratori dove si è svolto il lavoro di tesi.

Questi dispositivi vengono assemblati come in figura 3.4, dove si vede in sezione la vite inserita nel foro preesistente e stretta nella boccola filettata.

Per bloccare il cavo si utilizza quindi la rondella inserita tra boccola e pistoncino nella quale si serra il filo avvolto intorno alla vite.

La vite chiudendosi intorno alla boccola, la manda a battuta tra cavetto e rondella permettendone il bloccaggio. Tutto questo grazie al dimensionamento della boccola che essendo di altezza maggiore di metà nucleo mobile permette di non avere contatto tra base superiore della boccola e superficie esterna del pistoncino.

Per modificare la lunghezza del cavo basta allentare la vite, allungare o stringere a

seconda delle necessità il cavetto e successivamente serrare nuovamente la vite

tenendo ferma la boccola.

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Figura 3.4 : dispositivo di ancoraggio del pistoncino

Il collegamento con la parte posteriore degli attuatori si effettua con un diverso dispositivo in quanto è presente una diversa disposizione di fori da poter utilizzare come ancoraggio. Per la precisione c’e un solo foro centrale perpendicolare alla faccia posteriore dell’attuatore. Per utilizzare questo foro è stato necessario filettarlo e come dispositivi di fissaggio si è deciso di utilizzare una vite ed un dado.

Nella vite è stato praticato un piccolo foro centrale entrante dalla testa e profondo qualche millimetro in modo da raggiungere l’altezza della zona filettata, si è poi operato un altro forellino perpendicolare al precedente subito sotto la testa della vite.

I diametri dei due fori sono stati scelti in maniera tale da potervi inserire il cavo miniaturizzato senza diminuire troppo la resistenza della vite.

Per serrare il cavo si è poi utilizzato il dado: in pratica si è infilato il cavetto di acciaio dentro il forellino sopra la testa costringendolo poi ad uscire dall’altro foro e si è successivamente stretto il dado contro la testa della vite permettendo il fissaggio del cavo tra dado e testa. Il cavetto miniaturizzato di acciaio utilizzato presenta un diametro di 0.2 mm, mentre i fori praticati hanno un diametro di 0.8 mm su una vite M3.

Cavetto di acciaio per il collegamento

boccola

rondella

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Figura 3.5 : dispositivo di ancoraggio dell’attuatore

In figura 3.5 si riporta lo schema della soluzione adottata sopra menzionata. La parte più complessa dell’operazione è stato l’inserimento del cavo dentro il foro a causa della curva da dover far compiere al cavetto.

Si è scelto un filo avente come caratteristiche meccaniche una resistenza a trazione di circa 70 N, necessario per resistere alla trazione degli attuatori che può raggiungere massimo i 12 N.

Per agevolare queste manovre si è poi praticata una spianatura sulla superficie laterale delle teste delle viti, grazie alla quale si è potuto stringerle facilmente contro il dado, evitando l’insorgere di notevoli inconvenienti a causa dell’uscita del cavo dalla testa delle viti, che essendo situata in corrispondenza proprio delle scanalature create per l’avvitamento con il cacciavite, si è rivelata di impedimento per un corretto serraggio.

Cavo di acciaio per il collegamento

Dado per effettuare il serraggio

Foro praticato

nella vite

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Figura 3.6 : dispositivi di fissaggio del filo

In figura 3.6 sono evidenziati con un cerchio i meccanismi utilizzati in fase di ancoraggio del cavo, sia lato nucleo mobile che lato retro attuatore. Si noti la semplicità realizzativa unita ai ridottissimi ingombri dei dispositivi ideati.

Analisi a parte va fatta per il dispositivo ideato per il collegamento tra l’ultimo blocco di attuatori e la coda. Infatti in questo caso si devono sfruttare gli ancoraggi predisposti sulla struttura prodotta con la stereolitografia.

In fase di progettazione si sono creati quattro fori sulla faccia della base della coda artificiale, paralleli al cavo centrale, tali fori sono stati successivamente filettati M5.

Per il collegamento si sono utilizzate quattro viti nelle quali è stato preventivamente effettuato un foro centrale passante di diametro 1 mm.

Alla coda si deve collegare il cavetto proveniente dal pistoncino dell’attuatore che opera la trazione.

Per fare questo si introducono i quattro cavi dentro i fori creati nelle viti, si operano una

serie di nodi in ogni cavo nella parte uscente dal basso della vite, in modo da impedirne

qualsiasi scorrimento in fase di movimentazione ottenendo la curvatura del modulo

terminale.

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Figura 3.7 : dispositivi di fissaggio del filo sulla coda

In figura 3.7 è ben esemplificato quanto appena descritto, con la chiara visione del particolare creato e della metodologia adottata per il fissaggio alla struttura portante.

Si è giunti così al completamento della parte meccanica del robot. Adesso è possibile effettuare l’assemblaggio finale dei moduli ottenendo il modello definito della lampreda robotica. Naturalmente deve ancora essere inserita la parte elettronica necessaria per il sistema di controllo del moto.

Inoltre devono ancora essere realizzati i dispositivi di modifica della forza in uscita dagli

attuatori, quindi per ora pur potendo già testare il robot, si è preferito attendere il

completamento di tutti gli apparati necessari per un’ ottimale funzionamento

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rimandando le sperimentazioni una volta ottimizzata la struttura e progettato definitivamente il percorso dove svolgere le prove di locomozione.

3.4 Involucro di tenuta

Uno degli aspetti che si è rivelato più critico durante la progettazione del robot è stato la scelta del tipo di involucro con il quale rivestire il modello.

Le caratteristiche principali dell’involucro riguardano prima di tutto la tenuta da assicurare al modello, in quanto concepito per l’effettuazione di sperimentazioni in acqua. Quindi il rivestimento da ideare deve risultare impermeabile ai liquidi. Vi è in realtà anche la possibilità di provvedere a impermeabilizzare gli organi attuati con dei prodotti speciali, ma questa idea è stata subito decretata un’alternativa solo in caso di fallimento nell’individuazione di una idonea copertura.

Un altro aspetto da prendere in considerazione è l’interazione che questo tipo di involucro deve avere con la flessibilità del robot. Questo parametro è infatti stato calcolato sulla base di riscontri relativi alla lampreda reale, per questo tale valore non può essere alterato per non compromettere la validità dei risultati ottenibili a seguito di verifiche di moto. Si deve quindi individuare una sagoma ricoprente i moduli in grado di non interferire nella modifica delle curvature eseguite a seguito delle contrazioni e dei rilasci degli attuatori.

Oltre ai requisiti sin qui esposti, va aggiunta la problematica inerente la fluidodinamicità da assicurare al robot. Durante le prove in acqua nel caso di involucro troppo comprimibile sorge la questione della sagoma che il modello acquista: in seguito alla pressione del liquido si può ottenere una struttura schiacciata in punti dove l’involucro non incontra ostacoli e dilatata dove ne è impedita la compressione. Il risultato creerebbe problemi nella riproduzione di una naturale resistenza al moto.

Va dunque cercato un compromesso tra le due richieste in antitesi tra loro relative alla non variazione della flessibilità e alla necessità di avere una copertura abbastanza rigida.

La struttura da ideare deve permettere un semplice assemblaggio pervenendo ad una

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coda, questa richiesta si potrà soddisfare con l’utilizzo di colla oppure di materiale sigillante.

Inoltre va assicurata anche la possibilità di effettuare delle ispezioni o delle modifiche interne al robot in maniera rapida e semplice, si palesa di conseguenza la necessità di ideare una struttura senza collegamento fissi.

Esistono in commercio diversi prodotti in grado di assicurare una tenuta, ad esempio vari tipi di polimero. Si è effettuata quindi una ricerca volta a determinare l’esistenza di una copertura che già si adattasse al modello senza operare nessuna correzione.

Purtroppo nessuna soluzione esistente si e mostrata rispecchiare a pieno le caratteristiche richieste. Sono stati individuati dei materiali sui quali a seguito di modifiche si è giunti ad una sagoma analoga all’involucro cilindrico da inserire sul robot : su guanti monouso di polietilene calzabili sino alla spalla, si è provato ad effettuare dei ritagli e successivi incollaggi per raggiungere la forma desiderata. Il risultato ottenuto presenta l’inconveniente di essere troppo pieghevole ed inoltre, dato l’esiguo spessore, è alto il rischio di una rottura in punti dove è presente una qualche superficie appuntita.

Si sono indirizzate quindi le nostre attenzioni verso la concezione di una struttura in grado di soddisfare a pieno tutti i requisiti specificati.

Tra le possibili forme riproducibili, ci si è posti l’obiettivo di individuare quella che meglio fosse in grado di adattarsi all’inflessione del robot risultando allo stesso tempo incomprimibile sulla maggior parte della propria superficie.

Una forma realizzabile si è pensato essere quella simile alla sagoma di un soffietto, in grado cioè, grazie alle piegature sulla superficie, di ottenere una libera curvatura evitando allo stesso tempo schiacciamenti indesiderati. Il problema è che per ottenere l’involucro si deve precedentemente produrre un’anima con la quale conferire l’aspetto desiderato alla copertura. Una tale forma risulta molto complessa da creare alle macchine utensili, quindi questa soluzione si è rivelata troppo complicata da realizzare.

Si è allora ideato un modello caratterizzato solo da brevi tratti flessibili in grado di

adattarsi ai movimenti ondulatori prodotti. Al resto dell’involucro il compito di realizzare

l’incomprimibilità del robot grazie al materiale relativamente rigido usato per la

fabbricazione.

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Si è deciso di produrre quindi un anima, da rivestire poi del materiale della copertura per ottenere le forma voluta.

Tale anima non è ancora stata creata, quindi per ora l’involucro si è ideato solo a livello progettuale, entro breve sarà comunque realizzato e testato.

Figura 3.8 : schema dell’involucro del robot

In figura 3.8 si riporta in blu lo schema dell’involucro concepito. L’asse a tratto punto rappresenta il cavo centrale del robot, asse di simmetria di tutta la struttura. Si nota il tratto flessibile caratterizzato da una forma a cuspide per permettere la libera inflessione. Tale tratto è stato progettato a punta per evitare di modificare troppo la resistenza al moto. Sopra questa parte si è deciso di inserire un’appendice fissata ad un solo lato della copertura per aumentare maggiormente l’aerodinamicità del modello impedendo all’acqua di insinuarsi tra i lato della piegatura.

Il materiale impiegato nella realizzazione dell’involucro deve risultare un prodotto

elastico, con caratteristiche impermeabili e dotato di una buona flessibilità. Ad esempio

del silicone, oppure del lattice, da stendere in vari strati sull’anima ricreata ottenendo

uno spessore tale da garantire una resistenza minima in caso di accidentali urti o

collisioni.

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